Hunters

By EleonoraCiglio

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Spin-off Novel dei "Racconti d'Oltremondo" - Consigliata la lettura del primo capitolo di "Arthemis" Storia b... More

"Questioni di famiglia" - parte 1
"Questioni di famiglia" - parte 2
"Questioni di famiglia" - parte 3
"Squadre sbagliate" - parte 1
"Squadre sbagliate" - parte 2
"Squadre sbagliate" - parte 3
"Squadre sbagliate" - parte 4
"Coco-girl" - parte 1
"Coco girl!" - parte 2
"Ka-Boom!" - parte 1
"Ka-Boom!" - parte 2
Extra Story - "Il Ribelle"
"Morgue et Calet"
"Prede e Predatori"
"La Princesse"
"La Caccia ai Drow"
"La Trasformazione"
"La bomba"
"Amarsi è difficile"
"Vivere o sopravvivere?"
"La cacciatrice e l'angelo"
"Di Sogni e Incubi le notti"
Epilogo

"Coraggio"

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By EleonoraCiglio


Gea tentò di non perdere ulteriormente la calma, ma si sentiva come se fosse preda di una qualche crisi isterica. Percepiva il sangue scorrerle come impazzito nelle vene, il cuore pompare e rimbombare come un concerto di tamburi orientali. Improvvisamente, aveva iniziato a farle caldo, così tanto da sentirsi asfissiare. Si era tolta di dosso prima il passamontagna, subito dopo la giacca, infine era passata ai guanti. Come se non bastasse, doveva assolutamente far ragionare il suo cervello. Invece di elaborare soluzioni logiche, finiva per pensare a Paolo. Si sentiva arrossire apparentemente senza motivo, mentre le labbra le pizzicavano al ricordo della sensazione del bacio che lui le aveva dato. E che lei aveva ricambiato. In quel momento, i suoi sentimenti per il ragazzo erano guidati dalla frenesia del potere, che stava agendo su di lei come una droga e sui cacciatori come del veleno. Lentamente, uno di loro era finito per accasciarsi contro la parete di quell'assurdo tunnel, mentre gli altri due ispezionavano i muri aiutandosi con i loro strumenti. Doveva pur esserci una via di fuga. Si sentì sfuggire un fremito di potere dalle mani e la terra vibrò ancora una volta. Per fortuna, non ci furono danni, ma era ovvio che più tempo passava, più lei perdeva il controllo di sé.

"Non mi è mai capitata una cosa del genere", si lamentò, portandosi le mani tra i capelli. Stava sudando e avrebbe tanto voluto togliersi di dosso la maglia, ma si vergognava troppo in presenza di quegli uomini.

"Non vedi niente con la tua vista elfica?", le domandò il Capo dei cacciatori, indicandole un altro punto del tunnel. Gea aguzzò la vista, fino a far sì che percepisse anche il più minuscolo dettaglio. Non le parve di scorgere niente, fino a quando fu il suo olfatto ad aiutarla.

"Puzza di plastica bruciata", mormorò, avvicinandosi di nuovo alle scalette. Ne salì agilmente tre gradini, seguendo l'odore come un segugio. Era una puzza acre, che le arrivava fino in gola. La sensazione era così sgradevole da farle lacrimare gli occhi. Annusò ancora e poi di scatto scese e spinse via i cacciatori con sé. Ci fu un'esplosione così potente da farle perdere l'equilibrio. Rotolò confusa per terra, stordita dal fracasso infernale e improvviso. Quando riuscì a fermarsi, si ritrovò a tossire polvere e a lacrimare. La puzza di plastica bruciata si era intrisa di zolfo e altre sostanze chimiche, che le facevano girare la testa. Le si strinse lo stomaco e la bile le salì in gola, ma riuscì a trattenersi dal vomitare. Alzò lo sguardo verso il polverone che si era formato.

"Fa che sia il tritone", sperò tra sé e sé, non avendo idea di chi altri potesse usare un esplosivo per liberarli. Qualcuno fece dei passi in avanti, riusciva a distinguere solo la figura che avanzava verso di loro. I cacciatori erano svenuti, devastati non tanto dal colpo, ma dalla debolezza che implicava il potere primordiale. Gea tentò di inquadrare meglio chi fosse, ma subito si rese conto che la stazza della creatura era troppo grande e strana per trattarsi del giovane Sande. Attivò il potere degli anelli, pronta a difendere se stessa e gli umani, qualsiasi cosa si trattasse.

"State bene?", tossì la voce della figura. Aveva un accento francese e parve spalancare delle ali, che iniziò a sbattere per far diradare la polvere. Gea lo vide e rimase a bocca aperta. Era un angelo. Aveva le ali di un nero intenso e affascinante, con alcune striature di blu elettrico. I suoi occhi erano simili a bellissime opali in mezzo a quel volto dai lineamenti belli come una statua greca, i riccioli castani lo rendevano più simile all'incarnazione di un dio dell'amore.

Questo è l'effetto che faccio, ridacchiò una voce nella sua testa. Gea scosse il capo e si mise subito sulle difensive. Come aveva fatto a rimanere così incantata dalla figura del Capo dei Mogor? Quello era l'individuo che aveva rapito Coco.

"Così siete voi ad essere dietro a questa faccenda", lo accusò puntandogli le dita contro, pronta a legarlo come un arrosto, se ce ne fosse stato il bisogno. L'angelo caduto alzò le braccia in segno di difesa.

"Oh, madame, non era mia intensione farle credere una cosa simile. Abbiamo solo fatto confessare ad uno dei drow il loro piano e, sebbene non ne capisca il perché, loro vogliono proprio lei", la sua lingua si muoveva agilmente, quasi come se stesse recitando la parte di una commedia. Gea continuava a non fidarsi di lui. Chi le assicurava che quell'angelo caduto fosse veramente intervenuto per salvarli?

"Mi viene estremamente difficile credere a queste parole. Quella dei drow non sarà la scusa che mi porterà a chiudere gli occhi dinanzi alla minaccia che avete creato", lo accusò senza esitazione.

"Non mi aspettavo che mi credesse, madame. Speravo solo di poterla convincere in maniera più garbata. Almeno uscite di qui o crollerà tutto. Non ha dei problemi a controllare il suo potere?", sorrise, ma non sembrava si stesse prendendo gioco di lei. Non era un mistero che Gea Liw$$ possedesse dei poteri elfici legati alla terra. Più volte le era capitato di utilizzarli in battaglia e durante le poche missioni a cui aveva partecipato con i suoi vecchi compagni a Lot. L'angelo aveva ragione però, sentiva il bisogno di liberarsi, come se stesse per scoppiare. Si chinò sui cacciatori e se ne mise in spalla due. Iniziò a trascinarsi lentamente verso l'uscita creata dall'angelo caduto, che non si mosse, ma rimase ad osservarla. Non che lei glielo avrebbe permesso, ma non le avrebbe fatto dispiacere se lui si fosse comportato da galantuomo e si fosse proposto di darle una mano. Quei cacciatori erano enormi e abbastanza pesanti. Era molto agile, veloce, aveva un buon udito e una vista più potente di quella umana, ma non era mai stata forzuta. Abbandonò uno dei cacciatori, che sembravano essere ormai totalmente privi di coscienza. Se non ce l'avesse fatta con la forza, avrebbe utilizzato la logica. Si aiutò con i suoi fili e li attacco in più punti in maniera tale da creare una specie di carrucola di fili magici. Legò il primo cacciatore e con qualche agile salto uscì fuori e iniziò a tirarlo su.

"Cosa cavolo mangiano questi per crescere?", si lamentò, mentre inspirava profondamente e continuava a lavorare. Riuscì col primo e scese per fare la stessa cosa con il secondo, quando Romeo Calet si mise entrambi gli uomini in spalla.

"Fermo!", l'elfa richiamò il potere degli anelli nelle sue mani e tentò di legarlo, ma quello aveva già spiccato il volo. Lo rincorse e scoprì che si era fermato fuori, lasciando per terra i due cacciatori.

"Ho una forza discretamente più grande della sua, madame", sorrise con fascino e si allontanò dai cacciatori, fregandosi le mani, come se si fosse accidentalmente sporcato. Aveva un'espressione disgustata, ma sembrò "sopportare".

"Impossibile!", urlò una voce da lontano.

"Oh, sembra che la mia tesi stia per essere confutata", sorrise l'angelo, proprio mentre Gea sentì il sibilo di una freccia. Riuscì ad evitarla senza problemi, mentre il vigilif la strinse in mano e la spezzò con un semplice gesto. In un batter d'occhio furono circondati da drow. Il loro fetore era peggiore di quello di un cane randagio bagnato. Anzi, sembrava un'offesa per i cani randagi! Gea emise un gemito, mentre tentava di non vomitare per l'odore intenso e acre che emanavano. Spesso, avere un olfatto al di sopra del normale non era una bella cosa. Estrasse dalla sua cintura un pugnale dalla lama finemente decorata e con sopra incastonata una gemma di potere glaciale. Glielo aveva regalato Finiha qualche anno prima, perché aveva detto che lei non lo usava più. Era stato uno dei momenti più felici della sua vita, perché sua sorella maggiore la considerava una degna combattente.

"Prendete l'elfa senza ucciderla!", gridò uno dei loschi e schifosi mostri. Avevano tutti la pelle raggrinzita, di un grigio malato e pallido. Le loro facce erano più simili a grugni bestiali ed era impossibile immaginare come fossero state prima, quando avrebbero dovuto avere i lineamenti sottili e nobili della natura elfica. Che grande disonore tradire la propria razza per sete di potere! Li attaccarono in gruppo e lei sorrise. Fu ben felice di poter finalmente utilizzare la sua forza. Schivò uno dei mostri e gli menò un pugno, poi si chinò e fece tremare la terra, proprio mentre Romeo spiccava il volo e faceva in modo che altri due andassero a sbattere l'uno contro l'altro. Molti di loro persero l'equilibrio e caddero. Gea ne approfittò per contarli. Erano dodici. Come sarebbero riusciti a contrastarli?

"Dimmi che hai portato i tuoi con te!", urlò all'angelo maledetto, che, volando basso, si mise al suo fianco. Quello le sorrise.

"Si fiderebbe di un mio gruppo di sottoposti?", ironizzò, quasi come se fosse assurda la proposta che lei aveva appena fatto.

"No, ma preferisco i tuoi demoni ad un gruppo di drow. Se proprio devo morire, non voglio essere divorata", spiegò, attivando i fili solo degli anelli nella mano destra. Li lanciò sparsi per la zona e creò un reticolo.

"Che cattiva ragazza!", Romeo si portò le mani alla bocca ed emise un fischio sibilante. Da terra e dal cielo demoni dalle forme grottesche o affascinanti iniziarono ad attaccare i dodici drow. Improvvisamente, si ritrovarono ad essere in superiorità numerica. Gea ne intrappolò due e i Mogor fecero il resto infilzandoli, massacrandoli, in una carneficina che le strinse lo stomaco. Vide sangue violaceo colare in pozze di sangue, arti mozzati e sguardi morti persi nel vuoto. Si portò una mano allo stomaco e si piegò in due a vomitare, travolta dalle visioni e dagli odori sgradevoli di quell'orrore.

"Basta!", ordinò Romeo, mentre i suoi scagnozzi banchettavano sui cadaveri dei loro nemici. Grugnendo in disapprovazione, i mostri si fermarono e si rivolsero verso di lui, avvicinandosi.

"Umani", mormorò uno, dalla voce profonda e distante, indicando i cacciatori svenuti per terra accanto a Gea. L'elfa si mise in posizione di difesa e si sgranchì le dita, pronta ad attaccarli. Quella volta non si trattava di dodici drow, ma di ben oltre venti demoni. Alcuni erano in grado di volare, altri li aveva visti muoversi sotto terra e strisciare come vermi. Erano ricoperti di sangue e si leccavano le labbra con gusto, quasi come se avessero appena iniziato il loro lauto banchetto. Gea si sentiva a disagio, avrebbe vomitato ancora se non si fosse calmata. Poteva liberare il suo potere, ma le era difficile scappare e salvare i tre umani. Non li avrebbe abbandonati, perché era un suo dovere non solo da guerriera, ma anche da cavaliere di Rekhne doverli aiutare e salvare. Probabilmente non ne sarebbe uscita viva, realizzò. Ma cosa avrebbero dovuto volere i Mogor da lei?

"Cosa facciamo adesso, Capo?", domandò un altro demone, dalla testa ricolma di corna e gli occhi di fuoco, la sua pelle sembrava essere sbrindellata in più punti.

"Dobbiamo continuare ad indagare. La fonte di potere dovrebbe trovarsi da queste parti. Controllate anche la galleria. Dobbiamo acciuffarli, per il volere di Rekhne!", ordinò loro l'angelo. I demoni eruppero in urla guerresche e iniziarono a disperdersi con le loro velocità e capacità disumane. Romeo rimase accanto a lei, volando a mezz'aria.

"Davvero voi non siete coinvolti in questa faccenda?", Gea continuava a non essere sicura di quello che vedeva con i suoi occhi. Poteva essere tutto un bluff. Romeo poteva ingannarla, far sì che lei si fidasse di lui, ma per quale motivo? Aveva rapito Coco e che le aveva fatto? Poi, si rese conto di una cosa: l'angelo aveva invocato il nome della dea Rekhne. Sgranò gli occhi e tornò ad osservarlo, adesso con più fascino.

"Per volere di Rekhne?", domandò incredula, mentre lentamente realizzava la cosa.

"Siamo fedeli alla stessa divinità, eppure siamo nemici, non trovi sia buffo?", le sorrise e scese con i piedi per terra, in maniera tale che lei potesse guardarlo negli occhi. I suoi le facevano girare la testa, con quel colore così meraviglioso, così disumano, sembrava avere un universo nascosto nelle iridi. Gea si rese conto che la creatura dinanzi a sé era più antica di lei e si sentì incredibilmente piccola e forse troppo audace. Ma in caso si fosse rivelato un nemico, lei avrebbe dovuto combattere e avrebbe dovuto sconfiggerlo. Cosa era Romeo Calet?

"Perché hai rapito Coco?", la domanda sorse sulle sue labbra spontanea. Intuì che fosse quella la chiave di tutto. Il motivo per cui la cacciatrice era stata rapita avrebbe chiarito la situazione sul loro antagonismo. Quasi sicuramente non le avrebbe risposto o le avrebbe mentito.

"Aprimi la tua mente", le propose a quel punto l'angelo maledetto. Gea indietreggiò indignata. Sembrava una proposta assurda. Se fosse entrato nella sua mente, chissà cosa le avrebbe fatto. Avrebbe potuto convincere il cervello dell'antica sogno a fare qualsiasi cosa.

"Non se ne parla", ma a quel punto Romeo sembrò essere stufo del suo atteggiamento. Lo sguardo dell'angelo caduto divenne cupo, come se non avesse più tempo per giocare con lei. Gea tirò fuori il coltello, quando percepì una fitta tremenda al cervello. Emise un gemito di dolore e si portò le mani alla testa, perse l'equilibrio e si ritrovò in ginocchio.

"Non entrerai nella mia testa!", esclamò in un grido disperato.

"Non mi sfidare piccola figlia dei Liw$$", tuonò lui cupo. Gea mantenne le sue barriere mentali, alimentandole col potere che cresceva sempre più dentro di lei.

"Cosa vuoi da me?", l'elfa strinse i denti e con mano tremante tentò di tenere saldo il suo pugnale. Si gettò in avanti per ferirlo, ma lui fu più veloce e la sorvolò.

"Mi servi. Tutto qui. Sarebbe stato più facile se tu ti fossi fidata di me dopo averti ampiamente dimostrato che non siamo dei cattivoni, ma non sono una persona molto paziente e mi piace raggiungere i miei scopi velocemente", si spiegò, come se le sue parole fossero ovvie. Il suo tono di voce era così affascinante da essere praticamente ipnotico, un'altra donna sarebbe caduta ai suoi piedi, ma non Gea, lei non lo avrebbe fatto. L'angelo l'affascinava per la sua bellezza, perché sembrava essere uscito fuori da un'opera d'arte, ma niente di più. Pensò per un attimo a Paolo e si concentrò ancora più prepotentemente per difendere la sua mente. Ne sarebbe uscita. A quel punto, però, Romeo fece per scagliarsi contro i cacciatori privi di sensi. Gea allungò i fili dei suoi anelli per fermarlo. Riuscì a legargli un polso e lo strattonò verso di sé con forza. L'angelo la bloccò e con un semplice strattone la tirò a sé. Gea allungò il filo e cadde per terra.

"Non vedi come sei ridicola, ma petite?", la derise, ma lei era consapevole che lui volesse solo farle perdere la concentrazione. Corse verso gli umani e si frappose tra loro e l'angelo maledetto.

"Va' via di qui. Non otterrai mai la mia mente, fosse l'ultima cosa che io debba difendere nella mia vita", non si sarebbe arresa. Gea si sentiva come se lui stesse giocando al gatto col topo.

"Non ne sarei tanto sicuro. Potrei anche decidere di prendere quell'altro cacciatore, il ragazzo dei Greco. In questo momento è indebolito pesantemente dal Potere Primordiale", a quelle parole, Gea perse il controllo. Si scagliò contro di lui, pronta a... fare qualsiasi cosa riuscisse. L'angelo la evitava e rideva, fino a quando le bloccò gli esili polsi e con un gesto brusco la obbligò a guardarlo negli occhi. Gea li chiuse per dispetto ed iniziò a dimenarsi per tentare di liberarsi dalla stretta.

"E forse il cacciatore potrebbe anche morire", continuò l'angelo. Gea, che si sentiva impotente come mai in vita sua, riaprì gli occhi e il suo volto mutò in un'espressione che dichiarava tutte le sue emozioni. Lo fissò, come se davanti a sé ci fosse il più terribile dei mostri.

"Uccidi me, piuttosto", la sua voce era svuotata, incapace di reagire alle sue minacce. Romeo era un antico, più di lei, evidentemente più potente. Se ci fosse stato Fu'alie avrebbe potuto cavarsela egregiamente, ma lei non era mai stata una combattente da scontro diretto. Era stata una stratega, una spia, amava muoversi nell'ombra e utilizzare i suoi nemici per i suoi scopi. Fino a quando tutto era fatto per contrastare il male che rischiava di far crepare l'equilibrio di Oltremondo, ogni cosa era lecita. Ma in quel momento era da sola contro un mostro. Da sola contro qualcosa più grande di lei e i suoi sentimenti le stavano facendo brutti scherzi. Perché perdeva la pazienza facilmente, quando si trattava di essere considerata inferiore da qualcuno, ma anche quando venivano minacciate le persone alle quali lei voleva bene. Aveva sempre avuto quel difetto di amare troppo e incondizionatamente. Inspirò ed espirò, fino a quando le sembrò come se il suo cervello le stesse scivolando via dalla testa. Urlò, consapevole di quello che le stava per accadere. Era troppo tardi e aveva ceduto, lui aveva fatto breccia nella sua mente, era già lì, presente. Si era già messo all'opera, come se stesse ricomponendo un puzzle, ma cambiandone i pezzi. Si sentì come se non riuscisse più a sopportarlo, come se ogni parte di lui le stesse facendo del male. E poi si sentì come se ogni parte di lui le appartenesse e si convinse di strane cose. Improvvisamente, Romeo apparve dolce e gentile, apparve come se fosse l'uomo che aveva sempre atteso. Si ritrovò a sorridergli come un'ebete e lui sembrava soddisfatto di lei. La cosa non le creò disagio, ma si sentì orgogliosa. Si lasciò andare completamente a lui e le sensazioni diventarono più piacevoli. Infine, lo abbracciò e lui iniziò a carezzarle il capo e il volto con delicatezza.

"Va bene adesso, ma petite?", la sua voce risuonava suadente alle sue orecchie sensibili. Si sentiva stordita, ma era felice. Posò il capo contro il suo petto e si lasciò abbracciare.

"Farò quello che vuoi", gli mormorò, convinta delle sue parole.

"Perfetto. Allora terrai sotto controllo la nostra piccola erede e la proteggerai per me fino a quando non sarà giunto il momento. Inoltre, dovrai essere la prima a difenderci dalle accuse di quei selvaggi del clan Colonie. Ti abbiamo salvato la vita, mi devi molto", le sfiorò l'orecchio con le labbra e Gea si sentì andare in fiamme. Il suo cervello le diceva che quella era una cosa giusta, faceva reagire il suo corpo, ma il suo cuore le urlava da lontano che quella cosa era terribilmente sbagliata. Ma le convinzioni non le facevano ascoltare il cuore, la sua parte razionale, che in quel momento razionale non era, non lo ascoltò. Sorrise e annuì.

"Voi siete i miei salvatori", se si fosse sentita in un altro momento, si sarebbe di certo presa a schiaffi. Eppure, le sembrava che non riuscisse a fare altro che pensare a Romeo e si sentì ossessionata dal doverlo compiacere. L'angelo non sembrava essere dispiaciuto dal suo comportamento, la alzò tra le sue braccia e la baciò. La mente di Gea si svuotò, come se fosse caduta totalmente in un incanto. Il corpo ricambiò il bacio, ma la mente volò altrove, ma si perse, senza ritrovare la via di casa. La lasciò delicatamente con i piedi per terra e le sistemò una treccia ormai sfatta dietro l'orecchio appuntito.

"Rimani qui. Se te lo chiedono, sei stata salvata da noi e poi ce ne siamo andati. Sulle rive dell'Ill non c'è assolutamente niente", la sua voce suadente la convinse. Gli sorrise e annuì, mentre lui volò via e la lasciò sola, insieme ai cacciatori privi di sensi. Si sentiva allegra, mentre il potere primordiale riprendeva a scorrere ricco nelle sue vene. Si sedette per terra e attese. Non ci volle molto perché individuasse suo fratello Apollonius, anche nel buio di quella notte i suoi capelli cerulei erano impossibili da non distinguere. Con lui c'erano anche Sande e Lunami. Gea si sbracciò per richiamare la loro attenzione. I suoi fratelli e il suo allievo si ritrovarono a camminare sconvolti tra le viscere del bagno di sangue che era avvenuto prima del loro arrivo. Apollonius corse verso Gea, che gli sorrideva tranquilla, come se non ci fosse più alcun pericolo.

"Cos'è successo?", le chiese in preda all'ansia. Gea rispose come Romeo le aveva chiesto di fare. La sua voce fuoriuscì come una cantilena però. Non si sentiva molto in sé e non era mai stata in grado di mentire. Apollonius prese una piccola torcia dal suo equipaggiamento e le puntò la luce negli occhi. Gea li strinse infastidita, ma lui le mise una mano in faccia, costringendola a spalancarli. La osservò, nonostante lei avesse voluto fuggire da quell'atteggiamento ossessivo del fratello.

"Non ci sono segni di droghe", parlò come se si stesse riferendo più a se stesso che ai presenti. Lunami le si avvicinò e si chinò accanto a lei, mentre Sande controllava che i cacciatori stessero bene.

"Tutti esausti per colpa del potere primordiale e puzzano di zolfo, come se fossero stati coinvolti in un'esplosione", spiegò il cacciatore, che di esplosioni se ne intendeva non poco.

"Ci hanno salvato, ve l'ho detto", sorrise Gea, che si sentiva come se dovesse assolutamente convincerli, così per compiacere Romeo.

"Per quanto mi piaccia nostra sorella in versione svampita, penso proprio che le siano entrati nella testa. Gea, chi ha massacrato i drow?", la interrogò Lunami, portandosi una mano tra i corti capelli blu, ancora sconvolto da quello che vedeva.

"Posso vomitare?", domandò Sande, che tentava di distogliere lo sguardo dalla scena macabra, ma non ci riusciva.

"Fallo nel fiume", lo prese in giro Lunami.

"Mi sembra assurdo che siano riusciti ad entrarle in testa. Gea è più testarda di un mulo, per lei mantenere degli scudi mentali è una sciocchezza", si lamentò Apollonius.

"Non ti senti più forte in questa zona, fratellino?", gli fece notare il fabbro, mentre cercava qualcosa nel suo borsello.

"Hai ragione. Il potere primordiale qui è quasi prepotente. Pensi che si trovino da queste parti?", ma mentre si stava chiedendo quella cosa, Gea si ribellò.

"No! Non c'è più niente. Assolutamente niente", tentò di sembrare convinta, ma il suo tono di voce la tradiva. Lunami estrasse una pietra e gliela posò in fronte. Gea spalancò gli occhi per un istante, prima di svenire. Apollonius non disse niente, sapeva che il fratello aveva ragione. Sarebbe stato meglio se lei fosse rimasta incosciente piuttosto che dire cose a vanvera. La prese tra le braccia, posandole la testa sull'incavo della sua spalla. Si sentì come quando l'aveva presa in braccio la prima volta, quando era appena nata e alla sua nascita la terra aveva tremato, quasi come se fosse stata richiamata dalle urla incessanti che annunciavano il trionfo della sua vita.

"Dobbiamo continuare ad indagare. Chiunque stia agendo, non ha ancora finito con noi. Tra l'altro, continuiamo a rimanere bloccati qui per colpa dei portali", osservò l'elfo dai capelli cerulei.

"Andiamo via di qui", la voce di Sande uscì fuori quasi come in un'esclamazione. Si mise in spalla uno degli esseri umani. Lunami sbuffò e si occupò degli altri due. Si trascinarono nella loro villa. I cacciatori iniziavano ad essere tutti deboli e incapaci di agire.

"Cosa le è successo ancora?", sbottò spazientita Lumina, quando vide la sorella dormiente tra le braccia di Apollonius. Quello tentò di sorriderle per tranquillizzarla, ma gli uscì una strana smorfia storta. Il fatto che qualcuno fosse riuscito ad entrare nella testa di Gea lo inquietava profondamente.

Le spiegarono quello che era successo, mentre Lumina metteva a letto la sorella. L'elfa fischiò.

"Per entrare nella testa di Gea ci vorrebbero delle cannonate!", esclamò, tentando di capacitarsi come fosse stata possibile una cosa del genere.

"Che debolezza potrà aver dimostrato?", si domandò ingenuamente Apollonius. Lumina si voltò verso la porta, dove intravide la figura di Paolo, che si era appostato lì dietro come uno stalker.

"Oh, io credo di saperlo invece", sorrise sorniona.

"Continuava a farneticare che i Mogor non sono coinvolti in questa faccenda come un'ossessa. Indovinate un po' chi ha sbagliato persona per fare una cosa del genere?", sbottò Lunami.

"Dobbiamo occuparcene noi tre. Invieremo i ragazzi nella sede dell'Organizzazione gestita da nostro padre", stabilì Apollonius.

"Vuoi mandarli da soli a chiedere dei rinforzi?", Lumina non sembrava essere molto convinta della proposta del fratello.

"Possiamo farlo", intervenne finalmente Paolo.

"Parla quello che fa fatica anche solo a restare in piedi", ironizzarono all'unisono i gemelli. Paolo strabuzzò gli occhi, non capendo se ci avesse sentito doppio o altro.

"Gea non vorrebbe che continuassimo a fare i testardi. Ci vorrebbe al sicuro", spiegò le sue ragioni il cacciatore. I fratelli Liw$$ rimasero in silenzio. Apollonius sembrava essere confuso. Osservò con attenzione il giovane umano che gli si parava di fronte e stabilì che non gli piaceva affatto.

"Concordo con Paolo. Se riuscissimo ad uscire dalla città senza problemi, non sarebbe difficile per noi una cosa simile", lo assecondò Sande, che sbucò da dietro la porta.

"Mi sono seccata di far finta di stare male. Voglio dare una mano. Odio il fatto che abbiano fatto qualcosa a Gea", si intrufolò anche Coco.

"Sono dei bravi ragazzi, dobbiamo solo aiutarli ad uscire da Strasbourg e fare in modo che raggiungano Paris", si convinse Lumina.

"Non metto in dubbio che siano dei bravi ragazzi, ma...", tentò di controbattere immediatamente Apollonius.

"Questa faccenda è durata anche fin troppo a lungo. Non possiamo farci niente", intervenne ancora Coco, che sembrava essere più determinata che mai.

"Non siamo di certo dei codardi. Siamo qui per affrontare i pericoli. Siamo ancora inesperti, facciamo un sacco di danni, ma questa volta siamo stati coinvolti in qualcosa più grande di noi. Lo ammettiamo, ma non per questo ci tireremo indietro", la saggezza di Sande colpì tutti. Paolo gli diede una leggera pacca sulla spalla e Coco gli sorrise. Il tritone si sentì arrossire.

"Credo ti lascerò il cannone che ti ho prestato", mormorò divertito Lunami.

"Gli hai prestato il cannone?", sghignazzò Lumina. Il gemello le lanciò un'occhiata, che le valse come risposta, perché quella scoppiò in una fragorosa risata. Coco sorrise.

"Inoltre, domani ci sarà il sole", annunciò.

"E quando c'è il sole non ci sono i drow", la assecondò il tritone.

"E se non ci sono i drow, abbiamo più campo libero. È un loro svantaggio. Neanche ai demoni piace più di tanto", convenne Paolo.

"E sia, appena sbucherà fuori il sole, voi uscirete da Strasbourg e vi recherete nella città più vicina per raggiungere un portale funzionante che vi porti a Paris", stabilì Lunami.

"Ah, la gioventù!", esclamò la sua gemella.

"Siamo dei vecchi decrepiti, eh?", le diede una spinta il fratello coetaneo.

"Smettetela, ragazzi!", ma invece che lamentarsi, Apollonius non riuscì a trattenere un sorriso affettuoso. I gemelli iniziarono a stuzzicarsi tra di loro, diventando decisamente insopportabili.

Andarono a dormire dopo poco e si risvegliarono che era già mezzogiorno. Il sole brillava alto nel cielo e la giornata pareva essere più luminosa grazie alla neve. I tre giovani indossarono dei vestiti più umani e comuni. Non tutti i sogni e incubi contrari all'Organizzazione dovevano conoscere il loro aspetto. Sande mise un cappello per coprire le sue orecchie, nonostante gli facesse caldo al solo pensiero. I ragazzi presero dei piccoli bagagli e si avviarono. Paolo li condusse verso dei mezzi umani, fece i biglietti e i tre si trovarono su un treno.

"Non è stato difficile", Coco era stata in ansia per tutto il tempo.

"Troppo facile", convenne Paolo, che stava gelando dal freddo. Posò la testa contro il sedile.

"Perché questa roba deve fare male solo a me?", grugnì isterico.

"Devo avere le difese immunitarie più forti", scherzò Coco, anche se il suo cervello continuava a pensare che Romeo Calet potesse aver detto la verità.

"Vi lamentate pure? Non capisco perché hai dovuto pagare un biglietto anche per il passeggero invisibile", sbuffò Sande, felice di potersi togliere un po' di quegli indumenti pesanti. Rimase in canottiera e pantaloni.

"Invidio anche il suo non sentire freddo", continuò a lamentarsi Paolo.

"Probabilmente gli invidierai anche il fatto che in questo momento potrebbe difendersi anche meglio di te", annunciò una voce alle sue spalle. Si voltò di scatto e Sande alzò lo sguardo. Coco si rese conto di quello che stava succedendo senza neanche voltarsi, le bastò percepire il profumo di salsedine e muschio, che le entrava fin sotto la pelle. Strinse i pugni, mentre si voltava leggermente. L'angelo maledetto indossava un impermeabile per il quale sembrava che avesse solo delle spalle molto larghe e un paio di occhiali da sole. Si sedette accanto a Sande, tentando di mettersi comodo, nonostante le ali ingombranti.

"Pardon, non sono abituato a sedermi sugli scranni umani", si giustificò, mentre quelli lo fissavano straniti per il suo atteggiamento.

"Non vuoi farci del male?", domandò Sande, incuriosito da quella figura. Era un vigilif affascinante, ma non gli piaceva affatto.

"Voglio proporvi un accordo", sorrise.

"Di che si tratta?", intervenne subito Paolo.

"Vorrei che proteggeste ma princesse, anche se i vostri clan vi imponessero di farle del male", a quelle parole, i due giovani cacciatori rimasero straniti. Fissarono la loro amica, che sembrò essere turbata.

"Ancora con questa storia. Non ha senso", strinse i pugni e per protesta abbassò lo sguardo, in modo da non potergli leggere le labbra. Ma la sua testa gli permetteva ancora di sussurrarle qualsiasi cosa, quindi lei sembrava finire solo per sembrare una bambina capricciosa.

"Che storia?", grugnì Paolo, dandole una leggera spinta. Coco non udì la domanda, ma la intuì.

"Questo soggetto ritiene che io sia in parte un demone e che il mio sangue demoniaco si risveglierà al compirsi dei miei ventisei anni", spiegò tutto d'un fiato.

"Il che, se permetti ma princesse, è facilmente dimostrabile dal fatto che il potere primordiale non ha impatto su di lei. Lo ha su tutti, ma non sulla mia cheri", continuò Romeo, entrandole anche nella testa, per farle sentire il suo tono di voce suadente. Coco inspirò, sentendosi le braccia tramutarsi in gelatina alla reazione di quel suono unico.

"E allora perché avresti dovuto rapirla?", fu Sande ad andargli contro.

"È tempo che lei sappia. Appena i Mogor lo scopriranno, tenteranno di ucciderla. I segni saranno sempre più evidenti. Sarà sempre più nervosa e starà male perché il suo corpo muterà lentamente. Perderà le capacità nella modellazione e finirà per essere scoperta. Puoi nascondere al mondo di essere sorda, ma solo isolandoti da esso. Non puoi nascondere a chi conosce il tuo più intimo segreto la tua vera natura", si limitò a sorriderle Romeo. Il tono nella testa di Coco risuonò con tenerezza, quasi come se lui ci tenesse realmente a lei. Che fosse realmente così? O la stava prendendo in giro?

"Perché sei entrato nella testa di Gea?", a quelle parole Paolo si irrigidì nervoso.

"Pensavo fosse una tipa più abile con le bugie, però le sue labbra hanno un buon sapore", a quelle parole, Paolo sferrò un pugno sul tavolino che li separava.

"Per cosa ti arrabbi, cacciatore? Non sei già promesso in sposo ad una bella nobile fanciulla? Lascia queste faccende alle creature dell'Oltremondo", ma poi mosse lo sguardo verso Coco e la ragazza sembrava esserne sconvolta. La cosa lo colpì.

"Va' via di qui", gli ordinò con voce rotta. L'angelo caduto si zittì. Scosse il capo.

"Proteggetela. Se dovesse accaderle qualcosa, vi ucciderò con le mie stesse mani", annunciò cupo, per poi andarsene via. Dopo pochi minuti, lo videro dalla finestra mentre se ne svolazzava lontano.

"Pensi sia vero quello che ha detto?", Sande prese la mano di Coco per attirare la sua attenzione, poi ripetette la domanda. La ragazza lo guardò negli occhi e non seppe cosa dire. Si limitò a scuotere il capo, era ancora parecchio turbata.

"Che razza di coglione. Se anche fosse, non è che cambieremmo opinione su di te. Ti conosco da quando eravamo piccoli, potresti anche essere un demone, ma sei la mia migliore amica", la colpi Paolo, che borbottò esasperato.

"Non sarebbe una tragedia, l'aiuteremmo a nascondere anche questo, come abbiamo sempre fatto", le sorrise Sande, sentendosi inferiore e geloso rispetto a Paolo. Perché lei considerava sempre di più l'amico umano, perché adesso che sapeva di poter essere qualcosa di più continuava ad ignorarlo? Eppure lui era lì, che le stringeva una mano e tentava di tirarla su di morale e le faceva capire, in un modo o nell'altro che ci teneva a lei. Ma Coco si sciolse dalla stretta di mano e si strinse tra le braccia. Tornò a guardare in silenzio fuori dal finestrino, mentre il treno sfrecciava verso la loro meta. Non ci volle molto perché scesero da lì. Paolo fece qualche saltello per sgranchirsi e si stiracchiò.

"Inizio a sentirmi meglio", ammise.

"Perfetto, adesso andiamo a Parigi", rispose brusco Sande e si incamminò in testa al loro piccolo gruppo. Era nervoso e, a differenza dell'amico umano, si sentiva leggermente più debole. Camminarono a lungo in una piccola cittadina francese, fino a quando trovarono il portale che era stato indicato loro da Apollonius.

"Perfetto, andiamo ad avvertire il signor Liw$$", dichiarò Paolo.

"Magari evitando la parte su di me, che ne dici?", scherzò Coco, tirandogli un pugno sul braccio. Paolo iniziò a farle il solletico e Sande iniziò a sentirsi ribollire dentro. Tutti lo credevano un incapace, tutti lo ignoravano. Continuava a non essere niente per nessuno e si sentiva triste e deluso. Si ripromise che avrebbe cambiato quella situazione. Avrebbe fatto innamorare Coco di lui.

(Capitolo NON Editato)

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