t w e n t y f i v e

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Passarono alcuni giorni dal mio meraviglioso risveglio da un sogno tanto realistico da farmi credere che qualcuno provasse davvero dei sentimenti del genere per me.
Devo ammettere che non fu facile, quasi per niente. Mi sentivo così debole da non riuscire ad alzare un bicchiere dal comodino, ma man mano la forza cominciò a tornare, come la voglia di scendere in campo e schiacciare la palla a tutta velocità.
Tornai a casa, incredibilmente vuota e spoglia, e ricominciai la mia vecchia vita, salvo l'amata compagnia di mio padre.
Non riuscivo ancora a superare tutto quel dolore, ma nemmeno volevo mostrare a tutti quanti fossi penosa.
Non mi serviva la compassione di nessuno, sarei stata solo ripetitiva e agli occhi di tutti sarei apparsa come "la povera ragazza a cui è morto il papà"; quindi si tornò a sorridere per l'apparenza.
Proprio come nella mia "vecchia vita".
Per quanto riguarda la questione di Katō Fuyumi, non le rivolsi più la parola. Secondo la legge ero affidata a lei, ma ovviamente non si fece viva e mi lasciò sottintendere che non sarebbe cambiato nulla dal passato. Aveva almeno la decenza di pagarmi la sopravvivenza, questo lo ritenevo un grande cambiamento.
Alla fine questo era il mio sogno, no?
Vivere da sola, facendo a modo mio.
No...?
No.

Quanto mi sbagliavo.
Ora sentivo il bisogno di avere una compagnia più forte che mai, però l'unica soluzione era reprimere il sentimento.
Cosa mi aspettava appena uscita dall'ospedale già lo sapevo, però speravo tanto di scamparlo questo evento.
Il nome del mio coach e quello della squadra, Ishikawa Fumihuro, diventò famoso insieme al mio, quindi se chiedevano un'intervista a me, chiavano lui.

C.Ishikawa«Akira, parliamoci chiaramente, come i due adulti che siamo» mi disse un pomeriggio, dopo che le ragazze finirono il loro allenamento che io andai a vedere. Nella palestra c'eravamo solo noi due, separati da una scrivania bianca di uno stanzino che avevo visto ben poche volte.
C.Ishikawa«Dopo che hanno visto che sei mancata alla partita contro il Fukorodani, e tutto il Giappone contava sulla tua presenza in campo, è scoppiata la bufera. Mi sono arrivate e stanno continuando ad arrivare troppe telefonate, troppi giornalisti vogliono un'intervista per capire che cazzo sta succedendo».
Il coach era appena sulla trentina, anche se il suo aspetto e il suo carattere lo portavano ad avere un comportamento giovanile.
C.Ishikawa«Ormai tutti hanno capito che c'è qualcosa che non va con il loro fenomeno, sei sparita per un mese e l'unica informazione che sono riusciti a strappare è che tu stavi in ospedale»
«Lo so coach, so cosa mi sta chiedendo»
C.Ishikawa«Ma ricorda che non te lo sto imponendo. Sono al corrente del tuo profondo odio verso i media»
«Li odio perché non provano un briciolo di sensibilità».
L'uomo sospirò rumorosamente e mi guardò in attesa di una risposta.
«Va bene, faremo quell'intervista. Ma sappia che non ho intenzione di tenere la bocca chiusa, non più. E non si aspetti che risponda ad una sola domanda di quei merdosi»
C.Ishikawa«Forse la tua onestà aiuterà».
Ci alzammo entrambi dalle sedie e l'allenatore andò ad aprire la porta per poi tenerla aperta.
Sorprendentemente, era un galantuomo.
Rientrammo nell'enorme quanto classica palestra e il silenzio era rotto dai cigolii delle scarpe che emettevano contro il pavimento lucido.
C.Ishikawa«Akira, se appena ripresa vorrai tornare a giocare, tutta la squadra ti aspetterà a braccia aperte. Hai ancora le chiavi, quindi puoi venire quando vuoi in questo arco di tempo.
Anche se non è ancora il momento del tuo ritiro»mi mise una mano sulla spalla e sorrise riconoscente «devo ringraziarti per tutti i tuoi sforzi e tutti i risultati che ci hai regalato. Siamo famosi grazie a te»
«Coach, una squadra è formata da molto più di un giocatore. Non dovrà ringraziare solo me, ma tutte le mie compagne.
La squadra più forte rimarrà sempre quella più unita e stabile.
Se oggi noi lo siamo, è merito suo».

Esattamente quattro giorni dopo, era arrivato il momento di quell'odiosa intervista nazionale.
Mi ero vestita meglio del solito, e lo stesso fece il coach. Vederlo in camicia e giacca anziché tuta da ginnastica faceva uno strano effetto.
Tutti quei microfoni puntati, quelle telecamere enormi che filmavano ogni angolazione, ma soprattutto, la marea di reporter gasati, stavano creando in me una situazione di profonda inquiete e frustrazione. Però era arrivato il momento, dovevano capire finalmente chi fossi.
Feci un respiro profondo e guardai tutto il pubblico, quindi subito i cameraman iniziarono a girare.
La cosa terribile, era che fosse una diretta streaming. Tutto quello che avrei detto non poteva essere tagliato, editato o cancellato del tutto.
Le parole che avrei detto questa volta, sarebbero rimaste indelebili.
«Parto col dire che non mi sto ritirando dalla carriera di pallavolista. Il mio obiettivo rimarrà sempre quello di entrare nella nazionale e arrivare ben oltre. Però mi sto sicuramente prendendo una pausa dalle attività sportive».
I flash delle telecamere mi abbagliavano la vista tanto da dover parlare con gli occhi leggermente socchiusi.
«Il motivo è per riprendermi del tutto da questo stato di debolezza fisico ed evitare futuri infortuni sul campo.
Ora tutti voi che siete riuniti qui oggi, vi starete chiedendo perché in realtà io stia facendo tutto questo.
La verità è che sono stata ricoverata per circa un mese in ospedale per coma dovuto ad un mio tentativo di suicidio.
Non è di certo qualcosa di cui vado molto fiera, ma noi esposti alla società non siamo solo l'immagine che proiettano allo schermo, non siamo la figura perfetta che siamo in campo.
Per questo, preferisco raccontarvi un po' di verità. Non la verità di una pallavolista, la verità di un essere umano.
Il mese scorso mio padre è deceduto a causa di una grave malattia nata da una precedente situazione problematica in famiglia. Nemmeno mi ricordavo in realtà di essere arrivata vicino alla morte, però è successo.
E in tutto questo, io sono ancora in lutto. Mi sono svegliata una decina di giorni fa, quindi preferirei che non mi facciate ulteriori domande su questo delicato argomento.
Tornerò in campo, questo è sicuro. Amo troppo questo sport per fermarmi a questo punto.
E poi, devo mantenere l'ambizione di mio padre, Katō Fujimaro.
Ho detto tutto quello che dovevo dire, ringrazio tutti i presenti per aver partecipato».
Abbassai di poco la testa come inchino, per poi rialzarla e guardare tutte le persone davanti a me.
Tutte, dalla prima all'ultima, avevano un'espressione semplicemente esterrefatta, ad alcuni cadde anche la penna di mano appena finirono di ascoltare le mie parole.
Finalmente.
Finalmente si erano resi conto di come erano stati insolenti.
L'intervista proseguì con altre domande che erano unicamente in ambito sportivo. Stranamente, ero riuscita a sensibilizzare quei cuori di ghiaccio.

Angolo autrice
Ragazzi
il capitolo parla da solo.
Vi dico solo che il prossimo,sarà l'ultimo.
Alla prossimaaa

𝑂𝑟𝑎 ℎ𝑎𝑖 𝑚𝑒 𝑎𝑙 𝑡𝑢𝑜 𝑓𝑖𝑎𝑛𝑐𝑜 -Oikawa Toru-Onde histórias criam vida. Descubra agora