10. Pungersi con le spine

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Knabe sprach: Ich breche dich,
Röslein auf der Heiden!
Röslein sprach: Ich steche dich,
Daß du ewig denkst an mich,
Und ich will's nicht leiden.

Il ragazzo disse: io ti colgo,
rosellina di brughiera.
La rosellina disse: io ti pungo,
così penserai a me sempre,
non sopporterò che tu mi colga.

Goethe - Rosellina del prato/Heidenröslein


Ayar si sveglia quando Edvin smette di guardarla, ha la sensazione di sentirsi incompleta e depressa, giù di morale. Aspetta un po', in attesa che quella strana percezione della vita l'abbandoni in fretta, ma quando è trascorsa mezz'ora e sente dei passi in corridoio decide di alzarsi.

Apre la porta, cerca Edvin con lo sguardo. Ha le spalle tese, il collo invaso da disegni neri sul bianco abbassato, quasi senza forze. Cammina come un'anima in pena, una vittima tenuta in vita solo dal sadismo del suo carceriere.

«Edvin, vieni? Voglio parlare. Voglio sapere qualcosa dei tuoi ricordi, chi eri prima di arrivare qui.»

Edvin si irrigidisce a quella richiesta, sta per lasciarla sola senza fornire risposte, ma Ayar lo trattiene, le sue dita cercano la sua mano e lo tira all'interno della stanza, chiude la porta e appoggia la schiena contro il legno, quasi come se credesse di poterlo davvero trattenere lì con la sola presenza di quel corpo minuto e disarmato. Se Edvin volesse uscire lo farebbe, ma si trattiene.

«Tu ricordi chi eri prima di arrivare in questo posto?», chiede, perché non è sicura di questo. I ricordi vengono resettati, quando li perdi è tutto finito, e Ayar vuole sapere se l'ipnosi di Kilian funziona davvero e un giorno avrà ogni pezzo al posto giusto. Ha l'umore nero, quella notte, e non sa nemmeno perché.

«Sì, ricordo tutto.»

«Perché non ti hanno mai cancellato la memoria o perché hai ritrovato ogni istante?»

«Kilian può farlo davvero, Ayar. È questo che vuoi sapere?»

Ayar vorrebbe avere il suo talento nell'anticipare mosse, prevedere pensieri che non ha pronunciato ad alta voce. Annuisce, quasi meccanica. «Mi racconti la tua vita? Voglio sapere cosa ricordi del passato. Non sei molto più grande di me, se ricordi tutto vuol dire che sai anche com'è successo tutto questo casino. Ho ricordato un momento felice, con Kilian. Quando avevo una famiglia, quando non ero da sola.»

Edvin legge nelle sue ultime parole la malinconia di una vita grigia e silenziosa. La comprende, quelle parole lo feriscono proprio perché non può fare a meno di notare quanto siano simili e diversi al tempo stesso. Ha sentito quegli stessi pensieri pesare, ed è come parlare con una piccola parte di sé quando ha lei davanti. C'è empatia fra loro, ed è una sensazione nuova e strana. Non si è mai sentito simile a un altro essere umano. C'è stato un periodo in cui non era solo, anche se questo non bastava a renderlo felice. E sì, ricorda com'è cambiata la situazione, ma non crede che lei sia pronta ad ascoltare.

Edvin si siede sul bordo del letto, le pupille perse lontano, come se non la vedesse affatto.

«Il primo ricordo che ho riguarda mio padre», dice, più a se stesso che a lei. «Avevo tredici anni, credo. Lui e mia madre avevano litigato e c'era nell'aria l'odore di cibo bruciato. Era un tanfo nauseante, mi dava il voltastomaco. Papà era tornato da lavoro e si era arrabbiato con mia madre.»

Ayar abbandona la porta per sedersi al suo fianco. Piano, quasi con il terrore di risvegliarlo da quella calma che non gli appartiene.

«Quando si arrabbiava era un cazzo di casino», la voce gli si abbassa appena, diviene tremolante. Edvin sembra vulnerabile, fragile, ed è la prima volta che mostra quel lato ad Ayar.

Effetto LuciferoWhere stories live. Discover now