WATERS - l'ultima goccia di te

Por writingscintille

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Quando Olivia si ritrova ad essere da sola per colpa di Emma, tutta la rabbia la scaglia contro di lei e il s... Más

La Storia
Prologo
Olivia
Olivia
Olivia
Olivia
Emma
Olivia
[Ben]
Olivia
[Matt]
Olivia
[Sara]
Olivia
[Jen]
Olivia
[Eddie]
Olivia
[Olivia]
Olivia
[Emma]
Olivia

Olivia

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Por writingscintille

La casa dei Waters è alla fine della nostra strada, a circa cinque minuti a piedi a passo veloce. Mentre percorrevo il tragitto che avevo fatto da quando avevamo sei anni, cominciai a pensare al suo sorriso; non lo avevo dimenticato, o almeno era quello che pensavo. Lo vedevo ancora chiaro e preciso nella mia mente e nei miei sogni, i suoi dritti denti bianchi dopo aver portato l'apparecchio per un paio d'anni, le labbra screpolate e secche in inverno, e l'energia emanata dal solo sorridere. Era difficile non soccombere al suo fascino, certe volte solo con il guardarti, prima ancora di aprire la bocca, ti aveva sciolto e avevi ceduto prima ancora che tu ne fossi a conoscenza. Era come una magia, e credetemi quando vi dico che non è riuscita a vendere tutto quel numero di limonate per pagare i suoi studi a Yale che non copriva la sua borsa di studio da quanto buoni fossero quei limoni. Lei era così, immagino. Questo era il suo modo di essere.

Quando iniziai ad avvicinarmi al giardino della casa blu dove aveva vissuto da quando erano arrivati, saranno undici anni nel mese di agosto, iniziai a ricordare tutte le volte che io e Ben siamo stati costretti a unire le forze per trovare Em durante le nostre sessioni pomeridiane a giocare a nascondiglio, perché quella ragazza, era molto scivolosa. Una volta ci abbiamo anche messo un paio d'ore per trovarla, perché, molto intelligente, si era nascosta sul tetto; Beh, la verità è che non si era neanche nascosta, ma ci aveva osservati per la maggior parte del tempo, era semplicemente salita su per la scala sul retro della casa e noi due non avevamo pensato di guardare lì. Tecnicamente faceva parte della parte esterna, ma quando avevamo imposto la regola di non nascondersi in casa, credo che dovremmo aver messo in chiaro che salire su di essa non era valido. Entrambe eravamo bambine difficili alle elementari: io e suo fratello non rinunciammo e neanche lei lo fece. Una sola cosa ci avrebbe fatto terminare il gioco, ed è stato il grido di Jen chiamandoci per mangiare il pollo all'arancia. A quel tempo, era la nostra rovina.

Quando iniziai a camminare sulla soffice erba del loro giardino,  vidi subito la signora Waters salutandomi con gioia dalla finestra del salotto, ancora con il grembiule e una margherita un po' stropicciata tra i capelli. Eddie, pensai. Doveva essere tornato nel giardino della signora Pieterse per cogliere un fiore di nascosto perché la madre lo potesse mettere addosso i lunghi capelli color caramello. Lo faceva sin da piccolo, lo aveva imparato da Em.

Non  ci fu nemmeno bisogno di suonare il campanello perché, prima di arrivare alla porta, Jenny mi aspettava a braccia aperte. Mi diede un caloroso abbraccio e mi invitò ad entrare nella casa dove avevo trascorso quasi tutta le mie vacanze estive da una decina d'anni.

La verità è che tutto era esattamente come l'ultima volta che ero stata lì, a differenza del vuoto nelle pareti in cui ci solevano essere foto e ritratti di famiglia; mi chiesi se li avrei mai rivisti appesi come sempre. Di solito aggiungevano una manciata di fotografie ogni anno dopo la fine della scuola e io c'ero nella maggior parte di loro, perché, in quel momento, sentivo come se fossero la mia vera famiglia, mi sentivo come a casa.

Ma ora tutto sembrava molto più freddo, non solo per il fatto che mancasse l'energia poiché Em non c'era più, ma perché l'atmosfera sembrava essere falsa. Sembrava tutto molto forzato, tutti molto perfetti, cosa che i Waters non erano in alcun modo. Jenny e Tom sorridevano e si interessavano circa i miei studi, quindi credo che cercare di far finta che la figlia non fosse morta, fosse il loro modo di affrontare tutto quanto. Comunque, credo che pensassero che fosse meglio essere imbattibili davanti gli altri e sperare di superarlo, loro e i  loro altri due figli; era la loro via di fuga.

Eddie corse giù per le scale quando senti la madre urlare che la cena ci attendeva e quando mi vide mi si gettò fra le braccia.

«Olivia! Sei venuta!», gridò.

«Ne dubitavi, Speedy? Non potevo mancare», dissi e lui sorrise nel vedere che lo avevo chiamato con il soprannome che io ed Em gli avevamo dato qualche anno prima; lo aveva amato dal primo momento perché sosteneva che sarebbe riuscito a vincere la maratona più lunga e impressionante del mondo. Vidi come il sorriso di Jen scompariva per un secondo in modo automatico e come abbassò la testa per cercare di nasconderlo. Merda. Avevo dimenticato per un momento le circostanze in cui eravamo, ma, vedendo il piccolo sorridere, mi si era sciolto il cuore. Eddie era, come gli altri due, mio fratellino, mi prendevo cura di lui da quando avevo quattordici anni; sarebbe stato molto difficile non amarlo così tanto. E, dopo tutto, ogni volta che ci eravamo visti dal giorno del funerale, era riuscito ad alzarmi l'animo.

Si fece un silenzio imbarazzante, ma, per fortuna, sentii il rumore di passi scendere le scale, lo fermarono. Immersi nella situazione, nessuno dei quattro si era reso conto che il suono ovattato della chitarra proveniente dalla stanza di Ben, si era fermato.

Ed eccolo lì, sorridendoci con uno sguardo un po' smarrito, vestito come la mattina, ma con i capelli ancora più arruffati, che, stranamente, lo rendevano interessante.

«Che cos'è tutto questo silenzio, gente?», chiese, guardandomi, «Si cena?»

Credo che gli sguardi che ci scambiammo io, Jenny e Tom furono di sollievo, perché lui aveva impedito, inconsapevolmente, che fossimo ancora più scomodi, e ci aveva dato una scusa per muoverci.

«Ma certo!», esclamò Speedy contento, «Che profumino!»

Ce ne stemmo tutti lì a guardarlo e sorridemmo mentre correva verso il suo posto con una velocità quasi inumana, convincendomi che, anche se aveva solo sei anni, la sua previsione sarebbe stata adempiuta un giorno non molto lontano.

I suoi genitori entrarono nella sala da pranzo dietro di lui e io, pronta a seguirli, sentii le mani di Ben sul mio braccio.

«Ehi, tu, ciao», disse con il suo sorriso.

«Buona sera, Signor Waters, tutto bene?», gli chiesi.

«Compiaciuto di essere onorato dalla vostra presenza, capitano Kitty. Com'è stata la sua giornata?», disse sorridendo.

Lo fissai, ma cedetti alla sua battuta perché, in fondo, sapevo che non lo faceva a modo di scherno. Era sempre stato così, ed ero felice che qualcosa, anche se era solo lui, non fosse cambiato. Era rimasto lo stesso di prima, o almeno così sembrava.

«Come quella del resto del mondo: soggetta all'entropia, decadenza e l'eventuale morte», gli risposi sorridendo, «grazie dell'interesse.»

«Venite a cena, ragazzi», disse Tom dal tavolo, «non credo che nessuno voglia mangiare il pollo freddo.»

«Certo, papà. Subito!», rispose Ben. E, sorridendo, si voltò e cominciò a camminare verso il punto dove la sua famiglia era; o almeno, parte di essa.

Lo seguii e mi sedetti sull'unica sedia libera, davanti a Ben e a Speedy, che avrebbe dovuto essere al mio fianco, dove lei si sedeva di solito. Jenny e Tom erano seduti uno di fronte all'altra, agli estremi del tavolo color mogano, come avevano sempre fatto; il piccoletto aveva abbandonato il suo lato, lasciando me, la sua migliore amica, nel bel mezzo di dove si sedevano di solito. La mia espressione pensando a quello, aveva rivelato le mie emozioni; credo che tutti gli adulti in camera si resero conto di che cosa stesse succedendo, era come se potessero vedere il mio cervello sezionato  e tutti i miei pensieri stessero svolazzando in aria.

Ma decisi comunque di godermi la serata e sorrisi, guardandoli con un'espressione dolce.

Non succede nulla, Olivia, non succede assolutamente nulla.

«Ebbene, Olivia, racconta a Ben e Eddie quello che mi hai detto sul tuo progetto finale di Geografia», mi disse la signora Waters sorridente dopo aver servito una notevole razione della sua migliore ricetta nel mio piatto.

«Non è niente, in realtà è solo un semplice lavoro per ottenere crediti extra per il college», risposi, sminuendo la questione.

«Continua, per favore», chiese Tom.

«Consiste nel scegliere un luogo nella zona e concentrarsi su di esso. Cercare la sua storia, spiegarne le caratteristiche, curiosità e cose del genere. Poi, naturalmente, scrivere una redazione. Il lavoro vincente verrà presentato alle università migliori e lo studente vi potrà' entrare anche all'ultimo minuto. Diciamo che, più che per ottenere crediti, siamo in concorrenza. Io spero solo di guadagnare qualche punto in più.»

«Non è geniale, ragazzi?», chiese la Signora Waters, «a te non hanno dato una possibilità come questa ai tuoi tempi, Ben!»

«Mamma, mi sono laureato l'anno scorso», gli rispose lui, sorridendo.

«Lo sappiamo, ma sembra che siano passati circa un migliaio di anni», scherzò suo padre, e Speedy rise.

«Ve lo immaginate tra mille anni? Sarà molto bello», disse ridendo, «uno scheletro piuttosto carino.»

«E tu uno piuttosto monello», gli rispose lui, facendogli il solletico.

«Forza ragazzi, continuate a mangiare, freddo non vale niente», disse Jen, tale quale  lo avevo sentito dire da mia nonna centinaia di volte, «Olivia, hai in mente qualche posto?»

«In realtà, sono ancora indecisa.»

«Lo potresti fare sui sorprendenti bagni del centro commerciale del paese, non credo ci sia nulla di più sporco  e interessante contemporaneamente nelle vicinanze», disse Ben.

Ridemmo tutti all'unisono. Per un secondo, vedendomi in quella situazione, come era solito solo qualche mese prima, mi diede nostalgia, ma anche speranze.

Ma, proprio come era destinato ad accadere, rovinai tutto.

«In realtà, ho già pensato ad un posto», affermai.

«Sul serio?  E quale sarebbe?», chiese Speedy curioso.

«Avevo pensato al Lago Richmond», borbottai, troppo diretta di quanto mi sarebbe piaciuto, «ve lo volevo dire perché non so se vi interessa, ma io continuo a vederlo come il luogo delle nostre fughe, dei nostri picnic in estate, e non come abbiamo finito per ricordarlo.»

Pensavo che quando glielo avessi detto avrebbero reagito male e, lentamente, i volti dei ragazzi mi confermarono che avevo ragione, ma poi, Jen sorrise.

«Certo, tesoro. Mi sembra benissimo», disse tagliando un altro pezzo di pollo. Ma la sua voce si spezzò, costringendola a lasciare il tavolo e ad andare in cucina perché non la potessimo vedere. Merda. Non avrei dovuto dire una parola.

Merda!

Poi vidi Ben alzarsi dalla sedia e dirigersi verso di me, con un'espressione non troppo piacevole. Venne da me e, senza esitazione, mi afferrò il braccio, costringendomi ad alzarmi. Io, confusa, non opposi molta resistenza, ma una volta raggiunto il portico e chiuso la porta di casa, finalmente reagii.

«In che diavolo stavi pensando, eh?», gridò, e anche se mi aveva trascinata per mezza casa, rimasi sorpresa.

«Lasciami andare! Mi fai male!», scattai.

«Mi dispiace», disse, rendendosi conto che il suo braccio era ancora teso, afferrando il mio con forza sufficiente da lasciarmi il segno- ma in che diavolo stavi pensando?

«Mi dispiace tanto, va bene? Non pensavo di ferire nessuno. Non era mia intenzione», risposi con un filo di voce.

«Quindi non era tua intenzione di fare del male a nessuno, ma hai comunque deciso di portare vecchi ricordi in superficie.»

«Vecchi Ricordi? È così come li chiamate ora? La considerate un vecchio ricordo?»

«Sai che non è così, Ollie. Non volevo che suonasse in quel modo», disse, cercando di calmarsi.

Respira. Solo, respira.

«Senti, mi dispiace per quello che è successo», risposi, tentando che la mia voce non si spezzasse con l'andare avanti della frase, «dovrei chiedere scusa a tutti quanti.»

La sua mascella si irrigidì, come quando rifletteva sulla risposta a una delle domande delle nostre sessioni Trivial domenicali. Rimase in silenzio per un attimo, senza spostare lo sguardo dai miei occhi, lì in piedi, illuminato dalla luce della luna di un altro sabato fresco dei primi di marzo. Lo guardai con attenzione, ma non penso ci fece troppo caso, lui stava facendo lo stesso con il mio volto; ma la sua espressione non cambiò nemmeno per un istante.

Non avevo idea di cosa fare, era un momento scomodo e a sua volta intenso, e l'ampio rapporto che c'era tra noi sembrava rompersi in pezzi.

«Ben, io...», cominciai.

«Non andare avanti, per favore. Ho bisogno di parlare io», disse, dirigendosi verso il dondolo a tre posti in legno accanto alla porta. Io, imperterrita, lo seguii.

«Senti, ho bisogno che tu mi dica perché. Mi spiace, ma non credo che la tua scusa sia ricordare i momenti e i picnic con gioia», continuò a fissare la luna, «non me la bevo.»

Esitai un attimo, pensando a quello che mi avrebbe detto se gli avessi raccontato perché volevo lavorare sul luogo in cui era morta la nostra Emma.

«Beh», cominciai finalmente pochi minuti dopo, «non credo troppo alla versione della sua morte che abbiamo ottenuto.»

«Cosa vuoi dire con questo?», chiese con voce di frustrazione.

«Amava l'acqua. È impossibile che sia annegata, ma anche, che decidesse di morire. Dai, tu ed io la conoscevamo più di chiunque altro al mondo. Davvero pensi che avrebbe fatto una cosa del genere? Perché io no. Ben, Em non si sarebbe mai suicidata, era una sorella e un'amica incredibile. Stava per andare a studiare a Yale, per l'amor di Dio! Il suo più grande problema era decidere quali libri  avrebbe portato  nella nuova libreria al residence in autunno. Pensi davvero che avrebbe fatto quello che affermano che abbia fatto, con la vitalità che aveva?», gli chiesi, cercando di convincerlo con le mie parole.

«Non ne ho idea, Ollie.»

«Dobbiamo scoprire la verità di tutto, Ben. Per lei, per Em. Non pensi che merita di essere ricordata per come era e non per come è finita? Per l'amor del cielo, anche se solo avesse potuto avere una degna sepoltura», gli ricordai, «non credi che meriti un finale migliore? Combatti una volta per tutte!»

D'un tratto si voltò e mi fissò. Nei suoi occhi vidi ancora una volta il dolore che avevo visto un paio di giorni dopo l'incidente; ma qualcosa era cambiato, questa volta, la tristezza era mescolata alla furia.

«Credi che io pensi di no? Naturalmente merita un finale migliore! Dai, pensi davvero che ho smesso di pensare al perché? Mia sorella è morta, ricordi? Annegata. E si è tolta la vita», sbottò in fretta, chiudendo gli occhi in modo che non potessi vedere il suo dolore, «per quanto non vogliamo credere ai nostri occhi, è ciò che è successo. È saltata, l'ha fatto. E non possiamo farci nulla. Ma Emma era anche mia sorella, non ti azzardare a dire ancora una volta che io non combatto per lei.»

Distolse lo sguardo e, se la situazione poteva diventare ancora più fredda di quanto non fosse, successe. Si piombò il silenzio su quel portico.

Non disse nient'altro, e io, beh, io piangevo in silenzio. Non feci alcun suono, ma le lacrime venivano fuori veloci, bagnandomi le braccia, che se ne stavano appoggiate sulle mie ginocchia.

Fermai tutti i miei pensieri e smisi di pensare a quello che poteva essere detto. Ma, come se fosse un atto riflesso, gli presi la mano e gliela strinsi con forza. Un brivido attraversò il mio corpo, perché, dopotutto, non gli avevo preso la mano da quella partita a "Ragnatela" nel mio giardino con Em. La sua mano si strinse sulla mia e, improvvisamente, si volse verso di me. Non piangeva, ma sembrava stesse per farlo. Non volevo disturbarlo, così sbottai dopo aver accarezzato il dorso della sua mano con il pollice e iniziai ad alzarmi. Non andai molto lontano perché, dopo aver fatto il primo passo, mi afferrò il braccio, ma a differenza prima, lo fece delicatamente. Mi voltai e vidi che aveva ceduto alla tristezza, perché aveva una lacrima che gli scendeva giù per la guancia.

«Non lasciarmi», sussurrò, «ho bisogno di te qui, per favore.»

E, senza dire niente, mi rimisi a sedere, portando il suo braccio sopra il mio grembo e pensando a quanto anche lui avesse sofferto. Sentii come la situazione diventava più sciolta, più naturale, e mi lasciai andare dalle lacrime che avevamo entrambi rovesciato, appoggiando la testa sulla sua spalla. Avevamo passato così tanto tempo insieme, io e lui ed Em, che, dal momento che lei non c'era più, non eravamo stati di nuovo insieme per davvero, non come prima. La mia amicizia con lei non era paragonabile a quella di nessun altro ma, tuttavia, io e Ben avevamo stabilito un forte legame che credo avessimo appena determinato. Prima non era del tutto chiaro, ma, in quel momento, sapevo esattamente chi eravamo. E in parte, mi piaceva saperlo.

«Ollie...», mi disse in un orecchio.

Alzai leggermente la testa e lo guardai dritto negli occhi. I suoi occhi. Quelli che avevo guardato tutta la vita, ma che per qualche motivo, quella sera erano diversi. E anche lui mi guardò, ma in un modo strano, come se volesse dirmi qualcosa che non avrebbe mai veramente avuto intenzione di dire.

Mi accarezzò la guancia e un brivido attraversò entrambi. Ancora con la sua mano sul mio viso, avvicinò l'altra e mi diede il suo miglior sorriso. Glielo ricambiai e, in fretta, come se due magneti ci stessero attraendo, ci avvicinammo. Improvvisamente tutto divenne una macchia, tutto tranne il groppo che avevo in gola. E poi, la sensazione di disagio cominciò a crescere dentro di me, minacciando di emergere in superficie. Continuammo a guardarci, più intensamente che mai, con le sue mani su entrambi i lati della mia testa. I suoi occhi grigi nei miei. E allora capii la sensazione. Avrei voluto baciarlo. Inoltre, lo desideravo. E, per quanto fosse strano, i suoi occhi non mi contraddicevano.

Gli accarezzai di nuovo la guancia destra con il pollice e poi, alla luce della luna, come nei libri, fu come se il mondo fosse cascato ai nostri piedi. Era come se stessimo galleggiando. Il tutto sotto la luce della luna, in modo terribilmente romantico. E non importò il mondo esterno durante quei minuti. Perché, dopo che Em se ne era andata, siamo stati lasciati soli Ben e me. E non era sbagliato quello che stavamo facendo, giusto?

Un attimo dopo, però, riuscii a vedere con chiarezza. In realtà stavamo sbagliando, e molto. Anche dopotutto, lui restava suo fratello. Per molto amici che fossimo, non era la cosa giusta da fare. Per niente.

Così, mi staccai e mi alzai. Non potevo, per quanto avessi voluto continuare, non potevo.

«Devo andare, mi dispiace», gli dissi, girandomi e precipitandomi giù per i gradini del portico come un fulmine .

«Olivia, aspetta!», urlò dietro di me, «dovremmo parlare, non credi?»

«Domani devo svegliarmi presto. Buona notte, Ben», risposi freddamente.

«Buona notte, allora, Olivia », disse, e io scappai da quel luogo.

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