Come le ali di una farfalla

By kimadder

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Emma Cooper รจ un'adorabile sconclusionata di ventun anni. Affronta la vita vestita di colori pastello e armat... More

Emma e Ollie
Cara G.
1. Il permesso
2. L'incontro
3. Il pugno
4. L'ospedale
5. L'ultima sigaretta
6. La dichiarazione
7. I buoni propositi
8. La panchina
9. Il numero
10. Lo stratagemma
11. La festa
12. Il regalo
13. La rissa
14. Il campo da football
15 - Il sogno
16 - Gli occhiali
17. La farfalla e il pipistrello
18. La fuga
19. L'ospite
20. La pulizia
21. La ricercata
22. La visita
23. L'approccio
24. La lista
25. La torta di mele
26. La scommessa
27. I pesci
28. I biglietti
29. La (non) sorpresa
30. La proposta
31. Lo scontro
32. La maglietta
33. Il concerto
34. La cena
35. Il film
36. L'onda perfetta
37. Il bacio
38. Il colibrรฌ
39. La clinica
40. L'ostaggio
41. L'avvertimento
42. Il tatuaggio
43. Il regolamento di conti
44. Il consiglio
45. Frammenti di una sera
46. La prima volta
47. Il ๐บ๐‘–๐‘› ๐‘Ž๐‘›๐‘‘ ๐ป๐‘œ๐‘
48. La buonanotte
49. Il Principe delle Tenebre
50. Il materasso
51. Le tenebre
52. La gelosia
53. La dedica
54. ๐˜“'๐˜ช๐˜ฏ๐˜ช๐˜ป๐˜ช๐˜ฐ
55. ๐˜ฅ๐˜ฆ๐˜ญ๐˜ญ๐˜ข ๐˜ง๐˜ช๐˜ฏ๐˜ฆ
56. La rottura
57. Marzo
58. Aprile
59. ๐™ผ๐šŠ๐š๐š๐š’๐š˜
60. ๐™ต๐šŠ๐š๐š๐š’
62. Giugno
63. Il matrimonio (1)
64. Il matrimonio (2)
65. La promessa
66. La festa
๐•€๐• ๐•๐•š๐•–๐•ฅ๐• 
๐•—๐•š๐•Ÿ๐•–
Come vi ringrazio๐Ÿฉท๐Ÿฆ‹

61. ๐™ฒ๐š˜๐š›๐šŠ๐š๐š๐š’๐š˜

984 86 27
By kimadder

And the tears come streaming down your face,
when you lose something you can't replace,
when you love semeone, but it goes to waste
Could it be worse?

Fix you, Coldplay 🎶

Emma

Quando Ollie aprì la porta, i suoi occhi tradirono la sorpresa di vedermi lì, sulla soglia della porta di casa sua.

«Sono passata allo studio ma Nate mi ha detto che ti avrei trovato a casa». Mi affrettai a spiegare.

Facevo fatica ad articolare le parole visto che avevo la bocca secca e poco incline alla collaborazione.

Ollie non sembrava aver intenzione di rispondere niente, così ripresi a parlare continuando con la mia crociata della disperazione.

«So che non ho nessun diritto di stare qui e mi dispiace disturbarti ma devo dirti delle cose. Posso entrare?».

Dopo uno sguardo in cui parve essere indeciso tra sbattermi la porta in faccia e mandarmi a quel paese direttamente sull'uscio, la spalancò affinché potessi entrare.

Casa era come l'avevo lasciata, forse solo più in disordine, ma ogni cosa era esattamente dove l'avevo posizionata io personalmente, persino il tappeto che sbucava da sotto il divano, i cuscini e le tele che avevo comprato proprio insieme lui.

Mi era mancato tutto.

«Cosa vuoi, Emma?». Domandò Ollie dopo aver richiuso la porta.

Mi voltai verso di lui. La ghiandole salivari avevano ripreso a fare il loro lavoro e io ne avrei approfittato.

Mi schiarii la gola e inumidii le labbra. Non sapevo da dove cominciare. Tutti i discorsi che avevo provato in macchina mi sembravano ridicoli, come ridicolo era il piano che avevo ideato per ottenere il suo perdono.

«Io, ecco, sono venuta per... Non ricordi di ieri sera?».

«Cosa dovrei ricordare?».

Ollie parlava con la schiena poggiata al muro, le braccia conserte e espressione indecifrabile, mentre io ero in piedi al centro del piccolo corridoio con le mani intrecciate e le dita impegnate a scartavetrare la pelle intorno alle unghie.

Non avrebbe mai potuto essere più distante da me come in quel momento. Se la sera prima eravamo stati due elementi che fondevano ad altissime temperature nella più potente delle reazioni nucleari, in quel momento, invece, eravamo stelle posizionate a poli opposti dell'Universo a miliardi di anni luce di distanza, sebbene fossimo nella stessa stanza uno di fronte l'altra.

«Sei venuto al Country Club e noi abbiamo...».

«Avevo bevuto troppo». Tagliò corto prima che potessi terminare la frase.

«Quindi non ricordi niente?».

«No».

«Ah...». Quello sì che faceva male, ma non mi persi d'animo.

«Senti, ho da fare. Cosa vuoi?». Oltre alla sua espressione poco amichevole, si era aggiunto anche un tono estremamente scocciato.

«Non ti ruberò troppo tempo, giuro. Sono solo venuta a dirti che, ecco, il vero motivo per cui ho preso quella terribile decisione riguarda...».

Ancora una volta, non mi permise di finire.

«Non mi interessa». Tagliò corto.

«Ma, vedi, ieri sera tu mi hai detto che...». Feci una pausa per ricaricarmi del coraggio necessario. «Mi hai fatto capire che ancora provi qualcosa per me». Sussurrai quell'ultima parte della frase come se dubitassi della sua veridicità. Come se fosse stato un sogno ma io, anche dopo aver aperto gli occhi e preso consapevolezza, non avessi voluto accettarlo.

«Ero ubriaco. Non ricordo niente e qualsiasi cosa ti abbia detto probabilmente non era vera».

«Quindi, non provi più niente per me?».

«Mi hai lasciato tu, Emma».

«Lo so».

«Allora adesso cosa vuoi da me?».

«Sapere se provi ancora qualcosa per me».

«No».

Nessuno mi aveva mai dato uno schiaffo, ma penso che la sensazione che si provi sulla guancia sia la stessa che  io stavo percependo formicolare le pareti viscide del mio cuore.

Eppure sentivo che ancora non fosse arrivato il momento di alzare bandierina bianca.

«No non vuoi rispondermi o no non provi più niente per me?».

Ollie chiuse gli occhi per un brevissimo istante. «Come già ti ho detto, ho da fare. Se non ti serve sapere altro». Si staccò dal muro pronto a raggiungere la porta per aprirla e cacciarmi una volta per tutte da casa sua, ma le mie parole lo bloccarono.

«Mi dispiace se ti sto facendo perder tempo ma io non sarei mai venuta se non...». Chiusi un attimo gli occhi nel disperato tentativo di trasmettergli l'urgenza che sentivo di spiegarli tutto quanto. «Ieri tu mi hai detto delle cose e ho capito che me le hai dette perché avevi bevuto troppo ma...». Distolsi per un istante lo sguardo dal suo. Era arrivato il momento di fargli capire quanto ancora lo amassi. «Io non ce la faccio più a stare senza di te, Ollie. Lasciarti è stato il più grande sbaglio della mia vita. Me ne sono pentita subito ma mi ostinavo a convincermi del contrario perché desideravo con tutta me stessa che tu partissi per la Surf Road».

Al suono di quel nome, la fronte di Ollie si aggrottò lievemente. «E tu cosa ne sai?».

«Max mi ha spiegato cosa fosse e che tu avresti voluto percorrerla. Per questo gli ho dato io i soldi, così che tu li avessi per il viaggio. Ma poi ho sentito i ragazzi con cui devi partire dire che tu non saresti andato perché stavi con una che neanche il bagno al mare può farsi, e io mi sono sentita di impiccio, il tuo personale impedimento. Impedimento non solo per quel viaggio, ma per qualsiasi altra cosa tu vorrai fare nella tua vita. Per non parlare di quanto costano le mie cure... Così, la mia mente contorta ha partorito questa idea bacata».

«Mi hai lasciato per questo motivo?».

Annuii e Ollie rise. Una risata amara quanto incredula. «Non ci credo, cazzo!».

«Scusa».

«Me ne sbatto delle tue scuse». Sbottò irritato.

«Lo so». Ammisi con un filo di voce.

«E ora cosa pensi di fare esattamente, Emma? Pensi di venire qua, sbattere i tuoi occhioni grigi, chiedere scusa e far tornare tutto come prima?».

«No! Non mi aspetto questo».

«E allora cosa vuoi?»

«Voglio che tu sappia che io ti amo, Ollie, che non ti ho dimenticato e a questo punto penso che non lo farò mai. Ti amo come non ho mai amato niente e nessuno in vita mia e mi sveglio ogni mattina con un grande vuoto, una voragine nel petto. E più sento la tua mancanza e più questa si ingrandisce e mi risucchia. Mi manchi ogni secondo di ogni minuto che scandisce le ore delle mie giornate perché sei la persona che vorrei avere accanto nella mia vita. Mi sento così fortunata ad averti incontrato e così stupida ad averti perso. E, quando ieri sera mi hai detto che avresti voluto dirmi quelle tre parole, che avevi paura di dimenticarti di me e delle mie cicatrici, io mi sono convinta che forse c'è ancora speranza, che magari tu ancora provi ancora qualcosa per me e che puoi perdonarmi».

Ollie continuava a guardarmi indecifrabile e io sarei svenuta se avessi continuato a trattenere il respiro in attesa della sua risposta.

«È troppo tardi, Emma». Pronunciò alla fine.

Sentii la familiare sensazione di bruciore pizzicarmi gli occhi.

«Ti prego, Ollie. Possiamo solo parlarne un attimo?». Lo supplicai appena una lacrima si fece coraggio e sbucò fuori.

«No. E ora devi andare via». Fece un passo verso la porta ma, ancora una volta, le mie parole lo bloccarono.

«Io non ci riesco. Non voglio andare via da qua, non finché non sentirò dirti che non provi niente per me, perché è solo nel momento in cui le pronunci ad alta voce che diventano vere».

«Vuoi sentirti dire questo?». Domandò esasperato e io annuii con le lacrime che ormai scendevano senza vergogna sulle mie guance.

Ollie fece un altro passo, questa volta però nella mia direzione. «Non tornerò con te, Emma. Sei venuta qua dentro senza essere stata invitata, ti sei accaparrata il diritto di trattarci come fossimo i tuoi personali progetti di ristrutturazione, ci hai trattato come oggetti che pensavi andassero restaurati perché troppo logori e malandati».

«Non è vero». Riuscii a mormorare tra un singhiozzo e l'altro, ma Ollie non mi diede ascolto.

«E poi, quando ti sei stufata, te ne sei andata. Ci hai lasciato senza neanche una spiegazione. Cos'è? Eravamo diventati troppo noiosi?».

«Non è così».

«Te lo dico io com'è: ora che hai capito che è la tua ricca vita a essere troppo noiosa, sei tornata. Sei solo una ragazzina viziata che si diverte a giocare con le persone. A dimostrarlo basta il fatto che tu sia venuta qua pensando di riprendere da dove avevi lasciato. Valgo così poco per te?».

«Sei tu che sei venuto da me ieri!». Controbattei con la prima idiozia che mi venne in mente. Mi sentivo così ridicola che l'unica cosa che sarebbe riuscita ad alleviare di poco quella sensazione era affermare una cosa ancora più ridicola.

Ollie rimase colpito da quella mia audace constatazione. «Volevo scopare. E anche tu, da quanto ho visto. Ho ancora i segni delle tue unghie sulla schiena».

Feci un passo indietro, come per parare il colpo di quelle parole.

«Evidentemente, i poveracci scopano meglio dei ragazzi ricchi».

«Non pensi veramente queste cose». Singhiozzai.

Ollie si avvicinò come non aveva mai fatto da quando ero entrata in casa, si chinò di poco sporgendosi verso di me finché i nostri nasi si sfiorarono.

«Non mi hai sempre detto che io soppeso sempre quello dico e che se dico una cosa è perché la penso? Ecco, cosa penso, Emma: è finita! L'hai fatta finire tu. Tienilo a mente le prossime volte che ti viene voglia di giocare con i sentimenti delle persone».

«Non sto giocando». Sussurrai con il respiro corto.

Ollie si allontanò e si avviò verso la porta. «La prossima volta che voglio scopare rimango nella parte sud della città». L'aprì, aspettando che io uscissi.

«Ollie, puoi solamente...».

«Esci dalla mia vita, Emma. È ora che inizi a pensare seriamente alla tua». Affermò severo senza degnarmi neanche di un ultimo sguardo.

Nonostante sentissi il corpo pesante e i piedi incollati al pavimento, per una volta feci quanto mi era stato detto: uscii da quella casa proprio come dalla sua vita.

Avevo la consapevolezza che stavo cercando: era finita.

Era finita e non era rimasto più neanche un briciolo di speranza.

Ollie

Decisi di permettere alle emozioni di uscire un'ultima volta.

Si liberarono appena richiusi la porta, lasciando Emma dove sarebbe dovuta essere: fuori dalla mia vita proprio come dalla mia casa.

Quando fui certo che la sua macchina fosse abbastanza lontana così da non cedere alla tentazione di raggiungerla, salii sul pick up e misi in moto.

Mi lasciai guidare da loro, quelle maledette emozioni, perché io non sarei stato in grado di gestire il peso di qualsiasi altra decisione, vista l'ultima presa, e mai avrei pensato che mi avrebbero portato ancora una volta là.

Una volta arrivato, guardai riluttante quella fontana attorno alle quale alcuni pazienti passeggiavano e poi entrai.

L'ultima volta, avevo percorso quella strada con Emma, che era stata al mio fianco per tutto il tempo senza mai tirarsi indietro.

Anche io non avevo intenzione di farlo, così abbassai la maniglia della porta ed entrai nella stanza.

«Ciao, mamma».

La mia voce la fece voltare di scatto e un sorriso non tardò a piegare gli angoli della sua bocca. In un attimo, era di fronte a me.

«Ollie, bambino mio. Il mio angelo biondo. Pensavo non saresti più venuto».

Mi accarezzò la guancia ma io non ebbi la forza di scansarmi. Così, cedetti al suo tocco chiudendo per un brevissimo istante gli occhi.

«Vieni, Ollie. Vieni con me. Devo farti vedere una cosa».

Mi prese per mano e, dopo aver richiuso la porta, la seguii alla sua scrivania.

La superficie era piena di fogli scarabocchiati e accatastati alla rinfusa, eppure sembrava che quel disordine fosse solo apparente, almeno per lei visto che trovò quello che stava cercando senza fatica.

«Guarda, tesoro. È per la tua amica, la dolce Emma».

Mia madre mi guardava con occhi accessi di speranza. Per qualche strano motivo, ci teneva che io vedessi il disegno che aveva promesso a Emma e che mi stava porgendo.

L'accontentai e il mio stomaco non riuscì a parare il duro colpo inferto da ciò che le sue mani avevano impresso con il carboncino nero sulla carta ruvida.

Osservai il disegno, soffermandomici più di quanto avrei dovuto.

All'inizio altro non era che un intreccio caotico di linee scarabocchiate. Ma, quando si metteva meglio a fuoco e l'occhio si abituava andando oltre, il volto sorridente di Emma emergeva da quel caos portando ordine e dando un senso.

Mia madre era sempre stata brava a disegnare la fisionomia delle persone facendo trapelare da semplici lineamenti impressi con la matita l'essenza vera, l'anima più profonda di una persona e io, in quel momento, stavo tenendo l'anima di Emma tra le mani.

«Le piacerà?». Mi domandò speranzosa mentre osservava attenta il disegno insieme a me.

Non riuscivo a smettere di guardarlo e continuai a farlo anche dopo aver preso posto sulla sedia.

Mia madre dovette percepire che ci fosse qualcosa che non andava perché si inginocchiò di fronte a me e per un attimo ebbi la sensazione di avere davanti una persona libera e non prigioniera delle tenebre.

«Cosa ti è successo, bambino mio?».

La sua mano accarezzò il mio viso e i suoi occhi mi scrutarono dolcemente come se stessero imprimendo nella sua memoria i miei lineamenti per disegnarli e rendere giustizia alla mia di anima. Ma non c'era più alcuna anima per cui valesse perdere tempo.

Con un sorriso dolce a piegare gli angoli della sua bocca, inclinò la testa di un lato e poi si fece particolarmente seria. «Vorrei lavare via le tue lacrime, Ollie, e prenderle io. Sei diventato un bellissimo uomo, lo sai? Hai riniziato a disegnare?».

«No». Risposi con ancora gli occhi fissi sul suo volto. Non riuscivo a distogliere lo sguardo.

«Perché non lo fai ora? Ti va se disegniamo insieme?».

Feci no con la testa mentre le sue dita continuavano ad accarezzarmi la guancia.

«Allora, vieni con me». Si alzò e mi porse la mano. «Proprio come quando eri bambino».

Le mie gambe si mossero senza che io glielo avessi ordinato. Mi alzai dalla sedia e, dopo che mia madre si sdraiò sul letto in attesa che la raggiungessi, io feci altrettanto.

Mi stesi al suo fianco, cedendo al tocco del suo braccio che mi cinse da dietro.

Mia madre mi stava abbracciando e io mi sentii rimpicciolire.

«Quanto eri piccolo, passavamo le ore stesi così sul letto. Ti ricordi?».

Non riuscivo a ricordare chiaramente. Forse, ricordavo solo la sensazione di protezione che in quel momento era riaffiorata per tenermi a galla. Ed era così dannatamente sbagliato perché lei non mi aveva mai protetto nella sua vita. Non era giusto che lo facesse proprio ora.

«In quei momenti, riuscivo a credere che fosse tutto perfetto. Che la vita non poteva regalarmi gioia più grande di quella che tenevo fra le braccia. Quando vi abbracciavo, Ollie, sentivo di essere al sicuro da qualsiasi tenebra mi avesse mai tormentato».

Scoccò un bacio imprigionandolo tra i miei capelli. Aveva un sapore dolceamaro.

«Mi convincevo di meritarvi e mi dispiace, perché siete voi a non meritare una mamma come me». Sentii qualcosa farsi strada tra i miei capelli e bagnarli. Erano lacrime. «Vorrei raccontarti qualcosa di bello, qualsiasi cosa possa farti tornare il sorriso. Vorrei donarti un po' di luce».

Anche se mia madre fosse l'ultima persona che avrebbe potuto farlo, le regalai lo stesso quella dolce illusione.

Mi strinsi ancora di più a lei lasciandomi cullare dal suo abbraccio e dalle note canticchiate a bassissima voce, come fossero sussurri, della sua canzone preferita. Quella che non mancava mai di mettere in macchina quando guidava spensierata o quando si decideva a preparare la cena regalandoci almeno per una volta la speranza di far parte di una famiglia normale.

Quella che io avevo cantato solo pochi mesi prima dedicandola all'unica persona che la meritava veramente.

Quel giorno mia madre non parlò di tenebre, non urlò e non mi cacciò. Semplicemente rimanemmo sdraiati in quella posizione per ore, finché le lacrime non cessarono di rigarmi le guance per la seconda volta nella mia vita.

La prima era stata solo pochi mesi prima nella doccia con Emma.

Lasciai mia madre che dormiva sul letto e, prima di andare via, presi quel disegno anche se non era destinato a me.

Parcheggiai davanti lo studio quando ormai il sole se l'era data a gambe da un po'. Sapevo che ci avrei trovato Nate perché ero stato proprio io a scrivergli di aspettarmi lì.

Quando entrai, Natesi si fermò a studiarmi attentamente. Stava capendo se dovesse essere spaventato o preoccupato ma io non gli diedi il tempo di scegliere l'alternativa giusta.

«Voglio questo sul braccio destro». Gli passai ciò che stavo tenendo in mano.

Nate analizzò il disegno per qualche minuto, inclinando più volte la testa a destra e a sinistra e rigirando il foglio tra le mani. «Riconosco la mano. Sono le stesse linee che ho tracciato sulla tua coscia». Alzò lo sguardò per incontrare i miei occhi. «Questo però è diverso».

Ero sicuro che l'occhio clinico di Nate non si stesse riferendo solamente al volto di Emma.

«Questo non è disperato. Qual è il contrario di disperazione?».

«Speranza». Risposi senza aver intenzione di aggiungere altro.

«È comunque inquietante». Commentò. «Ma non mi meraviglio. Si tratta pur sempre di te. Se vuoi iniziamo subito a prepararlo».

Annuii e a Nate non servì altro. Si alzò e io lo seguii nella sua stanza, pronto a proteggermi dalle tenebre con la sola fonte di luce che le avrebbe tenute lontane.

Quel giorno, mia madre era riuscita per davvero a regalarmi un po' di luce e io l'avrei impressa nel mio braccio.

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