Cavaliere in scintillante armatura

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La spada nella cintura gli pesava, sbilanciandolo. 

Non che non fosse abituato, durante le simulazioni l’equipaggiamento era l’unica cosa reale con cui erano autorizzati a interagire, aveva portato una spada lunga italiana decine di volte al fianco in quel modo.

Si era dovuto far crescere i capelli, nel tredicesimo secolo si portavano lunghi sino alla mascella, aveva dovuto a malincuore coprirsi di lozione allungante nei cinque giorni che erano passati dall’ultima missione. Il problema era che i suoi capelli tendevano ad arricciarsi quando erano troppo lunghi, e ora in quella larghezza intermedia formavano dei larghi boccoli dorati che gli solleticavano la pelle, spingendolo a scostarli con la mano ogni battito di ciglia.

Anche l’abbigliamento non era di grande comodità. Non era stretto come la sartoria vittoriana su misura, ma la lana a contatto con la pelle era fastidiosa sul petto e sulla schiena, i calzettoni sotto la lunga veste smanicata lo facevano sembrare un idiota, e il pesante mantello col cappuccio gli dava un po’ l’aria del cosplayer in rievocazione medievale.

Antonio, il sarto dell’epoca medievale, era stato più professionale di Greta. Gli aveva fatto prendere appuntamento e gli aveva cucito con calma gli abiti addosso, che gli calzavano a pennello. 

Il mantello, oltre a farlo sembrare il personaggio di un videogioco fantasy, gli faceva un caldo pazzesco, e aveva prurito ovunque perché, per essere sicuri, non gli era stato permesso di portare il suo intimo nel passato, dunque sotto quei vestiti irritanti aveva solo la pelle nuda.

Si guardò allo specchio per evitare di avere addosso incongruenze particolari, si sistemò di nuovo i capelli con la mano – con quei boccoli pareva uno di quei putti paffutelli nelle raffigurazioni celestiali – e strinse l’elsa della sua spada per temporeggiare prima di settare la data sul suo bracciale.

La sua missione sarebbe dovuta iniziare il giovedì sei luglio del 1228. Federico II era partito il ventotto di giugno per la seconda crociata, e aveva lasciato Castello Svevo come ricovero per i crociati in difficoltà. Era lì che si sarebbe recato, dove avrebbe trovato il suo obiettivo che lo attendeva. Pierre de Montaigu, all’epoca gran maestro dell’ordine templare, si era ritirato al castello dopo essersi reso celebre al precedente assalto a Gerusalemme. 

Trattenne il fiato. La sua prima missione era andata nei modi peggiori. Era stata una litigata continua col suo immortale, aveva rischiato di prendersi una pallottola al petto, non era riuscito a eliminare l’obiettivo e Cassio era persino finito in prigione perché lui aveva fatto saltare la finestra.

Sapeva che quello era stato solo il primo giorno, che aveva tutto il tempo per migliorare, ma buttarsi di nuovo nella mischia in quel modo gli faceva salire il panico. Com’era andata male nel 1875 sarebbe potuta andare male anche nel 1228, se non peggio. 

Chiuse gli occhi e prese un profondo respiro. Calmò il suo cuore impazzito e si forzò a riaprirli, deciso. Digitò 06 luglio 1228 sul suo bracciale, ma prima di dare l’ordine del salto esitò.

Era solo nella sua stanza, stanza nuova a cui si stava pian piano abituando. La libreria prima vuota ora era fornita dei suoi manuali di storia e quelli sul funzionamento del suo equipaggiamento, e l’armadio era carico dei suoi vestiti ordinati e ripiegati con cura. Era tutto preciso e perfetto, letto fatto e pavimento luccicante, com’era stato abituato negli anni da recluta. 

Si fece forza e spostò gli occhi dal suo letto rifatto. Per quella notte non avrebbe dormito sul suo futon a sostegno lombare, ma chissà dove su chissà che materasso imbottito di lana o paglia. Sarebbe sparito là nella sua stanza e riapparso un attimo dopo, eppure per lui sarebbe passato un giorno intero. 

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