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"Quando ami qualcuno, lo ami così com'è e non come vorresti che fosse"
[Lev Tolstoj]

«Sun, dove hai la testa oggi?». Win si avvicinò a passo lento e mi tolse con delicatezza un paio di bottigliette d'acqua che mi ero ostinata a portare tutte in una volta. Il risultato fu farle cadere, ovviamente, come avevo fatto con i popcorn mentre cuocevano perché non avevo chiuso bene il vetro, come il detersivo per lavare il bancone e come molto altro. Distruggevo tutto ciò che toccavo. «Sun, bambina mia». Alzai lo sguardo di scatto, mentre la sua mano rugosa prendeva la mia e mi trascinava all'ultimo piano del cinema, dove c'era una piccola zona relax per i dipendenti.
«Che ci facciamo qui, Win? Devo tornare a lavoro e finire-».
Scosse la testa e batté una mano sul divano di pelle rosso, l'invito indiretto a sedermi al suo fianco. Mi lasciai cadere in quel punto come una pera, più stanca di quello che credevo. «Non c'è bisogno, non c'è ancora nessuno e il ragazzo nuovo sta per arrivare».
Giusto, il ragazzo nuovo di cui mi aveva ordinato di occuparmi. Almeno la mia testa sarebbe stata altrove, come avevo fatto nei giorni successivi a ciò che era successo in camera di Jay. Erano passate forse due settimane, non lo sapevo perché non le contavo neanche più, ogni giorno era uguale all'altro, dove mi impegnavo a non avere un singolo minuto libero per pensare. «Va bene allora, dimmi tutto».
Ridacchiò e un colpo di tosse lo fece fermare. «Sei tu che dovresti parlare, io sto bene, Sun. Tu no».
«Non so se ne voglio parlare, insomma-». Mi presi il labbro superiore tra i denti. «È che ho sbagliato a credere di potercela fare. Non sono in grado di amare qualcuno perché nessuno me mai l'ha insegnato, non sono in grado di non avere paura che l'amore sia solo reclusione e litigate perché nessuno mi ha mai mostrato il contrario».
Scosse la testa. «No, Sun, questo non è assolutamente vero. Se tu non fossi in grado di provare amore, io non sarei nella tua vita. Non ci sarebbe Calum e non ci sarebbe Harriet, come non ci sarebbero Angel, May e ora Derick, Eryn, Heron e perfino Bradford. Tu sei in grado di amare, lo fai già con Jay, è che non sei in grado di dimostrarlo».
«Non c'è nessuno che possa insegnarmi come farlo». Abbassai lo sguardo.
Alzò un sopracciglio. «E io che ci sto a fare qui, bambina mia? Sono qui, con tanti anni di esperienza, proprio perché voglio donarli a te. Voglio che tu non faccia gli stessi sbagli che ho commesso io».
Inspirai. «Gli stesso sbagli che hai commesso tu?».
Annuì con rammarico. «Non sono nato con l'abilità di saper dimostrare i miei sentimenti. Sono sempre stato sicuro del mio amore per Rose, ma non sapevo come farglielo capire e questo mi faceva sentire poco meritevole del suo amore. Lei ha lottato molto contro questa parte di me, mi ha insegnato e mostrato come fare, con il tempo ho imparato e poi tutto è venuto da sé. Mi pare che Jay abbia fatto molto per te, in quanto gesti». Annuì. «E tu, tu cosa hai fatto per lui?».
Aprì la bocca per rispondere, ma mi resi conto che non c'era niente che gli potessi raccontare, perché io non avevo mai fatto niente per Jay. Forse solo quella volta in cui, mentre facevamo colazione per Derick, mi era stato più che spontaneo tenere da parte l'unico biscotto ai frutti rossi che era rimasto, visto il suo odio per il cioccolato. «Non ho mai fatto niente per lui».
Sorrise debolmente e posò una mano sulla mia. «Allora che ne dici di fare qualcosa ora? Non è mai tardi per cominciare».
Spostai lo sguardo altrove e mi cadde sul mio telefono, poggiato sulla sedia di fronte a noi. Un idea malsana quanto complicata, ma pur sempre un idea, mi balenò in mente. «Credo di sapere da dove cominciare. Grazie Win, sei la cosa più vicina ad un padre che abbia mai avuto». Lo abbracciai stretto e aspettai che scendesse ai piani inferiori prima di mettere su carta l'idea che avevo avuto, ringraziando la cartoleria a fianco al nostro edificio. Non so in realtà quanto tempo persi chiusa lì dentro a scrivere su un foglio, finché la figura di un ragazzo non superò la porta e la sua voce mi fece sobbalzare.
«Elwin mi ha chiesto di venire a cercarti, visto che mi devi aiutare».
Piegai il foglio a velocità e me lo infilai in tasca con sorpresa. «Jay?».
«Ci risiamo, mi ricorda qualcosa». Il ricordo di quando non avevo capito che il ragazzo alla stazione di servizio era sempre lui mi colpì e un senso di tristezza per la mancanza del nostro rapporto fu anche peggio. «Sì, sono io il ragazzo nuovo. Ho perso il lavoro come sai, Elwin è venuto a saperlo non so da chi, ma immagino, e mi ha offerto questo posto»
Ripensai a quando, la mattina dopo essere rimasta in quel motel con lui, mi ero presa di panico e lo avevo chiamato, raccontandogli l'intera faccenda tra cui la perdita del lavoro di Jay e scusandomi un milione di volte perché non sapevo se sarei arrivata in tempo al pranzo che aveva organizzato per farmi conoscere Rose. C'era sempre qualcosa che ci impediva di conoscerci ed era un peccato. Sorrisi. «Win è una persona spettacolare».
Lo superai e fui certa che mi stava seguendo perché sentivo il suo calore a distanza, anche se non mi stava toccando. Mi fermai al bancone e cominciai a pulire dai residui di popcorn o bibite cadute, mentre lui spazzava a terra, e il silenzio, a parte i rumori provenienti da alcune sale, regnava. Era il primo silenzio imbarazzante che ci fosse mai stato tra di noi, come se fossimo solo degli sconosciuti che lavoravano insieme, come se le sue mani non avessero mai sfiorati le parti più critiche di me o io non sapessi ogni dettaglio della sua vita. Due estranei con dei ricordi condivisi per un periodo di tempo, ma che adesso non erano più nulla. Non pensavo che il niente potesse fare così tanto male.
«Idony, senti, puoi pensare tu a questo signore? Perché io non riesco!». Una delle mie colleghe, l'unica ragazza oltre me, si avvicinò con occhi iniettati di rabbia e le mani sui fianchi.
Posai il panno nello scompartimento nascosto sotto al bancone e aggrottai la fronte, avvicinandomi a lei. «Che succede, Briony?».
Abbassò la voce appena notò il nuovo ragazzo, ovvero Jay. «Succede che il maniaco è di nuovo tornato, non posso neanche passare tra la sala per i giri di controllo senza che lui mi tocchi il culo quando gli passo vicino. Dov'è Win? O magari uno degli altri ragazzi. Non si può ragionare con uno come lui se hai una vagina perché ti mette le mani addosso ovunque!».
Alzai le mani. «Tu vai a cercare Win o uno dei ragazzi, tranne lui-». Indicai Jay con la testa. «Io vado a cercare il maniaco».
Mi superò, camminando velocemente, e io entrai dentro la sala numero uno, sperando che il fosse finito da poco. Per fortuna fu così e tra l'ammasso di gente che usciva, riuscì a riconoscere i suoi lunghi capelli castani, che erano sempre bagnati o forse sporchi di gel. Poteva avere l'età di Calum, se non di più, eppure si ostinava a provarci con me o Briony in modo viscido.
Alzai una mano e lo fermai sul posto, mentre lui scendeva velocemente gli scalini per arrivare al soppalco dove si trovava l'immenso schermo. Si voltò e mi osservò confuso. «Non ho fatto niente».
«Toccare il culo della mia collega ti sembra niente?». Tuonai, mentre la sua bocca si apriva per rispondere. «E non dire che è stato uno sbaglio, succede sempre a me o a lei! Non è la prima volta! Devi smetterla».
Alzò le spalle. «O forse siete voi che dovreste smetterla di mostrare il culo a tutti, invogliate a toccarlo, non so se ci capiamo».
«No che non ci capiamo! Ma che problemi hai?». Spalancai la bocca.
Si avvicinò di scatto, senza darmi il tempo di capire, e la sua mano si posò sul mio collo con una morsa decisa, mentre mi avvicinava a sé. Il suo alito pesante puzzava di alcool e questo mi iniziò a punzecchiare gli occhi. «Sai, il mio problema più grande è che ancora non ti ho scopato come si deve».
Delle lacrime iniziarono a pungermi gli occhi, la gola andò in fiamme e il mio respiro usciva a stento, con la mente bloccata in un luogo lontano, con un ricordo vivido in mente. Ti ho scopato per bene, non è vero?, urlava Konan nei miei ricordi.
«Sono sicura che sei una puttanella». Si avvicinò al mio orecchio e mi leccò il lobo, facendomi venire un conato. Il mio cuore si fermò.
Con il tempo, grazie a me, imparerai e diventerai una puttanella che forse mi soddisferà più delle altre, diceva quella sua voce viscida.
«Toglile le mani di dosso!». Tuonò minaccioso qualcuno e il maniaco sparì dalla mia vista, finendo a terra, con qualcuno di sopra. «Non la devi toccare e non devi neanche pensare a lei!». Il rumore di qualcosa che gocciolava mi risvegliò e capì solo in quel momento che era il sangue che il maniaco stava sputando a terra per colpa dei pugni di Jay.
«Jay, lascialo, così lo ammazzi!». Posai le mani sulle sue spalle e tentai di tirarlo indietro, con tutta la forza che riuscivo ad avere.
Un pugno dopo l'altro, sangue a terra. «È quello che si merita!». Altri pugni e altro sangue, nell'aria cominciava ad esserci la classica puzza di ruggine che associavo ad esso. Ma quella puzza era la stessa che mi sentivo addosso quando Konan mi costringeva ad andare a letto con lui anche durante le mie mestruazioni e questo mi fece barcollare all'indietro, con il vomito che non riuscì a trattenere e si sparse sul pavimento.
Sentì Jay imprecare, lasciando il volto tumefatto del ragazzo, e si avvicinò a me per tenermi i capelli e accarezzarmi la schiena. Quando finì di vomitare mi resi conto di aver pianto inconsapevolmente durante l'atto e lui mi portò nel bagno poco distante da quella sala, mentre Briony e un altro collega si recavano di corsa verso il maniaco. Una volta in bagno mi legò i capelli con l'elastico che tenevo sempre al polso, azzurro perché era il mio preferito, e mi aiutò a sciacquare la bocca dal brutto sapore del vomito.
Prese un pezzo di carta igienica e mi asciugò la pelle bagnata dalle lacrime con delicatezza. Mi era mancato il suo tocco delicato, così diverso da quello di tutti gli altri. «Stai bene, Idony?». Annuì, improvvisamente esausta, ma lui non smise di osservami, come se fossi sotto esame.
Sbuffai. «No, non sto bene. Come credi che possa stare?». Alzai lo sguardo su di lui e mi spostai dalla sua presa. «Va tutto a rotoli e non so più cosa io debba fare. Il passato torna sempre nel mio presente e io odio questa. Dio, li odio, odio i miei genitori come odio Konan. Perché non riesco a-». Posai la mano sul lavandino, stringendolo con forza e abbassando la testa.
Jay, dietro di me, sospirò lievemente. «Credo che se una persona ti suscita ancora un sentimento, anche se è l'odio, non l'hai veramente superata. Lo hai fatto quando ne riesci a parlare senza piangere, lo hai fatto quando le sue azioni del passato non si ripercuotono sul tuo presente, lo hai fatto quando riesci a vederlo senza voler scappare o colpirlo, ma solo ignorarlo. L'hai superata quando la sua presenza ti suscita il vuoto, il niente più totale, e l'indifferenza è l'unica cosa che ti rimane di quel rapporto. Fino a quel momento sei ancora sotto le sue grinfie».
Sospirai e mi voltai. «Okay, questo credo di averlo capito perché tutti dite qualcosa del genere, ma il problema è un altro: non so cosa devo fare!». Mi spostai i capelli con frustrazione. «Perché mi date tutti consigli, ma nessuno mi dice semplicemente quello che devo fare?!».
«Perché non lo sappiamo, Idony! Solo tu puoi sapere cosa ti blocca e cosa, quale momento, tu debba superare per poter andare avanti!».
Chiusi gli occhi. «Perché ti sei allontanato da me, Jay?».
Dalla sua espressione capì di averlo spiazzato e poi la rabbia prese il posto della sorpresa. «Non riesci neanche a capire quale sia il problema». Ringhiò con fastidio e si allontanò verso la porta, ma mi parai davanti al suo corpo per non farlo passare.
«Spiegamelo allora! Fammi capire che c'è che non va!». Urlai.
Chiuse gli occhi per mantenere la calma. «Il problema è che io non sono adatto a te, Idony, evidentemente».
Spalancai la bocca inorridita. «Non è vero! Non conosco nessuno più adatto a me di te! Il problema sono io, è che è troppo difficile amar-».
«Non dirlo!». Urlò con rabbia. «Non esistono persone troppo difficili da amare! Esiste chi vuole avere una relazione seria e almeno ci prova e chi non vuole, rifugiandosi nella scusa del "non sei tu, sono io". Certo che sei tu il problema, perché sei tu che non vuoi farti amare!».
Mi portai le mani sui fianchi. «Io non voglio farmi amare? Non riesco, non è colpa mia se non mi è stato insegnato ad amare e se nessuno mi ha mai amato prima d'ora!».
«Nessuno ti ha mai amato? Io spero che tu stia scherzando, Idony. Sono mesi che ti faccio capire quanto io tenga a te!». Rise amaramente. «Cosa ti rincorro a fare se la realtà è che tu non desideri essere presa? Io mi sono innamorato di te, ti ho sognato, ti ho desiderato, ti ho cercato, ti ho aspettato, ti ho pensato, ti ho rispettato, ti ho chiamato. Con te ho riso, scherzato, giocato, amato, ti ho raccontato cose di me che Heron ha scoperto dopo anni, ti ho mostrato che sono diverso da Konan, ho provato ad aggiustarti dai pezzi rotti che lui ha creato, mi sono specchiato nei tuoi occhi scuri mentre ti facevo vedere pezzi di me che non conoscevo neanche io, ti ho amato così tanto da perdere ogni cosa di me pur di avere te, ma tu non l'hai mai visto. Ma adesso ho capito che non basta donarti tutto l'amore del mondo, tutto l'amore che ho, per poterti aggiustare. Devi aggiustarti da sola prima».
Quella frase fu così vicina alla realtà da spezzare quel muro dentro di me, il muro che avevo creato per isolare tutta la rabbia che provavo per me stessa, per essere ciò che ero. La cosa sbagliata fu che usai quella rabbia contro di lui e non contro di me. «Certo, perché sono sempre io quella a dover essere riparata vero? Tu sei perfetto, tu sei integro. Ti mostro io la verità visto che nessuno vuole farlo: non lo sei, Jaymes. Ti prendi sempre così cura dei pezzi di chiunque che adesso non ti rendi neanche conto di avere i tuoi stessi pezzi ai piedi. Cerchi lo stesso amore che avevano i tuoi genitori negli occhi degli altri, cerchi di assomigliare a tuo padre, di prendere il suo posto, ma tu sei Jaymes Rymer, non la sua copia!». Il mio fiato corto mi costrinse a fermarmi, per poi ritornare a parlare con più calma. «Io sono troppo rotta, ma tu sei altrettanto troppo rotto e non può funzionare tra di noi finché sarà così! Due pezzi di un puzzle si incastrano alla perfezione soltanto se sono rotti nei punti giusti, un pezzo è rotto rispettivamente dove l'altro invece è intatto, ma noi non siamo così. Siamo rotti nello stesso punto».
La sua espressione ammutolita, la sua pelle pallida dallo stupore e i suoi pugni chiusi lungo i fianchi mi fecero capire che forse avevo esagerato a nominare suo padre. Un sorriso amaro preste il posto della linea stretta che si era creata sulle sue labbra. «A volte mi dimentico quanto tu possa essere senza cuore. E questo mi fa vergognare di averne uno». Si girò e il tonfo della porta fece tremare le pareti per qualche secondo, mentre un silenzio assordante seguiva la sua uscita. Tornai all'entrata del cinema camminando con una lentezza estrema, con un peso maggiore sulle spalle. Con un dolore in più al cuore.
Briony, che aveva preso il mio posto al bancone, appena mi vide smise di osservarsi le unghie colorate di rosso. «Questo è per te». Mi passò un pezzo di carta, un bigliettino stropicciato e piegato più volte su sé stesso. «Quello nuovo, che ho scoperto chiamarsi Jaymes, ha detto di dartelo. Lo ha tirato fuori dal tuo zaino, quindi presumo glielo avesse messo lui». Mi lasciò lì per tornare alla sua postazione, ma prima di voltarsi parlò ancora. «In realtà per essere precisa ha detto "dallo a quella stronza della tua collega"». Con un espressione dispiaciuta tornò a fare i controlli all'interno delle sale.
Abbassai lo sguardo verso il bigliettino, aprendolo, e quando lessi il suo contenuto gli occhi mi si riempirono di lacrime. Mi portai le mani sul viso e tentai di respirare profondamente per non piangere. Non piangere, non farlo per favore, non piangere.

Molti dicono che l'amore è una boccata d'aria fresca. In realtà io quanto ti guardo il respiro lo perdo, ammaliato non solo dalla tua bellezza, ma dalle sensazioni che riesci a farmi provare. È assurdo quanto un corpo fatto al 60% di acqua possa mandarmi in cortocircuito due degli organi vitali più importanti: il cuore e il cervello. Tu mi rubi il respiro e mi fai battere il cuore.

Jaymes

MepakWo Geschichten leben. Entdecke jetzt