La Supremazia della Conoscenza

By NatsuRai

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Una nuova vita, un nuovo caso, un'antica maledizione. Passato e presente s'incrociano portando nuove disgraz... More

Avviso:
Fumo bianco, anime innocenti, destino tormentato
Capitolo 2: Furto di conoscenza
Case allegre e vite perdute
Capitolo 5: Una calda accoglienza
Capitolo 6: Una nuova vita
Capitolo 7: Nebbia e fuoco
Cap 8:Tempesta di ricordi
Cap9 Sale bianche e ricordi
Cap 10:Il Quaderno Maledetto
Capitolo 11: Un puzzle di pensieri sfuggenti
Capitolo 12:Indovinelli, chi trova l'assassino trova il tesoro
Cap 13:Miranda
Capitolo 14: Una serata in famiglia
Capitolo 15:una soluzione per ogni mistero
Capitolo 16: la cerva
Capitolo 17: Fiducia e inganno. Tutti pugnalano l'eroe
Capitolo 18: Nuova Azkaban
Capitolo 20: Trentaquattro
Capitolo 21: la maschera
Capitolo 22: Il ritorno
Capitolo 23: Risate di fumo bianco
Capitolo 24: Risveglio
Capitolo 25: Miracolo
Capitolo 26: Lama beffarda
Capitolo 27: Milady
Capitolo 28: Fuoco ritorna fuoco
Capitolo 29: Riddle Manor
Capitolo 30: La Supremazia della Conoscenza

Capitolo 19: Svuotata

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By NatsuRai

Gli occhi verde smeraldo s'incupirono.
-Tieni alte le mani, ben in vista Potter.-
Presi le manette di ferro e acciaio intrise d'incantesimi, l'avrebbero indebolito, ma era necessario.

È necessario.

È necessario.

Scossi la testa e mi accostai al suo fianco, per aiutarlo a sollevarsi ma Black mi spinse via senza troppe cerimonie -lo aiuteresti- sibilò -lui è tuo marito e tu non sei lucida, Granger.- in un sussurro sommesso aggiunse -va dai tuoi bambini. Bada a loro e lascia a noi veri Auror queste faccende.-

Digrignai i denti, consapevole di James e Albus rimasti a casa, al piano superiore, chiusi nella stanza del piccolo, James era spaventato di certo, ero consapevole anche dell'alito acido di Black, dei piccoli occhi malevoli, degli sguardi imbarazzati dei cadetti ora quasi pentiti della decisione presa.

Ero consapevole della mano i cui polpastrelli prudevano per palpare il legno caldo dell'impignatura della bacchetta.

Ero consapevole che se l'avessi stretta non sarei uscita dal Ministero da donna libera e da eroina.

Albus.

James.

Harry.

Il mare di smeraldo si era placato. Harry socchiuse gli occhi, quasi mi stesse regalando un sorriso segreto.

Un sorriso nostro.

**

Mosse la mano lungo il divano bordeaux, trovando una massa di capelli crespi e lunghi, li strinse tra le dita, carezzandoli con dolcezza. I due occhi color cioccolato si aprirono lentamente, velati e svelati dal continuo movimento delle lunghe ciglia nere, mentre la stanza diveniva lentamente più chiara man mano che il velo dei sogni spariva.

Si sollevò piano, scuotendo il profondo torpore nel quale doveva essere precipitata.
Riconobbe le mura del salotto, il crepitio del fuoco, le poltrone rosse; tutto era ancora avvolto dalla nebbia del sonno, ancora confuso in quel mondo sfumato e sbiadito.

Erano passate settimane dall'incarcerazione di Harry, settimane nelle quali Black si era adagiato sulla sua poltrona con la superbia e l'arroganza di un re.

Il grande Eridanus Black.

L'eroe che aveva spodestato il folle Capitano Potter, recitavano i diffamanti articoli di Rita Skeeter.

Harry James Potter.

L'uomo che aveva ricoperto di vergogna moglie e figli, abbandonandoli ad un destino infamante mentre era rinchiuso nella prigione di massima sicurezza di Nuova Azkaban.

L'uomo che aveva sconfitto Lord Voldemort, che aveva messo in ginocchio il mago Oscuro più potente di tutti i tempi, che l'aveva annientato, salvando il Mondo Magico.

Lo stesso uomo che anni più tardi, reso folle dai suoi successi, si era avventato contro le più grandi menti del Mondo Magico Britannico e aveva commesso efferati delitti, brutali omicidi.

Lo stesso uomo che era stato trascinato fuori da casa sua, arrestato di fronte ai suoi figli, rinchiuso nelle celle del ministero e trasferito con massima urgenza ad Azkaban.

Harry Potter, l'assassino o il salvatore?

Quale titolo rappresentava meglio questo personaggio dalla dubbia moralità?
L'odore di carta bruciata si spandeva nel salotto di Grimmauld Place.

Hermione non aveva esitato nel gettare ogni singola pagina tra le fiamme rossastre, prima che James potesse vedere cosa il Mondo Magico aveva fatto al nome di suo padre.

Basta così poco a cancellare tutti i sacrifici?

Basta così poco perché l'onore si tramuti in disonore? Il rispetto in paura?

Cos'è allora il rispetto? Cosa l'onore?

Castelli di sabbia abbattuti da onde furiose?

Per chi ci siamo sacrificati? Perché siamo corsi incontro al pericolo? Quando abbiamo scelto di anteporre la vita di ingrati alla nostra sicurezza? Quanto stiamo pagando per il nostro eroismo?

Hermione si alzò dal divano, cercando di non svegliare il piccolo Albus che dormiva tra i cuscini rossi, e tantomeno James che si era appisolato sulla poltrona preferita di Harry.
Si diresse in cucina, gettando un'ultima occhiata a Grattastinchi, acciambellato accanto al fuoco ma con entrambi gli occhi gialli fissi sui bambini, quasi volesse controllarli.

Nel lavello d'acciaio giacevano i piatti sporchi della sera prima, forse anche di due sere prima, ma Hermione era stata troppo distratta per pensare alle faccende di casa. James era consapevole del fatto che uomini cattivi avessero preso il padre e che lei stava lottando per riportarlo a casa, così si era adattato.

Molly veniva a casa alle sette, prendeva lui e Albus, accompagnava James alle elementari, andava alla Tana a preparare un lauto pranzo, tornava a prendere James e infine li riportava a casa alle sette, con un paio di sacchetti ricchi di dolci e pietanze per la cena.

Hermione non mangiava. Fingeva di stuzzicare qualcosa a cena e a colazione, il pranzo non esisteva più, anche se avesse provato a sedersi a tavola, da sola, con un piatto caldo davanti dubitava di riuscire ad ingoiarne anche la minima parte. Non c'era spazio in lei per nessun'altra sensazione che non fosse rabbia, preoccupazione, paura.

L'unico momento in cui ancora il cuore si gonfiava di speranza era quando vedeva James prendere Albus tra le braccia magre per portarlo in camera sua e adagiarlo nella culla di legno che già era appartenuta a lui.

Quella stessa culla che Harry aveva insistito per montare a mano.

-Voglio che abbiano qualcosa fatto da me, non con la magia, non con l'aiuto di qualcuno. Deve essere interamente mia.-

Aveva spiegato, succhiando l'indice gonfio per le schegge.

Hermione ricordava.

Ricordava ogni secondo, ogni minuto, ogni ora e ogni giorno passato con Harry, fin da quando ad undici anni gli aveva riparato gli occhiali sul treno e aveva continuato a ripagarglieli ogni singola volta.

Perché ad Harry piaceva lasciare che fosse compito suo.

Perché Harry sapeva che lei aveva bisogno di sentirsi necessaria, forse anche indispensabile.

E perché quando non ne aveva più avuto bisogno, si sentiva comunque piena di gioia nel sapere che Harry avrebbe lasciato che lei si prendesse cura di lui, almeno in quelle piccole cose, in quei piccoli gesti.

Hermione non dormiva.

E le poche volte che riusciva a scivolare in un sonno profondo erano terrificanti i sogni che la riportavano alla realtà. Sogni in cui ombre si stagliavano minacciose dal passato, emergevano dalla nebbia e le strappavano un Albus piangente dalle braccia. Ombre che inseguivano il piccolo James, ombre che avvolgevano Harry fino a soffocarlo.

Lei stava immobile, impotente.

Nulla era più terrificante di non riuscire a salvarli, di non riuscire a proteggere la sua famiglia.

Da quando Harry le era stato portato via si sentiva come se qualcuno avesse affondato una pala nel suo petto, quasi fosse stata morbida terra e non carne e ossa, e avesse scavato una voragine senza fine.

Svuotata.

Doveva essere forte per i ragazzi ma non sapeva se ci sarebbe riuscita ancora per molto.

Fingere che andasse tutto bene, rassicurare James con buffetti e parole dolci, era sempre più difficile.

Sorridere a suo figlio era indossare una maschera di cera bollente, le bruciava ogni centimetro di pelle.

Osservò i piatti per qualche secondo, desiderando di poter tornare a fare qualcosa di normale, di casalingo, che la facesse sentire ancora moglie e madre e non donna tormentata.

Si fermò sulla soglia della cucina, nascondendosi quasi dietro lo stipite bianco dell'arco, guardò James stiracchiarsi come un gatto, sollevando le braccia e tendendo le gambe finché non fu possibile intravedere la striscia di pelle rosea tra i calzini blu e i jeans grigi slavati.

Si alzò piano, avvicinandosi al corpicino di Albus, che dormiva con la manina stretta a pugno, lo sollevò tra le braccia e lo strinse al petto, si diresse verso le scale in punta di piedi, sperando che i gradini non scricchiolassero per non svegliare il fratellino.

Hermione sorrise, per un breve, intenso, istante, il suo cuore traboccò d'amore.

Per un breve, intenso, istante, scacciò i demoni oscuri che abitavano in ogni suo pensiero.

Per un breve, intenso, istante, si sentì nuovamente serena.


**

-Non trovi che siano bellissime, Jerry?-

Rose...Le rose di Alice...rose bianche e rose scarlatte come il sangue fresco...sangue...sangue rappreso, denso, scuro...

Si sollevò di scatto. La fronte madida di sudore, il letto umido, le lenzuola arrotolate attorno alle caviglie. La maglia azzurra aderiva al busto magro, resa scura dal sudore.

Gerald scalciò con rabbia le coperte verde chiaro del letto e si gettò in avanti, stringendo la ringhiera e sospirando di sollievo alla sensazione del metallo freddo.

Più forte stringeva più il metallo mordeva i palmi e la sottile striscia di pelle alla base delle dita.

Rilassò la presa e si stese nuovamente sul letto caldo. Sbuffò, agguantando un lembo di lenzuolo e immaginando le coperte sudicie e lacerate nelle quali il suo mentore riposava da settimane.

Sempre che vi avesse riposato.

Andare a lavoro, sedersi alla sua scrivania, andare in sala mensa per il pranzo, tornare al Dipartimento, era diventata una routine insopportabile senza la presenza di Harry in ufficio.

I colleghi lo sapevano bene, nessuno fiatava, nessuno si lamentava ma nessuno voleva leggere i giornali e le loro parole ingannevoli sul Capitano Potter, nessuno voleva vedere il signor Black al di là della porta in mogano del suo ufficio e nessuno rivolgeva più anche solo uno sguardo al Ministro durante le sue brevi visite di controllo.

I riguardi, i saluti, l'onore erano tutti per il Capitano Granger. Non c'era Auror al Dipartimento che non avesse giurato in quelle settimane di essere a completa disposizione della donna.

Non c'era Auror che non chinasse il capo in segno di rispetto quando passava, avvolta nell'uniforme di servizio, tra i corridoi del Ministero.

Lei aveva il pieno sostegno di tutti.

E Black non avrebbe potuto far nulla per privarla di ciò. Restava rintanato nel suo ufficio da degno vile ed insulso insetto qual era e usava il suo stesso camino per tornare a casa. Aveva ristretto i contatti fisici al minimo indispensabile, fiutando l'aria di ribellione che impregnava il Dipartimento. Gli stessi Cadetti che avevano assistito Black durante l'arresto di Potter avevano confermato ad Hermione di essere pronti a testimoniare contro l'uomo se fosse servito a riportare Harry al Ministero.

Il Salvatore del Mondo Magico poteva essere stato dimenticato dalla popolazione, ma aveva  ancora il profondo rispetto dei suoi colleghi, persino del Capitano Turner, che più volte era stato umiliato dal giovane collega e per il quale non celava affatto di provare una sincera invidia.

Gerald starnutì, decise che si sarebbe cambiato subito, ma anche l'indossare un pigiama fresco di bucato, stavolta una maglia bianca e un paio di pantaloni rossi, non l'avrebbe affatto aiutato a riposare meglio.

Aprì il rubinetto d'ottone del bagno e lasciò che l'acqua scorresse nel bicchiere di vetro, lo vuotò tutto d'un fiato e mise le mani a coppa sotto il getto fresco, sciacquandosi il viso sudato e spruzzandosi collo, polsi e gomiti. Passò le dita ancora umide tra le ciocche corvine dei suoi capelli e scosse il capo, osservandosi allo specchio.

Aveva gli occhi contornati da scure occhiaie violacee, se non fosse riuscito a riposare almeno qualche ora avrebbe di certo fatto preoccupare Claire.

La ragazza si stava già agitando per l'apatia e la mancanza d'appetito che Gerald aveva mostrato negli ultimi giorni. Ma il ragazzo, tra l'assenza di prove, l'inganno di Black e la carcerazione di Harry, era precipitato nello sconforto e nell'imbarazzo di non riuscire a mostrarsi forte e dignitoso come Hermione.

Lo ripeteva come un mantra nella sua testa: capelli castani, profumo di rose, quaderno di Mason, luce violacea, incanto sconosciuto, sete di conoscenza...

Harry era più di un capo, di un mentore, di un amico.

Harry era tutto ciò ed era anche un padre.

Gerald ricordava l'ultima volta che aveva parlato col suo, di padre.

Non l'avrebbe mai ammesso, Dave, non avrebbe mai lasciato che la decisione di essere un Auror, di proteggere il Mondo Magico, di sacrificarsi per gli altri venisse percepita da Gerald come un errore, ma fino all'ultimo aveva sperato che entrasse a far parte del suo mondo.

Quando Jerry era piccolo, quando tutti ancora lo chiamavano Jerry, Dave era contento di sentire le sue piccole braccia stringersi attorno alla sua vita non appena varcava la soglia di casa. Sentiva di essere nel posto giusto. Era forse incredibile ma Jerry aveva la capacità di farlo sentire protetto, lui che era grande e grosso.

Quando, però, gli chiedeva come era andata a lavoro un insormontabile muro li separava e nulla, fino a che Gerald non compì sedici anni, poté abbattere quel pesante silenzio.

Gerald se ne era fatto una ragione, col tempo. Sapeva che il lavoro degli Indicibili non era completamente noto nemmeno al Ministro della Magia in persona, sapeva che si occupavano di segreti magici e arcani che nessuno al mondo avrebbe mai dovuto conoscere.

E quando suo padre gli aveva chiesto, al suo rientro dal sesto anno da Hogwarts, cosa volesse fare della sua vita, del suo futuro, Gerald era stato quasi tentato di rispettare quella tradizione, di accogliere i segreti degli Indicibili, di passare la sua vita al Dipartimento Misteri e di condividere finalmente tutto con Dave, di abbattere quell'unico possente muro che c'era tra loro.

Ma in quello stesso anno aveva incontrato il Generale Harry James Potter, responsabile dell'accettazione dei curriculum all'Accademia Auror ed esaminatore, in lizza per il posto da Capitano al Dipartimento centrale di Londra con sede al Ministero Della Magia Britannico.

In quello stesso anno Harry Potter, il Salvatore del Mondo Magico, aveva ammesso di aver dato un'occhiata al suo curriculum, anche se Gerald aveva mandato quella domanda più per un senso di sfida personale che per la possibilità di essere scelto tra i milioni di studenti che avevano fatto domanda.

Harry Potter aveva ammesso di trovare il suo curriculum tra i più eccezionali della scuola e poco importavano gli Accettabili presi in Divinazione, Erbologia e Astronomia. Poco importava che avesse solo un Oltre Ogni Previsione in Pozioni.

Harry Potter aveva trovato il suo curriculum impeccabile.

Così le parole erano saltate fuori dalla bocca mentre lui annaspava cercando di trattenerle, per non ferire il padre, per abbattere quel dannato muro ma non poté fare nulla mentre dalle labbra sgorgava senza freno o timore la verità.

Voleva essere un Auror.

Voleva essere il migliore tra gli Auror.

Voleva Londra e il Dipartimento centrale.

Voleva essere un Auror.

Chiuse i rubinetti e scosse la testa, studiando il suo riflesso un'ultima volta, prima di tornare in camera da letto e cambiare le lenzuola.

Capelli castani...

Avrebbe dormito sul divano.

Profumo di rose...

Forse.

Quaderno di Mason...


Forse quella notte non avrebbe dormito affatto.

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