Hunters

By EleonoraCiglio

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Spin-off Novel dei "Racconti d'Oltremondo" - Consigliata la lettura del primo capitolo di "Arthemis" Storia b... More

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Epilogo

"Questioni di famiglia" - parte 1

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By EleonoraCiglio


Gea Liw$$ aveva delle ferme convinzioni nella vita. Gliele aveva inculcate sua madre fin da quando aveva pochi anni di età. Le due regole fondamentali erano che l'unico scopo della sua esistenza era quello di essere un'arma per il bene dell'Oltremondo e l'unica dea alla quale doveva rispondere era Rekhne, la dea del bene e dell'Ordine supremo.
Era la penultima di otto tra fratelli e sorelle. Pertanto, secondo i precetti di sua madre, i legami di sangue erano sacri. A volte, le era capitato di dubitare di quell'insegnamento. A volte, non sopportava affatto i suoi fratelli, ma la volontà dell'Antica elfa era sempre stata ferrea su quella convinzione.
Queste erano le cose che ogni mattina si ripeteva in mente, mentre era intenta a sistemare la sua intricata acconciatura di treccine e decori tra i capelli. Era un atto di vanità, la madre l'aveva sempre sgridata. Portare capelli lunghi era tipico per la sua gente, ma così lunghi, quasi fino alle caviglie, non era consono ad una guerriera. Era l'unico avvertimento che aveva sempre ignorato, era l'unica cosa che la facesse sentire più vicina al genere umano, con il quale aveva a che fare tutti i giorni. Gea Liw$$ era una nobile elfa sogno della giovane età di settantatré anni e in quel momento della sua vita, la sua mansione poteva risparmiare i suoi lunghi capelli e la sua vanità, dato che le toccava fare da Generale ad un pugno di novellini.
Iniziò ad infilare i preziosi anelli magici, forgiati da due dei suoi fratelli maggiori, Lumina e Lunami. Erano gli unici due a non essere dei guerrieri in famiglia e non era cosa rara che le fosse capitato di invidiarli. Lumina e Lunami non erano solo due semplici fabbri, erano degli artisti veri e propri. Ogni volta che li osservava, le veniva in mente solo una sensazione: i gemelli erano leggeri come la brezza d'estate. Per via di quella grazia, ben nascosta da modi di fare molto umani e a volte barbari, Gea avrebbe abbandonato tutto, perché riteneva che la felicità che i gemelli ottenevano in cambio fosse qualcosa per cui valeva la pena lottare.
Si osservò le lunghe dita affusolate, le piacevano le sue mani, lisce ed eleganti, di un pallore marmoreo. Erano diverse da quelle di sua sorella Lumina, piene di calli e bruciature e da quelle di Finiha, colei che più di tutti ammirava in famiglia. Se c'era qualcosa che aveva deciso di difendere era il suo aspetto esteriore. Gea non si riteneva bella, ma dignitosa. Non le piaceva esagerare, come le sue colleghe che passavano smalti sulle unghie o si dipingevano il volto con trucco e tatuaggi. Le bastava aver cura del suo corpo. Quando la madre aveva commentato i suoi atteggiamenti per la cura di sé, le aveva fatto uno strano effetto risponderle che gli umani avevano un detto che diceva: mens sana in corpore sano. Una mente sana in un corpo sano, Gea lo aveva interpretato come un simbolo di virtù e aveva trovato in essa un piccolo spiraglio di leggerezza.
Qualcuno bussò alla sua porta, mentre iniziava la vestizione della divisa da Generale.

"Chi è che bussa alla mia porta?", chiese con calma, potendo soltanto immaginare.

"Colazione assieme, sorellina?", si era affacciato nella stanza Apollonius Liw$$. Se Finiha era colei che Gea ammirava, Apollonius era colui che le migliorava qualsiasi giornata.

"Apollonius, sarà un piacere", rispose in un sorriso leggero, la madre aveva sempre sottolineato l'importanza di contenere le proprie emozioni e si era più volte prodigata a ricordare loro di trattarsi come se fossero degli estranei, ognuno con il suo ruolo ben preciso. Apollonius l'aveva sempre ignorata, sempre pronto a soccorrere ognuno dei suoi fratelli e a porgere loro la sua mano d'aiuto.

"Dovresti smetterla di mantenere questo atteggiamento anche quando non c'è la mamma, non siamo più due bambini", sottolineò l'elfo dai capelli splendidamente cerulei, proprio come i suoi occhi. Apollonius era la luce della famiglia Liw$$ e come il dio del sole, del quale portava il nome, risplendeva di essa e illuminava il mondo delle persone alle quali voleva bene.

"Siamo elfi, abbiamo le orecchie lunghe", si compiacque di sottolineare lei.

"La mamma si fermerà alla tenuta per dieci giorni. Pare che Fu'alie sia in ferie", quella era una notizia che le fece tirare un sospiro di sollievo, il sorriso di lei si accentuò.

"Sembra che la mamma abbia occhi solo per lui, se non fosse così macho e indipendente, penserei che Fu'alie sia il cocco di mamma per eccellenza", a quella battuta strategicamente pensata e clamorosamente uscita male, per colpa del tono incerto, suo fratello rise.

"Forza, finisci di vestirti! Sto morendo di fame e pomeriggio ho promesso a Finiha di aiutarla con la sua squadra", non era raro che Apollonius aiutasse uno dei suoi fratelli, era l'unico tra di loro ad occuparsi semplicemente di fare la Guardia ai Normali. Anche la mamma aveva sempre sottolineato quanto il suo animo fosse troppo gentile per sopravvivere nel bel mezzo di una guerra. Gea arrossì, impressionata dall'idea che Apollonius avesse ricevuto una simile richiesta da loro sorella maggiore.

"Vuoi venire anche tu, vero?", la stuzzicò l'elfo, conoscendo il debole di Gea per le abilità di Finiha.

"Se non è di disturbo, potrei dare una mano anche io", l'elfa aveva abbassato il tono di voce, si sentiva in imbarazzo.

"Penso proprio che Finiha ti odierà a morte", a quelle parole, Gea spalancò gli occhi e lo fissò incredula. Apollonius si mise a ridere e lei gli mise su il broncio.

"Fratello scemo!", lo insultò.

"Ti voglio bene anche io, sorellina", ridacchiò lui. Gea terminò di indossare la divisa da allenamento da Generale e applicò la spilla con il simbolo di famiglia all'altezza del cuore, poi fu subito al fianco di Apollonius. I due si avviarono verso la mensa. I corridoi del dormitorio dei Generali erano vuoti, poco avevano a che fare con la vitalità di quelli degli studenti. Si ritrovarono nell'edificio principale, camminando fianco a fianco in religioso silenzio. Gea si sentiva felice anche solo grazie alla presenza del fratello al suo fianco, non le servivano chiacchiere per dimostrare affetto.
Mentre camminavano per il corridoio, gli studenti si facevano da parte e li osservavano con attenzione. I fratelli Liw$$ erano rispettati in tutta l'Organizzazione. Fu'alie, Finiha e Orahem, tra loro, si erano sempre distinti per le grandi imprese compiute in passato. Loro madre era uno dei membri di spicco del Consiglio dell'Organizzazione dell'Ordine di Oltremondo ed era noto che il loro fratellino più piccolo, Daniel, fosse il migliore amico dei figli del Presidente. Proprio mentre varcavano la soglia della mensa, lo sguardo dell'elfa ricadde appunto sul più piccolo dei Liw$$, che sedeva al tavolo con Arthemis, la figlia del Presidente.

"Il nostro fratellino è mattiniero", sottolineò al maggiore con un sorriso.

"Prendiamo qualcosa e andiamo a sederci con quei due monelli", propose l'elfo. Così fecero.

"Quindi, se prendi in considerazione che il tempo scorre in maniera differente tra le due dimensioni, è difficile non creare una frattura nell'Equilibrio. Per questo tuo zio sta creando delle pillole iperbariche", il piccolo Daniel stava spiegando quella concezione con grande entusiasmo. Gea non ne era affatto sorpresa, per avere nove anni, quel piccoletto era un genio. Loro madre, invece che vantarsene, spesso si preoccupava per quella cosa. Sarebbe stata inammissibile una pretesa, da parte del suo ultimogenito, di intraprendere studi di Ricerca, per i quali era effettivamente portato.

"Daniel, non vedi che Arthemis ha seguito solo metà di quello che le stai dicendo?", lo prese in giro Apollonius. Daniel si voltò verso il fratello maggiore e si illuminò. La piccola Arthemis, con i suoi capelli biondo grano, corti come quelli di un maschietto, sembrava essere più concentrata sulla sua colazione, che su discorsi inerenti alla fisica di Oltremondo.

"Ma non pensi sia un traguardo interessante?", era noto che l'unico con cui Daniel non facesse il permaloso era Apollonius. Era impossibile arrabbiarsi con lui per le sue battute.

"Piccola Arthemis, come procedono gli studi?", Gea si sedette di fronte alla bambina, che alzò lo sguardo dei suoi occhi grigi sull'elfa e si limitò ad annuire.

"Vanno bene, ho preso un buon voto nel compito di matematica", non sorrise, era una cosa che faceva raramente, solo in presenza di suo fratello o suo padre. Era una bambina troppo seria per la sua età.

"Gea, perché quell'insegnante ti sta fissando?", le domandò il fratellino. L'elfa alzò lo sguardo e lo incrociò con quello del Ricercatore Andrea Giusto, che insegnava biologia delle molecole di Oltremondo ai ragazzi dei corsi superiori. Il giovane arrossì e Gea si sentì a disagio.

"Fratellino, devi sapere che quando una ragazza è molto bella, come nel caso di nostra sorella, capita che abbia molti corteggiatori", iniziò a spiegargli Apollonius.

"Non è una questione di genetica? Non bisogna considerare il partner migliore per il proseguimento della stirpe", a quelle parole del bambino, anche Arthemis gli lanciò uno sguardo stranito.

"È quando due persone si amano, che decidono di stare insieme. La mia mamma e il mio papà si amavano tanto", si sentì in dovere di sottolineare quella cosa.

"Non ha senso! A me piace stare con te, ma non ti sposerei mai", fece una faccia schifata l'elfo.

"Perché non mi ami", continuò la bambina.

"Bambini, questi sono discorsi che riprenderete quando sarete più grandi, immagino", si intromise Gea, sentendo l'imbarazzo crescere in lei.

"Cosa hai chiesto per il compleanno, Arthemis?", Apollonius cambiò subito discorso e finalmente gli occhi della bambina si illuminarono.

"Voglio un'Animaria(* vedi glossario a fine capitolo!)!", esclamò, come se avesse appena chiesto un giocattolo.

"Sei troppo piccola per un'Animaria", la corresse subito Daniel.

"Credo che Daniel abbia ragione", mormorò Gea allibita.

"Non voglio dei giochi, sono una guerriera", la bambina sembrava particolarmente offesa.

"Avrai il tuo regalo da guerriera, ma le Animarie sono illegali fino agli undici anni", le parole di Apollonius calmarono lo spirito battagliero della bambina. Terminarono tutti di fare colazione, proprio quando sopraggiunse il gemello di Arthemis, Irwin. Aveva indossato una maglietta scolorita al contrario e si strofinava gli occhi tutto assonnato. I suoi capelli erano più lunghi di quelli della sorella ed iniziava ad essere anche più alto.
Gea e Apollonius lasciarono i bambini ai loro bisticci e si allontanarono.

"Gea, dovresti fare più attenzione ai tuoi corteggiatori", scherzò l'elfo, mentre si dirigevano verso il luogo d'incontro con Finiha.

"Oh, fratello! Sono umani, cosa vai immaginando? Lo sai che è impensabile una cosa simile", esseri umani e sogni non erano nati per stare insieme. Non poteva esserci amore tra di loro e se ci fosse stato, dalla loro unione sarebbe nato un vigilif e il piccolo sarebbe stato esiliato nelle terre barbare dell'Impero di Uticah. Sua madre aveva raccontato loro le storie dei casi più particolari e scandalosi per una vita intera. Gli umani andavano protetti, bisognava convivere con loro civilmente, ma niente di più. Erano una razza che poteva soltanto macchiare l'antico e nobile retaggio dei Liw$$. Inoltre, Gea era giovane per pensare a cose come l'amore, aveva solo settantatré anni. Neanche Fu'alie, che ne aveva quasi cinquecento ed era il più grande di loro, aveva una sposa.

"Ricordi quando Lumina se n'è andata via con quel tipo, il fato?", ridacchiò poi Apollonius.

"Lumina e Lunami sono ribelli dentro", sospirò Gea. Poi, il suo sguardo si posò su due figure, che si trovavano nel corridoio che portava alle classi. Un ragazzo molto alto e dal fisico massiccio si era messo in spalla un ragazzino, molto più piccolo ed esile.

"Lasciami andare ho detto!", urlò il ragazzino, al più grande.

"Ah, sì? E sentiamo, cosa dovresti farmi altrimenti?", sghignazzò, stringendolo in maniera più forte.

"Mettilo immediatamente giù!", urlò l'elfa, avvicinandosi ai due con aria severa. Il bullo fece un'espressione contrariata, ma obbedì. Il ragazzino sferrò un calcio contro lo stinco del più grande e Gea notò che si somigliavano parecchio.

"E tu tieni a posto i piedi!", fulminò con lo sguardo il piccolo, che digrignò i denti e la guardò in cagnesco. Dovevano essere fratelli. Avevano la carnagione color caffè-latte, i capelli di un castano caldo, ma non troppo scuro e occhi scuri e intensi. I loro volti avevano qualcosa di feroce. Fu appena notò il fatto che indossassero delle divise nere, al posto di quelle dell'Accademia, che intuì cosa fossero.

"Cacciatori, avete il diritto di fare come più vi garba tra le mura della vostra comunità, ma qui in Accademia siete sotto la nostra tutela. Non si ammettono atti di bullismo simili, neanche tra parenti", l'elfa utilizzò un tono freddo e distaccato.

"Chiedo scusa", rispose il maggiore, "volevo solo convincere questa peste a non saltare la colazione. Ma probabilmente vuole rimanere uno scricciolo per tutta la sua vita e continuare ad essere deriso da tutti", un sorriso beffardo si dipinse sul suo viso.

"Non ha importanza cosa intendessi fare. Ci sono diversi metodi, sii più moderato la prossima volta", per lei il discorso era finito lì.

"Tanto è così stupido che non ci arriverà mai!", continuò il ragazzino più piccolo con una smorfia adirata in viso.

"Ancora i fratelli Greco?", ridacchiò qualcuno alle loro spalle. Era Finiha. Aveva i capelli legati in una coda di cavallo, dalla quale spuntavano le treccine elfiche e indossava una tuta, che sulla parte superiore aveva uno scollo imbarazzante. Gea arrossì, mentre la sorella si avvicinava ai due con grazia e scompigliava i capelli del piccolo, per poi mandarlo via con una pacca sulle spalle. Paolo fece per allontanarsi, ma lei lo fermò.

"Ehi, l'aula della lezione è da quella parte, dovresti saperlo", l'elfa dai capelli neri aveva un tono di voce basso, che Gea aveva sempre trovato misterioso. Il giovane fece una smorfia e se ne andò.

"Fratellini cari, come mai entrambi dalle mie parti?", sorrise loro la sorella maggiore. Aveva dei tratti somatici più aguzzi, più simili a quelli di loro padre e i suoi capelli neri accentuavano il pallore della sua carnagione.

"Gea voleva essere di aiuto", spiegò Apollonius.

"Mi pare perfetto, allora. Il Generale che doveva sostituirmi alla lezione di storia dell'arte della guerra mi ha dato buca e non volevo assolutamente far perdere la missione ai miei ragazzi", unì le mani compiaciuta.

"Posso sostituirti", annuì Gea, che con la sua squadra non aveva molto da fare. Erano due ricercatori e un medico, non dei guerrieri.

"Perfetto, sorellina! Fai attenzione, è una classe un po' turbolenta", Finiha le fece l'occhiolino e tirò fuori dalla sua borsa dei documenti sulla lezione. L'altra li prese, quando Finiha li trattenne per un attimo e le si avvicinò, sussurrandole qualcosa nell'orecchio...


(to be continued...)


Animaria: Arma da fuoco creata daJack Valiant, Ricercatore famoso nella storia d'Oltremondo. Funzionano grazie al potere delle anime delle gemme preziose. Inizialmente, furono create per dimostrare l'esistenza di un potere insito nelle pietre preziose, ma appena ci si rese conto dell'impatto che potevano avere sul mondo, si decise di adoperarle come pericolosissime armi da fuoco.

n.b.: Apollonius non mente quando avverte la piccola Arthemis sull'età da avere per possedere un'Animaria. Nella realtà di Oltremondo si è guerrieri fin da piccoli, nonostante alcune assurdità, che potrete scoprire leggendo "Arthemis".

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