- L'ANTIDOTO -

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Il silenzio calò in fretta.
E con esso, anche la paura.
Azazel stava in tutti i modi velando il tremolio del suo corpo causato dall'eccessiva adrenalina... Per un momento pensò davvero che quel colpo di pistola fosse diretto verso di lui.
Trattenne il respiro, col petto all'infuori e il mento ben sollevato, proprio come gli era stato insegnato. Nel frattempo, però, le sue dita frenetiche allentavano la tensione che aveva in corpo, aprendo e chiudendo un vecchio accendino di suo padre.
Eppure, agli occhi degli altri, appariva soltanto mostruosamente impassibile. Solo quando vide il Signor Gray cadere di ginocchia davanti alla sua stessa figura e, infine, distendersi lungo il prato, quella inusuale sensazione cessò di esistere e l'ossigeno tornò a circolare nei suoi polmoni.
Comprese subito da dove provenisse quel colpo...
Alzò lo sguardo, così come il resto degli ospiti per capire chi avesse ucciso quell'uomo, e, immersa nell'ombra, vide una sagoma allontanarsi dal cornicione con una figura al suo fianco. Eren... Era lì sin dal principio.
Il corvino abbassò nuovamente le sue attenzioni, rivolgendole a colui che stava in bilico tra la vita e la morte, e osservò la sua schiena impregnarsi di sangue ad ogni suo lento respiro, finché non giunse all'ultimo. Eren era oramai sceso dal tetto, e il Signor Atkins non perse tempo ad ordinare alle guardie di mandarlo nel seminterrato, dove probabilmente avrebbe ricevuto di lì a poco una dura punizione. Il corpo venne portato via, e la polizia giunse ben presto alla residenza per portare in centrale il resto dei Metals. Non fecero alcuna domanda, né agli invitati né tantomeno ad Azazel... Non dopo la lunga conversazione avuta con il Signor Atkins. Ma la festa non si concluse, il capo aveva deciso che sarebbe dovuta continuare a tutti i costi. Scampato il pericolo, però, costrinse la squadra ad allontanarsi dalla villa. Li accompagnò fino al castello, si congratulò con il corvino e, infine, sparì dentro il seminterrato. Azazel riusciva a sentire i lamenti provenire da là sotto... Erano urla di dolore, pianti di disperazione, gemiti causati dal feroce impatto tra il cuoio e la pelle del rosso. Rabbrividì nel silenzio della stanza, ma si allontanò da essa poco dopo per cercare una distrazione da quei fastidiosi rumori, o altri rumori più fastidiosi di quelli.

~

Quel castello lo capiva, e lui capiva quel castello.
Era bello, ma nascosto dalla valanga di polvere e fatto a pezzi dal tempo. C'erano stanze, considerate inagibili, che riuscì ad aprire come fossero parti nuove di sé. La stanza della vergogna, la sala del dolore, il bagno del disgusto.
Viveva un'anima dentro quel luogo, riusciva a percepirlo qualvolta ne sfiorava le pareti con le dita. Non erano distrutte come tutti dicevano. Erano rovinate, però. In alcune vi era della muffa sui muri e pavimenti impregnati della pioggia che entrava dal tetto. Altre, invece, erano colme di mobili coperti e pile di scatoloni che non sapevano dove mettere, se non lì.
Una notte, la curiosità lo avvolse come petali di rosa ancora in procinto di sbocciare. Sentiva una finestra battere contro le pareti del castello, e il suo udito gli permise di comprendere quanto alta essa fosse collocata... Le torri più alte, non le aveva mai visitate.
Ci fu qualcuno, però, che, a quanto pare, lo fece.
Prese uno dei bastoni infuocati che illuminavano il corridoio e, impavido come gli avevano insegnato ad essere, percorse quel labirinto. La stanza si presentò avvolta nel buio più totale, in cima ad una rampa di scale che sembrava infinita. Era tonda, dal tetto alto e i muri nascosti da fogli su fogli e foto su foto. Non prestò attenzione ad esse, bensì al modo in cui la luce della luna entrava dalla finestra per illuminare un punto ben preciso. Lì, quella notte, ci vide Denver rannicchiato su sé stesso, con le ginocchia al petto e il respiro calmo... Fu all'ora che scoprì fosse sonnambulo.
Da allora, vi creò una sottospecie di nascondiglio. Salì i suoi libri e sistemò una coperta laddove batteva la luce della luna. Sdraiato, avrebbe potuto parlare con lei fino alla sua scomparsa.
Lo fece anche quella notte, dopo la festa.
Parlò con lei, ma solo con gli occhi, perché parlare non rientrava nelle sue capacità. Le chiese il motivo per cui gli invitati stessero continuando a ridere e festeggiare nonostante un uomo fosse appena morto davanti ai loro occhi. Ma lui non si sentì in vena di giudicarle... Dopotutto, loro ignoravano la morte, mentre lui la causava. Forse perché non riusciva a dare il giusto peso alla vita, o magari perché preferiva la morte ad essa. Gli altri, invece, non riuscivano a comprenderne il motivo o non volevano saperlo, come un'ape non vuole conoscere la ragione per cui il senso della sua sia fare il miele, o per una formica quello di raccogliere il necessario per sopravvivere nelle stagioni più fredde. A differenziare l'uomo da queste creature è una cosa sola: la ragione. E la ragione porta a domande, le domande a risposte... A ciò che la gente definisce "verità". E accolgono quella verità nell'illusione che essa esista davvero. Ma cos'è la verità, se non un punto di incontro trovato dall'uomo stesso per dare una risposta ai propri dubbi? A volte, invece, capita che qualcuno faccia da paraocchi, come il Signor Atkins fece con la polizia quella notte. Oppure è l'uomo stesso a farsi cieco di fronte alla crudele verità, proprio come gli invitati davanti a quella morte o la polizia di fronte a quell'omicidio.
Azazel, invece, la cercava in lungo e in largo.
Sua madre era davvero malata o era solo una sua fantasia?
Suo padre era davvero morto in un incidente o era stato ucciso?
Era giusto privare gli altri della propria vita per vendicare un uomo che per tutta la sua non fece altro che fare del male al proprio figlio? Ed era giusto uccidere per qualcuno che gli aveva promesso qualcosa di probabilmente inesistente? Era sfinito. Le sue forze si stavano consumando per le troppe domande come le sue labbra stavano facendo con la sigaretta, che buttò infine dalla finestra della torre. Spense l'interruttore, ancora una volta.
Non voleva più porsi questioni, né voleva provare pena per le menti oscurate degli invitati o per le urla che continuavano a lacerargli i timpani come i denti di una tigre facevano con le carni delle loro prede. Voleva dormire. Voleva solo dormire.

L'OCCHIO DEL DIAVOLO (LA MALEDIZIONE DELL'UNIVERSO #1)Nơi câu chuyện tồn tại. Hãy khám phá bây giờ