5 - La sua sera

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Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle.
(G. Pascoli)

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- Ragazzi... - iniziò a parlare Sugawara, un'espressione stanca ma dolce dipinta sul suo bel viso. - Io lo capisco, quanto può essere difficile andare d'accordo con i propri compagni. E capisco anche che siano i primi allenamenti, quindi può capitare di non essere subito in sintonia. -
Kageyama e Hinata, rimasti soli con lui nello spogliatoio dopo l'allenamento, si guardarono in cagnesco.

- Però voi due... Voi due potreste fare delle azioni davvero fantastiche, se smetteste di bisticciare per ogni minimo disaccordo! - terminò esasperato il maggiore.
Poi si avvicinò con un sorriso vagamente malizioso ai visi degli altri due, guardandoli negli occhi a lungo come se dovesse ispezionarli: - E poi, anche se gli altri forse non se ne sono accorti, io ho notato tutta l'intesa che c'è fra voi due. Ma, miseria, non capisco se siete troppo ciechi per vedere quanto siete in sintonia o troppo orgogliosi per ammetterlo. -

Shoyo arrossì. - Non è vero! Kageyama è proprio tonto, io non sono mica in sincopia con questo qui! -
- Si dice sintonia, cretino! - lo rimbeccò l'altro.
- Quello che è! -
- Dai, non riprendete! - ordinò Suga, ridacchiando prima di ritornare serio. - Dico davvero, ragazzi. Per favore, siate un po' più pazienti. D'accordo? -
I minori annuirono di malavoglia.
- Beh, miei cari kohai, io vado. Non fatevi male mentre non ci sono, va bene? -
- E va bene... Ma solo se Tontobio, qui, promette di non insultarmi! -
- Basta che smetti di farlo anche tu, Scemoyo. - borbottò il moro.
- Ma insomma! -
- Giusto, giusto, non uccidiamoci. Anzi, pur di non bisticciare più, me ne vado subito. Hinata, Sugawara, a domani. -

Kageyama tornò a casa a piedi, da solo, senza riuscire ad ascoltare il podcast che usciva dalle cuffiette, il volume dei suoi pensieri troppo alto perché riuscisse a ignorarli e a ripercorrere mentalmente le azioni imprecise che aveva fatto durante l'allenamento come avrebbe fatto di solito.
C'era qualcosa, nel soprannome che aveva usato prima per Hinata — Scemoyo — che sembrava punzecchiare la parte posteriore della sua scatola cranica, come un déjà-vu che non riusciva ad afferrare ma dalla presenza inequivocabile.

Il moro non capiva cosa ci fosse un quel mandarino che lo stregava, ma non aveva intenzione di mentire a se stesso dicendosi che non amava ogni secondo che passava al suo fianco, ogni volta che gli parlava in modo così informale — come se si conoscessero da tempo immemore — ogni sorriso che gli rivolgeva, ogni volta che lo vedeva con la coda dell'occhio mentre saltellava a destra e sinistra, contento di vivere, di respirare l'aria della palestra, di colpire il pallone — seppur in modo impreciso.

Kageyama davvero non lo capiva, il modo in cui erano bastati un paio di incontri in palestra (oltre a tutte le volte che si erano scontrati nei corridoi della scuola, chiaro) a farlo entrare in completa sintomi con quel ragazzo apparentemente così diverso; a far connettere lui, un corvo solitario, anaffettivo, gelido come la notte scura custodita nei suoi occhi blu, con qualcuno che sembrava essere fatto dell'essenza stessa del sole, che sembrava condividerne la luce, l'allegria.

E davvero non lo capiva, come mai le solite tre ore di allenamento si trasformavano in tre minuti nel momento in cui Hinata lo affiancava.

Aveva rifuggito le attenzioni dei suoi genitori come ogni sera per rintanarsi nella sua camera, silenzioso come il mantello scuro della notte quando cala sulla città all'improvviso, e appena fu solo accese il computer.

Era un'abitudine che aveva preso alle medie, quella di osservare le squadre contro cui avrebbe giocato. A due soli allenamenti dall'inizio dell'anno, il coach Ukai e il professor Takeda avevano organizzato un'amichevole con una squadra della stessa prefettura, e lui aveva tutte le intenzioni di vincere quella partita. Ne andava della fiducia che Daichi, il capitano, aveva riposto in lui, facendolo diventare titolare prima ancora di conoscere davvero il suo modo di giocare.

I loro avversari erano conosciuti: erano l'Aoba Johsai, capitanata da un certo Oikawa... Oikawa qualcosa. Kageyama se lo ricordava, lui: alle medie aveva frequentato un paio d'anni nella sua stessa scuola e il maggiore sembrava averlo preso sotto la sua ala, per quanto ciò significasse prese in giro quasi costanti.
Un motivo in più per stracciarli.

Ad ogni modo, il computer ormai era acceso e Kageyama digitò nel motore di ricerca di YouTube le tre magiche parole: Aoba Johsai volleyball. Come si aspettava, si ritrovò un numero indecente di risultati, tra partite, interviste al coach o ai giocatori della squadra e clip degli allenamenti.

Ma Hinata li tinge, i suoi capelli, o sono di quel colore acceso naturalmente?
No, no, no. Doveva concentrarsi sul video della partita.
Salta davvero in alto, quel mandarino.
No, si disse. La partita.
Cercò di mettere una diga ai suoi pensieri, tentando di focalizzarsi sulle immagini in movimento dei suoi rivali in divise bianche e turchesi. Il rumore della folla, della palla che veniva passata tra sei paia di mani con una naturalezza che al Karasuno ancora non apparteneva, il suono acuto delle suole delle scarpe che strisciavano sul pavimento in parquet della palestra: era questo, quello su cui doveva concentrarsi, non certo l'aspirante schiacciatore con cui si ritrovava a giocare.

Comunque, i colori della squadra gli stanno bene addosso. Si intonano con l'arancio della sua chioma, e...
- Fanculo! - urlò improvvisamente Tobio, visibilmente frustrato. - Tanto è inutile anche solo provare a guardare uno di questi video, con quel cretino di Shoyo per la testa. Dannazione, riesce a rompermi i coglioni anche quando non c'è. -

Sbuffò. Poi, con un'espressione particolarmente contrariata stampata sul volto giovanile, decise di mettersi a letto, cercando di riposare un po' e magari evitarsi l'ennesima ramanzina per i pisolini che schiacciava involontariamente in classe.

Tuttavia, non appena spense la luce, la diga della sua mente ormai cedette: la sua coscienza iniziò a fluire libera, impetuosa e travolgente come un fiume in piena.
Decine, no, centinaia di immagini, di colori e di sensazioni invasero il fulcro dei suoi pensieri. C'erano tinte vividissime che si accendevano dietro le sue palpebre chiuse, il profumo della palestra che prendeva possesso delle sue narici, il suono della voce di Hinata che rimbombava nelle sue orecchie come il canto di un fantasma, scuotendolo fin nel profondo.

Doveva assolutamente togliersi dalla testa tutta quell'intensità, o si sarebbe ritrovato del tutto folle per l'arrivo dell'alba, e lo sapeva abbastanza bene da convincersi a tirarsi su dal letto e accendere la luce, per poi sedersi alla scrivania brandendo la sua amata penna.

Respirò profondamente, e poi si mise a scrivere.

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sarò onesta, questo capitolo non mi piace troppo, però andava messo... sto avendo un po' di problemi a scrivere questa storia, quindi potrei metterci un po' di più ad aggiornarla; comunque dovrei riuscire ad aggiornare 1-2 volte a settimana!!
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𝚂𝚞𝚗-𝚔𝚒𝚜𝚜𝚎𝚍; kagehina (in corso)Where stories live. Discover now