Il gran giorno

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Davide aprì gli occhi al suono di qualcuno che bussava alla porta, e per un attimo annaspò, senza riconoscere il luogo in cui si trovava. 

“Ma che...” mormorò, sobbalzando sul letto e guardandosi intorno confuso. 

La porta della camera si aprì di scatto, e lui riconobbe in un attimo la persona che vi si era affacciata.

Cassio lo osservava dall’uscio della sua stanza, un sorriso in volto e degli abiti diversi da quelli del giorno prima. Portava un completo da giorno, dei pantaloni lunghi color verde scuro e una giacca leggera abbinata, con sotto una camicia bianca e un gilet color castagna.

Non sembrava si fosse appena svegliato, anzi, sembrava fresco come una rosa, e Davide si chiese se fosse perché era immortale. Quelli della sua specie erano più resistenti degli umani, non si stancavano come loro, e da quello che aveva studiato in Accademia gli sembrò di ricordare che non avessero bisogno di dormire.

Dopo aver riconosciuto Cassio prese confidenza con ciò che lo circondava, rendendosi conto del luogo in cui si trovava. Il sole entrava dalla finestrella su una delle pareti stinte e illuminava la stanza desolata. I mobili sgangherati, i suoi vestiti ammonticchiati sulla sedia accanto al letto, la candela spenta, tutto era come lo aveva lasciato la sera prima.

Si rese conto di avere qualcosa in bocca e se la sputò in mano. Era la radice di liquirizia lasciata da Cassio sul cuscino il giorno precedente, doveva essersi addormentato masticandola. 

“È per questo che mi piaci, perché sei elegante e signorile,” commentò Cassio, ridacchiando sotto i baffi.

“Cos’è, sarcasmo questo?” commentò Davide, che aveva posato la radice masticata sullo scrittoio accanto al letto e si stropicciava gli occhi dal sonno. 

“Non mi permetterei mai,” rispose l’altro.

Prima che il ragazzo potesse rispondere, la sveglia suonò. Entrambi sobbalzarono al suono dello squillo lungo e prolungato venuto dal suo bracciale, a volume abbastanza alto da essere sentito anche nel sonno più profondo. Il ragazzo passò il dito sullo schermo e il trillo finì, facendo piombare la stanza in quello che in quel momento era un silenzio assordante. 

Fu Cassio a spezzarlo.

“Che diavoleria è mai questa?”

“È la mia sveglia,” rispose Davide, ancora rintronato dallo squillo improvviso e dal fatto di essersi svegliato solo qualche minuto prima. “Imposto l’orario prima di dormire, e quando è ora di svegliarsi si mette a strillare.

“Un campanile portatile!” esclamò Cassio. “Molto ingegnoso.”

Davide non avrebbe definito l’invenzione della sveglia ‘ingegnosa’, ma immaginava che per un uomo del diciannovesimo secolo potesse esserlo, così non commentò quello che aveva appena sentito.

Si alzò a sedere e aprì la bocca per chiedergli quanto tempo ci sarebbe voluto per arrivare dall’appartamento al loro obiettivo, quando l’espressione sul volto di Cassio lo fermò. 

D’un tratto il suo volto si era come pietrificato, e lo guardava come se in quel momento non provasse niente, come se fosse incapace di avere sentimenti di qualsiasi tipo. Gli era già successo prima, e Davide aveva capito che assumeva quell’espressione quando qualcosa gli provocava una delusione forte. 

“Ti avevo detto che ti avrei svegliato io, mi sbaglio?” gli chiese in tono neutrale, come se non gli importasse.

“Non potevo essere sicuro che l’avresti fatto.”

La maschera di indifferenza che aveva sul volto non mutò. Continuò a guardarlo ancora per qualche istante, uno sguardo intenso e pesante che lo fece sentire a disagio, poi scosse la testa e tornò ad avere l’aspetto di un comune essere umano. “Cambiati, non vorrai fare tardi,” gli disse sbrigativo, poi uscì dalla stanza e chiuse la porta. 

Accademia CronoWhere stories live. Discover now