16. Lo senti anche tu?

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"Per le allucinazioni dell'isteria, della paranoia e per le visioni di persone sane di mente, posso dare la spiegazione che esse di fatto corrispondono a regressioni, vale a dire sono pensieri tramutati in immagini, aggiungendo che subiscono questa trasformazione soltanto i pensieri intimamente connessi con ricordi repressi o rimasti inconsci."
Sigmund Freud

Kilian, lo senti?

Kilian lo sente, anche se vorrebbe essere sordo. Rinuncerebbe all'orecchio – ma non a fare musica, un po' come Beethoven – pur di non ascoltare quei suoni. 

Il gracchiare dei corvi dalle piume d'ossidiana, lo svolazzare nel cielo plumbeo di una notte scesa sul mondo mentre il sole dorme. I rami degli alberi in crescita verso il cielo, quasi una magia, una profezia antica che si risveglia e percorre la distesa azzurra con la contorta forma delle nuvole.

Ombre oscure fuori dalle mura sicure che lo ingabbiano. Una minaccia, un pericolo da cui fuggire e non voltarsi più indietro per non perdere la sanità mentale. Un orrendo mostro pronto a divorare ogni traccia di bellezza e oscurarla con il tanfo di un abominio proveniente da chissà quale abissale angolo del mondo. Scheletri che si allungano e che danzano sulle loro ossa, fra un gracchiare di vertebre e sogni che s'infrangono come cristalli al suolo.

Li hanno scoperti.

Il sistema sa tutto. Sa che lui è ancora vivo, sa che ha rapito Edvin, sa che Ayar è stata manipolata e plasmata per essergli utile. Per servire la nobile causa di riscattare l'umanità dimostrando quant'è istintiva la mente umana e quanto il controllo ossessivo e le leggi non possano privare un individuo della sua vera essenza. 

Possono trasformarlo, ma i suoi studi dimostrano che c'è una piccola parte in ogni persona intaccata dalle influenze esterne e dalle esperienze. L'anima non può essere modificata.

Lance l'ha dimostrato.

Avverte un sibilo proveniente dall'esterno dello studio. Chiude a chiave, spostando la scrivania contro la porta. Apre il cassetto al centro di essa per tirare fuori una pistola e riempire il caricatore di proiettili, la impugna con le dita che tremano e gli occhi vuoti, persi in un incubo.

Kilian ha paura.


Edvin ha impiegato ben quindici minuti a chiudere ogni porta e finestra, ogni angolo della casa è stato setacciato e reso sicuro.

«Cazzo, cazzo, cazzo», mormora a ripetizione, confuso, la testa che gli esplode per il modo in cui i pensieri sfrecciano, le paranoie si rincorrono e si azzannano, si divorano e crescono a dismisura. È una grossa torre di demoni e scheletri. Una piramide che cela sangue e orrori immondi. 

Il terrore gli scorre nelle vene e non lo lascia respirare. Fa un altro giro con la chiave nella serratura, certo di aver chiuso bene l'ingresso, eppure continua a non sentirsi al sicuro. Ogni scelta sembra inutile, ogni azione appare insignificante alla loro sopravvivenza. 

Non può proteggerla per sempre, non può badare nemmeno a se stesso. Il nemico è grande, immenso e abominevole, e Edvin si sente schiacciato dal suo peso. Ha un circo aggrovigliato di deliri e follia dentro la mente, carillon che suonano amare melodie appartenute a un passato frammentario e incoerente, ballerine in equilibrio su punte di gesso e mai stanche di ruotare all'infinito nella stessa gabbia, felici di avere quantomeno della musica sempre pronta ad accompagnare i loro passi invisibili e leggeri.

C'è qualcosa che non va.

Edvin, lo senti anche tu?


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