.B.A.D. (In revisione)

By Robertasalpietro

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La mafia da secoli segue schemi prestabiliti dove l'uomo è al comando mentre la donna viene mostrata alle sue... More

Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52
Capitolo 53
Capitolo 54
Capitolo 55
PERSONAGGI

Capitolo 41

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By Robertasalpietro

Revisionato
Jane's POV

Persa nel delirio dell'oscurità, non so quanto tempo sono rimasta chiusa nello studio di mio padre priva di sensi ma delle braccia abbastanza muscolose sono venute presto in mio soccorso sollevandomi dal pavimento e portandomi da qualche parte. Mi perdevo sempre pezzi, le tenebre mi inghiottivano a tratti dandomi momenti di lucidità ad altri di incoscienza, ho percepito un letto morbido sotto di me, il sudore che mi imperla la fronte e il bruciore alla spalla ferita diventare sempre più insostenibile man mano che qualcuno la toccava per curarla. 
Ogni tanto qualche voce ovattata arrivava alle mie orecchie, qualcuno mi asciuga la fronte e mi lascia morbide carezze ma sono consapevole che non è lui. 
Lui mi ha lasciato, ha preferito lasciarsi alle spalle i nostri sentimenti perché non ha saputo accettare la realtà dei fatti, non ha capito che ci siamo mentiti a vicenda ferendoci. E vorrei sprofondare, trovare la pace dei sensi ma sento che cercano di tenermi in vita con tutte le loro forze. Mi lamento sull'orlo della vita, in bilico tra coscienza e incoscienza e, quando vedono che la situazione sta sfuggendo di mano, sento un piccolo ago perforare le mie vene. 
Poi il nulla totale. 

Non so quanto tempo passo a vagare nell'oblio persa con me stessa, ma sto odiando proprio questo momento, l'attimo in cui vengo strappata con forza dalla mia solitaria cella che in qualche modo mi dava pace. Quando apro gli occhi non ho difficoltà a mettere a fuoco tutto quello che mi circonda: sono in camera mia illuminata solo da una misera lampadina da lettura,  io sono stesa sul mio letto col petto nudo fasciato da una pesante fasciatura che tiene ferma la mia spalla ferita e seduti tra poltrone e pavimenti ho i miei amici e alcuni dei miei familiari, per essere precisi mio padre e mio nonno. Sono tutti dormienti, reduci da uno scontro affaticante e per questo decido di non chiamarli. Con qualche fatica mi metto seduta nel letto e guardo verso il comodino sperando che ci sia un po' d'acqua per mettere a tacere la sete che dilania la mia gola. Per fortuna un bicchiere c'è e mi allungo per prenderlo ma il movimento improvviso si ripercuote sulla ferita che inizia a bruciare e mi costringe a rilasciare un gemito di dolore che fa allarmare tutti in stanza costringendoli a mettersi sull'attenti per aiutarmi. 
Come se fossi una bambina piccola mio padre e mio nonno mi sistemano i cuscini alle mie spalle e mi fanno accomodare su di essi facendomi assumere una posizione più comoda mentre Alec mi aiuta a bere. Nel deglutire quei generosi sorsi di acqua fresca sento una benda fasciarmi il collo, un promemoria di quello che per codardia e disperazione volevo fare. 

«Bimba» mormora Alec come se stesse parlando ad un animale selvatico ferito che stanno curando e che non vogliono far spaventare. Il problema è che la sua voce trasuda acnhe tracce d'affetto, mi ricorda la stessa voce che usava lui per coccolarmi dopo aver fatto un incubo, una voce che non sentirò più perché un mostro come me non merita tutto questo. Il dolore che provo torna a galla più forte di prima e le lacrime ricominciano a sgorgare dai miei occhi con l'unica eccezione che ora non ho niente a portata di mano per porre fine alla mia vita. Alla vista dei miei lacrimoni sono tutti bloccati, non sanno come consolarmi anche se Alec un minimo ci prova, stringendomi tra le sue braccia e cullandomi col suo calore e il suo profumo, devo essere KO da molto tempo se è riuscito a lavarsi e sembrare così fresco e riposato.  «Jane, va tutto bene, vedrai che presto tutto tornerà come prima se non meglio. Ora però lasciati andare, piangi tutto quello che vuoi lasciar scivolare via e perdonaci se non siamo in grado di consolarti al meglio. Sei sempre stata tu il nostro punto forte che ha sempre asciugato le nostre lacrime, tu hai sempre  saputo tenere unita la nostra "famiglia" tenendo a bada i tuoi sentimenti ed ora che stanno esplodendo così, non sappiamo cosa fare se non stringerti a noi e lasciarti buttare fuori tutto» dice Alec sistemandomi meglio sul suo petto fasciato da un maglioncino rosso a tema natalizio. 
Piango ancora più forte perché ha ragione, sono sempre stata io la loro colonna portante, se loro cadevano io ero al loro fianco per impedirlo e sostenerli senza mai mostrare le mie emozioni. Adesso però sonon come un fiume in piena e non so come fermarle, vorrei non farmi vedere così da loro ma non ci riesco. Mi lascio andare per quelle che sembrano ore fino a quando non arrivo alla conclusione che, per ritornare ad essere la solita Jane, devo spegnere ogni sentimento e mostrare solo il mostro che mio nonno ha creato anche se questo significa farmi odiare. 

Mi concedo altri due minuti soltanto per prendere fiato e con mani tremanti mi spingo via da Alec per potermi alzare e andare nel luogo che adesso contiene i ricordi peggiori, lo studio di mio padre. Anche il mio passo è malfermo ma nessuno mi ferma e, come se fosse una processione dove verrà giustiziato il prossimo martire della storia, mi seguono verso la mia destinazione restando però fuori dalla porta osservandomi attentamente. La prima cosa che faccio è dirigermi verso la scrivania, seguo con le dita il perimetro di quel tavolone di legno massello poi passo agli oggetti: il PC, i documenti, le penne, le cornici con delle foto, la bottiglia di liquore e il tagliacarte finemente decorato con un aquila e un lupo realizzati in rilievo sul manico, lo stesso tagliacarte che volevo usare per porre fine alla mia inutile esistenza. Lo prendo tra le mie mani e lo alzo verso tutte quelle persone ferme dinanzi alla porta, ora ci sono anche mio fratello, Dimitri e mio zio. Mancano le donne e i bambini che non so che fine hanno fatto, li avranno riportati a casa o sono ancora al sicuro nella casa di città.
Loro fissano me col fiato sospeso in attesa di una mia mossa che non so se arriverà, io fisso loro come se fossero solo sagome idencisa se fare un piccolo passo falso o meno.
Ogni tanto si concedono uno sguardo terrorizzato verso questo grazioso oggetto affilato che tengo tra le mani giocandoci ma che in realtà sto usando come antistress, se devo morire deve essere uno di loro ad uccidermi.
Mi metto comoda sulla sedia, accavallo le gambe fasciate da una tuta e apro un piccolo cassetto nascosto dove tenevo nascosto un plico contenente tutte le carte per l'affidamento dei gemelli e Josh, carte che solo io conoscevo e che ho nascosto con cura approfittando dell'unico posto dove fossi sicura non avrebbero mai cercato. 

«Anne e suo marito vivevano una vita sfrenata e piena di minacce, una sera tra una bevuta e l'altra mi hanno fatto stipulare un patto con loro. Dovevo tenere al sicuro i loro bambini da ogni minaccia in caso della loro dipartita prematura. Era ubriaca e pensavo scherzasse ma quando mi ha dato questi fogli in mano da firmare ho capito quanto era seria e quanto amava i suoi figli. Aveva scelto me perché si fidava e credeva che io sarei potuta essere una sostituta degna di lei ma i tempi cambiano, la Jane di ora è diversa da quella di qualche anno fa. Ho ucciso un boss mafioso, mi ritrovo alle spalle il triplo dei nemici che avevo prima e sono troppo instabile per prendermi cura di tre bambini. Dimitri sei il nonno, è tempo che tu diventa il loro tutore legale e mi trovarei d'accordo con me che, in caso di una tua morte prematura, i ragazzi passeranno nelle mani di Alec e Daemon perché li hanno visti crescere. Josh invece passerà nelle tue mani papà, così Janette avrà un fratellino con il quale giocare. Le carte sono state firmate antecedentemente da me e dal giudice, se fossi morta ve le avrebbe portate lui ma c'è stato questo cambio di piano improvviso. Sono effettive al cento per cento. Inoltre ho deciso che non vivrò più in questa casa. Ho un piccolo appartamento in pieno centro sotto falso nome, andrò ad abitare lì per potermi riprendere un po' da quello che mi sta succedendo. Quando vorrò, verrò a farvi visita ma prima di allora lasciatemi i miei spazi» faccio una pausa e lascio andare il tagliacarte sul tavolo.

«Ovviamente il gesto del turco, della zia del signor Moore e dei Gomez non passerà inosservato. Come Diavolo Rosso prenderò io stessa provvedimenti. Ho già degli ottimi sostituti per il clan messicano e turco, entro la fine dell'anno prenderanno il comando uccidendo i due vecchi leaders.Per i parenti di Moore rimasti in vita mi occuperò personalmente della questione una volta completamente ripresa. Dovranno soffrire come cani e, chiunque oserà opporsi alla mia scelta, sarà ucciso senza remore da me in persona» faccio un chiaro riferimento anche a Alecxander, il mio problema più grande.

«Jane, ti rendi conto che le tue parole hanno un significato mostruoso?» domanda mio nonno interrompendo il silenzio che si era creato tra loro e aggiunge:«Non stai ragionando lucidamente. Dormi e rifletti bene su quello che dici e su quello che vuoi fare». Scoppio a ridere a causa delle sue parole insensate.

«Ragiono perfettamente. Li farò marcire nelle celle,  saranno i miei cani personali. Dovranno imparare ad abbaiare, ad obbedire al loro padrone, a patire i morsi della fame fino a trovare anche un ratto crudo appetibile, a bere il loro stesso piscio se serve. Poi, quando ne avrò abbastanza di giocare con le loro menti, verranno fatti a pezzi lentamente o sciolti nell'acido mentre sono ancora coscienti. Voglio sentire le loro urla mentre mi implorano di smettere. Si, voglio sentirli gridare forte dal dolore ed implorare la mia clemenza» faccio un sorriso sadico e riprendendo tra le mani il tagliacarte faccio quello che non sono riuscita a fare qualche ora prima: uccido me stessa conficcandolo in una mia foto ricordo, sfregio la faccia di quella bambina innocente che non esiste più e ha lasciato il posto al mostro che sono ora.  

«Jane» Alec cerca di richiamare la mia attenzione ma lo fermo con il gesto della mano e mi alzo.

«Vi offrirò un pranzo fuori quando tutti saranno tornati in questa casa. Poi ognuno per le proprie strade come se niente fosse» dico avvicinandomi a loro per andare nelle mie camere col cuore colmo di dolore che non riesco a far tacere.
Lo posso solo ignorare mentre guardo dalla finestra la prima neve attecchire al suolo proprio il giorno di Santo Stefano.

E il Natale passa, la casa ritorna al suo antico splendore e tutti tornano a vivere felici sotto lo stesso tetto. Arriva il Capodanno. 
I bambini ritornano a casa felici, li porto tutti a cena fuori nonostante le tante domande che mi fanno anche sulla mancanza di molte persone che tutti volevano. Le ore passano tra risate e regali ed io non posso fare altro che ignorare il gelo che pian piano circonda il mio cuore. 
Le lancette degli orologi segnano i secondi, i minuti scorrono come fiumi in piena, le ore passano senza che io me ne renda conto. Un anno è finito e ne ha avuto inizio un altro.
Le giornate diventano monotone e grigie, i giorni sono la copia di quello precedente, niente cambia all'interno del mio appartamento.  
Passano i giorni e diventano settimane, in cui nessuno viene a trovarmi e l'unica cosa che mi tiene collegata al mondo è un telefonino usa e getta dove ricevo le chiamate di "lavoro". Chi doveva essere ucciso è stato già seppellito da tempo, gli altri vengono controllati a distanza anche se tutto al momento tace. 
Le settimane mutano come i bachi delle farfalle e diventano mesi, ma a differenza di quei meravigliosi insetti i miei sei mesi di solitudine sono tutti uguali tra loro e privi di ogni forma di colore. Sarò anche uscita di casa per andare dai miei genitori a vedere i gemelli e Josh, ma tutto quello che ricevo da loro è solo rabbia e tristezza. Sono arrabbiati perché li ho lasciati nelle mani di altre persone e non li tengo più con me e tristi, perché credevano di aver trovato una figura materna in me che sono il demonio di questo mondo.
Giorni passano, ore volano, minuti scorrono e secondi scompaiono divorarti da un loop senza fine dove man mano mi chiudo a riccio, i miei mologhi diventano frasi, le frasi divenano delle monosillabi e man mano silenzi assordanti. Adesso neanche i bambini mi rivolgono più la parola e le mie mura di casa sembrano starmi troppo stretti. 
Sono diventata un fantasma che ha iniziato a chiedersi cosa vive a fare se non solo per cercare la sua meritata vendetta.
Il dolore e il senso dell'abbandono mi logorano dentro, mi consumano lentamente come le lingue rosse delle fiamme lambiscono imperterite un ceppo di legno ancora leggermente verde. Impiegherò più tempo del previsto per consumarmi ma alla fine di me non resterà altro che cenere.
Un grosso ammasso di polvere grigia dimenticata da tutti.
Tutto questo per colpa di un uomo.
Alecxander Moore.
Quel dannato Moore.
Mi ero ripromessa di non cascarci mai con gli uomini e poi arriva lui, ha osato sfiorare la mia anima e lasciarmi sola a bruciare tra le fiamme della dannazione con un cuore ormai del tutto frantumato.
Non sono serviti a niente i miei tentativi di fare sesso con qualche altro. Odiavo le labbra degli altri sulle mie, le mani degli sconosciuti bruciavano la mia pelle come se fossero ferro incandescente e nessuno ha mai acceso lo stesso piacere che Alecxander mi dava.
E mi manca tanto.
Lo amo ancora  e soffro per la sua mancanza.
La mente piena di domande che non dovrei farmi. 
Mi chiedo se gli manco, se soffre come lo sto facendo io o se mi ha già dimenticata con un'altra donna al suo fianco. Forse avrà trovato qualcuno migliore di me e molto più bella che lo sappia apprezzare realmente senza mentirgli.
Forse potrei finalmente mandargli un messaggio dopo mesi di agonia per me. Dirgli che mi manca come l'aria, che la paura mi ha spinto a tenergli nascosta la verità che cercava perché più grande di noi e dei nostri sentimenti che non avrebbero retto dinanzi a quel fardello. Continuare a dirgli che la nostra relazione era vero nonostante le nostre omissioni ma che presto ci saremmo detti tutti e avremmo accettato le parti più buie di noi.  
Ma non lo faccio, perché il rimorso e il terrore mi divorano dall'interno come bestie assetate di sangue. Il mio telefono distrutto mi ricorda la rabbia verso me stessa che non sono riuscita a frenare, i pixel sono tutti saltati ed ormai giace morto sul tavolo polvero coperto di cibo andato a male. Lo stesso cibo che mio padre con amore mi ha sempre portato ma che ho rifiutato di mangiare per giorni riducendomi ad essere l'ombra di me stessa.
Mi guardo allo specchio, non mi riconosco più ma mi domando se anche lui è diventanto il fantasma di sé stesso o ha quegli zigomi pieni e rosei che mi piaceva pizzicare.
Di me invece che resta?
Solo un guscio vuoto, un corpo di cui si notano solo le ossa.
Gli zigomi sono troppo sporgenti e risaltano su un visto pallido e scarno, gli occhi sono spenti e incavati verso l'interno, circondati fa occhiaie troppo scure risaltate dai capelli unti a causa della sporcizia. I  vestiti adesso sono troppo larghi per questo corpo che sta pian piano scomparendo e sto diventando un peso per chi un po' ci tiene a me.
La mia vita è un caos e sto rendendo un inferno anche quella degli altri.
Solo che non pensavo che certe mancanze ti potessero fare soffrire così, pernsavo di esserci abituata ed invece.
Alecxander.
Tobias.
Zeno.
Josh.
Mi mancano come l'aria ma non possono vedermi così.
Sono la personificazione del mio dolore e, se essere diventata questo comporta rimanere lontana dall'uomo che amo e dalla mia famiglia, lo farò.  Preferisco essere odiata dai miei "figli", dai miei amici e da tutto il mondo ed essere ricordata per quello che ero piuttosto che farmi vedere così.
E un forte colpo alla mia porta a richiamare la mia attenzione, forse è giunto il momento di morire per mano di qualcuno.

«Jane, apri questa fottutissima porta o giuro che oggi la butto giù!» è solamente mio padre. Tra tutti non pensavo che proprio lui potesse porre fine alla mia miserabile vita. 
Lo ignoro come sempre sperando che si arrabbi di più per potermi uccidere meglio.
Bussa ancora freneticamente, so che oggi non lascerà il cibo dietro la porta ignorandomi. Quella porta verrà sfondata tra poco e dopo innumerevoli cigolii strani finamente cade sul pavimento creando un fracasso assurdo mentre la figura possente di mio padre entra nel mio campo visivo. 

«Al porcile si vive meglio. Mi sono stancata Jane, sei mia figlia e soprattutto un essere umano ma  vivi come un animale. Sei chiusa qui dentro da mesi, sei sparita dai radar e per contattarti ci vuole un miracolo. Devi metterti la testa apposto e se questo significa spaccare la testa a mia figlia, lo farò. Farò di tutto per farti ritornare coi piedi per terra» si fa spazio tra abiti sporchi gettati sul pavimento e accumulati, su cocci di porcellana frantumati, polvere e resti di cibo andati a male.  

«Ora sono tua figlia ma sedici anni fa cosa ero? Un pacco postale o un giocattolino da mandare in Russia per mero divertimento? Non venire a fare il padre adesso, lasciami morire qui nella mia merda come la piccola bastarda Cooper che so...» un sonoro schiaffo entra in collisione con la mia guancia costringendomi a fermare il mio discorso mentre il sapore del sangue si sparge in bocca e la guancia colpita brucia. Mi porto una mano sulla zona ferita e guardo mio padre negli occhi, non si era mai permesso di alzare un dito su di me, devo averlo deluso così tanto per spingerlo a fare un gesto così impulsivo ed estremo che gli sta costando tanta sofferenza.

«Ho sbagliato in passato ignorandoti perché pensavo di non meritarti dopo quello che ti ho fatto, ma non lo farò adesso. Anzi, ho già perso troppo tempo. Guarda come ti sei ridotta, sei l'ombra di te stessa Jane. So che è difficile ma devi superare questo momento, smettila di rimanere bloccata in questo loop di merda e vivi. Torna a vivere, torna a comportarti come una bambina in casa nostra, ad amare quei bambini che ti cercano dalla mattina alla sera perché bisognosi della loro madre. Torna ad essere quella donna che Anne stimava e a cui ha affidato le sue vite e che tuo nonno ha cresciuto con devozione. Torna dai tuoi amici che hanno bisogno della loro colonna e del loro capo. Torna ad essere mia figlia, la mia piccola Stich forte e coraggiosa che non si fa abbattere dalla vita ma al contrario, sei tu a divorarti il mondo con la tua forza» dice lasciando andare le lacrime dai suoi occhi mentre mi scuote per farmi riprendere ed in qualche modo ci riesce. Le sue parole toccano le corde giuste della mia anima e capendo i miei sbagli, mi lascio andare in un pianto liberatorio, il primo dopo mesi di esplosioni di rabbia.
Lascio che il mio corpo venga scosso dai singhiozzi e dai tremori, mi lascio cullare dalle braccia calde e rassicuranti di mio padre e, annaspando in cerca d'aria, riesco a mormorargli solo una cosa che non pensavo di dire in questo periodo.

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