Tutto quello di cui ho bisogno

By AlessiaSanti94

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Quando Nadia ha lasciato Roma per tornare al paese natale, si è portata dietro un cuore spezzato e tanta frag... More

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2 Anni dopo.
Capitolo 1.
Capitolo 2.
Capitolo 3.
Capitolo 4.
Capitolo 5.
Capitolo 6.
Capitolo 7.
Capitolo 8.
Capitolo 9.
E se vi dicessi... Nuova storia?
Capitolo 10.
La Nuova Storia è stata pubblicata!
Capitolo 11.
Capitolo 12.
Capitolo 13.
Capitolo 14.
Capitolo 15.
Capitolo 16.
Capitolo 17.
Capitolo 18.
Capitolo 19.
Capitolo 20.
Capitolo 21.
#AskAle
Capitolo 22.
Capitolo 23.
Capitolo 24.
Capitolo 25.
Capitolo 26.
Capitolo 27.
Capitolo 28.
Capitolo 29.
Capitolo 30.
Capitolo 31.
Capitolo 32.
Capitolo 33.
Capitolo 34.
Capitolo 35.
Capitolo 36.
Capitolo 37.
IMPORTANTE!
Capitolo 38.
Capitolo 39.
Capitolo 40.
#AskYourCharacter.
Capitolo 41.
Capitolo 42.
Capitolo 43.
Capitolo 44.
Capitolo 45.
Capitolo 46.
Capitolo 48.
Capitolo 49.
Capitolo 50.
Capitolo 51.
Capitolo 52.
Capitolo 53.
Capitolo 54.
Capitolo 55.
Capitolo 56.
Capitolo 57.
Capitolo 58.
Capitolo 59.
Epilogo.
Capitolo extra + anticipazioni
Ringraziamenti
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Capitolo 47.

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By AlessiaSanti94

Quando bussò alla porta, le venne ad aprire una domestica con la faccia trafelata e stanca. Aveva i capelli raccolti in uno chignon alto e tirato, e non indossava la divisa di lavoro. Le fece cenno di entrare, con uno sguardo speranzoso e pieno di gratitudine. «Finalmente è arrivata, signorina», le disse, con un sospiro carico di tensione. «Non ce la facevo più. Sono bloccata in questa casa da undici ore

Nadia varcò la soglia della residenza Neri e annuì alla signora. Fece vagare lo sguardo lungo il corridoio che portava alle scale per il piano superiore e scosse la testa, demoralizzata: il pavimento era pieno di bottiglie di alcolici vuote e gettate a terra senza un preciso ordine; alcune erano rotte, altre rovesciate per metà. Sulla ringhiera delle scale era appesa una maglietta da donna e qualche gradino più su giacevano appallottolati dei pantaloni. In quella casa sembrava esserci appena passato un uragano. Un uragano che prendeva il nome di Diego Neri.

«Avrei dovuto staccare dal servizio alle otto. Adesso sono le undici passate. Sono passate tre ore, nel frattempo. Si rende conto, signorina? Mio marito e la bambina mi stanno ancora aspettando per cenare assieme», continuò a sbraitare la donna, senza far caso alle condizioni dell'ingresso della casa. «Ah, ma farò senz'altro una lamentela alla signora Neri. Fossi matta a non farla. Ogni volta che loro partono, quest'abitazione si trasforma in un... bordello a porte aperte. E poi, guardi con i suoi occhi», le indicò il pavimento, schifata. «Guardi che disastro. Io non metterò in ordine nemmeno un coccio, di queste bottiglie sparse a terra. È arrivato il momento che i signori Neri si rendano conto a chi stanno lasciando in mano le redini di casa. E quella bambina, poi... La tengo nel cuore!»

«Mi dispiace tantissimo che si sia dovuta trattenere, Miriam», le rispose Nadia, con il volto dispiaciuto. «Se lo avessi saputo prima, sarei arrivata subito.»

«No, per carità!» La donna alzò le mani al cielo e poi le accarezzò i capelli dolcemente. «Lei è così graziosa... Ma stavolta non gliela farò passare liscia, a quel farabutto! I suoi genitori non sanno delle tresche che tira su con le sue amichette impunite. Sarò anche una loro dipendente, ma non mi farò mettere i piedi in testa da un ragazzo che potrebbe essermi figlio.»

Nadia l'accompagnò alla porta in un silenzio apprensivo e le sorrise. «Conosco i difetti di Diego. Li conosco benissimo.»

«Allora non si lasci ingannare da lui, signorina. O farà la fine di tutte le ragazze che entrano ed escono dalla sua stanza», le mormorò Miriam, aprendosi da sola la porta di casa. Prima di fare il passo decisivo per uscire, si bloccò, con un piede fuori dalla soglia e l'altro ancora nell'atrio. Si voltò verso Nadia e le fece cenno di avvicinarsi con un dito. «E se vuole sapere di quale fine sto parlando, aspetti domani mattina e lo vedrà. Oh, quante ragazzine ho visto sgattaiolare fuori da questa casa come ladre! Anzi, i ladri avrebbero un contegno superiore.»

«Non lo farò, Miriam. Un'ultima cosa.» Nadia fece un cenno con il mento rivolto verso l'interno della casa. «Dove sta Lidia? Lei per caso ha visto qualcosa-»

«Oh, buon cielo, no. No, no», farfugliò la domestica, adesso imbarazzata. «È stata tutto il tempo nella sala dei giochi, come mi era stato detto. Non le avrei mai permesso di gironzolare per questo... tempio della perdizione. Spero solo che quel piccolo angelo non prenda ispirazione dal fratello. Me lo auguro proprio. Adesso, tolgo il disturbo. Buona fortuna, signorina Nadia.»

Lei sorrise e ricambiò il saluto, mentre si richiudeva la porta di casa davanti. «Grazie, Miriam. Buonanotte.»

Quando rimase da sola, sospirò e si fece coraggio. Diede un'ultima occhiata alla baraonda che divagava per tutto l'atrio e decise volutamente di non farci caso, superando passo dopo passo ogni oggetto fuori posto. Gliene avrebbe dette quattro a Diego. Senza ombra di dubbio. Ma prima doveva occuparsi di Lidia. Era lei la sua priorità, in quel momento.

Aprì la porta della sala dei giochi quasi con timore, preoccupata dallo stato in cui avrebbe potuto trovare la bambina. Chissà se si rendeva conto di quello che succedeva accanto lei, nella stessa casa. Chissà se capiva degli sbagli commessi da suo fratello.

«Ciao, Lidia. Posso entrare?» domandò timidamente, aprendo appena uno spiraglio.

«Nadia?» rispose lei, dopo qualche attimo di titubanza.

«In carne e ossa. Sono venuta a trovarti.»

«Dimostrami che sei tu veramente. Parola d'ordine?» La bambina zampettò fino alla porta e rimase in attesa dietro alla soglia.

Nadia sorrise. Conosceva a memoria quella parte del gioco, ormai. Estrasse dalla borsa una bustina di plastica trasparente, da cui tirò fuori una caramella. La espose sul palmo della mano, che fece passare attraverso lo spiraglio aperto della porta. «Orsetti gommosi

La porta si spalancò in un attimo e Lidia agguantò la caramella colorata dalla mano, portandola direttamente nella bocca. Fece entrare Nadia nel suo tempio dei giochi e l'abbracciò, cingendole i fianchi con le braccia.

Nadia si chinò per accarezzarle i capelli e lasciarle un bacio proprio sulla chioma mora, poi la condusse verso il divano, popolato da almeno dieci specie di peluche animali diversi. «Come stai, tesoro? Stavi giocando?» le chiese, dopo averle fatto cenno di sedersi, proprio accanto a lei.

«Mi sono divertita molto al compleanno di Beatrice. Abbiamo guardato i cartoni animati e poi è arrivato un clown con i palloncini!» strepitò, battendo le mani. «Ho provato a portarne uno a casa, ma quando sono salita in macchina... puff, è scoppiato!»

«Avete mangiato la torta?»

Lei annuì e si distese lungo il divano. «Era al cioccolato. Aveva anche gli zuccherini.»

«Dev'essere stata buona, allora», convenne Nadia, accarezzandole i capelli.

«Mamma la sa fare più buona.»

«Lidia... ti ricordi quando ti avevo parlato a proposito dell'essere sinceri?» Nadia scosse la testa, convinta che i bambini fossero delle spugne in grado di assorbire ogni comportamento o atteggiamento di chi si trovasse nei paraggi.

«Sì, infatti sono stata sincera con Beatrice. Ho mangiato la sua torta e le ho detto che quella della mia mammina era più buona» rispose Lidia, con una scrollata di spalle. «Però non è stata molto felice, lei. Ha messo il muso ed è andata a giocare con Priscilla e Corinne.»

«Sai, Lidia, certe volte non è d'obbligo essere così tanto sinceri. Alcune opinioni possono ferire le persone... motivo per cui possiamo anche evitare di dirle a voce alta», le spiegò Nadia, con calma.

«Ma è vero che la torta che cucina mamma è più buona! Non sto dicendo una bugia!» si lamentò la bambina, tirando all'infuori il labbro.

«Nessuno lo mette in dubbio, tesoro. Anzi, ne sono sicura. Tua madre fa dei dolci ottimi», confermò alla fine. L'ultima cosa che desiderava era che Lidia scoppiasse in un pianto greco.

«Anche io sono brava a farli, però.»

«Ah, sì?»

Lidia afferrò il peluche accanto a sé e lo abbracciò. «Chiedilo ad Happy. Lui mangia sempre i miei dolcetti!»

Nadia sorrise e tirò un sospiro di sollievo: l'umore di Lidia era buono. La situazione generale al di fuori di quella stanza non l'aveva toccata più di tanto. La lasciò giocare con i suoi pupazzi, districandole i capelli con la mano mentre teneva la testa poggiata sulle sue gambe. Durante quel breve arco di tempo non parlarono molto: Nadia la osservava e lei parlottava con i suoi amichetti di pezza, sbadigliando di tanto in tanto. Era quasi mezzanotte, e a quell'ora i bambini normali erano già sotto le coperte da un pezzo. Ma Lidia non poteva andare in camera sua, perché al piano di sopra il fratello stava rubando alla sorella di cinque anni il diritto di comportarsi da ragazzina.

«Hai sonno?» le domandò con un sospiro. La risposta era più che scontata: se aveva sonno lei, dall'alto dei suoi diciannove anni, figuriamoci una bambina.

Lidia annuì e aggrottò la fronte. «Diego sta di nuovo con le gallinelle, vero?»

Nadia rimase in silenzio, colpita dalla sua affermazione, e per un momento smise di accarezzarle i capelli. Cosa avrebbe dovuto risponderle, adesso?

«Prima mi ha detto di restare qui a giocare. Ma io ho già giocato per tutto il pomeriggio... Non mi va più di farlo.»

«Ecco, lui è... impegnato, diciamo. Doveva fare una cosa importante, quindi... aveva bisogno della casa libera e silenziosa. Sai, per concentrarsi meglio», borbottò a mezza voce, sperando di essere abbastanza credibile.

«Diego deve fare sempre delle cose importanti, nel weekend. E non le fa mai da solo», brontolò la bambina, incrociando le braccia al petto. «Perché deve invitare sempre quelle signorine?»

«Lo fa per dei... progetti. Insomma, sono cose da grandi. Ma ti prometto che domani ti dedicherà tutta la giornata.»

«Lo farà sul serio?»

«Facciamo così...» Nadia le sorrise, inclinando appena la testa. «Se tuo fratello farà il cattivo, domani, chiamami. Ti prometto che verrò qui di persona e lo rimetterò in riga. Ci stai?»

Gli occhi di Lidia si spalancarono, brillanti. Anche se la stanchezza stava avendo la meglio sul suo corpicino, quella frase l'aveva fatta tornare vispa. Annuì, con una scossa vigorosa di testa. «Lo sai che sei la mia baby-sitter preferita? Nessun'altra, prima di te, era venuta a farmi compagnia la sera. Ho sempre giocato da sola», le rivelò la bambina, imbronciata.

Nadia la osservò con orgoglio. Si sentì fiera di aver accettato quel lavoretto, perché le stava insegnando molte cose; la stava arricchendo dentro. Lidia era una bambina intelligente, ma aveva anche delle carenze a livello di attenzioni. Probabilmente il fatto che i genitori lavorassero spesso fuori Roma e che il fratello non fosse l'esatto esempio da seguire, l'avevano resa più sensibile. Ma non sempre maturare precocemente poteva essere inteso come valore aggiunto di una persona: talvolta, crescere troppo in fretta poteva significare il fatto di avere avuto delle grosse carenze, nella vita. Carenze che, in un modo o nell'altro, si era costretti a compensare, a superare e a dimenticare.

«Ci sono io, adesso. Non ti lascerò più giocare da sola», le mormorò a bassa voce.

«Ho sonno, Nadia. Mi si stanno chiudendo gli occhi...» Lidia si stropicciò le palpebre, mosse da movimenti sempre più lenti e cadenzati.

«Dormi, allora. Ti porto una coperta e un cuscino.» Nadia scansò la bambina dalle gambe e si alzò in piedi, diretta verso la cassettiera all'angolo della stanza. Aprì un cassetto e tirò fuori una coperta con una trama di orsacchiotti di peluche disegnati.

«Ma tu resterai qui, vero?» Lidia si accoccolò su un fianco, portandosi le mani sotto la guancia. Aveva già gli occhi chiusi e l'espressione di chi è in procinto di cadere in un sonno profondo.

«Certo. Fino a che non ti addormenterai», la rassicurò Nadia, posandole la coperta sopra e incastrandole un cuscino sotto alla testa. Le lasciò un bacio leggero sui capelli mori e sorrise. Quella bambina era davvero speciale.

Dieci minuti dopo, Lidia dormiva di sana pianta, con il peluche sotto il braccio e la coperta che le lasciava scoperta solo la chioma folta e scura. Nadia la osservava di tanto in tanto, ma in quel momento tutto sembrava scorrere tranquillo. La casa era avvolta in un silenzio notturno. Ma un rumore, sordo e improvviso, la fece scattare. Subito si guardò attorno, per verificare che non provenisse dalla stanza dei giochi, ma a primo impatto le sembrava lontano, come se provenisse da un altro ambiente.

Guardò l'orologio affisso al muro: era mezzanotte passata. Per un attimo Nadia rimase interdetta, senza sapere bene come muoversi. Quel rumore di porta sbattuta poteva significare qualsiasi cosa, e lei non aveva intenzione di immischiarsi negli affari di Diego e della sua fiamma notturna. Forse avrebbe fatto meglio a restare nella stanza dei giochi per un altro po' di tempo, controllando il sonno di Lidia. Sospirò e si mise di nuovo seduta, picchiettando nervosamente il piede a terra. «Al diavolo! Non uscirò da questa sala. È Diego che deve venirmi a cercare.»

Reclinò la testa all'indietro e chiuse gli occhi, stanca. Quanto avrebbe voluto essere nel letto del suo appartamento, in quel momento. Sbadigliò e si portò una mano sulla bocca.

«Ti ho detto che devi andartene, puttana!» La voce di Diego squarciò il silenzio di casa Neri, rimbombando tra le pareti e arrivando dritta nelle orecchie di Nadia, che scattò subito in piedi, in allerta.

«Sei uno stronzo!» Stavolta a parlare fu la ragazza, con la voce rotta dal pianto e sopra di qualche ottava. Stavano gridando entrambi, e da come giungevano nitide le voci, sembrava stessero a poca distanza dalla sala dei giochi.

«Ma che diavolo sta succedendo?» borbottò Nadia a bassa voce. Lanciò uno sguardo preoccupato a Lidia, sperando che le grida dei due idioti che stavano lì fuori non la svegliassero. Ma lei continuava a dormire beatamente, per fortuna.

«Ecco, prendi la tua roba e vattene. Hai capito...?»

«Cazzo, non ti ricordi nemmeno come mi chiamo! Eppure mi sembrava che fossi interessato, prima, al locale!» continuò a sbraitare la ragazza. Si sentì il rumore di passi pesanti sulle scale, poi un attimo di silenzio.

«Dai, Chantal, non mettere su questi piagnistei. Ci siamo divertiti, no? Lo volevi anche tu.» Il tono di voce di Diego sembrava trasudare ironia ed ebbrezza. Probabilmente era ancora ubriaco.

«Mi hai dato della puttana!»

«Perché, non lo sei? Ti sei fatta scopare come una puttana. Mi hai allietato la serata, è vero, ma adesso non voglio più vederti. Sei come tutte le altre. Sei mediocre e... totalmente... banale. Banale

Nadia sbarrò gli occhi e raggiunse la porta quasi correndo. Doveva intervenire, o la situazione sarebbe degenerata rapidamente. Tirò la maniglia verso di sé e si precipitò nell'atrio, con uno sguardo grave: Diego era a metà della scalinata, con una bottiglia semivuota in mano e l'aria persa; aveva indosso solo un paio di jeans scuri e sembrava completamente stravolto. La ragazza, invece, era già arrivata all'ultimo gradino e lo guardava con disprezzo: il mascara nero le era colato sotto gli occhi, formando due righe che le solcavano le guance, e aveva i capelli biondi arruffati. Anche lei sembrava sconvolta e ansante.

«Volete piantarla?» Si mise in mezzo Nadia, sbucando dal corridoio che collegava l'atrio alla sala dei giochi.

Gli occhi di Chantal guizzarono su di lei, stupiti. «Oh, ma bene! Adesso esce fuori che avevi anche una ragazza! Fantastico!»

«Non sono la sua ragazza, e ti consiglio di abbassare la voce. C'è una bambina che dorme», sillabò Nadia, incrociando le braccia al petto. «Diego, vale anche per te.»

«Chantal, perché non te ne vai? Guarda che non mi faccio problemi a buttarti fuori di qui.» Diego le indicò l'uscita di casa, brandendo la bottiglia di liquore a mo' di segnale indicatore.

Lei rimase impassibile, a fissare la persona con la quale aveva condiviso la serata, e a non riconoscerla più. «Io... davvero, non ho parole. Tu... tu sei un grandissimo pezzo di merda.» Afferrò dalla borsa una serie di oggetti che scagliò addosso al ragazzo con cattiveria, mancandolo però il più delle volte.

Nadia si avvicinò con cautela a Chantal e l'afferrò per le spalle. Non se la sentiva di urlarle contro. D'altronde era l'ennesima vittima dell'uragano Neri. «Ascoltami, prendi le tue cose e va' via. Dimenticati di Diego. Lui è fatto così.» Le asciugò una lacrima e la condusse alla porta, senza badare allo sguardo indagatore dietro alle loro spalle. «Non sei tu il problema.»

«Mi ha dato della puttana... Va bene, siamo andati a letto insieme, ma questo non basta a fare di me una puttana! Io... al diavolo, pensavo fosse diverso! Quando mi ha sorriso, al locale, pensavo davvero che fosse interessato a me.»

«Lo so, ti credo. Ma è fuori di sé in questo momento. Non sa quello dice... Diego non sa mai quello dice.» Nadia sospirò, scuotendo la testa. «Adesso devo chiederti di andare via. Non è il caso che resti ancora. E... mi dispiace per quello che è successo.»

Chantal annuì e si asciugò le lacrime con la manica del vestito. Poi aprì la porta e filò via dalla residenza Neri. Diego aveva mietuto l'ennesima vittima.

Nadia si voltò con lentezza verso di lui, indecisa se attaccarlo verbalmente come aveva appena fatto Chantal, o tornarlo a ignorare, lasciandolo soccombere nella sua bolla di disperazione personale. E, a posteriori, avrebbe dovuto scegliere la seconda opzione: le avrebbe sicuramente portato meno problemi di quanto in realtà fece la prima.

«Come mai non sento ancora la tua ramanzina, Savini? Sto aspettando solo quella», borbottò Diego, con un sorrisetto poco convincente stampato sul volto. Scese un gradino alla volta, fino a che, all'ultimo inciampò: si resse con un braccio alla ringhiera e ritrovò l'equilibrio, seppur precario. «Sto bene. Sto... bene

«Immagino che tu sappia già che sei un idiota. Non vedo perché dovrei continuare a ripeterlo ancora e ancora. Sei un caso perso, Diego. Io... davvero avevo sperato che ci fosse del salvabile, in te. Ma in realtà sei marcio dentro. Completamente

«Wow, queste parole mi feriscono sul serio, Nadia. Mi hanno colpito proprio qui.» Si diede un colpo sul petto due volte.

«Perché non posi quella bottiglia? Mi sembra che tu abbia bevuto abbastanza.» Nadia sospirò e incrociò le braccia. Si teneva a distanza da lui, perché le sue condizioni non la facevano sentire sicura.

Diego si portò il liquore davanti agli occhi e valutò che ne restava poco meno di un quarto all'interno. Decantò il liquido trasparente, valutando le varie alternative intelligenti che aveva davanti, poi optò per la più stupida: poggiò le labbra sul collo della bottiglia e scolò quello che restava, sorso dopo sorso. Alla fine gettò il contenitore di vetro vuoto per terra e alzò le mani, come a volersi discolpare. «Ecco... L'ho posata. Contenta?»

«Ti sentirai male.»

«Peggio di così? Non credo. E poi non credo che ti interessi come mi senta io.»

«Sai che c'è, Diego? Forse hai ragione. Forse non m'interessa come ti riduci. È quello che vuoi? Fantastico, continua così, allora.»

Diego si avvicinò piano a lei, senza smettere di guardare il pavimento cosparso di cocci. «So gestire benissimo la mia vita, Savini. Non ho bisogno di una coscienza rompipalle come te.»

«Forse dovresti fare più attenzione a come tratti le altre persone. Non sono tutti oggetti per il tuo sfogo», replicò Nadia freddamente.

«Ti riferisci a Chantal? Vedi? Ricordo ancora il suo nome.»

«Potrei fare una lista lunga un chilometro di persone che hai usato per evitare di pensare, anche solo per un secondo, a tutti i problemi che hai nella testa!»

«Oh, ma davvero? Falla. Potrei usarla per rimettermi in contatto con qualcuna di loro. Magari hanno ancora voglia di-»

«Sei un bastardo», lo interruppe Nadia. «Ti diverti così tanto a distruggere i sentimenti altrui, solo perché tu non sei più in grado di sentire niente. Questo fa di te una persona mediocre, Diego.»

«Io non voglio più sentire niente. È diverso», ribatté lui. Il suo tono di voce s'indurì di colpo. «Non ne ho bisogno.»

«Tu pensi di non averne bisogno. In realtà continui a ingoiare bugie e a tapparti gli occhi per non fare i conti con la persona in cui ti sei trasformato.»

Diego strinse le nocche delle mani e chiuse le palpebre, iniziando a respirare più rapidamente. Ondeggiò verso di lei, reggendosi alla parete, poi le puntò il dito contro. «Vaffanculo, Nadia.»

«Vuoi che smetta di dire la verità?» Nadia sorrise sfacciatamente, senza indietreggiare.

«Perché lo stai facendo? Ti diverti?» La voce di Diego si ruppe, aprendosi in mille sfaccettature di dolore. Sembrava ferito, con la faccia stravolta e gli occhi arrossati dall'alcool.

«Forse dovresti riesaminare la situazione, Diego. Credo che ti stia sfuggendo di mano.»

«Porca puttana, Savini, smettila di dirmi cosa dovrei e cosa non dovrei fare!» esplose lui, alzando bruscamente il tono di voce. Accorciò con un ultimo passo la distanza da Nadia, che indietreggiò fino a toccare la parete con le spalle, e poggiò le mani sul muro, intrappolandola di fronte a sé. «È la mia vita! Sono le mie cazzate! Smettila di comportarti così... come se ti fregasse qualcosa dei miei problemi. E smettila di aiutarmi. Io... non voglio essere salvato. Lo capisci questo?»

Nadia trattenne il respiro, anche se in quel momento avrebbe voluto strillare. «Spostati, Diego. Allontanati da me.»

«Adesso hai paura? Dov'è finita la tua spavalderia?» Lui rise, a pochi centimetri di distanza dal volto della ragazza. Il suo alito grondava di alcool. «Vogliamo ancora parlare dei miei problemi? O forse possiamo iniziare a discutere dei tuoi?»

«Io non ho nessun problema», sillabò Nadia, senza però muoversi di un centimetro.

«E se ti dicessi che potrei distruggere tutto quello che hai, come la prenderesti? Potrebbe rivelarsi un passatempo davvero divertente, quello di sabotare la tua meravigliosa vita sentimentale. Non trovi?» Diego ridacchiò tra sé e sé. «Magari inizieremmo a condividere gli stessi, patetici problemi. Magari inizieresti a capire cosa significhi dover lasciar andare l'unica persona in grado di farti sentire qualcosa.»

«Sei ubriaco marcio. Non hai idea di quello che stai dicendo.»

«Credimi, l'unica a non averne idea, sei tu... E non fare quella faccia spaventata.» Lui le diede un buffetto amichevole sulla guancia. «Sappiamo entrambi che hai iniziato tu a giocare, stavolta. Tu hai ficcato il naso nei miei affari. Tu hai-»

«Allontanati di me. Non te lo ripeto più», replicò nuovamente Nadia, con la voce piatta e incrinata, come quella di un disco rigato.

Ma Diego schioccò la lingua, non soddisfatto. «Sei davvero una povera illusa... Vivi nel tuo piccolo mondo perfetto senza renderti conto che lì fuori ci sono i lupi pronti a sbranarti. Pensi che ti stia prendendo in giro, vero? Pensi che sia solo un idiota ubriaco, depresso e inaffidabile, non è così? La verità è che è tutto corretto. Sono un idiota ubriaco, depresso e inaffidabile. Ma non devo essere salvato, io. Chi salverà te, invece? Sei davvero una povera-»

Nadia interruppe il flusso di pensieri disconnesso e farneticante di Diego assestandogli uno schiaffo sonoro sulla guancia. Non si rese nemmeno conto di averlo fatto. Si guardò la mano, come se fosse una parte estranea del suo corpo che avesse deciso da sé come muoversi. Sentì la pelle formicolare e, dopo qualche secondo, bruciare.

Diego si zittì, colpito dal gesto inaspettato, e tastò la pelle indolenzita senza smettere di fissare la ragazza di fronte a sé. Anche se quello schiaffo avrebbe dovuto farlo calmare, facendolo tornare a ragionare più lucidamente, in realtà peggiorò le sue condizioni, accrescendo la rabbia che aveva represso fino a quel momento. La sua reazione fu ancora più inaspettata dello schiaffo di Nadia: quando rialzò gli occhi su di lei, in quel breve attimo che non sarebbe bastato nemmeno per formulare il più semplice dei pensieri, Diego le fu addosso e si appropriò delle sue labbra, stringendola sotto le sue mani, come se quel tocco fosse stato in grado di scaricare tutta la tensione accumulata nella discussione. La baciò con arroganza egoistica, senza chiederle il permesso e con la mente totalmente offuscata dall'alcool e dai cattivi pensieri. Ma, all'improvviso, strizzò gli occhi e si fermò. «Tu non sei lei... Non sei lei

Nadia rimase immobile sul posto, impassibile come una statua e con gli occhi sbarrati. Aveva vissuto quell'attimo a rallentatore: aveva percepito il contatto freddo e violento delle labbra di Diego contro le sue, e poi quella frase, quasi ringhiata a mo' di accusa. Ancora una volta aveva trovato il modo di appropriarsi di qualcosa che non gli apparteneva. O meglio, di qualcosa che apparteneva a qualcun altro. Impiegò diversi secondi prima di reagire, ma quando la sua mente ritrovò la lucidità, allungò le braccia e spinse via il ragazzo. Ci mise parecchia forza, o così le sembrò, perché Diego indietreggiò malamente e inciampò sugli stessi piedi, per poi cadere a terra.

Si avvicinò a lui con lentezza, guardando dall'alto e ansimando. Le tremavano le mani e le labbra. «Io non sono Gabriella.»

Diego si rialzò con un movimento goffo e si poggiò con la schiena alla ringhiera delle scale. Sorrise. «Quella reazione... mi hai ricordato lei.»

«Ma io non sono Gabriella!»

«Lo so. Altrimenti avrei provato qualcosa, durante quel bacio.»

Nadia rimase a bocca aperta per lo stupore, poi scosse la testa. «Tu hai dei problemi... dei problemi seri. Ma non la passerai liscia, stavolta. Stasera hai perso completamente il controllo, Diego». balbettò, afferrando il cellulare dalla tasca. «Mattia s'infurierà.»

«Fa' pure», rispose lui con una scrollata di spalle. Aveva di nuovo perso quella luce vitale negli occhi. Adesso, era solo spento «Ma dovevo provarci.»

Nadia abbassò il telefono proprio quando stava per far partire la chiamata al ragazzo. «Provare a fare cosa

Lui rimase in silenzio per qualche secondo, con gli occhi puntati sul pavimento e le labbra tese all'ingiù. «Speravo di poter sentire qualcosa. Merda, l'ho sperato veramente! Perché se c'era una persona adatta a tirarmi fuori da questo schifo di situazione, quella eri tu, Nadia. Sarei stato disposto a trascinarti via da Silvestre, se solo avessi provato almeno una cazzo di emozione!» Picchiò un pugno sulla ringhiera con frustrazione. «Ma non ho sentito niente. Niente di comparabile minimamente a quello che era in grado di trasmettermi quella stronza di Toledo.»

«Se c'è una cosa che non possiamo fare è comandare i sentimenti», ribatté Nadia, inespressiva.

«Ed è per questo che siamo destinati a vivere una vita di sofferenze. Non possiamo ottenere quello che vogliamo e non riusciamo a sbarazzarci di quello che odiamo. Che fregatura del cazzo che è la vita.»

«Per ottenere qualcosa che vuoi davvero, Diego, devi fare dei sacrifici. Ma tu non sai cosa significhi questa parola se hai permesso all'unica persona che avessi a cuore di scappare via. Forse ti meriti la desolazione che hai fatto crescere attorno a te.» Gli sputò in faccia quelle parole, poi si allontanò da lui, dandogli le spalle e lasciandolo rimuginare sulla conversazione. Quando raggiunse la finestra, prese un respiro profondo e fece partire la chiamata. Era l'una di notte. Chiuse gli occhi e attese.

«Sei ancora da Neri?» La voce di Mattia si diffuse attraverso il microfono del telefono dopo appena uno squillo.

«Sì. Puoi... puoi ancora venirmi a prendere, vero?» Nadia si morse il labbro per non tradire le emozioni.

«Tra meno di un quarto d'ora sono lì» rispose risoluto il ragazzo. Si sentì il rumore di una portiera chiudersi, poi il rombo di un motore. «Perché ci hai messo così tanto?»

«Ecco... è complicato da spiegare.»

«È successo qualcosa?»

Lei sospirò. «Mattia, ti prego, puoi smettere di fare domande e sbrigarti ad arrivare?»

«Nadia, sento da qui che hai la voce rotta per il pianto. Che diavolo succede?»

Nadia rimase in apnea per qualche secondo e poggiò la fronte sul vetro della finestra, che si affacciava sul giardino. Rilasciò l'aria tutta insieme e si preparò a sganciare la bomba. «Diego è ubriaco. E mi ha baciata.»

Silenzio. I successivi attimi furono segnati da un silenzio di profonda tensione da parte di entrambi. Gli unici rumori percepibili attraverso il microfono erano quelli dei loro respiri, concitati per il nervosismo e per la rabbia.

Alla fine il primo a reagire fu Mattia. Imprecò a bassa voce diverse volte, poi il suono di una sgommata sull'asfalto. «Sto arrivando. Tra cinque minuti sarò lì.»


BOOM! La prima bomba è scoppiata, con questo avvenimento shock. Un bacio tra Nadia e Diego, inaspettato e molto, molto particolare. Questo bacio è un po' un ritorno al passato, ai tempi di Vulnerabile, e credo che lascerà l'amaro in bocca ai Nattia shippers. Sono curiosa di sapere le vostre reazioni... Credete che tra Nadia e Diego ci sia qualcosa di celato, o il loro rapporto è solo una forzatura? Siete ancora Team Nattia o ci sono dei cambiamenti? ^^ Voglio sentire i vostri commenti!


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