Capitolo 2.

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Martedì , 15 Settembre 1964

Le porte di metallo si aprono davanti a me con uno sferragliare rumoroso.
«È una delle nostre risorse più importanti. La affido a te, figlia mia.»
Avanzo nella stanza scavata nella roccia. L'odore di umidità e criostabilizzanti impregna l'aria, i neon illuminano la zona e una lampada getta luce su una sedia operativa.
«Ti sto dando in mano la nostra arma segreta. Non c'è persona di cui io mi fidi più di te. Lo sai questo, vero?»
Annuisco e stringo il libro rosso sul quale è segnata una stella nera.
Arrivo dinnanzi all'uomo seduto e immobilizzato sulla sedia e lo osservo. Benché io sappia di lui da tre anni e abbia studiato il suo intero fascicolo, è la prima volta che lo vedo e un carico di brividi mi scende lungo la schiena.
Si è da poco risvegliato dal sonno vegetativo, vedo il suo petto sollevarsi in lenti respiri sotto della divisa di pelle nera.
Essere davanti al Soldato d'Inverno crea sensazioni contrastanti di paura ed ebrezza, l'ultima data dalle voci che come leggende si trasportano sui venti della Russia. Ma lui è reale, non una leggenda. È qui davanti a me, circondato dal suo alone di mistero celato per anni.
«Sai cosa devi fare. Il suo equipaggiamento è pronto, quando lo sarai tu, agisci.»
Mio padre si congeda e con sé porta i soldati che si chiudono le porte alle spalle. A quel punto lascio andare il respiro e rilasso le spalle. Mi sbottono la giacca e vado ad appoggiarmi alla colonnina con i comandi.
«Va bene, Soldato.. Intanto svegliamoti per bene.»
Ho voluto questa promozione ad ogni costo, davvero. Sapevo che mio padre stesse lavorando a qualcosa di grosso e volevo farne parte anch'io. Solo che nella mia infantile ed innocente concezione, non ho pensato che chi ottiene grandi risultati spesso non lo fa per il bene.
Insomma.. 'Bene' è un termine relativo. Per l'Hydra, l'uso di un'arma senziente alla quale friggere il cervello per ottenere risultati è un bene e ne sono convinti.
Io no, ma ormai sono salita sul treno in corsa e non si scende più. Non puoi scendere se sei la figlia del capo progetto.
Preparo l'iniezione di adrenalina e salgo sulla pedana dove il bel soldato dormiente aspetta inconsapevole la sua nuova missione.
Il suo volto è disteso, i capelli in disordine ricadono sulla fronte e sui suoi occhi, qualche goccia di sudore post ibernazione gli vela il viso.
Gli inietto l'adrenalina nel braccio e anziché tornare al mio posto, resto lì in piedi accanto a lui ad aspettare. Sfoglio il libretto che ho tra le mani come ho fatto per tutta la notte e quando rialzo lo sguardo dopo qualche minuto, resto paralizzata.
Due occhi azzurri mi stanno fissando, attenti e limpidi come un cielo estivo. Anche se in realtà.. Il primo ricordo che mi provocano è quello del lago ghiacciato accanto alla vecchia casa dove vivevo con mia madre anni fa. Lo so, il ghiaccio è di colore bianco, ma non quel lago. Quel lago era esattamente come lo sto vedendo adesso. E mi rendo conto di aver già incontrato quegli occhi, gli unici che siano mai riusciti a scuotermi tanto.
Deglutisco a vuoto ed esito sul mio posto prima di parlare. È lui. L'uomo che aveva fermato quei soldati dallo spararmi anni prima, è lui. Il Soldato d'Inverno.

So che hanno cercato di eliminare dalla sua memoria ogni frammento della sua vita passata, ma il Sergente Barnes è stato più volte annotato come incredibilmente resistente alla terapia di elettroshock.

Mi guarda con sorpresa, non sembra l'assassino che avevo immaginato di trovare, sembra solo.. Disorientato. Riconosco quello sguardo e mi fa sentire inconsciamente al sicuro come quando mi aveva fatto da scudo contro i proiettili.
Stringo le labbra e mi dirigo verso la colonnina quando un lieve farfugliare mi ferma.
«Aspetti..»
Mi giro per fermare nuovamente il mio sguardo su quello del soldato. Lui si acciglia, schiude le labbra come per fare una domanda di cui non trova le parole.
«Non l'ho mai vista qui.»
Il suo modo gentile e pacato mi spiazza e sento le lacrime voler insorgere quando penso che da più di dieci anni l'ho sempre creduto morto per aver tentato di proteggermi.

«Beh, non sono mai stata qui.»
Mento. È la cosa migliore da fare per il momento.
Lui fa un sospiro e si rilassa su quella specie di poltrona, anche se direi ci si sia più arreso che rilassato.
«È venuta per portarmi via, finalmente?»
Il tono con cui me lo chiede mi fa vacillare e non riesco a rispondere. Torno alla colonnina e attivo in fretta gli elettrostimolatori.
Gli consegno senza guardarlo una stringa di cuoio da stringere tra i denti e lui la morde, tenendola ben salda come chi sa cosa aspettarsi.
Guardo le placche posarsi sul suo capo e in meno di qualche secondo le scariche lo pervadono e il suo volto si trasforma in una maschera di dolore. Cerca di trattenere le urla, ma lo sento gemere. Le sue braccia strattonano le cinghie che lo tengono incatenato e la scena mi si imprime nell'anima per sempre.
So che molti progressi si fondano sul dolore, ma questo è troppo. Schiaccio il pulsante per interrompere la procedura e mi piego su me stessa mentre il respiro affannato del soldato riecheggia in quella specie di cella.
Non posso farlo. Mio padre aveva torto su di me, non sono come lui.
Mi rialzo e sbircio verso il soldato. Ha ancora i muscoli tesi, come se stesse attendendo il seguito. Non fosse per la situazione, mi sarei volentieri soffermata a guardarlo, ma il solo pensiero mi arrossa le guance.
Mi avvicino a lui in fretta e con la medesima lena inizio a liberarlo di quella specie di casco delle torture. Mi sento osservata, ma non cedo ad abbassare lo sguardo.
«Procederemo senza.. Senza questo passaggio.»
Mi sento in dovere di informarlo, è della sua vita che si tratta dopotutto. Ma qui so che mi sto sbagliando, l'Hydra considera la vita del soldato d'inverno come proprietà esclusiva della fondazione e non del soggetto in questione.
Sento un lieve strattone al camice bianco quando faccio per andare, mi giro e vedo che un lembo della stoffa è trattenuto nella sua mano.
«Posso chiederle come si chiama, signorina?»
Inclina il capo verso di me e io mi sento priva di forze per allontanarmi ancora.
«Sono Rose.»
Un angolo delle sue labbra si curva verso l'alto e lascia andare il mio camice, ripetendo il mio nome sottovoce.
«Rose..»
Torno lentamente alla postazione e scossa da un dubbio, mi rivolgo nuovamente a lui.
«Ed il suo, soldato?»
Lo vedo accigliarsi e spostare lo sguardo nella stanza come se non si trovasse davvero lì. Non ottengo risposta.
Senza perdere altro tempo, apro le pagine del quaderno rosso e inizio a leggere quelle parole improvvisamente sparite dalla mia mente. Devo andare avanti, almeno fargli compiere quella missione, poi potrò lasciare il progetto. Non posso continuare, non con lui.
«Brama..Arrugginito. Diciassette..»

Il soldato si irrigidisce sulla sedia.

«Alba.. Fornace..Nove. Benigno. Ritorno.»

Lo sento tirare uno strattone ai bracciali che lo tengono ancorato al suo posto.

«Uno..»
«No..»
Sollevo lo sguardo.
«Cosa?»
L'ex sergente è immobile, fremente al suo posto e non mi riposande. Torno con gli occhi su quelle lettere nere e riprendo a mezza voce.

«Vagone merci.»

Chiudo il libro con un piccolo tonfo, abbasso una leva per sbloccare i bracciali di sicurezza che lo immobilizzano e avanzo sulla piattaforma fino a ritrovarmi davanti a lui. Ha le palpebre aperte, lo sguardo fisso e.. Vuoto.
«Soldat..?»
L'uomo stringe i pugni facendo scoccare le articolazioni delle nocche e quelle metalliche del suo braccio sinistro. Si alza e resta fermo, statuario.
«Я готов подчиняться.» Sono pronto ad obbedire.

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