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"Spesso la paura di un male ci conduce
a uno peggiore."
[Nicolas Boileau]

«Riuscite a lavorare insieme senza mandarvi occhiatacce a vicenda?». Win si mise a ridacchiare, seduto sulla poltrona della sala relax a bere un caffè e a riposarsi. Avevamo scoperto che quella brutta tosse che aveva già da un paio di mesi era qualcosa di più grave: broncopneumatia cronica ostruttiva. Nel suo caso era causata dal fumo, visto che aveva il brutto vizio di fumare almeno mezzo pacco al giorno di sigarette e qualche sigaro.
Appena lo vidi avvicinare una sigaretta alla bocca gliela strappai di mano e la spezzai, buttandola sul cestino. «La vuoi finire? Abbi un po' cura di te!».
«È proprio perché ho cura di me e so che dovrò morire comunque un giorno che non mi vieto i piaceri della vita». Sbuffò.
Mi sentì quasi male per quelle parole. «Non dirlo mai più. Tu starai bene».
Sorrise affettuoso, dopo aver avuto un colpo di tosse, e mi prese a braccetto per potarmi verso i piani inferiori. «Andiamo a fare una passeggiata, Sun?».
Annuì, felice di avere quel piccolo momento di distaccamento dalla realtà, e lo seguì in silenzio fino all'esterno del cinema. Eravamo soliti, ogni tanto, andare a fare delle passeggiate fino al parco, specialmente in questo periodo di metà settembre, dove le foglie verdi cadevano a terra ed erano già un po' scricchiolanti, ma mai come quelle di ottobre. Ottobre era il nostro mese, il nostro preferito: c'era Halloween, cominciava a fare freddo, potevamo fare la cioccolata calda con i marshmallow durante le ore di lavoro e le strade si riempivano di rosso e arancione grazie alle foglie, a terra e sugli alberi. Era già metà settembre, erano passate alcune settimane dall'ultima volta che mi ero permessa di parlare con Jay, il tempo sembrava essere immutato, ma in realtà passava eccome e anche velocemente.
«Come sta oggi il cuore, Sun?».
Sorrisi perché me lo chiedeva sempre da quando gli avevo parlato del gran casino che era successo. «Stai sempre bene finché qualcuno non ti chiede se stai bene. Quindi se riesco a non pensarci sto bene, se ci penso sto male».
Annuì, mentre io tenevo lo sguardo perennemente sul basso per paura che potesse cadere o inciampare sulle radici degli alberi che fuoriuscivano dal cemento. Mi dispiaceva molto che l'essere umano costringesse la natura ad essere qualcosa per cui non era nata. La natura era nata per essere libera, un po' come me. «Sei riuscita a fare-». Un colpo di tosse lo interruppe. «A fare quella cosa per lui che dicevi di voler fare?».
Sorrisi e alzai lo sguardo per qualche secondo su di lui, che camminava con la testa alta, rivolta al cielo. «Sì, ci ho messo molto tempo ed è non è stato facile, ma credo sia venuta bene».
«Quando gliela lascerai?».
Sospirai. «Credo stasera, prima di andarmene. È lui a fare la chiusura oggi, quindi andrò via mezz'ora prima di lui e gliela lascerò attaccata all'auto».
Ridacchiò felice. «Come sono contento e fiero di te, Sunshine».
Trovammo un paio di foglie a terra e, come da prassi, iniziamo a passarci sopra per farle scricchiolare. «Senza di te non ci sarei riuscita, Win. Sei il mio insegnante di vita più grande».
Mi accarezzò i capelli con affetto, ma una chiamata ci disturbò. Sentì fosse una voce familiare e quando chiuse la chiamata mi preoccupai. «Era Jay, mi ha detto che c'è troppa gente e non riescono a gestirle da soli. Andiamo».
Risi al pensiero di un Jay nel panico. «Il lavoro ci chiama».
«Il bisogno-». Sorrise. «Ci chiama».
Pochi minuti dopo tornammo al cinema, Win adesso era stanco e per questo lo spedì in sala relax, mentre io andavo ad aiutare gli altri. Briony si mise a staccare il check-in di ogni biglietto, io mi occupavo di dare i popcorn, Jay era al mio fianco per dare dolciumi o altri tipi di cibo scelti dai clienti e gli altri nostri colleghi erano divisi ognuno per ogni sala, per assicurarsi che gli spettatori non si disturbassero l'un l'altro e non nascessero risse. Le uniche parole che uscivano dalla mia bocca erano "salve, cosa desidera", "arriva" e "grazie, buona visione". La confusione continuò per altre due ore, finché tutti i clienti non furono entrati ognuno nelle rispettive sale e finché non arrivò l'orario di ogni film che il cinema proponeva. Alla fine di tutto quel trambusto mi accasciai sul bancone, con la testa poggiata su di esso, mentre Jay si massaggiava il collo.
Una fitta alla parte bassa della pancia mi ricordò quel maledetto evento che tornava ogni mese, il ciclo, ed emisi un lamento involontario. Si avvicinò di scatto. «Tutto okay?».
Mi rialzai sbuffando. «Come se ti importasse». Sussurrai quelle parole, ma lui le sentì lo stesso.
Aggrottò la fronte. «La situazione si è ribaltata? Sei sempre stata tu quella menefreghista, non io».
«Io?». Quasi urlai. «Si vede che non hai mai conosciuto la menefreghista che c'è in me o non parleresti così».
Rise in modo fastidioso. «Come lo chiami quando fai l'amore con qualcuno ma ti dimentichi, per puro caso, di raccontarle un piccolo dettaglio sulla tua vita dopo che lui ti ha raccontato ogni cosa, anche ciò di cui si vergognava? Io lo chiamo menefreghismo».
Quelle parole mi colpirono nell'anima. ««Stai indebolendo le mie difese, Jay, e dirti anche quella cosa su mia madre mi avrebbe messa a nudo ancora di p-».
Mi si piazzò davanti di scatto, mettendo il viso a pochi centimetri dal mio, con sguardo brusco. «Hai paura di me, Idony?». Inspirai, ma lui si avvicinò ancora di più, per non lasciarmi via di scampo. «Stai dicendo che hai paura di me? Ti faccio paura?».
«Jay-». Abbassai lo sguardo. «Smettila».
Mi tirò il viso verso il suo, con due dita posizionate sotto al mio mento, per tenerlo alla sua altezza. «Tu-hai-paura- di me?». Scandì le prime parole con una calma inquietante, più inquietante della rabbia.
«Sì!». Voltai bruscamente il viso e chiusi gli occhi. «Mi fai paura nel modo peggiore, perché in realtà fai in modo che io abbia paura di me stessa e di quello che potrei farti!». Ecco, l'avevo ammesso. Perfetto.
Indietreggiò barcollando, sorpreso da quella risposta. «Hai paura di me?». Scosse la testa e si passò le dita fra i capelli. «Dopo tutto quello che ho fatto hai seriamente paura di me, qualunque tipo di paura sia?». Ringhiò.
Sospirai tristemente. «Questa non è una cosa che posso controllare, io non mi fido di nessu-».
«Dio, quante cose ho fatto solo per poterti chiamare "amore" o poter sentire dentro di me che finalmente eri mia! E il peggio è che l'ho sentito, quando abbiamo fatto l'amore, io ho sentito che eri finalmente mia, che quel dannato muro lo avevo distrutto e invece no». Prese il panno dal balcone e lo tirò dall'altra parte. «Non mi ero reso conto che dietro quel muro ce ne erano molti altri, come una libreria immensa ma vuota, che quando uno scompartimento dopo l'altro cade non hai neanche la piccola soddisfazione di ricevere un misero libro. Arrivi alla fine della libreria, ti guardi dietro ed è distrutta, ma lo sei anche tu. E sei come prima: sempre vuoto, ma adesso anche stanco». Scosse la testa e si allontanò verso il piano superiore, mentre Briony scendeva le scale e lo osservava curiosa.
Mi si avvicinò. «Qualcosa non va tra di voi, eh?». Annuì. «Stavate insieme o qualcosa del genere?».
Sorrisi debolmente. «Per lui eravamo amanti che parlavano come amici, per me solo amici che parlavano come amanti. Adesso mi sono resa conto che per entrambi era la stessa cosa, ci desideravamo allo stesso modo, ma non sono riuscita a venire a patti con il mio passato in tempo».
Mi accarezzò la schiena. «Sono convinto che anche nell'ultimo istante della nostra vita abbiamo la possibilità di cambiare il nostro destino». Quando il mio sguardo si alzò verso il suo sorrise. «Giacomo Leopardi». Se ne andò com'era venuta: in fretta e in silenzio.
Osservai l'orologio e notai che fosse proprio l'orario per tornare a casa, il mio turno era finito e adesso avrebbe dovuto pensarci Jay. Annuì sfinita, più a me stessa che a qualcuno, e racimolai tutte le mie cose, infilandole nello zaino. Dalla tasca più piccola ne uscì una busta bianca, fatta eccezione per una frase scritta con l'inchiostro nero sul davanti: "per il ragazzo di cui mi sono innamorata". La incastrai tra i due tergicristalli e me ne andai in fretta, prima di cambiare idea. Una volta seduta in macchina, in viaggio verso casa mia, i miei pensieri erano rivolti interamente a ciò che si trovava all'interno di quella busta. Jay avrebbe trovato un CD, contenente un mashup di alcune canzoni che sentivo mie e che contenevano parole che io, purtroppo, forse non avrei mai avuto il coraggio di dire a voce.

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