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"Il cuore ha le sue ragioni che la ragione
non conosce."
[Blaise Pascal]

«Il test di oggi sarà diverso rispetto alla norma. Presumo che durante questo anno vi siate abituati al mio modo di fare lezione e voglio che voi entriate nella traiettoria che in questo corso non ci sarà mai qualcosa di normale». La profonda voce del professore Lehmann, che si occupava del nostro corso di disegno, riecheggiava nel silenzio dell'aula magna, che era la più grande dell'intero college di arti liberali. Era decisamente il miglior professore che avessi mai avuto in tutta la mia esistenza: divertente e saggio, ma senza quel tipo di arroganza, non si sentiva superiore agli alunni e il suo compito non era insegnare a tutti le perfette tecniche per disegnare, ma piuttosto sfruttare il diverso potenziale di ognuno di noi.
"Ognuno di noi è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido".
Questa era la frase che scriveva all'inizio di ogni anno in un foglio grande quanto la lavagna elettronica e la attaccava sopra di essa, perché tanto erano rare se non inesistenti le volte in cui me faceva uso. Era solito farci un paio di discorsi psicologici, perché oltre essere mostruosamente bravo con il disegno era anche molto aperto mentalmente, e poi lasciarci delle direttive su un disegno da fare. Una volta, ad esempio, aveva usato dei led rossi per far cadere tutta l'aula in un ambientazione apocalittica e poi ci aveva detto di disegnare la nostra visione dell'inferno. Alla fine del compito era venuto da ognuno di noi e ci aveva fatto notare quanto i nostri disegni fossero in realtà tutto ciò che nella vita reale ci spaventava. La cosa bella di lui era che teneva molto alla privacy, motivo per cui nessuno di noi aveva mai visto gli schizzi di qualsiasi altra persona se non i nostri, né aveva mai sentito cosa il professore avesse detto una volta visionato. Durante il corso dei mesi, oltre al rapporto professore-alunno, avevamo intrapreso un rapporto di amicizia basato su consigli e momenti di riflessioni molto utili, che di solito erano svolti al Cal0x. D'altronde aveva 40 anni, era giovane per lo standard dei professori a cui ero abituata, malgrado si vestisse sempre come un principe reale: camice, pantaloni eleganti, giacche. Ogni tanto aveva bisogno di un cambiamento e allora optava per dei pantaloni, pur sempre eleganti, ma con una catena argentata che andava da una tasca all'altra. Diventavano un emo in pratica, grazie al suo ciuffo lungo e al piercing alle sopracciglia, oltre che al labbro.
«Spero che tutti voi oggi vi siate portati un paio di cuffie dietro, oltre al telefono, e che abbiate anche una linea internet schifosamente dignitosa per poter usare il vostro Spotify». Dopo un momento di silenzio tutti gli alunni, me compresa, si apprestarono a inserire le cuffie nel cellulare e dopo nelle orecchie. Alcuni usavano le AirPods, altri le semplici cuffie con il filo, e io facevo parte della prima categoria solo per comodità. Potevo muovermi senza avere paura di tirare via il cellulare dalla tasca e in macchina potevo guidare anche parlando al telefono senza il rischio di investire qualcosa o qualcuno. «Vedo con piacere di sì, miei amati ragazzi. Allora vi illustro il test che starete per svolgere, ma non voglio che pensiate che il voto che ne uscirà dipenda dalla capacità di disegno. Valuterò le vostre espressioni, la velocità con cui lo svolgerete e in fine ciò che racconterete inconsciamente attraverso l'ammasso di linee che uscirà dalla vostra matita». Sorrisi alle sue parole e tirai fuori il necessario: matite di diversa intensità, sfumini più o meno grandi, gomma e il quaderno da disegno a fogli A4. Aveva il dorso nero e questo mi aveva permesso di modificarlo con una matita bianca, disegnando la spiaggia, il mare, farfalle, conchiglie e il sole, tutto ciò che aveva il potere di rilassarmi ad occhio.
«Desidero che voi ascoltiate la vostra playlist preferita, con canzoni che vi fanno rimanere immobili a ciondolare nei vostri pensieri più profondi. Può essere anche solo una se siete di gusti difficili, la scelta è vostra. Quello che dovete fare dopo è solo prendere tra le dita la matita e disegnare, lasciare che sia il vostro cuore a dare la direzione alla vostra mano e non il cervello. Non mi interessa se sia un paesaggio, un luogo, un oggetto o altro, ciò che mi interessa vedere alla fine del compito in quel foglio è la cosa in cui vi andreste a rifugiare oggi se tutto cadesse a pezzi, qualcosa che vi sentire al sicuro. Non pensate e non ragionate, agite e basta». Mi scossò un occhiata furtiva, sapendo che per me sarebbe stato il compito più difficile mai dato. Lasciarmi andare per me era come firmare un contratto con il sangue con il diavolo. Sbuffai sonoramente, senza paura di farmi sentire anche da lui, che se ne stava seduto con i piedi allungati sulla cattedra e con un ghigno soddisfatto sul volto. Feci partire "Another Love" di Tom Odell, le cui  parole potevano essere scambiate per la descrizione della mia vita e che innescavano in me un girone di pensieri particolari, motivo per cui erano rare le volte in cui mi permettevo di ascoltarla. Di solito, quindi, solo quando ero sul letto, con 39 di febbre, dolori ovunque, una vaschetta di gelato ai cookies tra le braccia e il telecomando tra le mani. La melodia partì senza un particolare avviso, com'era sempre stato, e il mio cuore cominciò ad andare un po' più veloce. Lehmann, per peggiorare la mia situazione ma per migliorare quella di altri, spense tutte le luci centrale tranne quelle più esterne e l'aula cadde in un semi buio che avrebbe dovuto essere rilassante, ma per il mio cervello era solo l'inizio di un horror. Deglutì chiudendo gli occhi e mi concentrai sulle parole della canzone.

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