"Squadre sbagliate" - parte 4

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Quando i suoi sensi si destarono, sentì il rumore di passi. Il corpo le doleva, ma tutto attorno a sé era morbido. Si sentiva come se stesse galleggiando su di una nuvola fluttuante. Pensò ai gemelli, che erano così leggeri e sorridenti, poi il suo cervello si collegò a sua sorella Finiha e aprì gli occhi di scatto. Si trovava al buio, in un letto enorme, di una stanza che non conosceva. Attaccata al soffitto del letto a baldacchino c'era un'enorme pelliccia bianca, si rese conto che le coperte che le erano state messe addosso avevano una fantasia maculata ed erano imbottite di lana e... addosso le era stata messa una maglietta nera enorme. Si strinse tra le braccia, qualcuno doveva averla denudata per infilarle una maglietta enorme e si trovava in una strana stanza che non aveva mai visto in vita sua e ogni cosa in quella stanza richiamava stranezze. In un angolo erano appese delle strane maschere e su un comodino, in un vasetto, delle lucciole ronzavano luminose. Si disse di non perdersi d'animo e lentamente si scostò le coperte di dosso, rabbrividì subito per il freddo. Le facevano male tutte le ossa, quando i passi si fecero più vicini, iniziò a levarsi dal letto. La porta della stanza si aprì ed entrò Paolo Greco. Era a petto nudo e sul braccio aveva un tatuaggio tribale, sul fianco si affacciava un lupo. Rimase a bocca aperta ad osservarlo, mentre lui non sembrava affatto perplesso della sua presenza in quella stanza. Si sentì stupida, era normale che non fosse perplesso, doveva avercela portata lui.

"Come sta, Generale?", le domandò a bassa voce, posando un asciugamano sulle spalle larghe, aveva i capelli bagnati, doveva essersi appena fatto una doccia.

"Cos'è successo?", il cervello di Gea iniziò a ricollegare pensieri logici.

"Un brutto ceffo stava tentando di metterle le mani addosso, lo abbiamo fermato. L'ho preso a pugni e l'ho rinchiuso in una gabbia, bestia schifosa! Tutto è iniziato, almeno per noi, perché non ci sembrava molto in sé quando è andata a sbattere contro Coco per tentare di raggiungere l'uscita del locale barcollando. Quando finalmente sembrava che la questione fosse risolta, ci siamo accorti che quello che circolava nel suo sangue non era solo alcool", fece spallucce, ma non sorrise. Avrebbe potuto deriderla per le condizioni in cui si trovava, ma non lo fece. Gea si tirò su le coperte d'istinto, come se si sentisse nuda davanti al suo sguardo.

"Perché non mi avete portata in Organizzazione?", si chiese, non riuscendo a capire perché si trovava in quella stanza.

"Subito dopo essere riusciti a farla vomitare, Coco è un genio in queste situazioni, ha continuato a sussurrare che sua madre l'avrebbe ammazzata. Per carità, immagino lei sia un po' vecchia per avere un terrore simile, quanti anni ha?", fu allora che sorrise, ma in quel gesto non ci fu niente di fastidioso, niente di cattivo.

"Settantatré e comunque è maleducazione chiedere l'età ad una signorina", Gea mantenne il suo sguardo. Era l'unica cosa che sentiva di dover fare quando era in sua presenza, mantenere lo sguardo fisso sui suoi occhi e ottenere il suo rispetto. Riuscì a sconvolgerlo.

"Settantatré anni?", domandò confuso.

"Non sono tanti per noi elfi, equivalgono alla vostra ventina", fece spallucce, per lei era normale una cosa simile. Paolo si passò una mano tra i capelli.

"Mi stai dicendo che a settantatré anni sei ancora vergine?", a quelle parole Gea avrebbe voluto essere morta sotto gli effetti di quello che le era successo. Invece di ritrarsi da quel discorso, prese in mano tutto il suo orgoglio e lo guardò negli occhi con convinzione:

"Sono una guerriera, Guardiana della dea Rekhne, non ha importanza la mia verginità fino a quando potrò battermi in suo nome".

In quella frase riuscì a tirar fuori tutti i precetti che sua madre le aveva insegnato e un po' si sentì in colpa, perché il suo cuore stava battendo troppo forte, bugiardo. I suoi occhi non riuscivano a distogliersi dal suo viso, che anche nella penombra le appariva chiaro, ma soprattutto sulle sue labbra. La parte più intima di sé osò chiedersi se fossero morbide da baciare, ma subito ricacciò via quei pensieri.

"È un grande onore allora", rispose Paolo, iniziando ad alzarsi e avvicinandosi al suo grande armadio. Tirò fuori una maglietta scolorita enorme e la indossò, poi si avviò verso la porta. Gea lo osservò in ogni suo movimento. Si voltò verso di lei.

"Dovrebbe riposare, Generale. Gli effetti di quella droga non sono ancora finiti. Dovrebbe sentirsi meglio entro domani pomeriggio. Può stare qui tutto il tempo che vuole, questo è il mio appartamento", detto ciò, si voltò e aprì la porta.

"Grazie. Grazie a tutti per avermi salvata", pronunciò l'elfa, sentendosi bene con se stessa per averlo fatto.

"Non lo dica troppo in giro. Pensi che direbbero di noi i nostri compagni se sapessero che andiamo in giro a difendere la castità di un'elfa", sogghignò senza voltarsi, poi andò via. Gea si lasciò ricadere sul letto. Si sentì una stupida. Aveva realizzato che voleva fare colpo su di lui e lui era un umano. Quelle erano state le ventiquattro ore che le avevano stravolto la vita.


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