La Supremazia della Conoscenza

By NatsuRai

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Una nuova vita, un nuovo caso, un'antica maledizione. Passato e presente s'incrociano portando nuove disgraz... More

Avviso:
Fumo bianco, anime innocenti, destino tormentato
Capitolo 2: Furto di conoscenza
Case allegre e vite perdute
Capitolo 5: Una calda accoglienza
Capitolo 6: Una nuova vita
Capitolo 7: Nebbia e fuoco
Cap 8:Tempesta di ricordi
Cap9 Sale bianche e ricordi
Cap 10:Il Quaderno Maledetto
Capitolo 11: Un puzzle di pensieri sfuggenti
Capitolo 12:Indovinelli, chi trova l'assassino trova il tesoro
Cap 13:Miranda
Capitolo 14: Una serata in famiglia
Capitolo 15:una soluzione per ogni mistero
Capitolo 16: la cerva
Capitolo 17: Fiducia e inganno. Tutti pugnalano l'eroe
Capitolo 18: Nuova Azkaban
Capitolo 19: Svuotata
Capitolo 20: Trentaquattro
Capitolo 21: la maschera
Capitolo 22: Il ritorno
Capitolo 23: Risate di fumo bianco
Capitolo 24: Risveglio
Capitolo 25: Miracolo
Capitolo 26: Lama beffarda
Capitolo 27: Milady
Capitolo 29: Riddle Manor
Capitolo 30: La Supremazia della Conoscenza

Capitolo 28: Fuoco ritorna fuoco

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By NatsuRai

Harry chiuse gli occhi, abbandonandosi sul divano nell'esatto solco che si era formato tra i cuscini dopo anni passati a sostenere il suo corpo che crollava tra le morbide braccia bordeaux, dopo una missione, una lunga giornata, una visita al cimitero di Godric's Hollow.
Avvertiva un senso di vertigine mai provato prima, la sensazione di essere disorientato e spaesato, di avere il sangue alla testa, non era mai stata così forte, nemmeno quando volava a testa in giù sul campo da Quidditch.

Gemette, portando la mano alla fronte e massaggiando le tempie con i polpastrelli, saggiando i contorni della vecchia cicatrice. La saetta non faceva male, ma l'oscurità non se n'era andata via.

Sbuffò, rilassando le spalle, e osservò il soffitto alto della stanza. Ne studiò le travi di legno robuste, alcune incise magicamente da un giovane Sirius, che Harry, nonostante i variopinti insulti che recitavano, si era rifiutato di cancellare o coprire in alcun modo e l'ombra di un sorriso si accostò alle sue labbra secche, spazzata via dall'onnipresente consapevolezza di aver perso un agente.
Un amico.
Si chiese cosa provasse Gerald in quell'istante, dove fosse...se qualcuno avesse avvisato la sua famiglia.

Quanto sapeva di Gerald Thompson?

Tanto, forse troppo per lavorare ad un suo rapimento.

Ricordava ancora il suo primo giorno al Dipartimento, fresco d'Accademia, quando si era fiondato nell'ufficio con l'uniforme inamidata e i capelli corvini perfettamente in ordine. Era entrato dall'ampia porta d'ottone incantata dell'ingresso principale con passo sicuro ma stringeva spasmodicamente la bacchetta tra le dita bianche e quando Harry gli si era avvicinato, per stringergli la mano, aveva notato quanto fosse gelida e sudata. Gerald aveva risposto con un ampio e sincero sorriso, gli occhi azzurri fiammeggiavano d'entusiasmo, ed Harry poté quasi respirare la genuinità che si celava in quel ragazzo dinoccolato.

-Signor Potter, signore...è un piacere rivederla, signore.- aveva esalato Gerald, inciampando tra una sillaba e l'altra, fissando con ammirazione la spilla di Capitano che aderiva alla giacca nera di Harry. Alzò una mano, Harry, e tornò a sfiorare quella stessa spilla, che sotto la luce giallastra del salotto emetteva bagliori dorati. Non era così che sperava andasse la prima missione ufficiale di Gerald.

Le fiamme rossastre del camino guizzarono, crepitando, e un volto emerse all'improvviso dal caldo fuoco scoppiettante. Era un viso familiare, seppur poco conosciuto. Harry aveva temuto quel momento fin da quando i suoi occhi si erano posati sulla figura longilinea di Claire, identificandola come assassina.

Era il padre di Gerald.

Harry l'aveva già incontrato due volte, nella sua vita.

La prima era stata all'ingresso del Ministero della Magia. Harry la ricordava bene.

Il signor Thompson era un uomo pasciuto, dall'aria tranquilla, due acquosi occhi verdi e radi capelli biondi. Attorno alle labbra piene aveva due fossette profonde che danzavano avanti e indietro mentre l'uomo parlava.

Harry pensò che nella sua pacatezza, nella sua ordinarietà, il signor Thompson sembrasse tutto fuorché un Indicibile. E certamente non il padre biologico di Gerald Thompson.
Non che lo trovasse sgradevole, ma i suoi occhi, considerò Harry in quella prima analisi, erano spenti, lui era apatico e radicalmente diverso dal figlio, che quasi irradiava entusiasmo. Gerald era appena entrato all'Accademia Auror e aveva calorosamente ringraziato Harry per le lettere di raccomandazione inviate ai docenti.

Il giovane mago aveva poi scoperto dalla McGrannitt del ruolo del padre al Ministero e del suo sdegno nei confronti della scelta compiuta dal figlio.
Harry restò immobile ad osservarlo attentamente. Era fermo all'ascensore, ad occhi socchiusi attendeva che il tintinnio lo avvisasse dell'arrivo della gabbietta e Harry si fermò al suo fianco, senza pronunciare una parola. Entrarono insieme nell'ascensore dorato e schizzarono attraverso i Livelli del Ministero, certamente l'uomo l'aveva riconosciuto ma non disse nulla e Harry non osò nemmeno respirare, restarono immersi in un pesante e teso silenzio finché la voce femminea non cantilenò con voce meccanica il loro arrivo al Secondo Livello e Harry sgusciò fuori rapidamente, scrollandosi di dosso il disagio vissuto.

Il loro secondo incontro, invece, aveva avuto toni drammatici. Era la cerimonia d'ingresso di Gerald al Dipartimento.
Il Quartier Generale era stato riempito di vecchi polverosi addobbi di cartapesta raffiguranti il simbolo del ministero della magia britannico e un cerchio con due bacchette incrociate che si alternavano.
Erano color oro, un tempo, ma ora apparivano in un grigio sporco e i topi che vivevano nei sotterranei del ministero ne avevano mangiucchiati buona parte.
Nessuno, in tutti quegli anni di cerimonie e festività, aveva mai pensato di sistemarli o di trovarne di nuovi. Penzolavano dagli alti soffitti di pietra, agganciati ai supporti di ferro dei vecchi lampadari, gettando sbuffi di polvere resa argentea dalla luce sugli invitati.
I Capitani ne erano infastiditi, i giovani cadetti, nell'entusiasmo per la loro carriera appena iniziata, si scarmigliavano i capelli e battevano gli abiti con allegria.
Il signor Thompson era lì, sulla soglia della porta. Osservava con disappunto e malcelata rabbia il capo corvino di Gerald che saltellava al fianco di una ben più pacata Claire stringendo mani e ricevendo pacche sulle spalle.
Harry si avvicinò lentamente all'uomo, non seppe mai cosa l'avesse spinto ad impicciarsi in quelli che, chiaramente, non erano affari che lo riguardavano, ma ne richiamò l'attenzione con una stretta attorno al braccio e si schiarì la voce, sussurrando -Vuole che le chiami il cadetto Thompson? C'è molta confusione e possibilmente non l'ha vista.- 

Harry si maledì nell'esatto istante in cui l'uomo si voltò per fulminarlo.
Non sembrava un uomo il cui volto era fatto per aver su di sé espressioni rabbiose, o espressioni in generale. Anche in quel momento, nonostante le sopracciglia aggrottate e le labbra strette, i suoi occhi non comunicavano nulla, erano un deserto emotivo, pensò Harry. 

Non disse nulla, non rispose e non chiese di vedere il figlio. Si limitò ad allontanarsi, con le spalle basse, che dichiaravano sconfitta.

Harry si accorse solo in quell'istante che non era solo. Altri cinque uomini, due magri e tre ancor più pasciuti del signor Thompson, con le divise del ministero che fasciavano i loro corpi, attendevano il collega. 
Harry li riconobbe come Indicibili. Non ne vedeva da anni, da quando, alla sua prima udienza al Ministero, aveva posato gli occhi sulla misteriosa porta che racchiudeva i mille segreti dell'Ufficio Misteri. 

Era un luogo che non aveva mai smesso di affascinarlo, parte di lui avrebbe voluto introdurvisi ancora oggi, ma era privilegio unico degli Indicibili conoscere e custodirne i segreti. 

Il volto di fuoco e legna sibilò rabbiosamente e le sue parole furono enfatizzate dalle scintille dorate che scoppiettavano attorno a lui -Che fine ha fatto mio figlio?- Erano passati anni dalla scelta di Gerald, un anno intero dall'ultima volta che aveva provato ad avvicinarlo, a convincerlo a seguire le sue orme come ogni singolo figlio di Indicibili: l'esclusiva casta.

Harry chinò il capo; era sempre suo padre, era l'uomo che l'aveva cresciuto e che aveva pieno diritto di essere sconvolto e infuriato, lui l'aveva preso sotto la sua ala ad appena diciassette anni, si era goduto un riconoscimento e un affetto che non gli spettava, aveva colto e assaggiato i frutti di un lavoro che non era stato il suo.
-Mi dispiace infinitamente darle questa notizia, signor Thompson, ma Gerald risulta scomparso da circa sei ore e non abbiamo alcuna traccia su dove si trovi adesso.- sospirò stancamente -abbiamo tutto il Dipartimento Auror impegnato nella sua ricerca...stiamo facendo il possibile per...- aveva detto tante volte quelle parole e suonavano spaventosamente vuote. 
Ne fu umiliato. 

È così che assisto e aiuto? È così che cerco di lenire un animo disperato?

-Le posso promettere che faremo il possibile ma Gerald è stato catturato dallo stesso assassino di Horace Lumacorno, Miranda Goshawk, Nicholas Flamel e Newt Scamander.-sussurrò -è grave. Non le mentirò, l'assassino è stato già identificato ma viveva sotto falsa identità e ogni documento riferito alla sua vita è un falso ben congegnato.- L'uomo gonfiò le guance ma ancora l'irritazione non raggiungeva gli occhi, sebbene di cenere fiammeggiante, vacui. 

Harry avrebbe voluto proseguire, pur non sapendo cosa dire esattamente ma un borbottio confuso gli giunse dal camino, coperto dal rumore di James che palleggiava al piano di sopra.
Scivolò giù dal divano e si sedette davanti al camino di pietra e marmo bianco. Non osò chiedere all'uomo di ripetere le sue parole, si limitò ad ascoltare e a tentare di decifrare i suoi mugugnii.

-Lei aveva la sua fiducia e aveva il compito di guidarlo! Gestite così il Dipartimento Auror? Mettendo una recluta, priva di alcuna esperienza, a lavorare ad un caso come questo? Che fine ha fatto mio figlio?-

Harry gemette, non aveva una sfera di cristallo che lo guidasse nei suoi passi, aveva sempre preso le sue decisioni di pancia, seguendo lo stesso istinto che gli aveva concesso di sopravvivere durante la prima guerra magica. Ora non sapeva dove fosse Gerald né tantomeno come trovarlo e sentire suo padre riversare la sua rabbia su di lui, mantenendo lo stesso sguardo vacuo che Harry sempre attribuito lo colpì alle spalle con una gelida lama affilata.
Non tentò nemmeno di rispondere alle accuse non tentò di controbattere, stette in silenzio ad ascoltarlo abbaiare sulla sua mancanza di professionalità, sulla sua inettitudine.

Incassò l'ultima accusa mordendosi le labbra e osservò il volto del signor Thompson tremare, mentre legna e cenere lo riassorbivano e il fuoco ritornava fuoco.

Le sue ultime parole vibravano dentro di lui.

Mi hai portato via mio figlio e non sei nemmeno riuscito a proteggerlo.

**

Aprì gli occhi azzurri e osservò i raggi dorati che filtravano dalla grata arrugginita. L'istinto da Auror, coltivato negli anni d'accademia, era forse l'unica cosa che gli impediva di perdere il lume della ragione, di disperarsi, di piangere.

Il sole non l'avrebbe aiutato a capire da quanto tempo era rinchiuso lì dentro da solo, ma certamente lo soccorreva nella comprensione del tempo passato da quando Claire l'aveva afferrato, smaterializzandosi dall'ingresso del San Mungo. Guardò le mani incatenate, erano macchiate di polvere, si era infilata sotto le unghie, sui polpastrelli.
Chiuse una mano a pugno, lasciando che le unghie si conficcassero nella carne. 

Se solo avessi la mia bacchetta...

L'Accademia non l'aveva certo addestrato per essere uno di quei maghi che, non appena perdevano la loro bacchetta, non appena erano impossibilitati a compiere magie, entravano nel panico.
Ma Gerald, in quel disgraziato momento, non aveva altre opzioni. Claire lo sapeva. Claire aveva fatto il suo stesso percorso, era stata brava quanto lui, se non di più, nel corso di quegli anni fatti di studio intenso ed esercitazioni faticose.

Claire.

Era così dannatamente sbagliato.

Tremava, accasciato sul gelido pavimento sudicio, mentre i pensieri si addensavano in confusi filamenti nebulosi.

Stralci di abbracci, sorrisi, labbra, denti, pelle...Gerald ne vide distintamente i colori e i suoni in una spaventosa girandola che lo raccapricciava.
La nausea saliva dentro di lui come un'onda, si abbatteva tra le pareti dello stomaco, risaliva la gola in un acido fiume bruciante e si ritirava rapidamente.

Claire.

Un nome, una passione e una condanna.
La condanna della conoscenza, della consapevolezza. 

Lei era la figlia di Samantha Mason. 
Lei cercava vendetta per una madre morta da anni, sfogava la rabbia come il padre che l'aveva abbandonata.

Lei aveva la sua indole, la sua aggressività e la sua perversione.
Lei aveva usato un bambino di undici anni, suo fratello, l'aveva plagiato e gli aveva mentito. Aveva ingannato la sua mente e plasmato il suo cuore tra le sue mani perché lui l'amasse, perché non vedesse oltre il velo malizioso e spensierato che si era calata sugli occhi marroni.

Cos'avrò preso io da te, padre?

Ricordava come la rabbia l'aveva travolto, in quella vita mai vissuta, in quel passato cancellato dal suo viaggio nel tempo ma mai si sarebbe spinto così in là. 
Non voleva morti casuali. 
Voleva la sua morte. E invece aveva ottenuto un'altro inganno. 

E Claire, la sua Claire, ne era la brillante artefice.

E io pensavo al nostro futuro, a vivere come Harry e Hermione, tra avventure e famiglia, tra amore e battaglie...

La stanza era un piccolo quadrato, stretto e dalle altissime pareti lisce. Non si sarebbe mai potuto arrampicare per raggiungere la finestra rettangolare e anche qualora avesse trovato qualche appiglio, la fessura era troppo stretta per consentire il suo passaggio.
Levitazione, incantesimi di dilatazione...era inutile anche solo fantasticarvi. 
L'aveva bloccato.

Harry è rimasto così per quanto? Per mesi? Bloccato nel buio? Paralizzato dalla solitudine?
Mi troveranno.
Mi troverà.
Ogni padre cerca il proprio figlio...

Harry, però, non era suo padre. Era un amico, un mentore, una figura paterna ma, non era suo padre.
I suoi padri, due, erano l'uno nell'oltretomba e l'altro in un soffocante buco polveroso al Ministero della Magia, ed era consapevole di aver perso suo figlio da tanti anni.
Da quella domenica soleggiata in cui Gerald aveva portato nuvole e fulmini sufficienti a scatenare una tempesta che durava da anni.

Mio padre non mi sta cercando. Nessuno dei due l'avrebbe fatto.

**

Hermione scosse la testa. Pile di scartoffie si ergevano sulla sua scrivania di pioppo intarsiato, risalente all'epoca di chissà quale ViceCapitano baffuto tra i milioni raffigurati nei quadri appesi nel Quartier Generale.

Aveva sempre pensato che Albert Turner fosse un ragazzo dotato di grande intelletto ma gli associava un profondo disinteresse per tutto quel che avveniva nel Dipartimento.

Era entrato grazie a suo padre, ben più interessato ma incredibilmente inetto, e non aveva mai manifestato alcuna curiosità verso la loro professione.
Si era limitato a chinare il capo, ad obbedire, a cambiare la sua vita, a percorrere una strada che Hermione non credeva fosse fatta per lui.

Eppure quella stessa notte in cui Harry le aveva chiesto di chiamarlo e di far partire i bollettini per la ricerca di Gerald e Claire, Albert era cambiato, radicalmente. Hermione non l'aveva mai visto così concentrato e attento, mai così vispo, preciso, interessato. 

Albert quasi volava da uno studio all'altro del Dipartimento, carico di fascicoli beige i cui documenti svolazzavano attorno a lui, scivolando dalle copertine e cadendo a terra.
Più volte Albert aveva rischiato di far cadere sul pavimento di pietra tutti i documenti cui si era caricato nel tentativo di recuperare le pagine perdute. Lavorava ininterrottamente da quasi sei ore e anziché diminuire la pila sulla sua scrivania aumentava, perché ogni mezz'ora l'agente ricordava qualche scaffale o cassetto o ufficio che non aveva ancora saccheggiato e tornava nuovamente carico.

Hermione, al contrario, era a pezzi.
Harry soffriva per la perdita di Gerald, lo sapeva bene, fin dal primo momento in cui Harry l'aveva visto, quel giorno ad Hogwarts, aveva letto dietro l'aria da studente modello, un'anima affine alla sua, quella di un attira guai di prima categoria.

Lei, d'altro canto, aveva visto scintille in Claire.

Aveva visto un intelletto che aspettava solo il giusto stimolo e aveva fatto di tutto perché lo ricevesse. Come Harry aveva raccomandato Gerald, Hermione aveva provveduto per Claire. Come Harry vedeva qualcosa in Gerald, lei l'aveva vista in Claire.

Il suo istinto aveva fatto un gigantesco errore. Il suo istinto aveva permesso ad un'assassina perversa di ricevere l'addestramento di un Auror.

Hermione ne era distrutta, disgustata. Il senso di colpa, nonostante gli sguardi incoraggianti e gli abbracci di Harry e il suo costante sussurrarle che non era colpa sua, si era insinuato nella sua pelle, come un viscido fiume sussurrante che le correva su e giù per il corpo dandole brividi, nausea e causandole dolorose strette allo stomaco.

Come ho fatto a non vedere oltre?

Sbagliava così tanto nel giudicare le persone?

Credeva di avere un ottimo istinto. Invece era il peggiore.

Albert, i cui occhi erano strabuzzati, fece irruzione nell'ufficio, aveva la cravatta allentata e Hermione non l'aveva mai visto con un capello fuori posto prima di allora. -Ho trovato.- riuscì a sussurrarle, tra ansiti e colpi di tosse.

Hermione scattò in piedi e il senso d'analisi, l'abitudine a stare sul campo, in battaglia, la soccorse.
I sensi di colpa si accartocciarono, il fiume si prosciugò e tutto quel marasma di sentimenti e pensieri fu semplicemente stipato in un cassetto della sua mente. 

Improvvisamente tutto fu ordine e silenzio. La mano destra scattò verso la bacchetta e appellò il suo cellulare. -Harry. Abbiamo una traccia.-

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