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«Andiamo, Grace, sono i tuoi diciotto anni!»

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«Andiamo, Grace, sono i tuoi diciotto anni!».

Sfilandomi la gonna della divisa per indossare un paio di jeans, forzai un sorriso. «Esatto. Miei, ovvero non tuoi. Perciò tocca a me scegliere e la mia decisione è sempre no».

Elisa sbuffò contrariata, ma per una volta decise di non insistere. Piuttosto gettò i suoi vestiti nell'armadietto con forza. Avevamo appena finito gli allenamenti per le cheerleader.

Tra due giorni, nonché il primo novembre, sarebbe stato il mio compleanno. I famigerati diciotto anni. Per molti, la libertà. Per me, una tragedia.

Quando vivi in un orfanotrofio, priva di legami familiari e nessuno a cui aggrapparti, speri con tutta te stessa di non raggiungere la soglia della maggiore età. Preghi affinché il domani non arrivi e non ti butti per strada a calci senza niente in tasca.

Ma per quanto tu possa provarci, il Sole continuerà a sorgere e gli assistenti sociali verranno a chiederti — ordinarti — di sgomberare la camera.

Se poi ti va bene, puoi anche ricevere un'estensione e la grazia di altre tre anni. Se. Ma tanto nella vita reale a falliti dalla nascita come me non va mai bene.

Ridacchiai tra me e me, derisoria, e finii di sistemare la borsa, mentre Elisa si allacciava le scarpe.

«Promettimi almeno che riuscirai a uscire da quel tugurio», tornò all'attacco, sporgendo il labbro inferiore. «Niente feste o cose simili, giuro, ma almeno un'uscita tra amici».

«Solo un'uscita. Tra amici. Non sconosciuti».

«Nessun estraneo», promise, allacciandosi al mio braccio. «Saremo solo io, te, Ben, Cody e Denver».

Feci una smorfia alla menzione dei soggetti, ma non fiatai. Sapevo che Elisa stava facendo tutto per me, voleva solo che mi divertissi anziché starmene rinchiusa a piangere nella mia stanza in condivisione, peccato che qualsiasi voglia di festeggiare e brindare alla gioia mi aveva abbandonata.

Fino a qualche mese prima non ci avrei pensato più di due volte prima di fiondarmi alla prima serata organizzata da qualche riccone con la casa vuota o sulla spiaggia. Ma ormai le responsabilità avevano cominciato a pesare troppo e non riuscivo più ad avere la testa libera.

«Perché quella faccia? Problemi con Denver?».

«No no, è solo che...»

Elisa sollevò le sopracciglia scure, fermandosi davanti a me. «Solo che, cosa?».

«Ecco, lui... lui...». Chiudendo gli occhi, mi passai le mani sulla faccia. «Dio».

«Grace, guardami», mormorò preoccupata, al che l'assecondai e mi prese il viso tra i palmi. «Ti ha costretta a fare qualcosa che non vuoi? Perché, se è così, dimmelo subito e io vado a spaccare la faccia a quell'idiota, che non mi è mai piaciuto, tra l'altro».

Call Me MichaelWhere stories live. Discover now