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Grace: 9 anni

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Grace: 9 anni.
Michael: 14 anni.

«Ti ho portato una cosa».

Michael, impegnato a osservare il vuoto riflesso dal muro ombreggiato, dove l'intonaco incrostato era sul punto di cadere a pezzi, voltò appena la testa.

Se la mia presenza improvvisa lo aveva sorpreso, così come l'arrivo senza la direttrice, non lo diede a vedere.

Si limitò a dire soltanto: «È il tuo compleanno, non il mio». Quindi si girò di nuovo, perso nelle immagini che soltanto lui era in grado di vedere.

Doveva aver avuto un brusco risveglio, o qualcuno doveva avergli dato fastidio all'ora di pranzo. Michael non pranzava con noi nella sala comune, piuttosto gli veniva portato il pasto da uno degli addetti alla cucina.

E da ciò che avevo visto, nemmeno si premuravano di preparargli un pasto decente.

Avanzai piano, timorosa di spaventarlo e indurlo a chiudersi ancora di più a riccio. «Vero, ma ti sei rifiutato di dirmi quando è il tuo, perciò ho pensato di festeggiare il mio insieme».

Michael tacque, incurante dell'artiglio che mi graffiò il petto, e continuai ad avvicinarmi a lui passo dopo passo.

Devi soltanto aspettarlo, Grace.
Lui torna sempre, lo sai.
Dagli tempo.

Me l'ero svignata dalla lezione di motoria in cortile, approfittando del casino che si era generato nell'uscire in fila, e avevo fatto una tappa nelle cucine prima di correre nella sua stanza. O nostra. Non sapevo, infondo ne avevamo due di camere.

Comunque, non avevo mai fatto prima di allora una cosa del genere e non sapevo quali sarebbero state le conseguenze se mi avessero scoperta, ma tanto non mi importava.

Per Michael questo e altro.
Per Michael, fino alla fine del mondo. E ancora oltre.

Mordendomi il labbro inferiore, mi appostai alle sue spalle ampie, che stavano ancora crescendo. Michael stava crescendo. Me ne accorgevo settimana dopo settimana e la paura che altri potessero accorgersene mi faceva stringere lo stomaco.

La paura di cosa sarebbe successo a distanza di quattro anni, quando lui ne avesse compiuti diciotto e io sarei rimasta ai miei tredici, aveva di già cominciato a tormentarmi. Come avremmo fatto a stare separati? Dove sarebbe andato?

No, non era quello il momento giusto per pensarci. Ci saremmo posti il problema quando fosse giunto il momento e poi lo avremmo affrontato insieme.

Il raggio di sole, filtrato dalla piccola finestra in alto, gli illuminò l'angolo della mandibola, il collo, mezza spalla, scoprendogli la pelle d'alabastro, quel dolce incarnato così delicato da farti sospirare.

Call Me MichaelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora