.B.A.D. (In revisione)

Robertasalpietro

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La mafia da secoli segue schemi prestabiliti dove l'uomo è al comando mentre la donna viene mostrata alle sue... Еще

Prologo
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52
Capitolo 53
Capitolo 54
Capitolo 55
PERSONAGGI

Capitolo 1

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Robertasalpietro

Revisionato 

Jane's POV

«Più forte con quei calci Jane, più forte» mi urla Alec tenendo il sacco da boxe, la momentanea vittima  della rabbia che mi perseguita da anni e che da giorni è solamente aumentata.

Ogni volta che mi alleno o che vado in "missione", mi concentro sugli anni passati da quando quel uomo che dovrebbe essere mio padre, mi ha mandato via di casa come se fossi solo un cane da prendere e dare via con  facilità. Sono stata spedita qui con migliaia di promesse che non avevano niente di fondato: la mia famiglia si è dimenticata di me, mi ha costretto a crescere da sola in un paese straniero della quale non conoscevo nemmeno la lingua e mi hanno fatto vivere nel terrore, portandomi a diffidare di tutti.

La bambina di sei anni, tempo fa, ha pensato che l'aereo su cui è stata trascinata per portarla in questo luogo sperduto, freddo e sempre innevato, sarebbe stato subito dopo sostituito da uno che la riportasse a casa. Ho seriamente pensato nella mia ingenuità di bambina, che nel giro di una settimana mio padre sarebbe venuto in Russia per scusarsi e riportarmi a casa. Ero piccola e spaventata dal mondo che mi circondava, non avevo più il mio eroe, il mio amato papà che mi avrebbe sempre protetto nel momento del bisogno.
Lo zio Luke non ha manco provato a consolarmi perché incapace nel farlo, mi ha lasciato direttamente nelle mani di Dimitri e ha promesso che, quando sarebbe arrivato il momento di tornare a casa, lui mi avrebbe accolto all'aeroporto con tutte le cose che amavo a quei tempi e che tuttora amo.

Dimitri, il mio padrino di battesimo e ormai il mio secondo nonno,  tutto sommato non è stato male. Lui è il classico uomo mafioso, ha cercato di essere sempre amorevole verso di me, mi tratta come se fossi sua figlia, mi fa sempre conoscere i suoi uomini più fidati, soprattutto due di loro che si sono occupati della mia educazione, mi fa gestire qualche affare e, durante i primi tempi qui, quando ero ancora sola e spaesata,  mi ha permesso di rimanere accanto a sua figlia, che era quattro anni più grande di me. Ha anche un'altra figlia maggiore, ma è dispersa per il mondo. Dimitri l'ha mandata via di casa a sedici anni,  lo ha fatto perché con il suo futuro sposo, il figlio del boss spagnolo del tempo, aspettavano un bambino: la mafia spagnola non ha accettato questa cosa e in qualche modo Dima, doveva preservare l'erede russo. Non l'ho mai conosciuta, ma solo per la scelta di non lottare e scappare non mi sta simpatica.

Anne è tutta un'altra storia. Lei è diventata la mia migliore amica anche per questo, perché invece di scappare ha avuto la forza di restare e combattere insieme al padre e in seguito insieme al marito. Alla fine non c'è l'ha fatta però, il mondo mafioso non è semplice:  è morta qualche anno fa insieme al compagno per una vendetta nei confronti del marito. Il colpevole è stato catturato e ucciso in modo atroce da Dimitri, che tutt'ora non si da pace dell'accaduto. Durante i primi tempi dalla scomparsa della figlia, quando guardavamo i suoi figli gemelli dormire, scoppiava a piangere e iniziava a dirmi che capiva la scelta di mio padre nel mandarmi lontano da lui per tenermi al sicuro: vedere i propri figli morire in modo attroce e lasciare al mondo i tuoi nipoti orfani non è bello per un genitore. La cosa bella è che la forza a Dimitri gliel'hanno data proprio i suoi due nipotini, Tobias e Zeno. Lui li ama da morire, gli ricordano perfettamente sua figlia e suo genero, ed io, anche per ringraziarlo per essersi preso cura di me, lo sto aiutando crescendoli:  lui stesso pensa che una figura femminile sia  importante per i bambini, per educarli a 360°.

Per quanto riguarda la mia educazione, non ho avuto donne al mio fianco fatta eccezione di Anne. Mi hanno cresciuta Dimitri e i suoi due migliori amici, Ash e  Alexander.
Il primo mi ha sempre ricordato mio nonno Noah: lo stesso carisma, lo stesso fascino, lo stesso potere: era cieco, portava sempre una benda a coprirgli gli occhi, e faceva difficoltà a muoversi, ma nella teoria era un genio del male. Peccato sia scomparso da qualche settimana.
Il secondo, ha un certo fascino ma è strano, il suo sguardo non mi ha mai ispirato simpatia ma solo sospetti e timore per la mia figura.
Molte volte lo vedevo che mi fissava con molta intensità e mi accarezzava con fare strano dicendo che gli ricordavo qualcuno a lui caro.
Non ho mai dato ulteriore peso a questa situazione, inoltre quando Ash percepiva qualcosa di strano nei movimenti dell'amico, lo richiamava sempre e lo trascinava lontano da me.

«Jane, basta allenarsi ora. Avete un volo che vi aspetta» ecco che il mio momento di sfogo viene fermato da Dimitri che si mette tra me e il sacco. 

«Penso che resterò qui ancora per un po'. Non voglio partire Dima. Questa è casa mia, non quella. Solo perché dopo anni ti è arrivata la chiamata del boss supremo, io devo partire per tornare in quella discarica? Dovrebbero solo tagliarsi la faccia e spedirmela come regalo di scuse, Dima» la freddezza della mia voce entra in contrasto con gli occhi dolci che Dimitri mi sta regalando. 

«Jane, hanno avuto i loro problemi e per questo ti hanno tenuto al sicuro qui da me. Anche se quattordici anni sono tanti,  lo hanno fatto per te: magari quando andrai lì ti spiegheranno. Non sentire solo le parole di Alexander, ascolta anche le mie e quelle che in passato ti ha dato Ash. E quando puoi ringraziali, perché sei una donna splendida con una mente eccelsa e calcolatrice e tutto perché loro ti hanno messo in mano a persone che hanno visto il tuo potenziale. Sarai un giorno la donna mafiosa più rispettata tesoro, ma non come donna di un potente boss. Tu sarai il leader che tutto il mondo mafioso seguirà, la mia piccola Leader che a mia isaputa si è creata il suo piccolo impero» inizia a dire Dimitri ed io sbianco sul posto per paura che sia contrario a questa parte finale del discorso.

Lui sapeva che oltre ad essere allenata come la classica donna mafiosa, mi hanno allenata anche come mafiosa. Io poi ho superato i limiti. Non volevo essere solo una mafiosa, volevo essere La mafiosa. Il mio obiettivo attuale è superare mio fratello e mio padre ed essere un buon leader amato e rispettato da tutti. Ho iniziato in piccolo, ed ora ho alle spalle un clan talmente enorme che ho perso il conto delle persone che ne fanno parte, solo non pensavo che lui lo sapesse. 

«Dima io...lo sai che il mio sogno è sempre stato questo» dico senza guardarlo. Ad alzare il mio sguardo è proprio lui che sfiora il mio viso e inizia a guardarmi con ammirazione.
Non l'ho deluso? Mi sembra strano dopo quello che ho fatto. Sto iniziando a pensare che lui sappia solo che io sono un leader, non che leader preciso io sia.

«Già, il tuo sogno era superare i maschi di casa tua e renderli fieri di te. Ed ecco qui che la mia pulce è il primo leader donna che si è creata da sola.  Ti ci vedo bene a comandare tutti nel modo più giusto possibile. Ma stai attenta al tuo amichetto dietro e ad Ash, hanno la bocca troppo larga. Ora vai, i tuoi amici ti aspettano fuori: dove va il capo, i membri più fidati lo seguono» dice abbracciandomi forte ed io ricambio volentieri.

«Mi mancherai Dima, mi hai fatto da padre per tutti questi anni. Per quanto riguarda Alec, ci parlerò io. Con Ash invece avrò un conto in sospeso» dico scoppiando a ridere e lui mi guarda ricambiando il sorriso.

«Non uccidermeli, mi servono vivi. E stai attenta, non vorrei che il tuo rimprovero faccia cadere l'aereo su cui viaggiate» dice ridendo e lascia un bacio umido sulla mia guancia mentre io faccio finta di essere offesa. Adoro questo suo lato così giocoso, e mi fa sentire lusingata tutto questo.

«A presto e prenditi cura dei bambini» dico seria e lui mi guarda sorridendo.

Mi fa cenno di andare e dopo un ultimo abbraccio, vado ad aprire la porta della palestra per andare verso la mia nuova vita. Vita che condividerò con le quattro persone che sono rimaste dietro la porta ad aspettarmi: loro quattro sono il mio piccolo clan "portatile".

Lo so, siamo pochi, ma va bene così: siamo io, Tatiana, Victor, Alec e Daemon. Una piccola squadra che al momento del bisogno si trasforma in un vero e proprio esercito guidato dalla sottoscritta.

«Capo...a mia discolpa, Dimitri e Ash mi hanno fatto ubriacare ma non ho detto molto» lo sguardo da cucciolo smarrito di Alec mentre si gira i pollici come se niente fosse è un colpo al cuore. Lo osservo attentamente cercando di mantenere uno sguardo serio. Lo dico sempre: è un cucciolotto questo ragazzo! Potrebbe pure pugnalarmi ma io lo perdonerei, non posso resistere a quei suoi occhi spettacolari, uno azzurro ed uno un misto tra azzurro e marrone, il suo aspetto da orsetto morbidoso nonostante il fisico scolpito e il suo carattere particolarmente pepato. Solamente Daemon riesce a tenerlo a bada: certe volte li guardo insieme e mi sembrano una coppia, sono così adorabili. Peccato che, appena li guardi con una faccia che urla a gran voce  "Lo so che vi amate e che fate peggio dei conigli!", loro negano con la testa e si dividono andando ognuno per fatti propri.

«Andiamo, e smettila di guardarmi così!» dico guardando storto Alec che simperterito mi fissa con quei maledetti occhi da orsacchiotto. Sospiro. Ora che ci penso, non ho salutato Tobias e Zeno, non ci sono riuscita. So che se dovessi vedere delle lacrime nei loro occhi non riuscirei mai a dirgli di no ad ogni richiesta che mi faranno.

Il viaggio in macchina è stato tranquillo, arriviamo in aeroporto più puntuali del solito perché, cosa strana, non ci stava traffico in strada: la mia voglia di rimanere qua deve portarmi male.  Facciamo il solito percorso di controllo altrettanto velocemente e in pochissimo ci fanno imbarcare su un enorme aereo bianco per andare a New York, un volo diretto senza scali in altre città.

Dopo la bellezza di sedici ore di viaggio, passate a sonnecchiare, ad affrontare piccole piccole turbolenze che ci hanno rallentati un po', e a fare una lavata di capo ad Alec, siamo riusciti ad arrivare sani e salvi nel mio luogo di sofferenza, gli Stati Uniti.  

Ho già detto che volevo rimanere in Russia?! 

Una volta sbarcati, vengo trascinata a sbrigare tutte i documenti di sbarco: facciamo vedere i passaporti e le nostre cittadinanze a chi di dovere, con tanto di sguardi stupiti quando leggono il nome Cooper sui miei documenti, prendiamo le nostre valige enormi e ci dirigiamo alla ricerca di qualcuno. In teoria dovevano venirmi a prendere loro qui, sempre se non si sono scordati che oggi era il giorno del mio arrivo.

«Jane, guarda là» Tatiana richiama la mia attenzione e indica un punto preciso dove si trova un ragazzo alto, biondino (orribile per i miei gusti) e leggermente muscoloso che tiene tra le mani un cartello con il mio nome: chi diavolo è questo ora?

Faccio cenno agli altri di avvicinarci e, man mano che mi avvicino, la figura si fa più nitida e riesco a distiguere la figura di Gabriel Grent, il figlio di uno dei boss della zona. Sto per vomitare.
Io capisco che molte donne apprezzino i ragazzi con i capelli biondi perché stanno bene, sembrano dei principi. Ma io non ci riesco. Odio i biondi più del caffè americano. E lui con quel golfino azzurro chiaro, capelli biondi, occhiali da sole, sorriso smagliante,  sembra proprio l'esatta raffigurazione del principe azzurro moderno ed io sbocco.

«Ciao, suppongo tu sia Jane Cooper, sei la fotocopia di tuo padre. Io sono Gabriel, non so se ti ricordi di me, ci siamo incontrati a casa di tuo nonno anni fa» dice sicuro di sé e mi porge la mano che io rifiuto gentilmente: letteralmente non gli risponfo e lo lascio come un fesso, impalato davanti ai miei amici con un Daemon che prova a spiegargli che viaggiare per ore mi destabilizza, quindi è ordinaria amministrazione vedermi così scorbutica. 
Beh, sa inventare cazzate decende Daemon. Io sto bene, sono normale, mi fa solo ribrezzo essere qui.

Inoltre, ricordo benissimo che lo zio Luke mi aveva promesso il mondo al mio ritorno: lui che mi accoglie, la cioccolata preferita, un pupazzo di Stich più grande di quello che avevo e che è stato distrutto e un pigiama intero a forma di questo simpatico animaletto blu che amo e della quale so imitare la voce.

Pensavo di rimanerci male, ma ormai so come funzionano in casa mia.

Con un sospiro di rassegnazione, mi dirigo al parcheggio e mi guardo intorno: sicuramente ci accoglierà una macchina enorme, quindi mi basta cercare qualcosa di enorme. Tuttavia ad attirare la mia attenzione è un uomo vestito di tutto punto vicino ad un furgoncino sette posti nero. Questa persona tiene tra le mani un peluche di Stich, e due buste grandi: una di "Choco" il mio negozio preferito di cioccolato e una di quel famoso negozio dove vendono i pigiamoni interi.

Può essere che questo signore vestito tipo guardia del corpo, capelli neri e sguardo da persona maniaca che si sta divertendo nel vedermi così spaesata sia mio zio Like? In teoria lui non era di fisico asciutto e capelli rossi? Questo è troppo diverso da Luke.

«Jane Cooper, mi deludi!Io ti ho riconosciuta subito ma tu non stai riconoscendo il tuo zietto del cuore» dice l'uomo. Questa voce...è  sicuramente lo zio Luke, e si è ricordato della promessa fatta in aereo per tenermi buona.

«Il mio peluche gigante! La mia cioccolata! Il mio pigiamone!» urlo euforica prendendo tutte e tre le cose dalle sue mani senza calcolarlo di striscio perché impegnata a scartare i miei regalo. Lui semplicemente vede la mia euforia e ride di gusto quando mi vede aprire subito una barretta al cioccolato bianco con le fragole a pezzi dentro e mi osserva mentre me la godo col cuore: era una vita che non la mangiavo, se questo è il paradiso mi va bene così.

«Janeeeeee, ma cosa mangi? Damene un pezzettino, molto ino ino» urla Alec con voce da bambino per prendermi in giro. Ciccio mi spiace ma è tutto mio e per chiarire questo concetto me la metto tutta in bocca come facevo da bambina per non darla a nessuno.

«La sioffiolata è bia» dico con la bocca piena facendo ridere tutti tranne Gabriel che mette le valige nella macchina guardandomi come se avessi tre testa: comprendili alcuni maschi. Non ha mai visto nessuno mangiare la cioccolata così? Cioè, ok che sono un boss temuto ma la cioccolata rende tutti bambini. 

«Sei ingorda piccola palla di lardo. Ma ti voglio bene lo stesso e amo quello che stai facendo» Alec mi fa l'occhiolino facendomi ridacchiare. Ha capito che da un lato sto fingendo. Va bene che la cioccolata sia buona, ma potevo risparmiarmi questa scenetta pietosa: peccato che devo far credere di avere lo stesso carattere di quando sono partita.

«Dovremmo partire, ragazzi. In macchina posso portare solamente quattro persone per via delle valige. Jane, puoi andare con Gabriel nella sua moto?» mi domanda lo zio ma io nego.

«Zio, io voglio restare coi miei amici. Posso pure guidare al posto tuo, non me ne faccio problemi» dico con gli occhi dolci e prego veramente che accetti. Ho una guida favolosa tra l'altro, partecipavo delle corse in tutte le parti del mondo, in Russia scappavo addirittura la notte per gareggiare e rientravo alle prime luci dell'alba senza farmi notare: infatti non lo sa nessuno tranne Daemon.

«Jane, odio dirtelo così fin da subito, ma devi sapere che tuo padre mi ha dato l'ordine preciso di farti stare con lui. Lo sai pure tu che gli ordini del capo non si discutono Jane: sei grande ora, non fare perciò scenate e vai su quella moto» dice lui risoluto ed io lo guardo interrogativa. Ho un dubbio. Credo che mia madre abbia scelto il biondino per farmi accoppiare, come hanno fatto i suoi genitori con lei. E non mi piace questa cosa.

«Se "mio" padre avesse voluto una cosa del genere, poteva venire direttamente lui ad ordinarmelo. Non credi, zietto?» dico freddamente stringendo i denti per cercare di controllarmi. Ecco il primo punto che mi accomuna con mio nonno: siamo entrambi troppo suscettibili.

«La vedo dura. Ok va bene, fai come vuoi. Non discuterò con te. E lui che si preoccupava che fossi diversa caratterialmente, sei tale e quale a tuo padre e a tuo nonno» dice serio ed io annuisco sistemando con cura le valige in macchina e controllando che la macchina sia a norma.

«Dovresti essere più...remissiva» il biondino colpisce ancora e si azzarda anche a posare una mano sul mio braccio come se mi volesse stringere a sé: giuro che se non si leva, glielo taglio.
A buon intenditore poche parole su cosa taglierò.

«Sono molto remissiva» dico innocentemente finendo di caricare l'utima valigia.

«Dovresti esserlo veramente, lo dico per il tuo bene. Tu qui sei solo il pane che danno da mangiare ai pesci piccoli» dice ed io resto sconvolta: dico, ma chi si credo di essere questo qua?
Mi devo ricomporre, metto su il sorriso più falso che esiste sulla faccia della terra, conto fino a dieci e poi...

«Stai attento, la mollicchina di pane ti potrebbe andare storta: non vorrei che un pesciolino come te possa morire soffocato»  Alec non regge più sentendo la mia risposta fintamente innocente e scoppia a ridere pesantemente, senza nascondermi.

Gabriel mi guarda stupito ancora una volta e allo stesso tempo fulmina Alec con uno sguardo che viene ignorato. Il biondino mi guarda un ultima volta e, dopo il richiamo di mio zio già seduto in moto, si allontana per salire nella parte posteriore della moto.
Anche noi saliamo sulla macchina: voglio guidare io per scaricare la tensione ma Daemon me lo impedisce, così mi ritrovo seduta al lato passeggeri, con gli occhiali da sole ad indicare varie vie e scorciatoie per arrivare prima a casa, complimentandomi da sola per ricordarmi ancora la strada di casa.
La velocità di guida è moderata, mio zio è dietro di noi che col bindino in calzamaglia ci fa da scorta: come se ne avessimo di bisogno.

Se avessimo corso, molto probabilmente in meno di mezz'ora saremmo arrivati a destinazione, ma Daemon non vuole dare nell'occhio, se la prende comoda senza superare i limiti stradali, si gode il paesaggio americano e ci fa passare un'ora così, prima di arrivare vicino ad una villa enorme fuori città, circondata da mura possenti interrotte da un cancello in ferro battuto nero lucido con le iniziali J.C. al centro colorate d'oro: un po' too much per i miei gusti. Quando arriviamo davanti a quella maestosità in ferro mio zio prende un telecomando per aprire questa cosa oscena che riflettendoci richiama anche le mie iniziali. 

«Entra, andiamo al mio batibolo» dico sicura e Daemon entra parcheggiando proprio dinanzi alla porta di ingresso della mega villa dove ci sono già affacciati un uomo con una leggera barba che sorride felice, una donna con le lacrime agli occhi, un ragazzo con una bambina in braccio, un altro ragazzone pieno di muscoli dietro di loro con le manette messe ai polsi, un omone grassoccio e brutto che affianca il barbuto e una donna minuta con un neonato in braccio e un bambino di almeno sei anni attaccato alla sua gamba magrolina: credo di essermi persa qualcosa in questi anni di distanza. Mi interessa? Assolutamente no. Voglio farli fuori il prima possibile e nel modo più doloroso possibile.

«Chi scende prima?» domanda Victor ma io faccio cenno di scendere tutti insieme: se devo andare incontro al mio destino, meglio avere dei testimoni che possano vendicarsi in caso dovessi morire. Forse sto un tantino esagerando ma meglio prevenire che curare.

«Luke, avevi l'ordine di portare tu la macchina e di fare andare mia figlia con Gabriel» dice il barbuto: quindi lui è James, perfetto. Ha detto figlia, quindi penso sia io sua figlia. Quanto vorrei ucciderlo: non mi calcola per anni e ora dà ordini. 

«Jane è stata ferma nelle sue scelte e non avevo voglia di lottare con lei. Avete messo al mondo la fotocopia tua e di tuo padre ma al femminile. Guardala. Ha la stessa espressione di quando voi Cooper state calcolando di uccidere qualcuno nel modo più atroce possibile» dice lo zio ed annuisco: non fidarti James, so essere più spietata di te, mi hai insegnato la cosa peggiore che potessi insegnarmi.  Il volere il proprio bene e distruggere tutti quelli che possono essere una minaccia per me, anche se quella minaccia è la propria famiglia.

«Penso che sia un bene che abbia preso un po' del carattere dominante dei Cooper, almeno saprà giostrare meglio le cose nella sua futura famiglia col suo futuro marito. Ed è meglio che sia la mia copia, almeno sapranno contro chi si metteranno contro se solo osano farle qualcosa» patetico.
Solo questo mi viene da pensare.
Ora dice che mi potreggerà ma in tutti questi anni che ha fatto se non scappare?
Poi è così fiero che io sia così simile a lui: io vorrei potermi strappare via questa faccia e questi occhi. Non c'è stato un solo giorno in cui non mi guardavo allo specchio con la consapevolezza che ero la perfeta rappresentazione dei canoni estetici della famiglia Cooper.

«Papi, chi è Jane?» Papi. La bambina in braccio al ragazzo che sembra essere il mio Lulù, ha chiamato mio padre come se fosse il suo. Forse è stata adottata in questo periodo. Perché veramente questa potrebbe essere la goccia che farà traboccare il vaso.

«È nostra sorella, è tornata da un viaggio molto lontano» la voce di Stephen è dolce nei confronti della bambina mentre il suo sguardo su di me è gelido. In Russia ci stava meno freddo paragonato al suo sguardo e, non posso fare a meno di sentire qualcosa rompersi dentro me: non è più il mio piccolo Stephen di sempre. Di solito lui è solare, giocoso e apprensivo, ora è freddo, distante per non dire quasi assente: ora mi ricorda tanto una fotocopia sbiadita del carattere di mio nonno.

«Jane, lei è Janette, ha sei anni ed è la tua sorellina » dice la donna che dovrebbe essere mia madre mentre prende in braccio la bambina per metterla a terra vicino al suo fianco per avvicinarsi poi verso di me. Ed ecco la goccia che ha rotto il vaso, altro che traboccare.
La donna mi guarda ad ogni passo e, quando è davanti a me, allunga una mano per toccarmi la guancia in una carezza leggera. Sono letteralmente congelata da tutto ciò, non mi muovo, la lascio fare e conto nella mia testa per mantenermi calma e non fare scenate. 
Ma nessuno sta capendo il mio umore: io vorrei solo urlare e spaccare tutto e tutti. Ma quelli che sono la mia famiglia sembrano troppo allegri, anche la donna davanti a me sembra felice del fatto che non mi sia spostata a questo suo gesto. E peggiora la situanzione togliendo la mano e chiudendomi in un abbraccio spacca ossa che non voglio.

«Mi sei mancata da morire Jane!» dice al mio orecchio ma io non rispondo, la stringo leggermente più forte e le accarezzo i capelli, immaginando tutti gli scenari migliori per far soffrire ognuno di loro. 

«Lascia, faccio io!» l'urlo di Alec mi porta alla realtà. Spingo via mia mamma e mi volto vedendo con orrore che Gabriel cerca di prendere la mia valigia ma, richiamato dalla voce del mio amico, la lascia e cade a terra e lo scomparto segreto già fragile di suo, si apre e il suo contenuto cade a terra.
Merda!
Mi viene da pensare solo questo.

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