Epilogo

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Il tempo è una delle poche cose importanti che ci sono rimaste.
Dalì



Un bruciore pungente alla nuca fa sobbalzare il piccolo corpo di Ayar, si dimena sotto al ferro rovente che le scava nella carne del collo. Le viene applicata una pomata fresca appena si appoggia sulla pelle, ma il modo in cui la spalmano con violenza non fa che alimentare il dolore che sente.

Finalmente, però, è libera di ricevere il sangue in busta e non deve uccidere per procurarselo.

Ayar sorride e torna a casa, ha un piccolo appartamento minimalista, con pochi mobili – solo l'essenziale – e due cambi soltanto nell'armadio in plastica scadente.

Quando cala il sole, indossa il suo cappotto scucito – la lana, in alcuni punti, ha usurato il tessuto fino a scavalcarlo e uscire in batuffoli bianchi e candidi – e si reca al luogo d'incontro, l'unico posto della sua città in cui può ottenere il sangue in maniera del tutto legale.

In cambio, Ayar ha promesso di non uccidere più. Si farà bastare soltanto quello in busta consegnato dal sistema stesso, perché è stufa di vedere i suoi ricordi ripristinati e dimenticare tutto. Sperava di aver memorizzato qualcosa in giro per casa, ha cercato un diario, un post-it, dei fogli di giornale, ma non è riuscita a scoprire niente sul suo passato.

Non sa perché le hanno di nuovo cancellato la memoria e non lo scoprirà mai, ma decide di farsi bastare le poche nozioni che ha di se stessa e andare avanti. Forse è la volta buona, forse non dimenticherà più. 

Anche se per il momento conosce solo il suo nome e l'indirizzo della casa in cui vive.

Arriva a destinazione dopo una decina di minuti, ha camminato in fretta, con la gola chiusa per la fame e i canini che spingono fastidiosi per uscire e divorare.

Le telecamere di sorveglianza la squadrano, Ayar pronuncia il suo nome in modo chiaro e coinciso, come le hanno spiegato dopo il marchio, e presto la porta metallica si apre e le lascia varcare la soglia.

All'interno, luci psichedeliche si arrampicano sulle pareti e creano arcobaleni illusori di viola e verde fluo. Diversi individui si divertono lì dentro, sono quasi burattini che ballano sotto i riflessi colorati. Le sembrano quasi finti, sintetici, come le guardie che l'accolgono e sembrano guardarla con pupille fittizie. Corpi morti, telecomandati, sorretti dai fili di un sadico e anonimo Dio. Comparse su uno schermo sempre acceso. 

Supera i due energumeni e raggiunge in fretta la stanza corretta, pronta a ricevere la sua prima sacca di sangue, ma appena apre la porta si rende conto che la camera è vuota, pensa di aver sbagliato. Si sente confusa e stranita.

C'è solo un ragazzo voltato di spalle. I suoi capelli sono piume di corvo, neri come ossidiana, e le braccia scoperte, con le maniche tirate su fino ai gomiti, sono cosparse di disegni oscuri, ragnature e marchi. «Se sei qui per il sangue mi dispiace deluderti, è tutto finito.»

Ayar spalanca gli occhi, il volto dolce dipinto di confusione. «Finito? Perché è finito?»

Non sa che sarà solo la prima di troppe domande.

«Sono aumentati gli infetti. Dovremo aspettare domani mattina...», l'altro le si avvicina, la scruta con morbosa curiosità. È certo che sia lei, che sia quella giusta, quella che Kilian gli ha chiesto di portare con sé.

Ayar trova terrificante l'idea di sopravvivere anche tutta la notte senza sangue. Non può resistere, ne ha bisogno subito. Non vuole che comincino a caderle i denti. «Non c'è un modo in cui possiamo averne un po'? Non ne è rimasta nemmeno una goccia?»

Edvin sembra pensarci su, ma impiega solo pochi secondi prima di azzardare quella proposta. «Beh, un modo ci sarebbe... tu mi dai un po' del tuo sangue, io ti do un po' del mio.»

Quella proposta è assurda. Ayar sa che non si fa, sa che è proibito e che ha promesso di non uccidere. Però l'altro le sta proponendo uno scambio e trasuda parità e consenso, se riescono a non farsi scoprire dal sistema potrebbero risolvere quel problema.

Nessuno deve sapere.

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