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"In tutta la mia vita ho accumulato una massa di ricordi che sono diventati in un certo senso i più preziosi di tutti i miei averi."
[Julianne Moore]

Osservai la bottiglia di Bourbon essere buttata in aria dalla mano sinistra di Calum ed essere poi ripresa dalla destra pochi secondi dopo, come se niente fosse. Avere un barista personale, pur essendo astemia, era proprio bello.
«È interessante avere un barista personale». Sorrisi e sorseggiai il mio drink con gusto.
«Certo». Le sue spalle tremolarono da una risatina. «Specialmente se è uno di quelli che ti prepara cocktail durante la notte di un semplice martedì e fa finta che non sia uno dei pochi giorni liberi, in attesa del weekend, che per lui è dal giovedì alla domenica». Prese il suo bicchiere, io il mio, e salimmo in camera da letto. Lui aveva un balcone che affacciava su tutta la città e lo avevamo usato spesso in passato per lo stesso motivo di ora.
Mi portai una mano sul cuore. «Mamma mia, come sono fortunata ad avere un fratello meraviglioso come te nella mia vita».
Si fermò prima di posare il suo bicchiere sul tavolino di vetro e mi osservò con sguardo vitreo. «Fratello?».
Mi gelai, con l'ansia di aver detto qualcosa di sbagliato. «Sì, per me tu-».
«Sunshine». Sussurrò e scatto a prendermi per le guance. «Non l'avevi mai detto, per questo sono sorpreso».
Sorrisi o almeno ci provai, vista la sua stretta. «Per me sei mio fratello da quando mi hai trovato alla stazione dei, bus fradicia e piena di borsoni, in attesa del pullman».
Posò la sua fronte sulla mia e ridacchiò. «Sembravi un gattino caduto per errore in un fiume. Avevi anche la stessa espressione arrabbiata».
Ridi anch'io. «Nel momento in cui ti sei fermato con la moto ho starnutito e tu mi hai detto che sentire un gatto starnutire, secondo i cinesi, era un buon auspicio».
«Tu hai risposto dicendo che, proprio come un gatto, avresti potuto cavarmi via gli occhi solo con le zampe. Ho capito lì che saresti stata perfetta nella mia vita».
Chiusi gli occhi quando lo vidi sedersi al mio fianco, sul divanetto morbido e pieno di cuscini neri e bianchi. Ci mettemmo comodi, così da essere l'uno di fronte all'altro, ma distesi con la schiena. «Mi hai salvato, Calum».
Sorrise debolmente. «Non ho potuto salvare il mio stesso sangue, ma la vita mi ha ripagato permettendomi di salvare te. Sei mia sorella, bimba».
Sospirai. «Hai iniziato a chiamarmi bimba sin da subito, perché?».
Ammiccò divertito. «Quando hai passato la prima notte qui e ti ho dovuto prestare i miei vestiti perché nessuno dei tuoi era adeguato al tempo che noi avevamo qui, ci nuotavi dentro. Erano così grandi per te e tu così piccola. E non ho potuto fare a meno di pensare quanto in realtà fossi ancora bambina malgrado la tua età».
Sorrisi. «Sei stato tu ad insegnarmi ad allacciarmi le scarpe».
Annuì e prese un sorso di bourbon. «Usa un laccio per creare un palloncino e con l'altro avvolgilo per strozzarlo-».
Alzai lo sguardo sulla luna. «Poi passalo in mezzo e tira forte, così crei un infinito». Finì al posto suo. «Sai, ho sempre pensato che ci fosse di più in quella frase di un semplice tutorial».
«Perché c'era». Sorrise debolmente. «Il palloncino deve soffrire molto per unirsi al filo, perché uno è fatto per volare e l'altro per trattenerlo. Ma per quanto faccia male all'inizio, poi si adattano e insieme formano qualcosa di duraturo: l'infinito».
Giocai con le mie unghie. «Mi hai insegnato anche a cucinare, perché non sapevo fare neanche quello».
Alzò il bicchiere come per dare un brindisi. «Ed ho fatto un egregio lavoro direi, a parte le tue prime volte. Mi hai incendiato due padelle, rovinato dei mestoli e una volta mi hai anche bruciato il di-».
«Okay ho capito!». Risi. «Ci ho messo un po' ad imparare».
«Però hai imparato».
Lo guardai con affetto. «Solo grazie a te».
«No». Scosse la testa. «Io ti ho insegnato solo a sopravvivere, bimba, tu hai imparato a vivere. Quello nessuno può insegnartelo».
Mi avvicinai e mi poggiai sul suo petto. «Sono felice che la vita mi abbia tolto i miei genitori, ma donato te e gli altri».
Mi lasciò un bacio sulla testa. «Ed io ringrazio i tuoi genitori per aver dato vita ad un dono come te, la mia bimba».
Restammo così, ad ascoltare il silenzio delle stelle, ma a perderci con lo sguardo nella loro meravigliosa luminosità. Attorno a noi si sentiva solo il rumore del suo lieve respiro, dei grilli poco lontani dal palazzo, poche auto in giro per la città e un fruscio rilassante provocato dal vento. Non sentivo freddo perché le sue braccia mi stringevano come una coperta morbida e il suo odore alcolico, mischiato a qualcosa di fresco come la menta, e il fumo, causato dalla sigaretta di pochi minuti prima, avevano un potere forte sulla mia mente. Così forte da farmi sentire a casa, se mai ne avessi avuto una. Il mio cervello, più precisamente la parte che controllava i ricordi, era strana e diversa dalla maggior parte delle persone, da quello che sapevo almeno. Per me i ricordi arrivavano grazie all'olfatto e non alla vista, erano gli odori dei momenti a lasciarmi un ricordo impresso nella mente, tanto che a risentirli era immediato il processo del mio cervello: tornavo nel passato, a rivivere i ricordi con un sorriso o una faccia triste. Il mio odore preferito, quello che avrei sniffato per ore senza mai stancarmi e che aveva il potere di rilassarmi era quello che io associavo all'inverno, l'odore di terra bagnata. Poi c'era l'odore dell'estate, che era associato alla salsedine e al calore del sole sulla pell, la primavera era l'odore dei gelsomini, l'autunno l'esplosione dei suoi bellissimi colori caldi, come il bordeaux, il giallo e l'arancio, e il rumore di foglie scricchiolanti sotto i piedi. Quello mi ricordava anche Win, con il suo forte odore di colonia e del legno del soffitto della sala relax, dove eravamo soliti passare molto tempo. Calum, per la mia psiche, era alcol, sigarette e un qualcosa di fresco, a volte menta piperita, altre volte alloro, per la sua fissazione con quel tè. Harriet era prevalentemente fruttato, odorava molto di limone, forse per via del bicchiere d'acqua con limone che non mancava mai nella sua mattinata, e di pesca. Heron non aveva un odore particolare, era raro che stessi così vicino a lui, ma aveva qualcosa di agrumi, come il pompelmo, e di metallico. Magari perché aveva sempre le nocche spaccate o qualche ferita, visto che faceva sempre a botte. Derick era piccante, come l'odore di spezie particolari, e usava sempre così tanto profumo da avere un odore forte e fragrante da metri e metri. Bradford odorava di dolci, come i biscotti o le torte, e stare vicino a lui ti faceva sentire in una pasticceria. E poi Eryn, il mio ragazzo nuvola, sapeva così tanto di zucchero da essere un piccolo zucchero filato umano. A volte avrei voluto mangiargli i capelli, ma non era una buona idea. Angel era miele puro, May odorava di fragola e di alcolici forti, come il whisky. E poi c'era il profumo che desideravo sentire a casa mia, un giorno, perché per me era già casa, qualcosa di familiare, un odore che mi faceva sentire appartenente a qualcosa: quello di Jay. Era uno dei più particolari che avessi mai sentito, tanto da essere associato solo ed unicamente a lui. Odorava di alberi, più precisamente il pino, fresco ma non pungente, legnoso quasi e di lavanda. Mi aveva detto spesso che nei giorni tristi usava stendersi nel campo di lavande, così da rimanere sommerso dal loro odore e dalla loro morbidezza. Diceva che era un po' come ricevere un abbraccio e mi chiesi quanti ne avesse avuto nella sua vita, perché sentivo che la sua vita non fosse stata facile. Alexander non c'era mai, sua sorella maggiore era sempre a lavoro e poi si era trasferita, e lui era l'unico rimasto per potersi occupare dei suoi fratelli. Mi raccontava spesso come cucinava la colazione, come li preparava per andare a scuola, li rimproverava quando serviva e li aiutava con i compiti. Aveva messo la sua vita in un secondo piano, pur di dare loro un futuro e una figura più simile ad un padre che ad un fratello, malgrado anche lui facesse parte di quei fratelli. La cosa che mi faceva stare più male era sapere che lui credeva di aver perso il suo tempo, di essere diverso perché la sua vita era priva di esperienze. Quello che non capiva era che non era affatto così, che il tempo non l'aveva perso, si era solo ribaltato. C'era chi faceva esperienze in adolescenza e soffriva durante la vita da adulto, chi si era laureato subito e chi dopo molti anni, chi sapeva cosa fare nella vita e chi non ne aveva idea, chi amava sin da subito e chi ci metteva molto tempo ad imparare a farlo. La vita si divideva in chi prima e chi dopo, ma partecipavamo tutti.
«Sunshine». Sussurrò tutto d'un tratto.
Alzai lievemente la testa, anche se continuava ad accarezzarmi i capelli con affetto. «Dimmi».
«Credi che Idony tornerà mai?». Sospirò. «Insomma, è un addio quello che gli stiamo dando?».
Sorrisi debolmente e osservai le stelle. «No, non credo sia un addio. Penso che Idony proverà di nuovo a risalire in superficie, anche più di una volta, ma spero che di qua a quel momento Sunshine sia molto più forte. Spero che abbia compreso tutto ciò di cui aveva paura e che pensi che Idony fosse veramente stupida. Non sarà un addio perché Idony mi ha insegnato tanto, ma adesso deve affondare, insieme al mio passato. Quello è il suo posto, non il posto di Sun».
Scese ad accarezzarmi la guancia. «Non hai paura, bimba?».
«Io ho sempre paura». Deglutì. «Mi fa paura cambiare, ma mi fa più paura sapere di essere impotente nel cambiare le cose. A volte mi chiedo se avrò sempre la forza di ricordare dove voglio finire».
Lo sentì prendere un respiro profondo, per poi mettersi il braccio dietro la nuca. Alzai la testa per osservarlo bene ed aveva un aria così concentrata, ma anche rammaricata. «Ricorda da dove sei partita e non dimenticherai mai dove vuoi arrivare». Si schiarì la voce rauca. «Non mi hai mai parlato di cosa provi per Jaymes, di cosa senti quando sei con lui».
Sorrisi. «Win una volta mi ha detto che la domanda da porsi non è affatto chi ti rende migliore, ma con chi tu ti senti la migliore. Io mi sento migliore solo quando sono con lui, mi fa sentire così preziosa e meritevole di ogni cosa bella, come mai mi sono sentita. E i crampi d'ansia con lui li sento se è lontano da me, non se mi è vicino». Non sono adatto a te, la sua voce nei miei ricordi era ben vivida. Sospirai. «Mi fa male sapere che lui ha smesso di credere in noi».
Aggrottò la fronte. «Te lo ha detto lui?».
«Ha detto che forse non siamo adatti, è questo il problema».
Scosse la testa. «È strano per uno come lui».
Alzai le spalle. «Il fatto è che-». Inspirai. «Okay, è vero. Magari io sono poco, la metà di un mela, un frazionare, un decimale, il ½ di 1 e so che lui si sente allo stesso modo da sempre, ed è per questo che si ostini così tanto a completare gli altri, perché pensa che non potrà mai completare sé stesso. E forse so anche che nessuno dei due riuscirà mai ad essere abbastanza per il mondo. Ma perché dovremmo esserlo, se insieme ci completiamo? Se io e lui siamo la stessa misura, che senso ha cercare di essere un numero superiore per adattarci agli altri, che sono così diversi da noi? Da soli non potremo mai essere un numero, ma insieme ½ + ½ farà sempre 1. E saremo abbastanza. E se non lo saremo, va bene comunque, perché saremo insieme ed è quello che importa».
Mi osservò sorpreso. «Dovresti-». Si schiarì la voce. «Dovresti dire queste cose anche a lui, non solo a noi amici. Merita di sentire questa meravigliosa emozione uscire dalla tua bocca, merita di capire quanto sei innamorata. E lo sei eccome». Sorrise divertito e iniziò a farmi il solletico. «La bimba è innamorata!».
Risi sguaiatamente. «Smettila Cal!».
Alzò le mani e prese il bourbon, alzandolo verso il cielo. «Si spera a mai più, Idony!».
Ridacchiai e osservai la stella più luminosa di tutte, sentendo un emozione particolare dentro di me, un calore ansioso nelle viscere, come se stessi davvero salutando un'amica e non una parte di me stessa. «Mi hai permesso di sopravvivere, ma adesso è arrivato il tempo di vivere davvero. Grazie per avermi protetto. Arrivederci, Idony Nowak». Alzai il mio drink verso quella stella, che, per assurdo, sembrò illuminarsi ad intermittenza e poi tornare al suo bagliore fisso.
Urlai quando Calum mi acciuffò per rifarmi il solletico, sapendo che tipo di emozioni stessi provando, e lo implorai di fermarsi. Ma lui continuò senza problemi, sorridendo affettuosamente, e per la prima volta dopo settimane, smisi semplicemente di pensare.

MepakWhere stories live. Discover now