Capitolo 9.

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Domenica, 11 Ottobre 1964

Il problema della Siberia è che il sole non sorge con la stessa regolarità che a Mosca. Ci stiamo avvicinando a Novembre, quando ci sarà l'ultimo tramonto e poi non si vedrà più luce solare fino a Gennaio.
Perciò sfrutto le ultime giornate per godermi i flebili raggi all'aperto. Col tempo ci si abitua al freddo e non è un problema affondare le gambe nella neve fresca.
Il perimetro della base è stato già spianato e il sale è stato gettato per evitare al ghiaccio di formarsi. Il mio respiro si congela in nuvolette di vapore che guardo salire verso l'alto mentre cammino vicino alle mure e mi sistemo i capelli in una coda alta e le cuffie alle orecchie.
La radiolina che riproduce la cassetta è infilata in un taschino della mia giacca e quando le note mi riempiono le orecchie e cancellano i pensieri, comincio a correre.
La neve bianca riflette la luce debole come cristalli scintillanti. Qualche gufo sposta i pesanti rami dei pini che lasciano cadere manciate di neve con tonfi silenziosi.
Vedo dei cervi brucare poco lontano l'erba fresca che gli spazzaneve hanno scavato; presto anche quella sarebbe diventata irreperibile.
La base si protrae su diversi acri di terra e percorrerla tutta di corsa è già di per sé una sfida, perfetta per non lasciarmi pensare.
Non vedo Bucky da  tre giorni e quella notte sembra ormai essersi trasformata definitivamente in un sogno. È incredibile come si possa sentire tanto la mancanza di una persona quando è più il tempo che abbiamo passato lontano che insieme.
Forse è per questo che corro; mi manca sentire il cuore in gola e la testa girare per causa sua e portarmi alla stanchezza è l'unico modo per provare qualcosa di simile. Non so cosa mi abbia fatto, come io abbia contratto questa dipendenza malsana che mi spinge tra le fauci del lupo.
Immersa come sono nelle mie canzoni, non mi accorgo subito della figura che mi affianca nella corsa, ma sento la sua voce camuffata sotto la musica.
Mi abbasso le cuffie sul collo e giro di poco la testa per riconoscere la ragazza bionda a cui l'altro giorno ho fornito indicazioni.
«Salve, signorina Karpov. Non sapevo che anche lei amasse correre di primo mattino.»
Rispondo con un sorriso gentile.
«Non mi sono presentata, sono Diana Gorbatsjov.»
Non ho avuto molte amiche alla base fin'ora, solamente Toly. Trovo quasi strano che lei voglia essere così cordiale.
«Ciao Diana, puoi chiamarmi Rose. Hai un accento del sud.»
Lei sorrise con fare colpevole.
«Ungheria. Mia madre lavora qui, mio padre è un membro in pensione del KGB.»
«Ah ah.»
Diana mi elenca i programmi della sua serata, a quanto pare è riuscita a farsi più amici di quanti ne abbia avuti io in dieci anni.
«Beh, vi auguro di divertirvi. Io andrò in città, stasera.»
La ragazza sembra sorpresa di sentirmi dire finalmente qualcosa dopo il suo sproloquio.
«Davvero?» 
«Già.. Pare abbiano aperto un nuovo posto.»

Il pomeriggio arriva piuttosto lentamente. Ho passato l'ultima mezz'ora a prepararmi e quando Toly bussa alla mia porta, devo solo infilarmi il cappotto e il basco.
«Wow.» Fa lui non appena mi vede.
«La tua faccia meravigliata è quasi credibile, Toly.»
Mi metto la borsa in spalla e mi avvio verso il garage.
«La mia facc..? Oh no, sei.. Sei davvero fantastica. Da quanto non ti fai i capelli ricci?»
«Da quando mi sono scocciata di portare i bigodini, parecchi anni fa.»
Prendiamo uno dei fuoristrada e ci dirigiamo all'ingresso chiuso da un cancello. La guardia si affaccia dal casello e sbircia dentro l'auto.
«Buonasera, signorina Karpov. Prego, passate.»
Appena passato il varco, Toly scoppia a ridere.
«È proprio una figata essere la figlia del capo. Niente richiesta di documenti, tutti ti conoscono..»
Mi sistemo sul sedile e ridacchio con lui.
«L'ultimo punto non è sempre conveniente.»

Arriviamo a Norilsk molto più tardi. Toly mi ha rimbambito con i suoi discorsi sul nucleare e su un futuro primo test di armi di tal tipo che sarebbe stato effettuato a breve dalla Repubblica popolare Cinese, chiamato progetto 596.
Inizio a vedere i primi impianti di estrazione minerale alzarsi nella nebbia soffusa che circonda la città.
«A volte mi chiedo perché abbiano scelto una base proprio qui vicino. Se per la vicinanza alle tonnellate di Nichel e Palladio o semplicemente perché questo posto ricorda l'oppressione operata dal nostro governo.» 
Toly smette di blaterare sull'Uranio fissile e mi lancia un'occhiata.
«Parli del Gulag?» 
Annuisco.
«Più di un milione di morti.. E il mondo ancora non lo sa.»
Il mio amico ridacchia come se trovasse la cosa divertente.
«Ma non possiamo rivelarlo a tutti. Quel che ha fatto Stalin oramai è cosa passata.»
Lo guardo con un sopracciglio alzato.
«Passata? Milioni di famiglie hanno pianto i loro morti e non hanno avuto giustizia.»
Lui sospira.
«Non essere ipocrita, Rose. Adesso ti interessa di cosa è giusto e cosa no? Erano oppositori, sapevano a cosa stavano andando incontro.»
«Beh, se avessero ammazzato tua madre, interesserebbe anche a te.»
La macchina inchioda e le gomme incatenate si piantano nella neve battuta.
«Ancora questa storia? Credi davvero che siano stati i comunisti ad uccidere tua madre?!»
Mi irrigidisco sul sedile e mi giro verso di lui.
«E chi, altrimenti? Il dipartimento dei servizi segreti era l'unico a sapere dove abitavamo.»
«Rozaliya, tua madre se n'è andata, lo vuoi capire? Era stanca e ha abbandonato te e tuo padre.»
I miei occhi si riempiono di lacrime.
«No, lei non lo avrebbe mai fatto. Mia madre non mi avrebbe mai lasciata.»
Toly sbuffa e sbatte un pugno contro il volante.
«Non puoi incolpare un intero sistema solo perché non accetti il fatto di essere stata abbandonata! Non sei la prima e non sarai l'ultima.»
Quelle parole mi fanno male al punto che non riesco più a trattenere le lacrime e le lascio straripare.
Mi feriscono soprattutto perché escono dalla bocca di Toly.
«Non mi avevi mai detto di pensarla così.. Pensavo tu mi credessi.» 
Il ragazzo chiude gli occhi e poggia la testa al sedile.
«Non l'ho mai fatto perché credevo che ti sarebbe passata, crescendo. E poi certo che ti credo, ma andiamo non hai nemmeno delle prove a sostenere la tua tesi.»
«Credevi mi sarebbe passata? Come uno stupido capriccio??»
Toly alza un dito per fermarmi.
«Non.. Mettermi in bocca parole che non ho detto.»
«Ah sì? E cos'avresti detto di diverso?»
Questa volta quando mi risponde, Toly alza la voce.
«Io.. Dio Rose, sei soltanto una bambina viziata certe volte! Cresci un po' e mettiti in testa che il mondo non lavora per rovinarti la vita. Hai vent'anni e sei ancora talmente cieca da non vedere cosa ti sta intorno!!»
«Non sono affatto cieca, se fosse stato mio padre ad andarsene, lo avrei anche capito, ma mia madre..»
Toly mi interrompe.
«Non sto parlando di questo.»
Sbuffo con un sorriso sarcastico.
«E di cos'altro, allora?»
«Del fatto che sono innamorato di te, cazzo! Da cinque anni!»
Cala il silenzio.
Dopo le urla, anche quello sembra troppo assordante.
«Non credo che dovrei restare qui.»
«Andiamo, non far finta che non lo sapevi.»
Tiro su col naso e guardo dritto davanti a me.
«Se mi avessi amato, non mi avresti presa in giro ogni volta che venivo da te quando stavo male per lei.»
Lui sospira con aria stanca.
«Diamine, non essere infantile adesso. Non puoi vivere nel rimpianto, è ora di guardare avanti.»
La sua improvvisa indifferenza mi fa innervosire e mi giro per sputargli in faccia quello che penso, senza filtri.
«Beh, non ho la minima intenzione di guardare avanti con un bugiardo come te!»
E lui mi da uno schiaffo. 
I capelli mi finiscono davanti al viso che ora è girato dalla parte opposta a causa dell'urto e la vista mi si appanna nuovamente.
«Diamine, Rose mi dispiace, non volevo.»
Toly prova a toccarmi una spalla, ma mi ritraggo. Apro la portiera, scendo immediatamente dalla macchina e la richiudo con una spinta violenta.
«Rose! Torna su, ti prego. I-io non so cosa mi sia preso, ti prometto che non accadrà più!»
Mi stringo nella giacca per il freddo e comincio a camminare senza rispondergli.
Lui mi segue con la macchina e mi affianca, ma io non lo guardo nemmeno.
Non sembra l'Anatoliy che conosco, anzi stento a riconoscerlo.
«Per favore, torna qui.»
Mi supplica, sembra aver cambiato completamente tono.
«No.»
«Rose.. Ti prego, sai quanto tengo a te.. Farei di tutto per te, è stato solo un errore. Permettimi di rimediare.»
«No. Vattene, non voglio vederti.»
Lui sbuffa.
«Già, resta pure a congelare, allora. Magari ti entra qualcosa in quella cazzo di testa.»
Rimette la musica ad alto volume e le ruote sgommano sulla neve, sollevandola da terra e creando profondi solchi prima di ripartire velocemente verso la città.
Mi ritrovo da sola e al buio, ma perlomeno le luci lontane di Norilsk mi fanno da guida. Dovrei raggiungerla in un paio di orette.

Winter RosesWhere stories live. Discover now