27 - Rimani

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Rimani! Riposati accanto a me.
Non te ne andare.
Io ti veglierò. Io ti proteggerò.

Ti pentirai di tutto fuorché d'essere venuto a me, liberamente, fieramente.
Ti amo. Non ho nessun pensiero che non sia tuo;
non ho nel sangue nessun desiderio che non sia per te.

Lo sai. Non vedo nella mia vita altro compagno, non vedo altra gioia
Rimani.
Riposati. Non temere di nulla.
Dormi stanotte sul mio cuore...
(G. D'Annunzio)

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La palestra del liceo Karasuno era nuovamente riempita da urla, dal fischio delle scarpette che scivolavano sul linoleum arancione e dai sonori schiocchi che le mani della squadra di pallavolo emettevano quando i ragazzi colpivano la palla.

Nonostante la partitella fosse ormai agli sgoccioli — mancava solo un punto e poi l'allenamento si sarebbe concluso — Tobio era più sveglio che mai: i suoi occhi saltavano da un angolo all'altro della palestra, tenendo sotto controllo la sfera di cuoio sintetico che veniva schiacciata a destra e a sinistra della rete con una velocità tale che sarebbe stata in grado di dare la nausea a chiunque non fosse allenato come loro.

Ma il ragazzo era come un corvo nel cielo, e — avvolto nella nella sua uniforme color della pece — scattava con agilità direzionando alzate inquietantemente precise, così lontane dal caos che regnava sovrano nelle quattro mura del suo cervello.
Se solo avesse avuto la stessa precisione anche nella mente!

La palla gli arrivò fra le mani, imprecisa, tuttavia, lui riuscì a regalare un'altro passaggio davvero buono alla squadra. La alzò in alto, leggermente a sinistra, e, come ogni volta, Hinata si levò in aria sotto lo sguardo vigile di Kageyama, riempiendo i suoi occhi blu con le ciocche color tramonto ribelli e svolazzanti, fendendo come un corvo nella sua uniforme nera e arancione, immobilizzandosi sopra la rete per un attimo infinitesimale eppure eterno, troppo corto perché il moro riuscisse a pensare ma lungo a sufficienza perché quell'immagine si scolpisse a fuoco nella sua mente.

Fu allora che Tobio capì: lo aveva perso, aveva perso il suo sole. Era inarrivabile, lo era da sempre, quel dannato mandarino che tanto lo faceva penare. Era inarrivabile non perché non possedesse il suo talento, quello certo non gli mancava: ciò che non aveva era la sua capacità di rialzare sempre il capo, che era sufficiente a compensare quella lacuna lasciandola ricolma di movimenti imprecisi ma efficaci molto più di quelli del corvo.

Si godette il momento di massima elevazione del compagno, ammirandolo. Non si era mai reso conto di quanto fosse bello, non si era mai reso conto di quanto fosse distante dalla sua perfezione macchinosa così dannatamente imperfetta al confronto con la stella brillante che splendeva sopra di lui.

Si era davvero lasciato trascinare dalla paura ingiustificata? Aveva davvero creato un danno irreparabile al neonato rapporto che aveva costruito con Shoyo?

Cadde la palla nel campo avversario, e Hinata tornò a terra con un tonfo. Un fischio di Ukai, e i ragazzi furono nello spogliatoio a parlare della partitella appena conclusa.

Kageyama rimase nella palestra, solo, insieme al rosso. Cercò il suo sguardo, ma lui rifuggiva le pupille ogni volta che l'altro provava a incatenarle nell'oceano profondissimo e blu scuro dei suoi occhi. Cercò le sue mani, le sue dita, il tocco delicato che gli apparteneva e del quale la pelle del più alto ancora ricordava il tepore e la dolcezza, ma lui non glielo concedeva — non tanto per un qualche pudore di tempi andati, no: lo stava ignorando di proposito, lo riteneva indegno delle proprie parole e stava facendo la scelta cosciente di tacergli i suoi sentimenti.

𝚂𝚞𝚗-𝚔𝚒𝚜𝚜𝚎𝚍; kagehina (in corso)Where stories live. Discover now