- ROMEO E GIULIETTA -

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Dominava il silenzio, in quella fredda mattinata.
Il vento soffiava forte contro le finestre e il loro cigolio era l'unico rumore udibile all'interno del castello. Da fuori, invece, giungeva il fruscio delle foglie danzanti e la freschezza della rugiada mattutina. Azazel stava fumando la prima sigaretta del giorno e si nascondeva dietro al vortice del fumo grigiastro, che più saliva e più spariva nel nulla. Come i suoi pensieri. Si perse ad osservare la luna sparire con l'arrivo del sole, che faceva brillare l'acqua della fontana e il manto del lago. Il suo suono dolce lo distraeva dal caos che aveva dentro, e gli dava pace quasi quanto il calore che i raggi espandevano sulla sua pelle. Un brivido gli attraversò la schiena, e il freddo dell'alba abbandonò ufficialmente il suo corpo. Ma quella quiete venne presto interrotta dalla sveglia rumorosa di Eren, che nascose quelle dei suoi compagni...
Il castello si svegliò. Azazel si voltò ad osservare il compagno di stanza, che si limitò a far uscire il braccio dalle coperte per disattivare l'allarme. Ai suoi occhi, quella stanza cambiò i suoi connotati per qualche istante, come in una sorta di allucinazione. Adesso non c'erano più i due letti a baldacchino e la carta da parati esuberante, o le poltrone soffici e il camino avvolto da un'aura accogliente. Le quattro mura si popolarono di un freddo gelido provocato dalle tapparelle abbassate, di una lampadina che pendeva dal soffitto e un letto matrimoniale al centro. E al posto di Eren, c'era sua madre sotto le coperte. Era lì che quella donna passava la maggior parte del suo tempo, ad osservare il vuoto come se stesse cercando un motivo per rialzarsi dal materasso; e ignorava il figlio, che ogni tanto chiedeva di andare fuori a giocare. Pericolosa, triste, solitaria. Eren le somigliava tremendamente tanto... Anche lui era pericoloso, ma a velarlo era sempre il suo dolce aspetto autunnale. Era triste, Azazel lo notava nell'amarezza del suo sorriso, che era solito mostrare ai suoi compagni di squadra. Ed era solitario. Eren non lo sembrava affatto, tranne quando gli capitava di osservare il vuoto durante una conversazione... Azazel se n'era accorto spesso. Forse perché era un ottimo osservatore, o magari per la sua innata curiosità e il suo strano interesse nei confronti di quel ragazzo. Era solito studiare le persone per dar loro un'etichetta, ma Eren si rivelò difficile da racchiudere in una categoria. Era un libro chiuso, una cassaforte infrangibile. Azazel era certo di una cosa sola: qualcosa non quadrava in lui. Forse era stata quella breve allucinazione a farglielo credere, ma la terribile somiglianza tra certi atteggiamenti di Eren e di sua madre gli turbava l'anima. Perciò si avvicinò a lui e picchiettò il piumone per attirare la sua attenzione.
«La colazione.» esclamò, diretto e deciso. Dopo qualche istante di silenzio, poté udire «Non ho fame.» da sotto le coperte.
Non ho fame... Quelle parole echeggiarono nella sua testa con un tono sempre più femminile.
«Allora vai a prepararti, abbiamo lezione». Eren non rispose. Si limitò a rannicchiarsi sotto le coperte e a sospirare così lentamente da sembrare in punta di morte.
«Eren.» lo richiamò, picchiettando ancora una volta le coperte con i polpastrelli della mano destra.
«Sono stanco.» sussurrò l'altro. Nonostante il suo viso fosse interamente scoperto, Azazel poté percepire la sua estrema debolezza. Sospirò, poi uscì dalla stanza. Percorse la scala a chiocciola, poi quelle principali, e si fermò sull'ultimo scalino. Si concentrò sui rumori per capire dove fossero gli altri, ma gli venne difficile geolocalizzarli a causa dei rimbombi. Infine, si diresse laddove quelle voci risultavano più fitte: il salotto. Era la stanza più grande finora da lui esplorata. Le mura erano decorate da molte finestre alte e poco sopra il pavimento, coperto per lo più da tappeti. Un enorme divano occupava metà della parete frontale, mentre dall'altra parte si trovava un tavolo rotondo e costantemente in disordine. Di fronte al sofà, un enorme camino riscaldava la stanza. Sopra di esso, un ritratto del Signor Atkins li osservava severo. Ash e Bryan erano seduti sulle poltrone che affiancavano il camino, entrambi con un libro in mano.
«Cos'ha?» domandò il corvino, avvicinandosi a loro.
I due ragazzi sollevarono lo sguardo verso la sua direzione... Il suo corpo era illuminato dalle fiamme del fuoco, rendendo divino.
«Chi?» parlò Ash, chiudendo il libro sulle cosce e rivolgendogli un'espressione confusa.
«Eren». Quel nome uscì rapido dalla sua bocca, come se pronunciarlo lentamente potesse portare a qualche conseguenza.
«Cos'ha?» ripeté.
«Nulla, ha sempre un crollo emotivo dopo le missioni.» rispose il mulatto, riportando gli occhi sulle pagine del libro di botanica. Ash spostò le sue attenzioni verso Bryan, il suo viso apparve contrariato. Azazel, però, non ci fece caso. La sua mente era oramai colma di pensieri poco gradevoli sul suo stesso conto... La sua testa non accettava la sua inutile preoccupazione nei suoi confronti.
«Mh.» si limitò a pronunciare, uscendo subito dopo dalla stanza. Ripercorse la scalinata principale e quella a chiocciola, concentrandosi sul rumore dei suoi passi per ignorare quelle voci che lo obbligavano a pentirsi per aver provato un'emozione. Infine, rientrò in camera.
"Lui non è come lei" si ripeteva.
«Forza, muoviti.» ordinò poi con tono crudo, mentre spostava le coperte dalla figura dell'altro.
«Lasciami dormire.» disse Eren in un filo di voce, e non un solo muscolo si spostò per variare la sua posizione: le ginocchia erano ancora alzate al petto e le mani congiunte in preghiera tra la sua guancia e il cuscino.
«Vai a fare una doccia.»
«Dopo.»
«Non esiste nessun dopo nel mio vocabolario.»
Azazel afferrò il polso di Eren e, senza alcuno sforzo, sollevò il suo busto per metterlo seduto.
«Ho detto che sono stanco.» farfugliò il rosso, senza aprire gli occhi.
«Ti riprenderai con una doccia fredda.»
Un'amara risata uscì dalle labbra di Eren.
«Non funziona così.»
Azazel stette in silenzio per un istante, e rabbrividì per la sensazione di aver già vissuto una scena simile.
«Allora dimmi tu come funziona.» disse lui.
«Lasciami riposare, non ho dormito stanotte.» sussurrò il minore, passando una mano tra i ricci rossi.
«Perché sei qui se ti ferisce così tanto uccidere?»
Eren sollevò finalmente lo sguardo, mostrando un'espressione ghiacciata e due buchi neri al posto degli occhi... Non erano più illuminati da quella folle luce che li caratterizzava. Tuttavia, Azazel non vide alcuna tristezza in essi. L'impassibilità gli aveva rovinato il viso e l'insonnia lo rese pallido. Quella sensazione di similarità con sua madre si fece sentire ancora.
«E tu?» domandò il minore.
«Io cosa?»
«Perché sei qui se non riesci ad ubbidire alla persona a cui hai giurato fedeltà?»

L'OCCHIO DEL DIAVOLO (LA MALEDIZIONE DELL'UNIVERSO #1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora