Capitolo 28.

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«Ho ricordato..»

Quel bisbiglio mi arriva da lontano, in mezzo alla nebbia del sonno.
Mi trascina lentamente e forzatamente indietro fino a farmi aprire gli occhi per controllare l'orario della sveglia sul comodino.

6:40

Sospiro e mi rigiro pigramente nel letto, sentendo di sfiorare qualcosa di duro e caldo. Quel calore mi conforta e mi pervade come un'onda.

«Che cosa?»

Mugolo contro il cuscino in cui la mia faccia è sprofondata.
Uno sbadiglio dall'altra parte ed un fruscio di lenzuola.

«Una vecchia strada.. C'era una gelateria.»

Le parole che gli escono poi, portano con loro il fantasma di un lieve sorriso.

«La mia preferita.»

Chiudo gli occhi e vorrei nuovamente abbandonarmi al sonno, ma forzo i miei muscoli a strisciare fino al comodino.

La mia mano vaga senza guida sulla superficie di legno, toccando la sveglia, un libro, delle penne e finalmente il piccolo taccuino che mi serve.

«Dimmi com'era.»

Tiro la catenina dell'abat-jour e una sfera di luce mi ferisce gli occhi.
Sfoglio frettolosamente le pagine per trovarne una pulita.

Accade spesso che i ricordi sfiorino la mente di Bucky durante il sonno e poi spariscano nuovamente nell'oblio.
Perciò ho deciso di scriverli e, quando possibile, disegnarli per lui, così che potrà aprire queste pagine e attingere alla sua vecchia memoria ogni volta vorrà.

«Era un vicolo. Non ci si poteva andare con la macchina, la usavamo come scorciatoia per passare tra la.. La..»

Vuoto.
Posso vedere il suo viso contratto nello sforzo senza nemmeno girarmi.

«Va bene. C'erano altri negozi?»

Chiedo immediatamente mentre la mia mano saetta sulla carta per scrivere.
Devo distrarlo dai vuoti di memoria; ogni volta che ci cade, la frustrazione gli resta addosso per giorni.
Ed oggi non è davvero il giorno giusto.

Lo sento sospirare come per ringraziarmi.

«Sì.. Ma non ricordo cosa fossero.»

Annuisco leggermente.

«Non importa, sai dirmi quanti ne erano?»

Inizio a disegnare linee. Schizzi leggeri uno sopra l'altro in modo da definire meglio la forma senza sbagliarmi.

«Sette. Credo. La gelateria era infondo sulla sinistra. Prima ce n'erano tre. E dall'altra parte sempre tre.»

Poggio il mento sul pugno chiuso e mi lascio andare ad uno sbadiglio.

«E il pavimento? Era come le altre vie che hai ricordato?»

Con la coda dell'occhio, noto la sua testa inclinarsi verso di me.

«Sì. Era Brooklyn.»

Accenno un bozzetto.

«Tipo così?»

Dopo qualche attimo, il materasso balla sotto di me, le coperte si spostano e il corpo di Bucky preme sulla mia schiena.
In un attimo mi è sopra, puntellando il suo peso sui gomiti mentre osserva il disegno da dietro la mia spalla.

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