12

711 37 3
                                    

"La casa non è dove vivi ma dove ti capiscono."
[Christian Morgenstern]

«Gioia, permettimi di presentarti i miei due altri figli». Jeane indicò i due ragazzi a me sconosciuti, malgrado ricordassi i loro nomi, e mi concentrai sul loro aspetto. Alex, così lo aveva chiamato Grah, era totalmente diverso dai suoi fratelli. La sua pelle era abbronzata, ma non c'era traccia dei toni caldi che portavano i suoi due fratelli, era alto quanto Jay, ma non portava i suoi muscoli. I suoi capelli erano i più ricci che avessi mai visto con i miei occhi, più scuri di quelli di Ethalyn, ondulati e dall'aspetto lucente, come se fossero bagnati. I suoi occhi erano una via di mezzo tra il verde e il giallo che non ero in grado di descrivere, forse nocciola, ma anche quella nuance era più scura di quel colore mai visto prima che si trovava nel suo sguardo. Lo stesso sguardo che mi fissava sorpreso, come se mi riconoscesse.
Mi si avvicinò lentamente. «Sunshine?».
Aggrottai la fronte e lo osservai meglio, prima di-. «Oh Dei». Mi portai la mano alla bocca quando riuscì ad inserire la sua voce in un ricordo preciso.
Sorrise debolmente. «Le tue imprecazioni insolite non sono cambiate».
Jay ci osservava come se ci fosse spuntata una seconda testa l'uno. «Non sto capendo un cazzo». Jeane lo fulminò per la parolaccia. Ci fissavano tutti con stupore.
Deglutì. «Alexander? Sei quel Alex?».
Annuì. «E tu sei Sunshine Nowak».
Heron storse il naso. «Non era Idony il tuo nome?». Ethalyn lo colpì con forza al petto e gli intimò di stare zitto.
Jay era nervoso. «Potete spiegarci qualcosa? Mi sto irritando».
Alex sospirò. «Ti ho chiamato non so quante volte in questo ultimo anno e mezzo, Sunshine. Perché diavolo non hai risposto? Ti abbiamo cer-».
Risi senza gusto. «Non provare a dire che mi avete cercato, perché lui non mi cerca».
Alzò le mani. «Okay, lui non ti cerca, ha lasciato questo compito a me. Sta di fatto che non puoi sparire dal nulla e trasferirti in un altro stato!».
Strinsi in pugni, sentendo la rabbia montare in me. «Non posso? E chi è che dice che non posso? Lui? Tu? I suoi contabili che si assicurano che il suo status da riccone rimanga tale? Non me ne frega un cazzo, io faccio quello che voglio».
Più parlava più si avvicinava. «Quindi sei scappata e fin qui va bene. Ma la domanda è perché l'hai fatto? Facevi parte di una famiglia ricca, avevi dei genitori, frequentavi una buona scuola e ti sei trasferita ad Auburn per che cosa? Un lurido appartamento scolastico con un bagno, una camera da letto e una cucina incorporata al salotto, lavori ad un cinema come una comune ragazza e ti sei fatta 4 ami-».
Jay ruggì come un animale, dandogli un colpo alla spalla per spingerlo via da me. «Ora stai esagerando!».
Alexander non arretrò, finendo faccia a faccia con lui. «Ma tu che cazzo ne sai di lei? Niente! Quindi fatti i cazzi tuoi, fratellino».
Sibilò. «E invece so, più di quello che pensi».
Mi massaggiai le tempie, cercando di calmarmi. «Nessuno dei due sa niente invece». Quando li sentì girare verso di me continuai. «Mettiamola così: io non posso capire voi, perché la morte non mi ha mai portato via qualcuno». Mi tolsi le mani dagli occhi e mi sedetti sul divano, già esausta. «Ma voi non potete capire me, perché non sapete com'è quando ti portano via una persona dal cuore e me ne hanno portate via due. Anzi, si sono portati via da soli. Poi hanno portato via la mia vita, che già prima non era un giro a Rio de Janeiro, la mia libertà, le mie scelte, le mie. Siete mai stati burattini nelle mani dell'apparenza? Lo sei mai stato, Alex? Quando fuori non puoi permetterti un capello fuori posto, un sorriso un po' meno smagliante, un abbraccio falso e dentro casa poi cambia tutto, dove ci sono solo urla, litigi, odio e furia?».
Il mio sguardo si alzò verso Heron e lui annuì. «Pensi che questo loop avrà una fine, ma l'unica cosa che alla fine finisce...».
Sorrisi amaramente. «Sei tu». Sospirai. «Oltre il matrimonio, ovviamente».
Alex non sembrò cambiare espressione. «Eri comunque ricca, Sunshine. Cazzo, avresti davvero preferito vivere in un buco con la scelta di digiunare ad intervalli perché non sempre l'intera famiglia possedeva la disponibilità economica di far mangiare tutti?!».
Mi alzai di scatto per scagliarmi contro di lui, ma Jay ebbe la prontezza di tenermi per la vita. «Solo perché non hai provato un dolore, Alexander, non hai il diritto di minimizzarlo!».
Heron si presentò al mio fianco con i pugni chiusi. «Ha ragione lei».
Alex alzò le braccia esasperato. «Tu che cazzo c'entri?».
«Eccome se c'entro, amico! E lo sai perché, porca tro-».
Una voce tuonò per l'intero salotto. «Adesso basta!». Proveniva da quella che doveva essere la sorella maggiore, Jayla. Solo adesso che la osservavo potevo capire perché scambiassero lei e sua madre per sorelle: era uguale a lei, solo più bassa e con più forme. Parlando di forme, mi soffermai sulla rotondità della sua pancia e inspirai di scatto. Era incinta. Per gli Dei, era-.
«Sei incinta?!». Sorpreso non era la parola giusta. Jay era sdegnato.
Jayla sospirò. «Te l'avrei detto!».
«Prima o dopo di partorire? Perché sai, mi pare che quella sia una pancia di almeno 6 mesi!». Okay, Jay stava perdendo le staffe. Dovevo calmarlo.
Tentai di aggiustare la situazione. «È tua sorella, Jay, te l'avrebbe detto».
Jayla mi risolve uno sguardo riconoscente, ma lui era inarrestabile. «Oh, davvero? Perché mi pare improvvisamente di non fare più parte di questa famiglia!».
Jeane si portò una mano al petto. «Ma che stai dicendo, Jaymes?».
Lui, in risposta, si strisciò le mani sulla faccia. «Quello che vedo, mamma! Era tutto a posto, vado via per quanto, 2 mesi? Torno e trovo mia sorella Jayla incinta, Ethalyn totalmente cotta del bad boy di turno, Graham che puzza di fumo e mio fratello maggiore che spara cazzate a raffica sull'unica ragazza che mi sia mai piaciuta! Non sapevo neanche che Alexander e Jayla dovessero tornare a casa, perché loro non ci sono mai e va tutto bene perché tanto c'è Jaymes a prendersi il peso di tutto, ma se manco io va tutto a-».
Non ce la feci più a sentirlo parlare in quel modo. «Jaymes!». Neanche un leone avrebbe ruggito in quel modo.
Si girò verso di me. «Che c'è?!».
Mi imposi di mantenere la calma o non saremmo andati da nessuna parte.
«È la tua famiglia quella di cui stai parlando, Jaymes. E quello sono i tuoi fratelli e le tue sorelle, insomma-».
Non mi fece neanche finire. «Che ne sai tu? Non sai neanche com'è avere un fratello, figurati averne quattro. Non sai com'è avere una fami-».
Heron lo spinse immediatamente e Jay, colto dalla sorpresa, finí a terra. Per fortuna sì parò con le mani, ma in quel momento avevo la vista annebbiata come il cervello. «Credo che abbia capito, cazzo», gli aveva ringhiato sopra ma io ero già diretta fuori, se solo una mano non mi avesse afferrato.
Era Alexander. «Dove vai?».
Sostanzialmente me la presi con lui, ma d'altra parte non era innocente.
«Non ti deve importare. Sono sempre stata sola, continuo ad essere sola e lo sarò per sempre. Le cose non cambiano, si ripetono soltanto».
Tirai via la mano dalla sua stretta, mentre dei capelli biondi entravano nel mio campo visivo. La biondina mi fissava stupita. «Sun, ma che dici?». Si osservò intorno con aria affranta, soffermandosi su Heron che incombeva su Jay ancora seduto a terra. «Che è successo?». Non mi presi la briga di risponderle, lasciai il compito agli altri, e me ne andai fuori. Stavo più fuori che dentro ormai.
«Idony, aspetta! Mi dispiace!». Lo ignorai. «Idony, per favore». Per favore? Semmai ero io a dover dire "per favore, sta zitto". «Non ero in me, cazzo».
Mi girai di scatto. «E a me che diavolo me ne frega?». Urlai. «Bada bene ad una cosa, Jaymes Rymer». Mi avvicinai a lui con aria minacciosa, mentre i suoi occhi mi osservavano con disperazione. «Se quando litighiamo attingi al mio passato, qualunque esso sia il motivo, hai perso il mio rispetto».
Le sue spalle si abbassarono di colpo, neanche lo avessi picchiato, e gli finì il sedere sull'erba del giardino mentre si accasciava disperato. «Non so che mi è preso, Idony. Io non sono così».
Mi sedetti vicino a lui, ma a debita distanza. «Non posso sapere come sei, non ancora».
Passò un eternità prima di sentirlo rispondere, perso tra i suoi stessi pensieri e dubbi, forse anche paure. Mi dispiaceva vederlo così, soprattutto perché non mi aveva ferito. Non può ferirti qualcosa che non ti tocca, qualcosa che non è vero. Non mi aveva ferito, perché la sua intenzione non era usare il mio passato per uscirne vincente o per farmi male di proposito. Ne ero solo delusa, vedere che per gli altri era così facile lasciare alla rabbia il potere di decidere. E poi ero delusa da me stessa, dal mio cuore, che dopo tutti questi ancora si lasciava ferire dal passato. Ecco, era proprio questo il punto: era stato il mio passato a ferirmi, non Jaymes. Mi persi a guardare una bellissima farfalla bianca che ci girava attorno.
Si schiarì la voce, facendomi tornare al presente. «Ti va se-». Si fermò e si grattò il collo. Era imbarazzato. «Se ti mostro come sono?».
Ero dubbiosa. «In che senso?».
Sorrise debolmente. «Ti darò modo di conoscermi, organizzerò cose che ti faranno vedere come sono davvero». Ci pensai su e poi annuì. «Guarda che ci vorrà tempo però, sappilo».
Ammiccai. «Cerchi di dirmi che ci stiamo prendendo un impegno?».
Rise, buttando indietro la testa e poi facendomi l'occhiolino. «Una cosa tira l'altra».
Sospirai, tornando seria. «Jaymes». Alzò lo sguardo. «Non farlo mai più. Non do mai una terza possibilità».
Lui annuì e si alzò, porgendomi una mano. «Cominciamo adesso».
La usai come appiglio per tirarmi sù. «A fare cosa?». Mi pulì il vestito con le mani per togliere l'erba o qualsiasi altra cosa, mentre lui mi prese la mano e cominciò ad accarezzarla.
«L'impegno, o come lo vuoi chiamare, che abbiamo accordato poco fa». Con ancora la mano sulla mia rientrammo in casa come se niente fosse, malgrado mi sentissi imbarazzata dopo la sfuriata di prima. Mi irrigidì quando notai che nessuno se ne era andato, neanche e soprattutto Alexander.
Fu lui a parlare per primo. «Mi dispiace, Idon-».
Alzai una mano. «Non voglio le tue scuse». Mi lanciò uno sguardo confuso. «Voglio sapere perché mi cercate».
Annuì. «La tua parte di eredità».
Risi amaramente. «Eredità, certo. E scommetto che non vuole vedermi, né sentirmi, ma solo costringermi a prenderli perché se non li riscuoto lui non potrà riscuotere gli interessi economici sicuramente floridi del bel gesto che ha fatto verso di me». Alexander abbassò lo sguardo. Bingo. «Scordatelo».
Mi fulminò. «Dovresti essere più furba». Inclinai la testa in attesa. «Non ti interessa di lui? Non lo vuoi mai più vedere? Perfetto. Vai in banca con il bonifico che porto sempre con me in tasca da mesi, metti delle firme del cazzo, prendi i soldi e sparisci, tanti saluti al paparino. Ne ricavate qualcosa tutti e due».
Scossi la testa. «Sei duro di corna allora». Mi portai una mano al viso. «In vita mia non ho bisogno di ricavare nulla che c'entri con lui. I miei successi li raggiungerò da sola, a partire dal comprare una pizza ad arrivare ad avere una mia mostra, un giorno, insieme ad Harriet».
Sospirò, forse finalmente rassegnato. «Come vuoi, Sunshine o Idony. Ma se mai cambierai idea sai dove trovarmi, non ha scadenza la sua offerta». Poi tornò a guardarmi. «Come preferisci essere chiamata, adesso?».
Non ci misi molto a rispondere. «Idony». Tossì teatralmente. «Fa finta che Sunshine sia morta».
Sorrise debolmente. «Io credo sia più come una fenice, risorgerà dalle sue ceneri». Si stiracchiò, scuotendosi i ricci definiti. «Io vado a letto. Il jet lag mi ha distrutto, ho bisogno di una dormita di almeno nove ore».
Jayla annuì. «Comunque piacere Idony, non abbiamo neanche avuto modo di presentarci».
Allungò la mano e gliela strinsi sorridendo, venendo stretta in un abbraccio con mia grande sorpresa. Erano tutti molto affettuosi. «Non ti preoccupare, c'è stato un po' di caos in poco tempo». Mi guardò con dispiacere, ma non disse altro.
Ethalyn invece si fece avanti, alle spalle Grah, entrambi com espressioni minacciose, e poi si rivolsero a Jaymes. «Dille un'altra cosa del genere e mi fregherà poco che sei mio fratello. Ti stacco le pall-».
«Lyn!». Urlò Jeane dalla cucina e lei storse il naso.
Grah alzò le spalle. «Concordo con Lyn e aggiungo che poi le daremo in pasto ai maiali». Storse il naso. «Loro mangiano tutto».
Trattenni un conato, mentre Jay sorrideva. «Vi piace molto Idony».
Ethalyn assottigliò lo sguardo. «Molto». E poi si girò, salendo le scale.
Grah ammiccò verso di me e si avvicinò per sussurrarmi all'orecchio. «Se, per qualche motivo, mio fratello non andasse più bene». Si tirò indietro per mandarmi un bacio. «Mi farebbe piacere mostrarti com'è il vero paradiso. In caso sai dove trovarmi».
Quando Jay capì l'intero discorso cominciò ad inseguirlo, ma non prima di chiedermi di salire in camera per cambiarmi, perché mi avrebbe portato a pranzo fuori. Eseguì il compito come un soldatino, facendo anche il saluto con le due dita alla tempia, e quando arrivai in camera cominciai a sentire le crisi di nervi. Che cosa mi dovevo mettere? Presi l'iPhone e mandami un messaggio ad Harriet per chiederle, anzi ordinarle, di venire subito qui. Si presentò circa tre minuti dopo, probabilmente correndo, con lo stesso fiato che avrebbe avuto dopo una maratona.
«Che succede?». Si posò le mani sui fianchi.
Alzai le spalle indifferente. «Non so che mettermi».
«E mi hai fatto venire qui di corsa solo per questo?!». Mi fulminò con lo sguardo e le sorrisi innocente.
Passammo l'ora successiva ad abbinare vestiti su vestiti, mi lasciai anche truccare da lei, che sicuramente era più capace di me, e anche acconciare i capelli. Non che avessimo fatto chissà che, con i capelli scuri che avevo era difficile che si notassero anche le acconciature più complicate. Li aveva resi ondulati con un attrezzo apposito e poi aveva passato delle gocce di olio nutriente per evitare l'effetto secco del calore.
A lavoro finito unì le mani tra di loro e sorrise. «Sei bellissima».
Mi osservai allo specchio. La gonna di jeans, in una tonalità più chiara del classico, aveva la parte bassa tagliata in piccole onde e si stringeva con più aderenza nella vita. Come top ne avevamo scelto uno arancione pastello, i piccoli fiori bianchi stampati sopra lo rendevano molto più estivo, e aveva uno a V scollo generoso, che enfatizzava il mio seno. La borsetta era bianca e le scarpe altrettanto. «Mi piace». Sorrisi e la abbracciai. «Grazie biondina preferita».
Ricambiò l'abbraccio con affetto, ma poi si tirò indietro, con uno sguardo inquietante. «Ce ne sono altre?».
Risi e scossi la testa, mentre qualcuno bussava alla porta. «Idony, andiamo? Sei pronta?».
Andai ad aprire e fui soddisfatta di vedere il suo sguardo percorrere il mio corpo in quel modo. «Sì, andiamo?».
Annuì, con lo sguardo in trance, e lo seguì per le scale con dietro Harriet.
«Anche io esco con Heron, credo».
La guardai. «Hai bisogno di consigli?».
Ammiccò. «No, ormai so cosa gli piace».
Il pulcino arrivò proprio in quel momento. «Cosa piace a chi?». Sembrava geloso.
Strinsi gli occhi. «Questa frase non mi piace per niente, biondina. Farò finta di non averla sentita».
Lei rise, mentre Heron sembrava ancora più confuso, e poi li lasciammo lì a discutere giocosamente. Entrammo in una macchina che non conoscevo e mi osservai intorno per vedere qualche dettaglio sul possibile proprietario.
«È di Jayla. Heron e Harriet devono uscire, la mia macchina è rimasta alla confraternita». Sbuffò infastidito.
Sorrisi. «Ti manca già Auburn?»
«Sai, non lo credevo possibile, ma un po' sì. Quando ti senti così libero, per esempio quando vai a vivere da solo, tornare al nido da cui vieni fa piacere, ma è anche strano».
Annuì, non sapendo che dire. Non conoscevo la sensazione. Collegò il suo telefono allo stereo e poi mise la riproduzione causale di Spotify, che fece partire "Touch" di Sleeping At Last. Urlai, incapace di contenere la felicità, e alzai il volume.
Mi guardò di traverso. «Come puoi essere così felice di una canzone così triste?».
Alzai le spalle. «Non è la melodia che fa una canzone, ma le parole. Non è esattamente una canzone che parla di arcobaleni, ma in essa c'è una grande verità».
Sospirò. «Le canzoni sono il primo modo per conoscere una persona».
Mi schiarì la voce. «Adesso canterò, perciò se non vuoi sentirmi ti consiglio di chiudere le orecchie».
Sembrava disperato, ovviamente ironicamente. «E ora come faccio?!».
Risi e lo colpì sul braccio. La rimisi da capo, perché era già cominciata mentre scherzavamo, e cominciai a cantare.

When will I feel this
As vivid as it truly is
Fall in love in a single touch
And fall apart when it hurts too much
Can we skip past near-death clichés
Where my heart restarts, as my life replays?
All I want is to flip a switch
Before something breaks that cannot be fixed
I know, I know the sirens sound
Just before the walls come down
Pain is a well-intentioned weatherman
Predicting God as best he can
But God, I want to feel again
Rain or shine, I don't feel a thing
Just some information upon my skin
I miss the subtle aches when the weather changed
The barometric pressure we always blamed
All I want is to flip a switch
Before something breaks that cannot be fixed
Invisible machinery
These moving parts inside of me
Well, they've been shutting down for quite some time
Leaving only rust behind
Well I know, I know the sirens sound
Just before the walls come down

Mi accorsi che mi stava guardando di nuovo con quell'espressione, come se fosse in trance. Incantato oserei dire. Però, stavolta, non fu per niente bravo a nascondere le emozioni nel suo sguardo e riuscì a scorgere in lui qualcosa di simile all'angoscia. Aggrottai la fronte continuando a cantare, ma mi obbligai ad abbassare il tono, sapendo quale parte della canzone stesse per arrivare.

Pain is a well-intentioned weatherman
Predicting God as best he can
But God, I want to feel again
Oh God, I want to feel again
Down my arms, a thousand satellites

Deglutì, trovando la forza di non abbassare lo sguardo di fronte al suo, così magnetico e penetrante. «Suddenly discover signs of life». Sorpresa, sentì la sua voce unirsi alla mia. Lo guardai per un tempo che parve infinito e in quel momento capì che lui sapeva. Lui sapeva, di me, anche le cose che non avevo mai detto. Sapeva le mie angosce, le mie paure, le cose più profonde di me e le aveva capite tutte da solo.

MepakΌπου ζουν οι ιστορίες. Ανακάλυψε τώρα