OPERAZIONE Y

By DarkRafflesia

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Dave Morrison, Capitano del Navy SEAL, è un uomo determinato, autorevole, ma sconsiderato e fiscale. Noah Fin... More

⭐RICONOSCIMENTI
Presentazione
Cast
Dedica
Prologo
PARTE PRIMA
Capitolo 1: Bravo (Parte 1)
Capitolo 1: Bravo (Parte 2)
Capitolo 2: Coinquilini
Capitolo 3: Demoni del passato
Capitolo 4: Una semplice giornata di lavoro
Capitolo 5: Insieme
Capitolo 6: Prima Tappa
Capitolo 7: Presenza
Capitolo 8: Sconosciuto
Capitolo 9: Ricordi bruciati
Capitolo 10: Il prossimo
Capitolo 11: Vacanza (Parte 1)
Capitolo 11: Vacanza (Parte 2)
Capitolo 12: Dolore lontano
Capitolo 13: Turbolenze
Capitolo 14: Scontro
Capitolo 15: Notizia
Capitolo 16: Lettere reali
Capitolo 17: Firmato...
Capitolo 18: Sui tetti
Capitolo 19: In mezzo alla folla...
Capitolo 20: Rientro
PARTE SECONDA
Capitolo 21: Adunata
Capitolo 22: Sorpresa?
Capitolo 23: Toc-Toc
Capitolo 24: Legami scomodi
Capitolo 25: Nuovi ospiti
Capitolo 26: La spia
Capitolo 27: Tocca a me
Capitolo 28: Il mondo continua a girare
Capitolo 29: Prurito ed ematomi
Capitolo 30: Fede
Capitolo 31: Rimorsi
Capitolo 32: Torna a letto
Capitolo 33: Fiamme
Capitolo 34: Scuse e incertezze
Capitolo 35: Analista per caso
Capitolo 36: Non puoi dimenticare
Capitolo 37: Bersagli
Capitolo 38: Ostacoli
Capitolo 39: Ho trovato Jake e...
Capitolo 40: La bomba
Capitolo 41: Shakalaka
PARTE TERZA
Capitolo 42: Scampagnata
Capitolo 43: Pausa?
Capitolo 44: Nuove conoscenze
Capitolo 45: Mercato finanziario
Capitolo 46: Linea
Capitolo 47: Safe International Hawk
Capitolo 48: Fregati
Capitolo 49: In trappola
Capitolo 50: Dimitri Malokov
Capitolo 51: Rancore
Capitolo 52: Portare via tutto
Capitolo 53: Insofferenza
Capitolo 54: Colpe
Capitolo 55: Operazione Y
Capitolo 56: Amicizia
Capitolo 57: Risposta inaspettata
Capitolo 58: Rivelazione
Capitolo 59: Con onore
Capitolo 60: Rottura
Capitolo 61: Solitudine
PARTE QUARTA
Dimitri Malokov & Iari Staniv
Capitolo 62: Egoismo
Capitolo 63: Apnea
Capitolo 64: Il prezzo da pagare
Capitolo 65: Anonimato
Capitolo 66: Saluto
Capitolo 67: Benvenuto nella squadra
Capitolo 68: Giuramento
Capitolo 69: Decisione
Capitolo 70: L'impegno che non serve
Capitolo 71: Lontanamente vicini
Capitolo 72: Vecchie amicizie
Capitolo 73: Vigilia
Capitolo 74: L'inizio
Capitolo 75: Le squadre
Capitolo 77: La tana del lupo
Capitolo 78: Boom...
Capitolo 79: Maledetta emotività
Capitolo 80: Svantaggio?
Capitolo 81: Iari Staniv
Capitolo 82: Luccichio
Capitolo 83: La pace
Capitolo 84: Caduti
Capitolo 85: Respirare

Capitolo 76: Patente?

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By DarkRafflesia


Appollaiato sulla copertura, Gregory Reed tentò di scorgere una piccola apertura per avere senza riscontro una visuale dell'esterno. Mettendo da parte le folate di vento e detriti che si stavano spargendo nell'aria, accarezzandogli le narici con un aroma simil bruciato, con fragranze di polvere da sparo e zolfo, intuitivamente poteva solo approssimare che almeno una decina di uomini stava sparando verso la loro direzione.

Fantastico. Aveva lasciato Claire con la consapevolezza di stare andando in territorio americano, quindi lontano da possibili attentati che avrebbero messo duramente a repentaglio la sua vita, assicurandole che non sarebbe stato pericoloso tanto quanto una spedizione lunga mesi e mesi, o addirittura anni, quando era ancora un soldato del Team Alpha e quindi mandato in servizio per operazioni di supporto al Team Bravo attivo in quegli anni in un Medio Oriente contro lo Stato Islamico; al contrario era lì, a ripararsi da una pioggia di pallottole. 

La donna non avrebbe lavorato alla clinica con la serenità di aver potuto rivedere la sua faccia entro la fine della giornata; già con il messaggio di quella notte, non era stata in grado di prendere sonno perché a conoscenza di quella missione, dell'Operazione Y e dei due russi di cui lui le aveva parlato una volta, senza rientrare nei dettagli, quando si stavano frequentando. A distanza di tutti questi anni, aveva voluto una volta per tutte una spiegazione da parte sua e Gregory non poté non concedergliela, facendosi coraggio. Claire era rimasta di sasso; aveva nascosto con tutta sé stessa, mettendo in atto la positività e l'intera comprensione di questo mondo, la paura che aveva annichilito il suo cuore, ma lui non aveva voluto lasciarla in balia di un malessere tale da non digli la verità. Se lei non era d'accordo, se lei era terrorizzata dall'idea che quella missione sarebbe stata pericolosa, doveva dirlo, doveva esternarlo. L'aveva abbracciata e le aveva assicurato che sarebbe andato tutto bene, che non avrebbe rischiato alla stessa maniera di Appleton. L'aveva vista, l'espressione da lei assunta quando lo aveva beccato spalmarsi quella pomata sull'ematoma al petto.

Sperò di non rivederla mai più.

Non poteva concedere al nemico l'onore di colpirlo; aveva promesso a sua moglie che sarebbe stato attento ad ogni missione, che avrebbe imbracciato un'arma con l'obiettivo di tornare tutto intero a casa. L'ultima cosa che Gregory avrebbe voluto vedere era il viso di Claire, solare e attivo, travolto dal dolore e dall'ansia di una moglie in attesa costante e disperata del marito; la sua fiamma, rispecchiata dalla chioma rossa, non doveva spegnersi, né ora né mai. Avrebbe smosso mare e monti pur di vedere le sue labbra, sottili e delicate, incurvarsi in un sorriso, in quel vivace sorriso che illuminava le sue giornate. 

Le aveva promesso che quel fine settimana sarebbero andati a cena fuori in quel locale dove lui le aveva fatto la proposta di matrimonio; le aveva chiesto se avesse potuto indossare quell'abito rosso per cui lui andava pazzo, quel tubino che rendeva le sue curve perfette, quei fianchi lievemente larghi uno spettacolo per i suoi occhi verdi. Lei era saltata di gioia, una ragazzina che di trenta aveva solo il numero degli anni, ma mentalmente e fisicamente era un coniglietto colmo di sorprese e positività. Se non ci fosse stata lei al suo fianco, non sapeva che fine avrebbe fatto; il modo con la quale riuscisse a trovare una soluzione a tutto, come lo rassicurasse con il solo sguardo, facendolo sentire al sicuro, era ciò che aveva fatto battere il suo cuore solo per lei. Non avrebbe rovinato la vita che avevano costruito insieme; nonostante il distintivo e il peso che gravava sulle sue spalle, avrebbe reso il loro rapporto come quello di una ordinaria coppia.

Avrebbe eliminato la tensione che l'esercito infondeva nei cuori dei civili in attesa dei propri cari e non avrebbe concesso a Claire di essere tormentata dalla sua mancanza.

Tornò in copertura e si scambiò un'occhiata celere con Liam.
Era tempo di mettersi al lavoro.
Il medico ricambiò la sua determinazione e si sporse per fornirgli copertura con un minimo di fuoco di soppressione. Da quella distanza era pressoché impossibile centrare il bersaglio, soprattutto se l'unica parte da dover centrare fosse la testa, le braccia e le gambe, dotati di placche pettorali come loro. E con dei fucili d'assalto con una volata che faceva disperdere il proiettile dopo dieci metri, era difficile, a meno che non avessi un Sully o un Dave in squadra. Nemmeno con la modalità a colpo singolo potevi controllare il rinculo più instabile di un'arma d'assalto, a differenza di un fucile di precisione, nato proprio per resistere alla destabilizzazione una volta fatto fuoco. Essendo i civili e i poliziotti a bordo sprovvisti di protezioni agli stessi livelli di loro e del nemico, qualunque pallottola vagante avrebbe fatto il suo lavoro senza fallire. E i due soldati non potevano permettersi questo; l'unico che stava ricambiando, infatti, era solo Bravo Sette. I poliziotti possedevano una misera e mera pistola, impreparati ad un'improvvisata impervia come quella. 

Approfittandosene del fuoco del collega, Gregory scattò in piedi per giungere rapido verso la ringhiera dove lui e Liam avevano precedentemente conversato; senza che il nemico si accorgesse di nulla, afferrò il bordo con la mano libera e lo scavalcò con un gesto sicuro e abile, tuffandosi a chiodo sul fiume. Riemerse, portandosi i capelli indietro per scoprire il viso. Spostò il fucile dietro la schiena per avere entrambe le braccia libere di nuotare, dopodiché compì qualche bracciata per arrivare nei pressi della poppa della loro imbarcazione. Il motore era ormai spento, poiché nessuno stava potendo guidare il mezzo per attraccare alla sponda; il poliziotto al comando si era coperto dalla scarica di proiettili che avevano distrutto i vetri che proteggevano la cabina. 

Scoccò un'occhiata oltre il metallo; il nemico non si era accorto di lui. Perfetto. Nel frattempo, iniziò a prendere respiri profondi, seppur il peso della divisa e delle armi lo obbligassero a sforzarsi più del dovuto e a rendere complicato il rallentamento del suo fiato. Addestrarsi al Navy SEAL comportava anche questo, dopotutto. Peccato non aver preso gli occhialini per vedere bene sott'acqua; si sarebbe orientato tramite i suoni degli spari, anche se ovattati; a Dimitri e Iari piaceva prendere mercenari con il dito pesante a quanto pareva. Preso un ultimo respiro per gonfiare i polmoni, si immerse ed iniziò a nuotare verso l'imbarcazione nemica con costanza e velocità, rimanendo comunque nei pressi della superficie. Non avrebbero mai potuto prevedere che uno dei loro bersagli si fosse gettato in quel mare putrido e verdognolo. Doveva solo sperare che in quel frangente Liam e tutti gli altri a bordo fossero rimasti al sicuro. Doveva solo fare in fretta. Dopo circa tre minuti di nuotata, risalì in superficie, ansimando per recuperare fiato. 

Era giunto alla prua nemica, parallela alla loro poppa, nuotò piano verso il lato cieco dell'imbarcazione, notando la scalinata di emergenza fissata con i bulloni sullo scafo. 

Sfilò il pugnale e si arrampicò lentamente lungo le scale, il suono dei suoi vestiti fradici che colavano in acqua coperto dagli spari. Quando giunse nei presi della ringhiera, sbirciò con la nuca, senza andare oltre. Strinse le labbra in una linea sottile all'incontrarsi dei cadaveri dei poliziotti sparsi sul pavimento, ammassati come se fossero dei sacchi di immondizia da gettare via; erano tre, il che significava che qualcuno era riuscito a scappare in tempo. Un po' di fortuna, quantomeno. Più in là, vi erano due nemici di spalle, intenti a sparare contro i suoi alleati. Non per molto. Pensò Gregory, salendo del tutto per ritrovarsi completamente a bordo; chino, proseguì lentamente verso il primo, il più vicino e distante dall'altro. Furtivo, attese che questi cambiasse il caricatore per impedire che qualche colpo a vuoto richiamasse l'attenzione degli altri. Caricatori da trentuno colpi, davanti a loro vi erano delle casse di rifornimento; il marchio Kenneth Jung era stampato a caratteri cubitali. Certo, in due anni avevano fatto scorte che li avrebbe coperti non solo per una giornata, ma per tutto l'anno. L'uomo fece cadere a terra con malagrazia il caricatore per cambiarlo.

Quello era il momento. 

Gregory avanzò. Con una mano tappò la bocca del nemico, mentre l'altra, la destra, conficcò la lama del pugnale contro la giugulare, in profondità. Indietreggiò nel processo per impedire che il continuo annaspare della sua preda creasse scompiglio, finché questa non smise di muoversi lentamente sotto la sua presa, crollando tra le sue braccia. Gregory lo coricò cautamente a terra e passò all'altro, il quale però, si voltò non appena notò che i colpi alla sua sinistra erano cessati di colpo e non erano ripresi imperterriti come prima. Allora Reed corse veloce contro di lui per spingerlo sulle casse, senza dargli il tempo di mirare e fare fuoco. Piantò la lama sul fianco sinistro, andando proprio nello spazio vuoto del tattico per premere con tutte le sue forze; poi la estrasse e la conficcò sulla giugulare del nemico, spedendolo all'altro mondo. Tuttavia questi non mollò la presa sul fucile, e i suoi nervi, in un ultimo e vano tentativo di ribellione, spararono a vuoto contro il pavimento.

Un suono che mosse le orecchie di chi era bordo verso di lui.
Si abbassò immediatamente nel momento in cui i nemici incominciarono a sparare contro di lui.
Proprio come aveva previsto. Non solo ne aveva eliminati due, ma in questo modo, non vedendo nessuno a bordo dell'imbarcazione e lui da loro, avrebbero pensato di essere stati presi per le spalle.

«Fuoco! Fate fuoco, Bravo Sette!» annunciò alla radio, serrando gli occhi quando una scintilla per poco non gli accecò la vista.

Liam avanzò per giungere ai bordi della loro imbarcazione, ordinando ai poliziotti di fare fuoco; appoggiò il fucile sulla ringhiera ed iniziò a sparare, supportato dai colpi singoli delle pistole degli agenti che si riversarono sulla nave nemica. Nel giro di pochi secondi, i mercenari vennero sopresi per la seconda volta. Non seppero dove sparare, costretti a muoversi scoordinatamente lungo il ponte per cercare una copertura. Tre di loro vennero fatti fuori, colpiti alla testa. Ne mancavano ancora quattro. Gregory posò il pugnale ed imbracciò il fucile. Con la coda dell'occhio vide un nemico in cerca di riparo. Una raffica di tre colpi e si spalmò a terra, stecchito. Poi passò ad un altro, mentre gli ultimi due vennero uccisi da Liam non appena li vide sbucare dalle coperture per provare ad infierire su di loro. Era bastato davvero poco per inondarli di panico; era palese che non fossero preparati alla loro imprevedibilità, perciò non si erano riusciti a suddividere i compiti, sopperendo alla loro supremazia.

«Nemico a terra, Bravo Due. Mi confermi che sono morti tutti?» sentì la voce di Liam al suo orecchio, cristallina senza tutte quelle esplosioni.

Gregory azzardò ad uscire dalla copertura per camminare lungo il ponte, circospetto quanto accorto, gli occhi verdi che balzavano in ogni direzione. Tutti gli uomini erano a terra. Si fermò, raddrizzando la schiena per eliminare la postura da soldato, e posò la mano sulla radio.

«Confermato, Bravo Sette. La nave è libera. Il nemico è morto. – si girò verso di loro, osservando da lontano il sospiro di sollievo e la felicità, seppur breve, dei poliziotti. Accennò un sorriso affaticato. – Adesso, per favore, potete venirmi a prendere? Perché un altro bagno in quelle acque puzzolenti preferirei evitarlo...»

Liam, in risposta, sospirò una risata, intenerito.

**

«Qui ce n'è un altro.» ansimò durante la camminata veloce, una piccola corsetta che stranamente gli stava risucchiando tutto il fiato, sebbene l'allenamento nei giorni precedenti avesse aumentato a dismisura la sua resistenza, con tutta quella corsa sul tapis roulant a cui il suo cuore era ormai avvezzo. «Stesso meccanismo. Stessa metodologia: chiuso in entrambi i lati.» informò con agitazione.

Kyle e Gavin stavano proseguendo lungo il ponte. Dopo che avevano scovato la presenza di numerose trappole antiuomo nel tragitto, avevano iniziato ad incamminarsi prudenti lungo il ponte, divisi nelle due corsie per analizzare le condizioni del luogo da preservare. Eppure, più andavano avanti, lasciando indietro almeno una decina di bombe, più la gravità li attirava verso il basso con un peso troppo insostenibile da trasportare, e una rabbia incontenibili che ribolliva dentro le loro vene – almeno nelle sue era così. Nonostante la calma anomala che si era andata a creare dopo l'esplosione, indotta specialmente per metterli sull'attenti, una sorta di avvertimento che li facesse sudare freddo, dentro di loro la bufera non aveva intenzione di cessare.

Quel ponte non era messo per niente bene.
Era tutto fottutamente nella merda.

L'ennesimo avviso di Gavin non aveva fatto altro che ribadire la pressione che stava crescendo sulle loro spalle, non c'era nulla di diverso sotto il sole: erano solo numeri che aumentavano, niente di più.
La presa sul fucile aumentò veemente; le mani gli prudevano, accarezzavano di volta in volta il grilletto, come a voler caricare gradualmente l'energia che si sarebbe dissipata non appena avrebbe avuto la possibilità di fare fuori chi cazzo aveva compiuto una simile scelleratezza.
Una realizzazione che aveva costretto lui e Bravo Sei a separarsi per fare un conto approssimativo delle bombe e delle vite che sarebbero state strappate vie se solo avessero compiuto un passo falso. Aumentavano sempre di più. Un bella reazione a catena che avrebbe ucciso e buttato giù il ponte.
Volevano farli camminare su uno strato di ghiaccio sottile prima di congelarli e ucciderli; ci trovavano gusto nello spaventarli.
Kyle si passò il retro della mano sulla fronte; aveva già iniziato a sudare senza neanche aver incominciato, la fronte corrugata in un cipiglio attento.

«Confermo che non si possono disinnescare...» proseguì Gavin, un tremolio evidente nel tono della voce. «C'è un comando a distanza, un segnale che le porterà ad esplodere tutte insieme. Avremmo bisogno di Bravo Quattro per rischiare, ma ne dubito. Deve esserci un detonatore che le collega tutte quante. Dovremmo trovarlo e disattivarlo.»

«Quindi sono a infrarossi, poste ad una distanza uguale per fare in modo che il segnale non venga perso.» intuì Kyle, seguendo il suo ragionamento.

«Allontanarle è fuori questione, potrebbero esplodere se il segnale viene a mancare. Sarebbe un rischio.»

«Lo dici perché non conosci come sono fatte.»

«Lo dico perché non voglio commettere sbagli, quindi è meglio se troviamo il detonatore e ci occupiamo di quello.»

Bravo Cinque scrollò la testa dal fastidio. Andò avanti, facendo attenzione a dove metteva i piedi e dove andava; alcune bombe erano poste a pochissimi centimetri dall'asfalto, quindi bastava un letterale passo falso per morire. Ecco cosa odiava più di qualunque altra cosa, andare sul campo e sentire il silenzio, la quiete, la calma, l'adrenalina che pompava solo con l'obbiettivo di mantenere in equilibrio il sangue freddo e l'autocontrollo per non farsi divorare dal panico. Preferiva di gran lunga essere chiuso in un angolo con dieci uomini nemici pronti a crivellarlo malamente di colpi che starsene con il fiato sospeso in attesa che qualcosa accadesse. 

Poi con il novellino di nome Gavin Brown che, nonostante gli parlasse con tutta la serietà e la riservatezza di questo mondo, sprizzava ansia e agitazione da tutti i pori, non sapeva cosa fosse peggio, veramente. Erano già partiti con il piede sbagliato, a neanche inizio missione; ci mancava solo una bella imboscata come ciliegina sulla torta. Anche perché tutta quella stasi dava proprio l'idea di essere un pretesto per scuotere i loro animi per dare il colpo di grazia al momento meno opportuno. Doveva comportarsi come se Gavin non esistesse; la sua presenza non avrebbe minimamente cambiato le cose, dato che si trovava accanto con un soldatino che se la sarebbe fatta sotto alla prima difficoltà; non capiva perché Dave non lo avesse messo in squadra con Gregory, lasciando Liam con il più piccolo, o viceversa. Se era una scelta per costringerli a riappacificare, si sbagliava di grosso: non sarebbero state delle mere collaborazioni a cancellare le sue opinioni su quella nullità.

Persone come Gavin avrebbero solamente rischiato di...

Ci fu un suono.

Kyle rizzò le orecchie, arrestando i passi. Corresse l'impugnatura del mitragliatore per mettersi sull'attenti, la postura contratta, pronta ad estinguere chiunque avesse voluto tendergli un agguato. Proveniva alla sua destra. Mosse la canna in quella direzione. Vide un'ombra tremolare dietro un'auto. Emise un grugnito infastidito; non poteva neanche sparare alla cieca a causa di tutte quelle bombe.

«Avanti, esci con le mani sopra la testa ed evitiamo spargimenti di sangue. – parlò ad alta voce, in maniera plateale. Gavin non fece un altro passo, confuso quanto attento. – Se avreste voluto beccare solo noi, potevamo sbrigarcela con qualcosa più all'americana: un bel duello western. Ma non mi pare che questo sia il posto adatto.» lo stuzzicò senza sorridere, rigirando lo stuzzicadenti che aveva fra le labbra come antistress.

Quello che poteva essere un uomo sembrò seguire il suo consiglio, ma solo in parte.
Arrestando i suoi passi, davanti a Kyle si riflesse la scena del nemico venire allo scopeto, portando però con sé il corpo di una donna sulla trentina. Il suo grido di terrore giunse come un corno di battaglia alle orecchie dei due soldati, l'immagine di quella povera innocente presa per i capelli che veniva messa forzatamente in piedi per essere al suo stesso livello fece rizzare loro i peli dalla pelle d'oca; la pistola venne pressata sulla sua tempia, il braccio libero attorno al suo collo per tenerla immobile sotto la presa dell'uomo. Kyle la vide tremare ininterrottamente, le lacrime che colavano rapide sulle sue guance arrossate dalla paura; i suoi ciuffi biondi erano scompigliati, un livido stava iniziando a farsi strada attorno al collo, sinonimo che la stava stringendo a sé con troppa pressione da toglierle il fiato.

«Provate a fare un passo, Bravo Cinque e Bravo Sei. – li provocò l'uomo, il sorriso sghembo a tingere quelle labbra secche e rovinate. – Faccio esplodere il cranio di questa donna o faccio saltare in aria tutto!» sputò in mezzo a quella parole, colpendo la tempia della donna con foga, talmente preso da quell'idea.

Gavin indietreggiò, lasciando andare l'arma per obbedire immediatamente agli ordini impliciti che quella minaccia avevano inteso, soprattutto quando il gemito di dolore della donna e il sangue che iniziò a colare dalla tempia per un brutto sfregio non troppo profondo, ma doloroso, spiccarono ai suoi sensi. Il fucile rimase appeso tramite il tattico, ma le mani si sollevarono immediatamente allo stesso livello della testa per far intendere al pazzo che non avrebbe mai potuto mettere in dubbio la sua serietà.
Kyle corrugò la fronte in un cipiglio nervoso.
Brutto pezzo di... pensò, senza concludere i suoi pensieri.
Il mitragliatore era diretto sul nemico, ma gli bastava un passo falso per colpire la donna o per fargli premere per primo il grilletto e ricevere lo stesso riscontro.

Un bel po' di sana azione non gli dispiaceva mica, ma se c'era una cosa che lui aveva sempre odiato nella sua carriera era avere a che fare con i civili; non perché fossero un impedimento, ma perché gli complicavano troppo le cose. Sparare liberamente contro il nemico, non avendo ostacoli davanti o rischi, risultava molto più leggero; aveva solo il timore di non morire, anziché quello di causare vittime. Quell'ambiente era il suo tallone d'Achille; Dave e gli altri pensavano che lui fosse l'ignorantone della situazione che voleva solo puntare e sparare senza un minimo di criterio. In verità non ci sapeva fare con i civili; l'adrenalina pompava nelle sue vene, non appena si ritrovava davanti qualcuno che, con un suo passo, sarebbe potuto finire all'altro mondo. Ecco anche spiegato il motivo per il quale venisse chiamato solo in missioni a campo aperto o di copertura; quando Dave e gli altri dovevano occuparsi di un ostaggio, lui e Sully pensavano a coprirli, da vicino e dalla distanza. 

Non poteva di certo ritirarsi in missioni di questo genere, eppure; avrebbe desiderato avere la versatilità di Dave in quel momento, il modo con il quale il suo Generale riuscisse ad adattarsi a qualunque circostanza senza il minimo sforzo; cazzo quante ne aveva passate per essere così indispensabile nel team. Quel titolo se lo meritava eccome; con lui i civili erano protetti da un bunker invisibile dalle pareti imperforabili.
Non era il momento di fare paragoni.
La vita era davvero bizzarra; ecco che il suo punto debole si presentava lì per metterlo alla prova.

Fece una smorfia stizzita, quasi disgustata. «Detto da te fa proprio schifo, il mio nome in codice. Chiamami Kyle. Una piccola informazione che ti porterai nell'oltretomba.»

«Vuoi giocare, Kyle? Non mi sembra il momento di scherzare.» il dito era a pochi centimetri dal grilletto. «Dovresti seguire l'esempio del tuo compare.»

Quinn aumentò la presa sull'arma. Doveva pensare a qualcosa, e alla svelta. Quell'uomo era pronto a morire, ma voleva avere la soddisfazione di uccidere la donna davanti ai suoi occhi. Se Gavin fosse andato avanti, dall'altra corsia, sarebbe stato più semplice: un aiuto alle spalle che si era rivelato un sogno inutile. Per fortuna i suoi pensieri non potevano essere uditi da nessuno, altrimenti la sua dignità lo avrebbe indotto a sotterrarsi.
Quando mai il grandioso e inimitabile Kyle aveva bisogno di aiuto?
Fece guizzare gli occhi ovunque, specialmente sul corpo della donna in ostaggio che stava tremando di paura, sostenuta paradossalmente dal braccio del nemico. Stava indossando un cartellino al collo. Aguzzò meglio la vista per capire cosa ci fosse scritto in quelle piccole linee al di sotto della fotografia sorridente, la quale non rispecchiava minimamente lo stato attuale di colei che prendeva il nome di Ingvild. Ingvild? Abbassò il mitragliatore, posandolo a terra e non riuscendo a nascondere una punta di sconcerto nell'espressione che l'uomo si assaporò con gusto e appagamento.

«Che c'è? Qualche problema, Kyle? Non sai cosa fare?» ghignò, strattonando la donna con divertimento. «Ti do un ultimatum se vuoi. Io libero la donna e poi ti sparo in testa. In questo modo non morirà nessuno, e tu avrai compiuto il gesto eroico che manterrà in vita il tuo ricordo!» rise prepotentemente, destando solo terrore in Gavin, spettatore di quella ripugnante scena.

Kyle chinò lo sguardo. In quel momento di esitazione il nemico aveva appena distanziato la canna della pistola dalla testa della donna, sollevando il mento vittorioso. Pensò che fosse facile abbindolare quelle marionette dello Stato; una stupida intimidazione, una persona in pericolo, che si piegavano in due per donare la loro vita e andarsene con onore.
Ma cantò vittoria troppo presto.
Kyle prese la pistola e la puntò su di lui, nonostante gli occhi non ricambiassero lo sguardo.

«Vuoi davvero sacrificare la vita di questa povera donna, violando la tua morale? – digrignò i denti irritato, il nemico. – Sei un soldato pietoso, stai dimostrando davanti ad un civile e al tuo collega quanto la vostra sia solo una facciat-»

«Du snakker norsk, ikke sant?» la voce di Quinn lo zittì.

L'ostaggio, per un breve istante, dimenticò di ritrovarsi fra le fauci del predatore e mostrò un'espressione di incredulità che rimpiazzò il panico previo; una sorta di sollievo che l'uomo non poté notare, poiché alle sue spalle. Annuì ripetutamente, pregando qualunque entità divina che quel soldato l'avesse capito.
Ovvio che Kyle lo aveva registrato, la sua era una domanda retorica dopotutto.
Sollevò lo sguardo, mostrando un ghigno scanzonato, il solito sorriso spaccone di chi aveva in pugno la situazione e poteva far smettere di parlare quel gradasso deficiente che gli stava solamente facendo venire il mal di testa, con tutte quelle frasi fatte che rappresentassero la sua ostinazione nei confronti delle forze speciali; quisquilie che non avevano né capo né coda, senonché l'obiettivo di spaventare maggiormente la donna con quello stallo all'americana: in fin dei conti stava davvero finendo come un duello western. Non c'era andato tanto lontano. Con sopracciglia incurvate dalla tensione, ma sguardo rilassato, guardò dritto negli occhi la donna, Ingvild, e le annuì di rimando, con un volto che non aveva nulla a che vedere con quello che mostrava giornalmente con i suoi compari.

«Che cazzo hai detto, bastardo?!» si agitò il nemico, la canna di nuovo a spingere sulla tempia della donna, la quale urlò.

«Tråkk på foten hans og bite ham i armen med en gang jeg slutter å snakke norsk. Forsto du?» lo ignorò Quinn, rivolgendosi solo ed esclusivamente all'ostaggio.

Ingvild deglutì ed annuì di nuovo.

«Smettila di parlare in un'altra lingua o giuro che le faccio esplodere il cervello, figlio di puttana!»

«Så støyende du er, for helvete. – Kyle innalzò gli occhi al cielo, annoiato. – Han sa: parli troppo per essere un cadavere.»

L'uomo non ebbe il tempo di aprire bocca che la mandibola di Ingvild gli circondò il braccio, mentre il piede, munito di scarpa con tacco, si conficcò sulla sua scarpa.
Ringhiò dal dolore, costretto a muoversi e a curvare la schiena per quel gesto inaspettato.
Ciò gli costò un errore madornale che lo indusse a mirare da tutt'altra parte, fuorché alla nuca della donna.
Bastò a Kyle per agganciare la testa e premere il grilletto.
Il proiettile esplose e si conficcò sulla fronte.
L'uomo andò all'indietro e crollò esanime insieme ad Ingvild, la quale si spostò celera dal cadavere dal terrore. Kyle abbassò l'arma e si avvicinò a lei, aiutandola a mettersi in piedi.

«Stai bene?»

«S-Sì...S-Sì...Grazie!» pianse dalla gioia, lei.

«Questo posto è disseminato di bombe. Cerca un posto sicuro, chiuditi dentro una macchina e non muoverti per nessuna ragione. I soccorsi verranno a prenderti.» le disse, invogliandola a camminare nella direzione opposta per allontanarsi da loro.

Ingvild lo ringraziò ancora, sotto shock, e camminò piano verso qualche macchina per cercare quella giusta e attendere. Nel frattempo, Kyle recuperò la presa sul mitragliatore e andò avanti lungo la strada, ignorando totalmente la reazione di Bravo Sei.
Gavin era rimasto imbambolato sul posto, gli occhi marroni ancora fissi sul punto in cui il cadavere era crollato sull'asfalto, come se la scena non fosse mai finita e Kyle fosse ancora lì, a parlare in norvegese con l'ostaggio per farla sentire a suo agio. Dopotutto c'era un motivo per il quale venisse chiamato vichingo; non solo perché i suoi modi di fare erano piuttosto lontani da un gentiluomo, ma perché le sue origini nordiche, da parte del nonno, parlavano chiaro.
Le mani tremavano, il braccio pizzicava, l'animo soffriva, la mente martellava.
Il volto, da terrorizzato, era mutato in note di strazio e impotenza.
Ancora una volta, lui era rimasto indietro, congelato dagli eventi.
Inutile.
Un soldato che non serviva a niente.

**

L'aria era diventata immobile e stavano attendendo che lui facesse la prima mossa.
Un modo ingegnoso per scoprire dove si fosse nascosto.
Andare direttamente verso di lui per cercarlo non era una buona idea, lo sapevano. Bastava solo che si separassero nella ricerca, che lui li avrebbe uccisi ad uno ad uno con furtività e brutalità. Soprattutto se a separarli vi era un piazzale aperto che li avrebbe resi bersagli troppo facili da eliminare. Ed eccolo lì, fermo e immobile nello stesso punto da non sapeva quanto tempo, a rigirarsi i pollici e a caricare l'animo di rabbia e impazienza per quel silenzio del cazzo. Si spaventavano di una sola persona? O volevano tenerlo bloccato perché stavano architettando qualcosa per metterlo alle strette? Doveva carburare un piano, e alla svelta, altrimenti avrebbe lasciato Dimitri e Iari a crogiolarsi beatamente su una sedia, mentre lui e i suoi uomini si facevano il culo.

Pensieri che gli stavano innescando una accennata ansia, se Dave doveva essere onesto.

Un brutto presentimento che muoveva la linea delle sue riflessioni in un angolino del suo cervello, un'emozione in agguato che lo stava conducendo in uno scenario che non aveva nulla di colorato. Di conseguenza la sua espressione si contraeva maggiormente, scossa da quel tarlo che gli risucchiava le energie mentali per quanto non riuscisse a domarlo.
Chiamare i soccorsi era fuori questione, decisamente.

Se avesse voluto almeno un cinque uomini SWAT, non avrebbero fatto nulla se non complicargli le cose più di quanto non lo fossero già. Non erano abituati a scontri a fuoco dinamici e pressanti come quello. Non erano avvezzi a ricevere ordini uno dietro l'altro per muoversi in sincrono in un ambiente ostile dalla quale avrebbero potuto non uscirne vivi. Non c'era niente di tattico in quella dinamica, niente che potesse aiutarli a giostrarsi come era stato loro insegnato all'accademia. Si sarebbero fidati ciecamente delle sue scelte, di qualunque cosa sarebbe uscita dalla sua bocca, come un prete pronto a confessare un peccatore dal confessionale, pronunciando parole che avrebbero risolto ogni dilemma e mestizia con una preghiera, assolvendo il povero credente dai suoi peccati con saggezza e criterio.

Se avesse abbassato la guardia, avrebbe visto un morto proprio davanti ai suoi occhi, e lui, dopo le vittime che vi erano state con l'esordio dell'attacco, non poteva permetterselo.
Le difese della squadra avversaria non erano così invalicabili. Se già con un minimo di granata fumogena erano arretrati per non essere travolti dal gas e non avere la vista ostruita dal bruciore agli occhi, voleva dire che bastava davvero poco per indurli a chiudersi più in avanti. Ma Dave non era in grado di scovarne il modo. L'attesa in quelle settimane gli era costato un numero di vittime che lo aveva reso un pessimo Generale a neanche inizio carriera. Certo. Il suo ruolo si attivava quando le mosse erano già state recuperate da qualcuno che agiva all'infuori del suo mestiere, agenti della CIA o proprio dell'FBI che, notando il grado di pericolosità delle future mosse del nemico, avrebbero dovuto mandare un segnale all'esercito per dargli il tempo di organizzarsi. Ma l'FBI sapeva che Navy SEAL era sinonimo di Dave Morrison che, a sua volta, era sinonimo di CIA. In parole povere; la rivalità tra le due agenzie era prevalsa da mettere in secondo piano quanto Malokov e Staniv fossero un potenziale rischio per gli Stati Uniti.
Pensieri che non giovarono per nulla all'animo già adirato di Dave, con qualche abrasione qua e là sul corpo.

«Vogliamo giocare a battaglia navale?» sbuffò ironico ad alta voce per farsi sentire. «Perché potremmo rimanere così tutto il giorno, se non fossi un tantino di fretta.»

«Che gran faccia tosta che hai nel parlare così, Morrison!» ribatté qualcuno dall'altro lato. «Ma non rimarrai nascosto per molto, abbiamo qualcosa che tu non hai.»

«Più armi, di sicuro.» osservò tra sé e sé Dave, piegando il capo con una smorfia.

Non bramava altro che arrivare alla NASA; peccato che quella sosta gli stava facendo salire i nervi. Dopotutto era sempre stato lui a dover avviare le danze nella sua vita. Non c'era mai nessuno che faceva il primo passo per fronteggiarlo; che fosse una lotta verbale o fisica, se non era lui il primo a parlare, il cosiddetto scacchista dalle pedine bianche che doveva già mettere in mostra le sue intenzioni per avvantaggiare l'avversario, lo stallo poteva protrarsi all'infinito. Dave non era mai stato un tipo impaziente, ma quando aveva fretta...Bhe...le cose dovevano essere fatte bene, sempre. 

C'era solo un tipetto che gli dava l'onore di essere dall'altro lato della linea, di ottenere quel piccolo vantaggio per ribattere alla mossa successiva per capire che piede avesse preso la conversazione. Peccato che quel peperino non fosse lì a dirgli di muovere il culo con i suoi modi di fare alla Terminator per spianare la strada con un solo movimento dei muscoli, di quanta considerazione avesse su di lui sul campo. Già, quel fottuto nerd che era sparito e che in questo momento forse stava osservando le vicende da una televisione di Washington.
Chissà cosa stava pensando...che cosa stava pensando di lui.
Sollevò la testa, appoggiando il retro della nuca sul cassonetto e volgendo uno sguardo al cielo.
Nuvoloso con probabilità di pioggia?

Il sole era andato via, di nuovo.

E la coltre di fumo si faceva sempre più ampia, stagliandosi tra i palazzi della metropoli.
Mosse la mano destra, ponendola davanti al viso, come per ripararsi da qualcosa. Tuttavia tolse il guanto, guardando le nocche. Erano ormai guarite, ma un leggerissimo alone del suo errore era ancora impresso sulla pelle.
Hai la forza di fare del male inutilmente ad un ragazzo, ma non di difendere i civili e fare il tuo lavoro?
Aggrottò le sopracciglia, togliendosi anche l'altro guanto.
Protezioni inutili.

Si alzò, imbracciando il fucile e uscendo allo scoperto, pronto per sparare.
Tuttavia, ecco quello che il nemico aveva, a differenza sua.
Tre uomini con degli scudi balistici che li proteggevano dalla sua furia; dietro di loro ce n'erano altri tre, difesi da quegli scudi che dovevano essere utilizzati con due mani. La macchina come copertura fu un'opzione valida; sparò immediatamente qualche colpo non appena anche loro aprirono il fuoco, cercando di rotolare dietro quell'auto che, parcheggiata di sbieco nei pressi del marciapiede dall'altro lato, lo accolse a braccia aperte. Un proiettile incandescente gli sfiorò il braccio sinistro, poco sotto la spalla. La manica della t-shirt nera venne lacerata, mentre il sangue stava incominciando ad imbrattare il braccio. Non lo avevano preso, non avevano immaginato che potesse sbucare da dietro la cassetta delle lettere.

In questo modo, però, aveva capito dov'erano e quanti erano.

Doveva solo combatterli con la forza e con l'astuzia. Non erano distanti – neanche sette metri – perciò correre verso di loro non sarebbe stato difficile. Doveva solo stordirli.
Prese la granata accecante dal tattico. Non aveva altra scelta che usarla. Tirò la linguetta coi denti per prendere la pistola con l'altra mano. Sbucò dal bagagliaio per far credere loro di mirare a quelli di sinistra, mentre la granata venne fatta rotolare contro l'asfalto verso quelli di destra. Indietreggiarono tutti, convinti di avere una bomba a frammentazione di cui occuparsi. Peccato per loro che vennero accecati nel momento in cui Dave si riparò ed uscì successivamente per dare una spallata al primo scudo, costringendolo ad andare indietro; in quel frangente sparò al mercenario destabilizzato dietro di lui, uccidendolo con due colpi alle gambe e uno in testa. Dopodiché sparò ai piedi di chi aveva lo scudo. L'uomo urlò allentando la presa; il soldato glielo strappò dalle mani e lo uccise con una pallottola in testa. 

Meno due. Ne mancavano altri quattro, i quali si erano ripresi dallo stordimento per sparare contro lo scudo. Dave dovette indietreggiare per aumentare le distanze e diminuire la precisione dei loro colpi. Non era poi così pesante da tenere con entrambe le mani, ma la tensione del muscolo del braccio sinistro si stava facendo sentire, il sudore con esso, soprattutto a causa della ferita che bruciava un pochino, se non fosse stato per l'aiuto dell'adrenalina. Andare troppo indietro verso le auto era fuori questione; aveva guadagnato terreno, non poteva tornare al punto di partenza. Contrasse la mascella, tenendo duro.
Sparò qualche colpo con la pistola.

I proiettili andarono contro gli scudi nemici. Niente da fare, erano protetti.

Cazzo. Schiacciò il pulsante per far scivolare il caricatore e posò la pistola, imbracciando il fucile con una sola mano; non aveva tempo di mettere quello nuovo. Se finiva i colpi, però, era nella merda. Se rimaneva lì immobile, era nella merda. Se fosse morto lì, Dimitri sarebbe stato comunque contento, ma alquanto deluso. Non poteva dargli questo rammarico. Ma doveva muoversi. Oltre la finestrella dello scudo, vide gli altri due gettarsi verso di lui.

Se lo spingevano in massa, era la fine.

«A destra.»

Un suono.
Una voce che provenne dal suo orecchio coperto dall'auricolare.
Dave tentennò.

«Cosa?» uscì spontaneo dalle sue labbra, gli occhi spalancati e la testa alta, la fronte imperlata di sudore.

«Alla tua destra.» ripeté quella voce, fin troppo familiare da fargli sobbalzare il cuore.

Udì il suono di un motore provenire dalla strada, un rombare che zittì l'arroganza del nemico. Tutti loro piegarono il capo in direzione del rumore. Dal vicolo di lato si avvicinò una macchina a tutta velocità, diretta proprio verso di loro, senza intenzione di rallentare.

«Oh, merda!» urlò Dave.

Lasciò la presa sullo scudo, spingendo contro il nemico che, attonito, aveva per un momento dimenticato di avere lui davanti, e si gettò all'indietro con il corpo.
Il resto accadde così in fretta che a Dave parve di aver saltato qualche secondo di lucidità. Aveva solamente sbattuto le palpebre che i quattro uomini rimanenti erano scomparsi e al posto loro il paraurti dell'auto grigia era andata dritta verso la sua sinistra, bloccandosi quando andò a sbattere contro il palo della luce, con una frenata che gli impedì di schiantarsi e di sollevare di poco il cofano. Il soldato mosse il capo e vide i corpi dei mercenari in fondo al marciapiede, tra lui e l'auto; i due privi ormai dello scudo erano accanto al marciapiede, mentre gli altri due erano rotolati sopra il tettuccio, finendo sull'asfalto. Stringendo le labbra in una linea sottile, Dave si alzò, soprattutto quando il motore della macchina si spense e il fumo si diradò da fargli capire cosa cazzo fosse appena successo. Era calato un silenzio tombale, senza più tutti quegli spari, che solo il crepitio dei vetri e dei detriti risultava rilassante per l'adrenalina sotto carica. Senza avere il tempo di muoversi, però, la portiera grigia del conducente si aprì.
Chi uscì dal mezzo fece spalancare gli occhi e la bocca di Dave dall'incredulità.

«Porca troia... – sospirò una voca acuta, intenta a guardare i corpi dei nemici, anziché lui. Si portò una mano sui capelli, dopodiché si aggiustò le lenti dalla montatura nera sul naso, voltandosi finalmente. – Li ho uccisi?»

Dave si mise seduto più comodo sull'asfalto, le gambe larghe e le braccia adagiate sulle ginocchia con fare allibito, tanto che schiuse le labbra e sollevò un sopracciglio da ciò che gli si presentò davanti.

«No..» biascicò poi, riuscendo a rialzarsi. Ghermì il fucile, sparando una raffica di colpi contro quei corpi agonizzanti e frastornati a terra che stavano tentando di rimettersi in piedi per contrattaccare; era troppo intento a rivolgersi a chi aveva davanti per concentrarsi sui mercenari. «Ora sono morti. – disse, ancora sconvolto. – Hai mai guidato un'auto, Noah?»

Il ragazzo si irrigidì.

«C-Chiudi quella cazzo di bocca!» ribatté stizzito, battendo il piede contro l'asfalto. Sembrava anche sudato, come se avesse corso una maratona, sebbene fosse arrivato in auto. «Non sono io il pazzo che è voluto andare da solo in azione contro chissà quanti uomini!»

«Io sono consapevole di essere pazzo, ma di certo quello sfrecciare incontrollato non è di qualcuno che ha la patente, jalapeño.» Dave lasciò andare il fucile, ghignando.

«Basta con quel nomignolo di merda!» Noah scrollò la testa, infastidito. «Ho usato il motorino, ma a metà strada ho finito la benzina. Ho dimenticato di essere in riserva. Così ho corso fino all'accampamento di Stella per ottenere una radio per comunicare con te. – indicò il dispositivo attaccato alla felpa, l'auricolare all'orecchio sinistro. – Appena ho visto quegli uomini, ho premuto l'acceleratore. Era impossibile da controllare, il volante.» incrociò le braccia davanti al petto, distogliendo lo sguardo.

Dave continuò a guardarlo; aveva ancora lo zigomo nero dal pugno che gli aveva dato, ma ormai era tenue, così come il lieve rossore sul labbro inferiore. Avrebbe dovuto dirgli Che ci fai qui? È troppo pericoloso, vai via e quant'altro, ma dentro di lui sentiva tutt'altra cosa.
Era felice. Felice e basta. Non c'era un briciolo di dissenso, niente. Neanche il peso del fucile che se ne stava appeso sul tattico come il ciondolo di una collana di poco valore.
Non credeva a quello che aveva davanti agli occhi; con tutto il trambusto che aveva vissuto fino a qualche istante fa, credeva che quella quiete, quella voce irritata, ma al tempo stesso diversa dall'imperversare a cui era avvezzo, fosse solo un acufene. Invece era lì.
Aveva pensato che fosse andato via e avesse lasciato il lavoro, ma quel giovane era in grado di stupirlo sempre, aggiungendo qualcosa di nuovo nella piccola lista di particolarità che aveva costruito per conoscere e risolvere il mistero di nome Noah Finley.

«Dopo gettarsi da un tetto, gettarsi contro un palo con un'auto. Fai progressi.»

«Smettila!» lo avvertì Noah.

«Prendo nota per il futuro.» Dave sbuffò una risata dalle narici. «Anyway, ti ho cercato dappertutto, Noah. Dov'eri finito?» prese la pistola per inserire il caricatore mancante, avvicinandosi.

«Ho scoperto quali sono le intenzioni di quei bastardi.» rispose il ragazzo.

In risposta si guadagnò un'occhiata curiosa e brillante da parte di Dave, il quale caricatore era rimasto sospeso in aria per quella rivelazione. Continuò.

«Lo stronzo ha dirottato il satellite americano che orbita attorno alla Terra.»

«What?!» A Morrison andò di traverso la sua stessa saliva.

Aveva sentito bene? Il satellite?

«Malokov e Staniv hanno abbindolato un certo Dea-Ho, o come cazzo si pronuncia. È un nordcoreano, un ingegnere aerospaziale.»

«Nordcoreano? Ancora?» si insospettì.

«La stessa cosa che ho pensato anche io. Arrivi al mio ragionamento?»

Per Noah i punti erano già tutti collegati, ma il soldato dovette un attimo fare mente locale per comprendere quanti nordcoreani avevano avuto tra le mani nel corso delle indagini e come un certo Jude Collins fosse stato la ciliegina sulla torta che aveva scombussolato il suo animo, ma non quello dei due russi, essendone consci da molti più anni. Una vendetta nei suoi confronti per aver ucciso – volente o nolente – la sua squadra, accompagnata da un'ulteriore vendetta per coloro che...avevano mosso gli eventi per giungere a quello scontro.

«Cazzo, sì... – lo guardò, posando l'arma per avere entrambe le mani libere – Vuole fare in modo che scoppi una guerra tra America e Corea del Nord, simulando un'alleanza con i socialisti.»

«Ma non tarderà il momento in cui anche la Russia sarà coinvolta nel conflitto. La Corea del Nord conosce l'Operazione Y tanto quanto la conosciamo noi.» aggiunse Noah, inorridito.

Dave fece qualche passo indietro, smuovendosi sul posto con l'espressione tinta dallo sbigottimento. «Cazzo... Basterà solo una piccola incomprensione per far scoppiare una guerra mondiale. – si passò una mano sui capelli per ripulirsi dalla cenere. – Jesus, Noah... Come hai scoperto tutte queste cose?»

Quella domanda se la rimangiò non appena il ragazzo chinò lo sguardo; al di là dei vetri trasparenti, delle occhiaie nere e profonde contornavano quegli occhi grigi, più sottili del solito. Aveva forse passato l'intera settimana a...?

«Sono stato in laboratorio. Timothy mi portava la colazione e il pranzo ogni giorno. Per la cena mi sono arrangiato con qualche barretta o avanzo del pranzo. Le mie chiappe sono diventate quadrate; è stata una fortuna avere il bagno accanto alla postazione.» spiegò Noah con stanchezza lampante sul volto e nel tono di voce. «Ho intercettato tutte le sue chiamate, i suoi messaggi, i suoi contatti. Ogni. Fottuta. Virgola. Fino ad arrivare al satellite.» Dave era sbalordito. Si era messo a lavorare senza che nessuno lo obbligasse, nonostante il loro litigio e l'essere stati sollevati dal caso. «Di sicuro il nordcoreano ha già violato i comandi. Anche se non possiamo arrivare prima di lui, posso by-passare il suo codice e riportare il satellite alla sua posizione di partenza. Ingegneria e informatica vanno di pari passo. Ed io conosco tutti i linguaggi di programmazione. Ci vorrà quasi un'ora affinché arrivi nell'atmosfera, quindi dobbiamo sbrigarci.»

Aveva già calcolato tutto durante il tragitto e la corsa fino a lì.
Dave era l'unico biglietto di sola andata alla NASA.
Ancora le ossa gli dolevano per l'impatto contro il palo; la cintura aveva fatto il suo lavoro, mentre l'airbag non si era aperto perché l'urto, a quanto pareva, non era stato così energico e deleterio come il suo corpo contrariamente lo aveva percepito. Ma cosa poteva farci? Quell'ammasso di ferro di nome moto aveva deciso di abbandonarlo proprio nel momento meno opportuno. 

Stella gli aveva già anticipato che le strade erano bloccate da tutti i mezzi dei civili, un ottimo escamotage che Malokov e Staniv avevano usato per impedire ai furgoni della SWAT e all'artiglieria pesante di circondare la zona e la NASA, ma lui aveva calcolato qualcosa che nessun altro aveva considerato: i vicoli. Ce n'erano di stretti, ma anche di larghi, utili per far passare un'auto. Tra tutte quelle a sua disposizione in quel traffico, aveva scelto quella parallela ad un vialetto spazioso, abbastanza per passarci; con qualche trucchetto l'aveva fatta partire – era elettrica per sua fortuna, quindi erano bastati pochi codici e un po' di furbizia – ed aveva iniziato a guidare, con quelle poche e pressoché inesistenti doti da guidatore, seguendo le indicazioni di Stella che, rincuorata stranamente dalla sua presenza e dalla sua intraprendenza, lo aveva orientato nelle strade meno bloccate e libere. 

Non sapeva nemmeno cosa fosse successo. Un attimo prima era seduto davanti al computer, mentre quello dopo si era messo a correre come un idiota dopo aver riempito di calci la sua moto. Sapeva solo che doveva muovere il culo ed entrare alla NASA.
Solo lui poteva sgonfiare l'ego di Iari e riportare il satellite in orbita.

«Aspetta, Noah.» lo chiamò Dave.

Noah si fermò – non aveva neanche compiuto due passi, dannazione – e si voltò, stizzito.
Dave aveva posato il fucile sul tettuccio della macchina e stava iniziando a slacciarsi il tattico.

«Che stai facendo?» domandò.

«Secondo te? – Dave neanche lo guardava, intento a slegare le cinghie. – Mettilo. Sarà pericoloso alla NASA.» disse, porgendogli l'indumento una volta tolto; non era quello tattico che di solito usavano nelle spedizioni militari, bensì uno di quelli leggeri, ma che comunque avrebbe protetto la parte frontale e posteriore del busto.

Noah strinse le labbra in una linea sottile. Tese le braccia, in procinto di accettare il tattico, ma esitò. «Così sarai senza protezione. Quello che deve gettarsi in mischia, tra i due, sei tu.» osservò.

«Non è un problema.» fu l'unica cosa che disse Dave.

Dovrebbe esserlo invece. Il ragazzo mise su un broncio e gli strappò malamente il tattico dalle mani per indossarlo. Anche se avevano due pesi diversi, l'altezza lo salvò dalla grandezza dell'indumento regolabile che gli calzò a pennello, sopra la felpa blu.

«Ti sta bene.» ammise il soldato.

«Ma piantala.»

«Non lo farò mai.» replicò con tenacia. Dopodiché portò la mano sulla radio, attaccata alla cintura alla vita dopo averla spostata dal tattico, per aprire le comunicazioni con l'intero Team Bravo. «A tutte le unità, qui Bravo Uno. Il lato posteriore della NASA è libero. Il nemico si è ritirato dentro l'edificio. – si pose al centro della strada. – Malokov e Staniv vogliono far schiantare il satellite nel nostro territorio. Ripeto: il satellite è stato dirottato e rischia di schiantarsi in città. Io e Noah glielo impediremo.»

Una rivelazione a caldo che avrebbe dovuto percuotere gli animi già frenetici dei soldati. Eppure...

«Noah?» arrivò da parte di tutti, esclusa Stella.

Dave e Noah si scambiarono un'occhiata; uno fece spallucce, l'altro roteò gli occhi al cielo.

«Affermativo. È così strano?»

«Era una domanda retorica: no fucking answer.» replicò di rimando il giovane per impedire a tutti di commentare.

E nessuno rispose, infatti. Tanto non poterono mica vedere le loro espressioni meravigliate e un pochino – solo un pochino – tinte da un ghigno.
Dopodiché i due si avviarono verso la NASA.
Avevano un conto in sospeso da risolvere. 

________________________________________________________________________________

Angolo autrice:

La situazione si fa sempre più piccante per i nostri idiotini. 

Ho voluto dare visibilità a Gregory. Dopotutto è il secondo in comando e il nuovo Capitano del Navy SEAL, perciò aveva bisogno del suo momento di gloria e del suo fascino da uomo sposato perché sì. 

Dall'altro lato abbiamo visto anche Kyle in azione con un particolare in più che ha dato modo di scoprire anche le sue origini. Lo chiamano vichingo, ma perché? Perché in quel sangue scorre davvero sangue norvegese che gli ha permesso di giostrarsi bene per salvare l'ostaggio. Un'ulteriore conferma che ha aumentato le paranoie di Gavin, tuttavia...

E poi abbiamo il pazzo Dave che da solo stava distruggendo un intero esercito (si fa per dire), pensando soprattutto ad una certa persona che alla fine...è davvero arrivata in suo soccorso! 
Avreste mai immaginato che Noah avesse potuto fare la sua comparsa in questa maniera un po'..particolare?

Avete visto quali sono le vere intenzioni di Dimitri e Iari? Una guerra mondiale che possa coinvolgere le tre superpotenze che hanno rovinato la loro vita. L'America per ciò che ha fatto Dave (nolente o volente); la Corea del Nord per aver manomesso l'Operazione Y; la Russia per non aver dato loro aiuto quando sono ritornati feriti e traditi. 

Basta davvero poco per rompere gli equilibri e gettare tutto in un mare di disperazione, spero di aver reso bene questo passaggio.

Ci vediamo venerdì con il prossimo aggiornamento. Capitolo 77: La tana del lupo!

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