"Questioni di famiglia" - parte 2

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"Tieni d'occhio il cacciatore, è il mio preferito", l'altra la fissò stranita per un attimo, poi la sorella prese per il braccio Apollonius e iniziò a tirarlo via con sé, facendo cenno di saluto a Gea.
L'elfa iniziò a controllare i documenti sulla lezione. In storia dell'arte della guerra era sempre stata molto brava ed era il motivo per cui i suoi studenti, nonostante non fossero dei combattenti, avevano già un buon posto in classifica dopo il primo turno dei Giochi. Controllò l'argomento che la sorella aveva intenzione di trattare, mentre iniziava a dirigersi verso la classe.

"Un po' troppo semplicistica", osservò ad alta voce, non concentrandosi su dove si stava recando. Andò a sbattere contro quella che le sembrava una montagna.

"Oh, scusa", le erano caduti i fogli di mano e si era chinata a raccoglierli. Quando alzò lo sguardo per capire di chi si trattasse, rimase per un attimo turbata dalla figura di Paolo Greco. Il cacciatore le lanciò quella che doveva essere un'occhiataccia, poi si chinò e l'aiutò a raccogliere i fogli.

"Ancora questa roba da novellini?", commentò anche lui, dopo aver dato un'occhiata veloce.

"Sono i materiali della vostra lezione, un po' di rispetto, la vostra insegnante è mia sorella", per un attimo, Paolo sembrò confuso.

"La signora Liw$$ è tua sorella?", esclamò interdetto. Gea e Finiha si somigliavano poco, lo stesso valeva con Orahem e Fu'alie, ma ormai l'elfa non ci faceva caso, dal momento che i Liw$$ erano tutti abbastanza famosi, o forse non abbastanza.

"Già e sarebbe ottimo se mi dessi del lei. Sono la vostra insegnante per oggi", Gea fece per strappargli di mano i fogli, ma lui li alzò in alto. Era enorme, probabilmente raggiungeva i due metri e lei in confronto si sentiva minuscola e indifesa, anche sapendo di non esserlo. Attivò il potere degli anelli e gli legò il polso. Le bastò muovere un dito perché lo costringesse ad abbassare il braccio.

"Se la campanella fosse già suonata, questo atteggiamento sarebbe costato una nota di demerito", acciuffò i fogli e se li mise in ordine in grembo. Il cacciatore allora fece qualcosa di inaspettato: sorrise. Gea si ritrovò ad arrossire, ma non abbassò lo sguardo. Era rimasta affascinata.

"Comunque...", si scoprì balbettante, "... anche io credo che siate un po' grandicelli per questi argomenti".

"Grandicelli, che parola graziosa, signora Liw$$", sogghignò il cacciatore.

"Forza, in classe!", l'elfa si sentiva strana. Sapeva di avere le guance in fiamme e non riusciva a controllare le sue reazioni. Cosa aveva di strano quell'umano da costringerla ad un atteggiamento simile? Il ragazzone fece spallucce e si voltò. Entrò nell'aula e andò a sedersi in fondo, vicino alla finestra. In classe erano già presenti alcuni ragazzi, che gli si avvicinarono con aria disinvolta e allegra. L'elfa aveva un udito molto sottile, non voleva ascoltare le loro conversazioni, ma i giovani umani avevano il vizio di parlare a voce molto alta.

"Allora, fidanzato, com'è questa promessa?", attaccò il primo, un ragazzino tutto pelle e ossa con una buffa zazzera di capelli castani.

"Non è di tuo interesse", rispose il cacciatore, seccato dall'atteggiamento del compagno.

"Vero, noi non veniamo promessi, non siamo dei barbari cacciatori usciti direttamente da storie medievali", continuò il secondo.

"Vero, siete soltanto due ragazzini che credono di poter giocare a fare la guerra e non saprebbero resistere un attimo lì fuori", digrignò i denti Paolo. Gea intuì che la situazione sarebbe degenerata di lì a breve, dunque si limitò a schiarirsi la voce, come segno d'avvertimento.

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