Non desiderare la roba d'altri

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 "...il dubbio e l'orrore sconvolgono | i suoi pensieri turbati, e dal profondo in lui | si agita l'inferno, ché egli si porta l'inferno | dentro di sé ed attorno, e non si può staccare | dall'inferno o da sé di un solo passo, fuggire | mutando luogo."

John Milton - Il paradiso perduto

Quando appoggiò il piede a terra, nella coltre di foglie ingiallite cadute dagli alberi che costeggiavano il viale che portava dritto all'entrata di Styles Manor, Harold avvertì subito il crepitio di una presenza estranea nella sua casa.

Scese dall'auto di servizio, dove l'autista si limitò a salutarlo con un breve e meccanico cenno del capo, una delle decine di marionette inanimate nelle mani di suo padre, e stringendosi nelle falde del lungo cappotto nero, si avventurò oltre le porte del maniero.

I servi, come sempre, lo accolsero con freddo distacco, imitando le stesse, identiche movenze di tutte le volte che tornava in quel posto che si ostinava ancora a chiamare casa, ma che negli ultimi anni immaginava fosse più un luogo colmo di brutti ricordi ed echi malsani della vita che aveva vissuto prima di iniziare il suo percorso alla Blackveil.

<<Bentornato, mio principe.>>

Forse, dopotutto, l'accademia l'aveva salvato da una realtà ben peggiore di esami da dare ed infinite notti spese a fingere di studiare, quando in realtà l'unico desiderio che gli ardeva dentro era quello di scappare.

Dove non lo sapeva, ma intanto avrebbe volentieri iniziato ad incamminarsi verso un luogo ignoto, in cui nessuno conosceva il suo nome, la sua fama, magari nemmeno la sua vera natura, magari addirittura mescolandosi tra gli impuri, ma forse il suo orgoglio avrebbe troncato quell'entusiasmo sul nascere.

Lui non era fatto per essere un individuo comune.

Suo padre glielo diceva sempre, che lui avrebbe fatto grandi cose, solo che ancora non sapeva cosa. O forse non voleva accettare l'evidenza.

E quel giorno in particolare sentiva che di grandi cose, in quello stato pietoso, non ne avrebbe combinate granché.

Si sentiva la febbre, anche se sapeva benissimo che lui non si poteva ammalare, e qualche ora prima, di fronte allo specchio della sua stanza all'accademia, aveva percorso con gli occhi la sottile linea nerastra sopra il suo cuore che stava piano piano espandendosi verso l'alto, verso la clavicola, formando un'altra diramazione irregolare, come una sbavatura d'inchiostro.

Harold non sapeva che cosa gli stesse succedendo, ma non si sentiva molto bene, non come di solito ecco, con le forze e il potere al massimo, e l'energia di qualcuno che avrebbe potuto spaccare il mondo in due con un unico schiocco di dita; si sentiva invece debole, avvilito, un guscio vuoto riempito solo di strane sensazioni, di dolori nuovi, di scariche elettriche ed impulsi nervosi che gli divoravano il torace, come se qualcosa stesse combattendo per riprendere a battere: il suo cuore avvizzito.

Be my hunterTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon