14. Kilian

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Attenzione! Il capitolo potrebbe risultare disturbante
Mi dissocio dai pensieri e dalle azioni dei miei personaggi. Non condivido quello che fanno.


"È caratteristico della perversità dell'umana natura respingere ciò che è ovvio e a portata di mano per ciò che è remoto ed equivoco."
Edgar Allan Poe


L'amore per l'arte non ha confini.

È una macchia amorfa, un intruglio di acidi e sostanze differenti che potrebbero scoppiare da un momento all'altro, frantumare l'ampolla e dividersi in cocci che tagliano. Kilian ha sempre guardato l'arte con delle strane sensazioni attorcigliate alle viscere. Quasi con terrore, quasi con la paura di rovinarla per un respiro troppo vicino alle tempere. Quasi con senso di soffocamento e voglia di morire, paralizzato di fronte alla bellezza, e chissà che non si tratti di una strana sindrome che causa brividi, capogiri, nausea. Un malessere diffuso e contorto, un luccichio negli occhi incantati.

Kilian non sa a cosa sta andando incontro, non può immaginarlo. È una notte estiva e calda che appartiene al passato, a troppi anni prima. Un tempo così lontano che quasi i ricordi sono sbiaditi, se non fossero tanto belli da essere per forza intrappolati in un cassetto della sua memoria. Un archivio che apre ogni volta che ne ha bisogno, ogni volta che non riesce a fuggire dai vizi e si nasconde negli attimi passati che ha intrappolato lì per riviverli all'infinito. È per questo che i ricordi per lui sono tanto preziosi: non vorrebbe mai perdere l'arte che conserva dentro di sé, quella marchiata a fuoco sulle retine, quella che mozza il respiro.

Ha cominciato ad amare l'arte grazie a una modella. Era una donna che posava per suo zio, si distendeva sul divano del soggiorno, nuda, i seni bianchi e piccoli, linee morbide e delicate, i capelli erano fili di seta e sangue che colavano in disordine sulle spalle, e poi gli occhi: pietre d'antracite, un grigio di nubi e nebbia, fumo e cenere.

Suo zio amava dipingere lì, era il luogo in cui si sentiva più ispirato. La luce filtrava dalle grandi vetrate e illuminava l'ambiente, schiariva le ombre e alleggeriva i tratti, rendendoli più morbidi e meno spigolosi e crudeli.

Kilian seguiva la punta del pennello con lo sguardo, la vedeva tracciare forme, sfumare colori, mescolarli insieme sulla tavolozza per ottenere sempre nuove sfumature, nella ricerca costante della perfezione. E poi guardava lei, e si perdeva a fissarla, e si chiedeva perché fosse proprio quello il soggetto di quei quadri.

Se l'era chiesto a lungo, vedendola posare vestita o nuda, mentre il tempo scorreva e rimaneva l'unica che suo zio volesse dipingere, alla ricerca disperata dell'opera perfetta.

Come se la perfezione fosse davvero raggiungibile.

Kilian ha imparato che non è sempre possibile, talvolta ci si deve arrendere un passo prima per non creare ghirigori confusi e perdersi in intrecci labili.

Suo zio aveva perso il senno mentre andava alla ricerca delle linee migliori.

Kilian l'aveva perso a sua volta, volenteroso d'entrare a far parte di quel progetto, di creare dell'arte. E allora, nel tempo, ci aveva provato. Aveva cercato di disegnare, ricordando ogni dettaglio a memoria, riportandolo su fogli stropicciati, ma senza mai arrivare neppure a un risultato decente.

Il disegno non ha mai fatto per lui, anche se negli anni ha appreso altre arti, ha imparato a suonare il pianoforte e creare note e melodie diverse, rallegrando o rattristando l'atmosfera, governandola come solo chi si occupa di musica sa fare.

Effetto LuciferoWhere stories live. Discover now