17. Dating and Forgiveness

451 27 37
                                    

instagram: lunatiepida

L'appuntamento con Willie era andato piuttosto bene.
Ma era stato un appuntamento?
Alex non ne era sicuro.
Sapeva solo che era tornato tardi al garage, verso mezzanotte, con i suoi amici che lo avevano guardato di sottecchi, come se avesse dovuto immediatamente dargli delle spiegazioni.
Per un momento, al batterista era sembrato come se lui fosse il figlio ritardatario e incosciente, mentre Luke, Reggie e Bobby, fossero i genitori apprensivi.
«Ci hanno cacciato dal festival.»
Aveva quindi asserito il frontman.
«E stiamo preparando un piano per imbucarci.»
Spiegò il bassista subito dopo.
Ma successivamente, che Alex si era seduto sulla poltrona per sfogliare la rivista Rolling Stone - con gli occhi degli altri componenti dei Sunset Curve puntati su di lui - Bobby aveva chiesto:
«Ma tu invece dove diavolo sei stato?»
E il biondo passò in rassegna i volti dei suoi amici, che avevano dipinto sulla faccia un forte sentimento di curiosità.
Così, superato l'imbarazzo iniziale, Alex cominciò a raccontare.
Per qualche assurdo motivo, aveva chiamato Willie quella stessa mattina prima di andare a scuola e dopo aver composto il numero tre volte, aver ascoltato il primo squillo per poi riattaccare, si era fatto coraggio e aveva aspettato che qualcuno rispondesse.
Poi la voce assonnata del ragazzo aveva fatto capolino dall'altra parte della cornetta e ad Alex, stava quasi per venire un infarto.
«Pronto...?»
Aveva chiesto nuovamente Willie, dopo lo strano silenzio iniziale.
«Ciao... sì scusa... ciao sono-sono Alex. Non so se ti ricordi di me...»
Disse il biondo con forte nervosismo.
Le mani gli sudavano.
Non sapeva proprio cosa dire, di cosa parlare.
La sua mente continuava a ripetergli, che avrebbe fatto la figura dello stupido.
«HOT DOG! Come va? Pensavo fossi troppo impegnato per chiamare lo sconosciuto che ti ha quasi ucciso.»
Scherzò lo skater, improvvisamente cordiale.
Entrambi risero.
«Allora... vuoi fare qualcosa di bello?»
Continuò il ragazzo dall'altra parte del telefono.
Alex sentì le guance avvampare e ringraziò il cielo, che nessuno fosse lì ad osservarlo.
«Cosa?»
Aveva chiesto il batterista senza pensarci troppo, ingoiando la poca saliva che aveva in bocca.
Willie sogghignò.
Il biondo pensò, che persino la sua risata fosse sexy.
«Mi hai chiamato per questo, no? Vuoi fare un giro.»
Si spiegò meglio lo skater.
«No.»
Disse di istinto Alex.
«No?»
Chiese divertito Willie.
E il batterista si sentì un idiota totale. Mise la mano sulla cornetta per non far sentire al ragazzo con cui stava cercando di avere una conversazione normale, il suo urlo sussurrato.
Poi si ricompose e asserì:
«No cioè sì, ti va un gelato dopo scuola?»
Un gelato dopo scuola? Diamine Mercer! E' davvero questo il massimo che sei riuscito a dire?
Si rimproverò Alex, arrivando dopo a pensare che a lui il gelato non piaceva neanche.
E di fatto, Willie rise ancora.
«D'accordo allora, ci vediamo per un gelato dopo scuola. A presto, hot dog
Ma prima che il biondo potesse dire alcunché, l'altro aveva già riattaccato.
Quando anche Alex, mise giù la cornetta, il ragazzo cominciò a saltare sul posto muovendosi come una furia per la contentezza.
Aveva un probabile appuntamento con un tizio super figo, che era quasi un completo sconosciuto e che aveva provato ad ucciderlo.
Eppure nonostante la sua testa provasse ad abbattere il momento felice con l'ansia, il biondo continuava a twerkare nel corridoio di casa di Bobby, facendosi film mentali.
Si ricompose all'improvviso, quando si accorse della presenza della signora Wilson che lo studiava attentamente.
Il batterista si schiarì la voce e poi spiegò:
«C'era una mosca... che girava sulla mia testa. Infatti probabilmente non era una mosca, ma... una... vespa.»
Per poi sistemarsi lentamente i capelli arruffati.
Era imbarazzato, ma la madre di Bobby continuava a guardarlo curiosa, come si osserva un esperimento di laboratorio.
Si avvicinò al ragazzo per posargli una mano sulla spalla e dirgli con voce comprensiva:
«Sono libera dalle sei alle otto se hai voglia di parlare.»
Per poi avviarsi verso la sua camera.
Di fatto all'uscita da scuola, Alex si era dileguato.
E dopo ore di ansia e paranoie aveva fatto in modo di non incontrare i suoi amici e con lo sguardo, aveva cercato Willie per tutto il parcheggio finché non lo aveva visto arrivare sul suo skate, con un sorriso furbo sulle labbra.
Insieme avevano preso una metro per arrivare ad ovest di Los Angeles, in un posto chiamato Stoner Skate Plaza.
Il moro aveva spiegato che fare skate nel parco di Venice, diventava davvero impossibile arrivata l'estate.
Troppo pieno di turisti e di gente, che non sapeva davvero salire su una tavola.
Quindi erano stati lì per un po'.
Ad Alex non ci volle molto per capire che si trovava in una di quelle zone, che i suoi genitori avrebbero evitato come la peste.
Lo skatepark era un rifugio di quartiere, con i ragazzi che si allenavano, chiacchieravano e stringevano i bulloni delle ruote, in ogni dove. Ovunque c'erano gradini, rampe, panchine e al centro una "S" distintiva, che si estendeva da un'estremità all'altra.
Willie aveva provato ad insegnare ad Alex ad andare sullo skate, fallendo miseramente.
«L'equilibro lo devi sentire qui.»
Aveva detto il moro poggiando una mano sull'addome del batterista, che si era sentito avvampare in un secondo.
Lo skater lo aveva guardato sorridendo, ma il biondo non era riuscito a sostenere lo sguardo, quindi si era schiarito la voce – come spesso faceva quando si sentiva a disagio – e poi aveva chiesto:
«Così?»
Cercando di darsi la spinta, ma dopo neanche tre secondi, cadde con il deretano sul cemento caldo.
Willie rise sonoramente, con altra gente che aveva assistito alla scena.
«Forse è meglio che ti limiti a suonare la batteria.»
Scherzò il moro prima di aiutare Alex a rimettersi in piedi.
Mani che si stringono.
Scosse di adrenalina sulla schiena.
Poi si erano seduti tranquilli per terra, mangiando una granita al limone e parlando delle leggende metropolitane più inquietanti e famose.
Alcune anche un po' assurde come quella di "Capelli perfetti" che raccontava di una donna che lavò i suoi capelli con acqua e zucchero per averli perfetti e poi, li avvolse in un asciugamano. Ma questa non si svegliò più perché un nido di ratti le mangiò la testa.
Oppure quella della Volga nera ovvero una macchina molto in uso a Varsavia tra il 1960 e il 1970. A sparire nella Volga nera sarebbero state soprattutto ragazze giovani e bambini. L'auto pare fosse guidata da preti, suore, vampiri o addirittura dal diavolo in persona.
All'ultimo racconto, Alex rise sonoramente.
«Andiamo adesso non dirmi che credi anche all'autostoppista fantasma!»
«Un mio amico giura di averla vista.»
Spiegò Willie leccandosi le dita.
«Sei un tipo mistico? Non pensavo credessi agli spiriti e a queste cose qua.»
Osservò il biondo girando la cannuccia nel bicchiere.
«Oh ci sono molte cose che non sai di me.»
Flirtò il moro alzando le sopracciglia.
Alex ammiccò timido.
Per il resto, il pomeriggio trascorse in totale tranquillità, con il sole che bruciava sul collo di Alex e gocce di granita sulle gambe scoperte.
Dita appiccicose e sorrisi nascosti.
Sguardi sfuggenti e chiacchiericci lontani.
Il rumore delle rotelle sull'asfalto liscio.
E rimasero lì per un bel po', finché il sole non cominciò a calare con i due che continuavano a discutere di band come i Pixies e No Doubt.
E verso le otto, dopo aver mangiato un hamburger al volo, i ragazzi presero nuovamente la metro, questa volta diretti verso Beverly Hills.
Arrivati di fronte una grossa e lussuosa villa, con il biondo che non la smetteva di fare domande sulla loro destinazione, Willie disse solo:
«Ci intrufoliamo in una casa da sessanta milioni di dollari.»
Con una calma che Alex non avrebbe mai avuto.
«Noi faremo cosa?»
Chiese il batterista più a se stesso che allo skater, cercando di non farsi venire una crisi di nervi.
Ma Willie, notando il nervosismo di Alex semplicemente rise un po' di lui, prima di afferrargli la mano e guidarlo verso un cancello sul retro.
«Ci sono le telecamere.»
Constatò il biondo, cercando di non pensare al contatto prolungato con la mano del ragazzo.
Non sapeva cosa lo innervosiva di più, se le sue dita incrociate a quelle di Willie o il fatto che stavano per entrare nella casa di un miliardario.
«Tranquillo, i proprietari non ci sono mai e i nastri si cancellano dopo ventiquattro ore.»
Spiegò lo skater e Alex si domandò, come facesse a saperlo.
Scavalcato il cancello, i due si diressero verso il vasto giardino curatissimo, dove trovarono la grande piscina dall'acqua cristallina.
La villa era una tenuta inglese che vantava di viste mozzafiato sulla città, sul canyon e sull'oceano.
Con i piedi ammollo nell'acqua tiepida, Alex riusciva a cogliere le luci dei palazzi in lontananza e i rumori ovattati del traffico.
Era un posto magnifico.
Willie aprì la porta della veranda per avviarsi verso la cucina e rubare dal frigo, due lattine di Dr. Pepper.
Quando ritornò, Alex lo guardò ancora più incuriosito, per la facilità con cui si addentrava in quella casa enorme.
Il moro spiegò che aveva lavorato come giardiniere per i proprietari, che erano degli sponsor di corse di cavalli in Gran Bretagna e nel resto del mondo.
Quindi sostanzialmente non c'erano mai, ma ci tenevano molto a tenere la casa in modo impeccabile.
Inoltre tra un'alzata di sopracciglia e uno schizzo di acqua negli occhi, lo skater disse che quella villa più che una dimora vera e propria, era un intero quartiere.
Ammise che i primi giorni di lavoro aveva avuto bisogno di una mappa, per cercare i signori Hughes nelle stanze.
Lì dentro c'era davvero di tutto: una biblioteca di pannelli georgiani, un soggiorno, un salone, due suite, un piccolo teatro, un bar con sala da biliardo, uno studio di registrazione e sala TV. Con aggiunta di enormi giardini, due cortili dove nel secondo si trovava l'ufficio domestico e un campo da tennis con padiglione, un altro bar, il giardino d'inverno, un'altra piscina, una spa e una palestra.
Per quanto riguardava la sicurezza invece, molti di quei ricconi non ci pensavano proprio a installare degli allarmi, anzi, alcuni di loro lasciavano le chiavi di riserva sotto lo zerbino.
«Non c'è molto da rubare quando i tuoi vicini, anzi tutta la cittadina di Beverly Hills ha il tuo stesso conto in banca. E poi quelli che si intrufolano in case come queste e fidati che sono molti, non sono così stupidi da portarsi via qualcosa.»
Ammise Willie ridacchiando, prendendo un sorso dalla lattina.
Alex semplicemente era senza parole: non sapeva se sentirsi ancora più in ansia nel trovarsi in una casa che valeva così tanto, oppure se ridere della situazione assurda.
Nel dubbio prese anche lui un sorso della Dr. Pepper, appoggiandosi sulle braccia e osservando il cielo nero sulla sua testa.
Passarono la serata così, con i piedi che scalciavano nell'acqua della piscina, una bevanda fresca tra le dita e Los Angeles di notte, che illuminava i loro volti dal basso.
Il biondo riuscì anche a parlare della sua famiglia, del suo rapporto con i suoi, del fatto che aveva dovuto chiudere i rapporti per via della sua sessualità.
Forse era il momento giusto.
Nessuno al di fuori dei suoi amici, sapeva ciò che aveva passato e parlarne così liberamente, in una casa che non era la sua, con un ragazzo conosciuto appena, in una notte che sembrava così perfetta, lo face sentire bene.
Ma anche Willie si aprì con Alex.
Capelli scuri sul volto e lucidi occhi gentili.
Gli raccontò di come a sei anni gli assistenti sociali lo avessero portato da Oliver e Alyssa. Non ricordava molto della sua vita precedente, i suoi genitori adottivi gli avevano detto che dei passanti, lo aveva trovato a girovagare per la città, solo, sporco e malnutrito.
La prima volta che aveva visto Tony, lei aveva tre anni e Willie rise nel ricordare, che sembrava un pomodoro con le guance e i capelli più rossi del fuoco.
Alyssa era stata quella sempre presente, quella che si occupava di loro e che amava raccontare storie sulla sua gioventù ribelle.
Era una madre anticonvenzionale, un'artista dalla testa perennemente altrove e le mani sempre impegnate a creare qualcosa di nuovo.
Imprevedibile.
Fin troppo.
Era stata lei ad insegnare a Willie e Tony a creare dei gioielli e una volta imparato, non avevano più smesso.
Sua sorella era la fotocopia identica, di sua madre.
Quando poi Alyssa, li aveva lasciati per iniziare una nuova vita con un altro uomo, scrivendo un biglietto dove c'era appuntata solo la frase "Mi dispiace", tutto aveva iniziato a precipitare.
Oliver che era sempre stato distaccato, freddo, cominciò a stare via di casa sempre più a lungo.
Lui era uno sconosciuto per i suoi figli.
Un coinquilino che pagava le bollette e le rette scolastiche.
Sempre perso in qualche ricerca, libro o conferenza.
Di materiale, non gli aveva mai fatto mancare nulla, ma come padre era stato un totale fallimento.
Dopo il racconto di Willie era calato il silenzio.
Passati svariati secondi, di impulso, Alex si protrasse a prendergli la mano e i due rimasero così, avvolti in quell'intenso momento, mentre a vicenda si sorreggevano, i macigni di storie che pesavano sullo stomaco.
Pensieri nella lattina accartocciata.
«Sembra l'inizio della storia d'amore più romantica del mondo!»
Esclamò Reggie quando il batterista finì di raccontare.

𝐁𝐚𝐜𝐤 𝐭𝐨 𝟏𝟗𝟗𝟓 || 𝐉𝐀𝐓𝐏' 𝐟𝐟Where stories live. Discover now