2 - Ed è subito sera

249 35 63
                                    

Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.
(S. Quasimodo)

────── -ˋˏ ✉︎ ˎˊ- ──────

La giornata fu lenta. La noia affliggeva la mente di Tobio, impedendogli di seguire le lezioni, tanto queste cose già le so, si ripeteva.
L'unica cosa che gli permetteva di restare sveglio era la sua penna: scriveva, scriveva, scarabocchiando pensieri sulla carta quadrettata del quaderno di matematica, dando inizio a nuove storie a partire da una singola parola.

Non era mai stato particolarmente loquace, a meno che non fosse attraverso la lingua scritta: a voce era taciturno, ma attraverso la sua penna riusciva a trasmettere i suoi pensieri e idee, la rabbia di non riuscire ad alzare la palla bene, il disgusto nei confronti di coloro che non amavano ciò che facevano.
Perché buttare il proprio tempo facendo qualcosa che non si ama? L'amore per ciò che si fa deve essere assoluto, in caso contrario si finisce per togliere spazi a chi possiede una passione vera. Se non hai voglia di migliorare e di imparare a schiacciare le mie alzate, chiudi il borsone e torna a casa: non ho tempo da perdere con te.

- Kageyama, è l'ennesima volta in due settimane che devo richiamarti. Devo riferire al club di pallavolo di non accettarti per avere la tua attenzione? -
Una voce stizzita lo riscosse. Merda, è ancora lezione. - Almeno è un miglioramento, rispetto alle pennichelle che normalmente riservi alla mia ora. -
Mormorò delle scuse false come plastica alla professoressa e tornò a scrivere sul quaderno disastrato.

"Ognuno sta solo sul cuor della terra, //trafitto da un raggio di sole: // ed è subito sera."
Aveva letto quelle parole in un libro di poesie, e si erano impresse nella sua mente a fuoco, tanto da fargliele scrivere su qualsiasi pezzo di carta gli capitasse sotto mano, incluso uno straccetto di cartoncino colorato.
Sul davanti riportò il breve componimento — non era mai stato un'amante della poesia ermetica, per lui la parte migliore della lettura era il crescendo d'intensità fra i versi — e dietro scrisse le sue riflessioni sul significato.

"Ognuno sta solo sul cuor della terra..."
Nonostante siamo circondati da nostri simili non siamo mai uniti, no, l'essere umano è solo, in ultimo, è privo di connessioni con gli altri perché — non potendo nemmeno accettare i propri difetti — non accetterà mai quelli dei propri simili.

"Trafitto da un raggio di sole:"
Chissà che ne è stato di quel mandarino che conoscevo alla scuola materna. Come si chiamava?

"Ed è subito sera."
Moriamo prima di accorgercene, eh? Me lo ricordo, il vecchio Ukai, me lo ricordo di come faceva per muoversi allo stesso modo di quand'era giovane, ma prima di riuscirci si trovava con la schiena o il ginocchio doloranti. Bah. Io non ho intenzione di sprecare la mia vita stando dietro a dei marmocchi.

La professoressa lo richiamò ancora, minacciandolo di leggere a tutti quelli che stava leggendo, iniziando a rivolgergli l'ennesima filippica sull'importanza dell'inglese nella vita di tutti i giorni e facendolo borbottare come una pentola piena zeppa di fagioli. Sospirò, sconfitto, e attese la fine della lezione per andare in biblioteca durante la pausa pranzo.

Passarono ancora delle ore prima che potesse mettere finalmente piede nella palestra del Karasuno. Il suono della campanella gli fece chiudere di botto il libro che stava leggendo utilizzando il cartoncino colorato e malconcio come segnalibro. Alzò i tacchi e sfrecciò verso la minuscola costruzione, dove dei ragazzi stavano già accendendo le luci.

Un po' se la stava già pregustando, la sua entrata trionfale: i suoi passi erano leggeri ma decisi, il mento puntato verso quel cielo che raggiungeva con le due alzate, la luce del sole intensa che feriva leggermente le sue iridi color mirtillo; ogni cellula del suo corpo era un canto all'orgoglio, melodioso ma incapace di ascoltare voci altrui.

Prima che se ne potesse accorgere, però, si ritrovò con il viso che puntava l'asfalto, invece di sfidare il sole, a cinque centimetri dal terreno dopo essere stato spinto e fatto cadere.
- Si può sapere che cazzo...? - iniziò a lamentarsi, stizzito.
Appena vide chi lo aveva sbalzato a terra, però, ammutolì, l'ombra della sua sicurezza cancellata dal brillante sole di una chioma aranciata.

- Scusami! Non ti avevo visto, sai? Non perché sei basso, però — anche perché qui quello basso sono io, — solo perché oggi iniziano gli allenamenti della squadra di pallavolo e sono così gasato! Anche tu sei qui per la pallavolo? O sei del club di scrittura? In effetti, sembri davvero il tipo che scrive, ma — se sei interessato a quello — devi andare in biblioteca! E poi... -

Dio, ma che ha da gridare questo qui? si disse il povero Tobio, riverso a terra. Davanti ai suoi occhi c'era una mano piccola e rosea piena di calli e sbucciature, e dietro di essa un viso paonazzo che sputava parole senza nemmeno fare una pausa tra una e l'altra.
Il moro liquidò l'aiuto con un gesto di sufficienza.

- Fai più attenzione, la prossima volta. Io sono il futuro alzatore della squadra di pallavolo. -
- Uaaaaaaaaaaaaaaao! Alzatore? - urlò il rosso. - Preparati ad alzare le mie fantastiche schiacciate, allora! -
- Ah, sì? Tu, con la tua altezza di un metro e una mela, pensi di  poter schiacciare? -
- Ehi, non insultarmi! Guarda che io... -

Si stavano già urlando a vicenda, quando un ragazzo dai capelli color cenere e due occhi grandi e scuri si intromise: - Voi due, smettetela di discutere, va bene? Se siete qui per il club di pallavolo, andate avanti ed entrate nella seconda porta sulla sinistra: là ci sono gli spogliatoi, cambiatevi ed entrate in palestra. E provate a non litigare, per favore. -
Il moro sbuffò. - Ad ogni modo, io sono Tobio Kageyama. Vedi di essere all'altezza delle mie alzate, coglione. -
- Shoyo Hinata. E sulle mie schiacciate, tu, ci potrai scommettere. -

Shoyo? Gli occhi blu del più alto si adombrarono leggermente mentre si dirigeva verso gli spogliatoi. Shoyo, capelli rossi, parlata troppo veloce... C'era qualcosa che cercava di riemergere dalla sua memoria, ma non riusciva ad individuare che cosa. Forse qualche ricordo di quando era bambino, forse il figlio di qualche collega dei suoi genitori: non lo sapeva. Scrollò le spalle scacciando via i pensieri ed entrò in palestra, seguito a ruota dal rosso.

Per la prima volta, però, Kageyama non si annoiò durante l'allenamento: i membri della squadra erano davvero validi, sembrava amassero la pallavolo almeno quanto la amava lui.
E quello Shoyo, oh, se fu in grado di fargli sgranare gli occhi: aveva delle lacune abbastanza evidenti sulla tecnica, ma la sua dedizione era qualcosa di straordinario.
Correva, saltava, urlava senza sosta, ripeteva ogni singola azione allo stremo finché non gli veniva bene — e una volta che accadeva, continuava a provarci finché non gli veniva tre volte consecutivamente.

Prima che se ne accorgesse, però, l'allenamento era finito ed il buio si era disteso con la sua ombra sulla città.
Il moro fu taciturno: senza rivolgere la parola a nessuno, nemmeno a se stesso, si cambiò, fece la borsa e si avviò a casa, confuso da quell'idiota iperattivo, dai suoi modi e dalla sensazione familiare che aveva fissando i suoi occhi color cioccolato.

I capelli aranciati del più basso erano stati un sole infuocato, acceso, luminoso e bellissimo, sotto le luci ben poco poetiche di quella palestra. E il corvo, che da sempre si sentiva solo, ne era rimasto accecato, incantato, ipnotizzato.
Il corvo, da sempre solo sul cuore della terra, era stato per la prima volta trafitto dal sole. Tuttavia, prima che se ne potesse rendere conto, era stata subito sera.

┌────── -ˋˏ ✉︎ ˎˊ- ──────┐
»» spazio autrice ««
buon 2021, biscottini!! eccovi qui
un nuovo capitolo della kagehina
per iniziare l'anno in bellezza con
questi due dolcetti 💕 spero che
il vostro 2021 sia iniziato bene!
a presto con il prossimo capitolo!
└────── -ˋˏ ✉︎ ˎˊ- ──────┘

𝚂𝚞𝚗-𝚔𝚒𝚜𝚜𝚎𝚍; kagehina (in corso)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora