- CAMERON BATES -

1.6K 97 58
                                    

Eren strattonò il braccio per liberarsi dai suoi artigli affilati e distolse lo sguardo per non farsi ipnotizzare dalla diabolica bellezza che aveva davanti. Azazel era la reincarnazione dell'ira di Dio e della bellezza degli angeli caduti. I suoi occhi erano affilati come le zanne del diavolo, i suoi capelli scuri come le ali dei demoni. E le sue labbra, serrate e peccaminose, erano le porte dell'inferno o del paradiso. Eren ne era attratto come Eva lo fu con la mela dell'albero proibito. Perciò non lo guardò per impedire al suo battito di accelerare, ma quella stupida convinzione gli venne strappata via quando Azazel cominciò a seguirne il ritmo con il tallone. Ancora una volta, come ogni volta. Un secondo sospiro uscì dalle sue labbra, stavolta di rassegna, e tornò con lo sguardo fermo sul corvino, ma non prima di incrociare le braccia al petto. Il suo dito indice picchiettava il braccio su cui stava riposando, il cuore gli disturbava il petto, quel viso gli annebbiava la ragione.


«Allora?» gli domandò... Non una sola goccia di curiosità si estese lungo i muscoli del suo viso. Ma Azazel non rispose, non sapeva da dove iniziare. Voleva chiedergli scusa, per tutto. E lo voleva e basta, ancora. Da dove avrebbe dovuto iniziare?


Quella domanda gli portò al petto uno strano senso di inadeguatezza. Chiedere perdono non gli calzava, non come l'impassibilità che dominava il suo volto ogni volta che tentava di esprimere sé stesso. All'improvviso, però il suo spavaldo coraggio avvolse le voci che aveva nella testa, finché non ne rimase solo una che diceva "Nascondere i propri sentimenti è da vigliacchi".


Lui non voleva essere un vigliacco. Non era nel suo sangue, nel suo orgoglio. Non era nel suo modo di essere scritturato, nemmeno nel suo copione. Le parole di Denver gli ronzavano fastidiosamente nelle vene, e la sua voce lo risvegliò dall'ipnosi della razionalità. Lo sollevò poi dal suo orgoglio e lo riposò in mezzo ai sensi di colpa. Pensò che avrebbe mantenuto quel dolore dentro di sé, se avesse distrutto solo lui. Ma non era così.


Eren stava soffrendo, Lo vedeva nelle occhiate nascoste, nella stanchezza del suo viso. Era distrutto, lui l'aveva distrutto. E quell'idea gli stringeva il cuore con tale forza da fargli sputare ciò che non aveva mai avuto la capacità di dire a nessuno.


«Scusa.» bisbigliò, e il silenzio tornò tra di loro. Eren riuscì a risvegliarsi dall'indifferenza, e una luce gli illuminò gli occhi. Ma sembrò ignorarla, come volesse fingere di essere ancora arrabbiato, come volesse illudersi che quella fosse davvero rabbia. In verità era solo deluso, devastato dall'idea che Azazel avesse mentito per tutto quel tempo. Era addolorato al pensiero che dietro a quel "voglio proteggerti" ci fosse solo un intento di distruzione. Eren iniziò a credere che Azazel fosse davvero colui che diceva di essere. E tutti quei piccoli gesti che lo mantenevano saldo all'idea che stesse solo fingendo di non essere umano, si rivelarono una menzogna creata dalla sua testa. Aveva frainteso tutto, ma non voleva farlo anche con quelle scuse. Forse Azazel stava davvero chiedendo perdono, ma il suo intento era un altro: voleva riprenderlo per impedirgli di diventare davvero suo nemico. Perciò, quella luce si spense ancora, facendo comprendere al maggiore cosa stesse pensando il rosso in quel momento. Serrò la bocca, come se si stesse trattenendo dal dire altro, ma si schiuse ancora nell'istante in cui Eren tornò a guardarlo. Non voleva parlare, a tratti non respirava nemmeno. Tuttavia, le sue labbra si riaprirono quando realizzò di averlo spento. E di quel fuoco ardente, era rimasta solo una debole fiamma. Verde contro blu, terra contro cielo. Gli dèi si smossero dal loro trono, quasi impauriti da quel contatto, e il vento cessò di entrare dalla finestra per dare la possibilità al loro favorito di parlare. Ma Azazel prese il suo posto, proprio mentre schiudeva le labbra per pronunciare qualcosa. Voleva intagliare al meglio la cornice di quelle scuse. Denver era ancora nella sua testa e lo incitava a continuare, mentre il resto delle voci gli suggerivano di fermarsi.


«Avevo promesso a me stesso di non fare lo stesso errore, ma è successo. Sbaglio di continuo con te, non sono abituato a... Questo. Perciò scusa.»

L'OCCHIO DEL DIAVOLO (LA MALEDIZIONE DELL'UNIVERSO #1)Where stories live. Discover now