28.

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I mostri sono reali, e lo sono anche i fantasmi. Vivono dentro di noi, e alle volte hanno la meglio.
[Stephen King]

«Non ti ha cercato? Niente di niente? Neanche un messaggio?». Scossi la testa per la milionesima volta. «Allora è proprio uno stronzo! Mio Dio, ha preso le orme del suo amico o cosa?!». La biondina sbatté il suo quaderno degli appunti sul tavolo della biblioteca, durante quella che doveva essere una nostra sessione di studio per via degli esami in vista. Più che in vista si trovavano dietro l'angolo, visto che il mio ultimo esame era tra qualche ora. Eravamo agli ultimi giorni di settembre, molti esami erano già passati e non avevo fatto schifo, ma neanche il mio meglio. Avevo passato notti intere e ogni mio tempo libero piegata sui libri, per non pensare a Jay e le sue non risposte, Jay e la sua indifferenza, Jay e la sua assenza. Mi ero allontanata anche da Derick e gli altri, pur di non avere la possibilità di incontrare Jay durante le uscite di gruppo.
Un ombra si rifletté sui nostri libri e alzai lo sguardo. «Biondina, credo che tu abbia da fare con qualcos'altro. Sicuramente, quindi vai».
Harriet sbuffò. «Basta dirlo che vuoi rimanere solo con lei. Almeno tu ti fai vedere, a differenza di quel tuo amico». Parlava di Jay ovviamente. Si alzò e con sé portò i suoi libri, recandosi probabilmente in caffetteria.
Bradford si sedette di fronte a me con un sorriso da schiaffi. «Non hai una bella cera, lille».
«Ma non mi dire». Lo fulminai. «Non è mica il periodo più stressante della mia intera vita, ma no. Figurati».
Rise e mi porse uno dei due bicchieri fumanti. Non c'era ancora freddo, ma neanche caldo, quindi erano gradite anche le bevande calde. A quel periodo stressante si aggiungeva anche Win e la sua grave malattia. Era peggiorato, tanto da non venire neanche più al cinema, e aveva lasciato la copia delle chiavi ad ognuno di noi. Sua moglie non avvicinava neanche perché era sempre impegnata con lui, aveva il pensiero solo a suo marito, e mi faceva felice vedere quanto si fidassero di noi. Perfino di Jay che era nuovo, ma si vedeva dalla faccia quanto fosse buono, generoso e affidabile. Ogni giorno lo andavo a visitare in clinica, quando non avevo impegni nel pomeriggio, perché l'ingresso per le visite era solo in quella fascia di orario. Tossiva, si portava le mani sul petto dal dolore, ma non si faceva piegare da esso. Le sue labbra continuavano ad avere la solita curva all'insù, il sguardo non si era spento e continuava ad essere allegro e pur essendo in quella situazione lui si preoccupava di me e di Jay. Mi chiedeva sempre come andassero le cose e il suo cipiglio arrabbiato sul viso quando gli dicevo che alla lettera non aveva mai risposto spezzava, ma al tempo stesso alleggeriva, il mio cuore. Spezzava, perché sapere che si era affezionato a Jay e probabilmente la nostra relazione, qualora ci fosse stata, era finita, mi rendeva triste nel sapere che Win continuava a sperarci e ad aspettarlo. Alleggeriva, perché il suo interesse nei miei confronti malgrado le sue condizioni mi confermava che lui fosse la cosa più vicina ad un padre che avessi mai avuto.
Scartai il sacchetto di carta e quando vidi i biscotti di Brad, quelli creati da quelle mani fantastiche che si ritrovava, quasi urlai. «Me li hai portati?!».
Sorrise e tirò fuori un contenitore pieno di essi. «Li ho fatti solo per te e ho tenuto lontane le grinfie di tutti gli altri. È stato particolarmente difficile e non ti so dire se Derick non ne abbia rubato uno alla fine».
Quel semplice gesto ma così pieno di affetto mi strinse il cuore. Osservai il suo lato del tavolo e quando vidi che non aveva un biscotto per lui, gliene porsi due. Due io e due lui. «Grazie Brad, sono in pochi ad aver fatto una cosa del genere per me. Grazie davvero». Quasi piansi.
Si sporse per accarezzarmi la nuca e morse il biscotto. «Siamo amici, lille, come te lo devo dire? Gli amici fanno questo e molto altro». Mi guardò di sottecchi. «Siamo tutti amici tuoi in quel gruppo. Eryn mi chiede spesso di te, dicendo che gli manca avere una compagna con cui guardare i cartoni Disney, e Derick dice che gli manca bisticciare con te. Non sto neanche a dirti che brutta cera abbia Jay. Heron, poi, senza di te ed Harriet ha perso il suo umorismo».
Sospirai. «Scusate se mi sono allontanata, ma non riesco a stare con Jay in queste condizioni. Non riesco neanche a vederlo. Fa troppo male».
«Lo comprendo, lille-». Mi accarezzò la mano. «Ma non dobbiamo sempre uscire in gruppo, sai? Puoi invitare uno di noi da te, o uscire a mangiare con qualcuno di noi, o andare al cinema. Qualunque cosa tu voglia puoi farla con solo uno di noi, non ci offendiamo».
Non aveva tutti i torti. «Mi impegnerò, promesso».
Sorrise e guardò l'orario, mentre mi ficcavo in bocca un biscotto e quasi mi mettevo a gemere vergognosamente. «Credo che tra pochi minuti inizi il tuo esame».
Scossi la testa e parlai a bocca piena. «No, è programmato per poco prima di pranzo».
«Lo hanno anticipato, lo vedo dal sito». Strabuzzai gli occhi. «È tra dieci, o poco più, minuti esatti».
Strillai nel vero senso della parola e mi alzai imprecando, infilando tutto ciò che mi serviva nello zaino. «Odio la mia vita!».
«E perché allora non fai niente per cambiarla?».
Mi raggelai. «Che vuoi dire?». Lo fulminai.
«Lo sai che voglio dire. Ci sono così tante cose da cambiare in te, eppure non ti muovi per cambiarne anche solo una. Anche solo la più importante e sai che parlo della tua ipocondria da amore». Sospirò e si stiracchiò. «In fin dei conti credo che dovresti credere alla potenza dell'amore. Perché verrà qualcuno che amerà ogni tua parte rotta, ogni cicatrice che è presente non sul tuo corpo, ma sulla tua mente, e che la guarirà dai tuoi brutti ricordi. Ed era già successo, mi pare, eppure sei scappata a gambe levate da un qualcosa che ti stava solo riparando. Perché non tutti spezzano, devi solo capirlo, devi solo credere che al mondo ci siano ancora brave persone. Ma capisco che non puoi credere a ciò che sto dicendo finché tu stessa non sarai una brava persona. Perché no, Idony, tu non lo sei. Perché tu invece Jay lo stai rompendo». Inspirai di scatto. «Sai cosa devi fare per fermare la carneficina che stai facendo sul suo cuore, spero solo che tu lo faccia più in fretta possibile».
Non risposi, perché non c'era niente da rispondere. Semplicemente me ne andai, come sempre, e mi recai a fare l'esame. L'ora successiva passò tra un lieve ripasso, l'esame in sé e poi la soddisfazione di aver finito. Incontrai il professore Lehmann, che fu felice ed entusiasta del periodo che stava per arrivare, ovvero l'inizio del nuovo anno universitario. Aspettai mezz'ora il risultato dell'esame, con l'ansia allo stomaco e sperando che il professore di letteratura fosse rimasto così contento dalla mia parlantina da donarmi un misero 26. Mi avvicinai alla bacheca, dopo aver visto uno degli inservienti attaccare l'esito degli esami, e dopo aver letto mi misi a saltellare.

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