"La Princesse"

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Coco si trovava seduta su un divanetto con interni in velluto e braccioli in legno finemente intarsiato, si sentiva un po' fuori luogo e a disagio. Davanti a sé, la strana e magnifica creatura che aveva incontrato in quella strana abitazione sedeva tranquillamente e la osservava con interesse e fascino. Abbassò lo sguardo sul tavolino che aveva di fronte e che separava i due divanetti gemelli. Erano stati posti su un vassoio del tè caldo fumante e dei dolcetti francesi dall'aspetto invitante. Il suo stomaco brontolò, ma non osò assaggiare. Era stata sequestrata da quell'individuo, non poteva avere idea se quella roba fosse avvelenata. Come per rispondere ai suoi timori, quello allungò la mano sulla teiera e riempì entrambe le tazze di porcellana finissima, probabilmente decorate a mano e dipinte come se vi fosse stata impressa una galassia. Quella ricercatezza accurata e quel gusto raffinato li aveva scorti solo nel signor Greco e in qualche modo anche Elia aveva ereditato quello strano gusto del bello, che ai cacciatori non era mai interessato. Erano sempre stati presi in giro per i loro modi di vestire e di fare eccentrici e bestiali.

"I cacciatori sono delle bestie", sottolineò lui, che le stava leggendo nella mente. Tentò di spingerlo fuori e ci riuscì. Si sentì offesa, era orgogliosa di essere una cacciatrice. Alzò lo sguardo su di lui, che si mise a sorridere, con un misto di divertimento e di dolcezza. Si sentì arrossire.

"Ghi sEi?", trovò il coraggio di chiedergli. La creatura alata alzò le sopracciglia, come se si fosse ricordato di qualcosa. Tirò fuori dalla tasca del jeans scuro e attillato una scatolina e gliela porse. Coco la fissò con diffidenza e fu lui a doverla aprire, rivelando il suo preziosissimo piercing. Coco allungò la mano e lo afferrò, si voltò come per nascondersi e lo indossò, sentendo finalmente la sicurezza della presenza metallica e magica che la aiutava a comunicare fin da quando era piccola. Trattenne la mano davanti alla bocca per nascondere il sorriso e la felicità di essere di nuovo in possesso del suo oggetto più prezioso, quando si sentì sfiorare la spalla, in maniera quasi solleticante. La creatura aveva disteso l'ala nera e aveva richiamato la sua attenzione.

"Se non vuoi che ti parli mentalmente, allora lo farò così, principessa", scandì le parole facendo in modo tale che la cacciatrice potesse leggere bene il suo labiale. Nel suo modo di fare c'era qualcosa di strano e Coco intuì si dovesse trattare di un accento. Si era sempre chiesta se fosse una difficoltà di parola o qualcosa di simile.

"Cosa vuoi da me? Chi sei?", strinse i pugni, trovando il coraggio di affrontarlo.

"Il mio nome per voi umani è impronunciabile, ma mi diverte farmi chiamare Romeo Calet", proprio mentre la cacciatrice si chiese cosa aveva che non andasse la sua R, si sentì raggelare. Sperò di aver capito male quel cognome, Calet. Era il cognome noto del capo del clan dei Mogor. Sapeva che lei era una Colonie.

"Altri mi chiamano anche in diverso modo, ma questo nome così umano", continuava a sorridere in maniera fascinosa e a parlare, come se potesse assaporare ogni parola di quello che stava dicendo.

"Cosa vuoi da me?", la cacciatrice tentò di mantenere la voce ferma.

"Proteggerti, ma scer", quella dichiarazione la lasciò spiazzata. Avrebbe voluto chiedergli se sapesse con chi stesse parlando, che i loro due clan erano rivali da sempre, ma si trattenne. Strinse i pugni, le nocche le divennero bianche, doveva pensare a come cacciarsi fuori da quella situazione.

"Non ti chiedi neanche il perché, Coco Morgue dei Colonie?", fu allora che si sentì quasi mancare per la sorpresa e per lo sconforto di essere nelle grinfie del nemico. Combattere contro quell'adone dall'enorme stazza era fuori discussione. Era più che evidente che doveva avere molta più esperienza di lei e molta più forza fisica. Sperare che i suoi compagni la salvassero era l'unica cosa che le era rimasta. Nel frattempo, doveva tentare di rimanere in vita.

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