9. Tentacoli di sangue

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 "È là che bisogna andare a vivere, è là che bisogna andare a morire."
Baudelaire

Tentacoli di sangue sparsi sul cuscino, il respiro che muove il petto e lo porta ad alzarsi e abbassarsi seguendo un ritmo preciso e stabile, la maglietta troppo grande le si è appiccicata addosso e delinea le sue forme con un'eleganza che gli inchioda le pupille su ogni curva sotto lo strato sottile del tessuto. La coperta è scivolata via, ormai è solo un ammasso amorfo sul pavimento freddo.

A Edvin piace troppo osservare Ayar quando dorme.

L'ha scoperto per caso, ricordando i tratti del suo volto, scoprendo di aver memorizzato in un angolo della mente l'immagine del suo viso e di ogni ciglia sfilettata sulle guance, pronta a disegnare ombre sottili e lugubri sul pallore candido della pelle.

Ayar è talmente bella che gli sembra di guardare una delle opere che hanno appeso sulle pareti, e questo gli provoca una rabbia difficile da esplicare.

Tanto graziosa da essere irraggiungibile, una paura che lo schiaccia e tormenta.

L'allontana perché è terrorizzato dall'idea di veder mutare il loro rapporto e di non poter controllare le sue emozioni.

Edvin è lontano dal sistema da un pezzo, ormai, ma ciò non significa che non ne sia stato plasmato. Sa cos'è giusto e cos'è sbagliato secondo la società, e il problema sta proprio in ciò che viene considerato errato, perché lo attira e lo spinge a dannarsi e a peccare solo per sentirsi superiore al controllo che tiene tutti a bada.

Tutti tranne lui.

Ha violato le regole diverse volte, non si è mescolato ai robot senza emozioni che vivono lì sopra e che si accontentano di esistenze misere, solitudine e pasti freddi.

Edvin odia il sistema e odia il pianeta, tanto che nella sua camera da letto ha riempito diari interi di teorie su chiunque sia nascosto dietro a quelle regole. Cerca di capire perché alcune cose vengono vietate, ed è convinto di aver trovato diverse soluzioni.

L'amore, per esempio.

L'amore è il peccato peggiore di tutti. È vietato conoscere altre persone, ricercare una connessione profonda e più intima. L'essere umano deve stare da solo, ed Edvin si è chiesto per molto tempo il perché.

Fra spirali di pensieri sconnessi, Ayar si rigira nel letto e il respiro di Edvin si blocca per non disturbarla, per non turbare il suo sonno rilassato. Non apre gli occhi, continua a riposare e il suo petto si alza e abbassa allo stesso ritmo di prima.

Edvin si inumidisce le labbra con la punta della lingua, poi fa un sospiro profondo per non lacerarle la gola e lasciarla tranquilla.

È lì solo per guardarla dormire.

Le paranoie sembrano inghiottirlo di nuovo.

L'amore è sbagliato perché il mondo si è riempito di persone. Sono troppe, davvero troppe, e quelle contagiate dal virus sono destinate all'immortalità, sebbene non se ne parli molto. Non possono esserci nascite, se non ci sono anche delle morti, e questo ha portato il globo al collasso e hanno dovuto inserire delle regole rigide per evitare di peggiorare la situazione. 

L'esperimento è sfuggito al loro controllo. 

Renderlo proibito, però, lo rende anche più eccitante. Tanto che forse vorrebbe provarlo sulla propria pelle, se solo l'idea di sfiorare qualcuno o lasciarsi toccare non lo traumatizzasse tanto.

È l'ossessione che lo morde e distrugge a bloccarlo. Respira ed esce dalla stanza, non ha bisogno di lei, non ha bisogno del suo sangue e non vuole sentirsi in quel modo: come se stesse facendo qualcosa di sbagliato.

È ormai l'alba quando Edvin raggiunge le ragazze rinchiuse nelle gabbie.

Dormono quasi tutte, solo una di loro è sveglia. Ha le ginocchia strette al petto e trema per la paura, non riesce a prendere sonno perché il terrore scorre in ogni vena.

Edvin si avvicina alle sbarre, infila la chiave nella gabbia per entrare al suo interno, si sforza di non fare troppo rumore con il meccanismo che la sblocca. 

Lui tiene le chiavi. Non è più dal lato sbagliato. Non è più prigioniero.

«Come mai sei già in piedi?», le domanda con tono calmo, prende posto sul bordo del piccolo e scomodo letto all'interno di quello spazio claustrofobico. Le coperte sono rigide e pruriginose, il materasso è duro.

La vittima si sposta rapida, quasi a cercare di farsi più piccola e scomparire. Terrorizzata da quello che è il suo aguzzino, l'unico oltre a Ayar – loro non sanno di Kilian, non sanno niente.

Non risponde, com'è ovvio che sia, prende solo a singhiozzare trattenuta per bloccare il pianto.

C'è decadenza e distruzione, lì. E poi null'altro.

Forse solo i ricordi dei vecchi lamenti che rimbombano nei corridoi.

A Edvin sembra di sentire ancora degli strilli ingabbiati fra i viali in cui si perdono i sogni, le memorie incasellate delle anime distrutte, i battiti dei cuori che hanno smesso di danzare nelle loro gabbie. 

C'è un cuore in più che batte, lì. 

Non sono solo cinque. Sono sei.

Oltre al suo, chiaro. Il muscolo che gli batte ancora nel petto, i movimenti che il virus non ha ostacolato. 

Hanno cercato di spegnere gli umani. Iniezioni dolorose sottopelle con lo scopo di renderli passivi, deboli e di farli morire nell'arco di qualche giorno.

Il risultato è stato l'esatto opposto, non è mai venuto alla luce il perché. Non hanno guadagnato il privilegio della morte, ma la condanna dell'immortalità. 

E non vivono spenti, senza emozioni. Il mondo ferisce anche dopo secoli trascorsi nel buio. 

«Ho una proposta per te», Edvin tenta di ridestarsi dai pensieri che lo ossessionano quella notte e spera che lei lo ascolti. Non vuole essere crudele. «Se mi dai il tuo sangue senza protestare e ti lasci fare due forellini sul collo, piccoli piccoli, tanto che la ferità non ti brucerà neppure, posso procurarti ciò di cui hai bisogno.»

Silenzio e lacrime, singulti fragili e schiocchi di vertebre e illusioni, poi la donna si sforza di rispondere. «Tu non sai di cosa ho bisogno. Devo andare via da qui.»

«Credimi, lì fuori ti farebbero di peggio, te lo strapperebbero via», dice Edvin, e inclina il capo con aria lugubre, tanto che l'altra rabbrividisce e quasi sanguina dagli occhi. Le sue dita raggiungono il ventre della donna. Lei ha così tanta paura che rimane immobile e lo supplica con gli occhi di avere pietà, di non farle del male.

Edvin sorride. «Sei stata fortunata a essere lì, ieri. Il sistema avrebbe fatto di peggio. Noi possiamo aiutarti.»

È debole, è facilmente manipolabile. Ha bisogno d'aiuto, e le conviene stringere un patto e stipulare accordi con il suo carceriere. «Quando sarà il momento ti aiuterò a fuggire», aggiunge, visto che l'altra non sembra intenzionata a pronunciare una sola sillaba. «Se lo dici a qualcuno sarete morti entrambi.»

La donna sobbalza. Sul suo cartellino, il numero stampato è centoventiquattro.

«T-tu come fai a saperlo?», osa porre quella domanda.

«Sento il suo cuore battere», sospira Edvin, e sembra quasi stanco e distrutto. Piegato alle conseguenze, alla vita e agli ordini. Impassibile di fronte alla pronuncia di ricatti sterili e patti stipulati con l'icore.

Decifrare le sue emozioni è quasi impossibile, non riesce nemmeno lui a dargli un nome.

È stanco, forse ha solo bisogno di essere libero.

Ora più che mai, la salvezza gli pesa terribilmente.

Effetto LuciferoWhere stories live. Discover now