Come le ali di una farfalla

By kimadder

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Emma Cooper è un'adorabile sconclusionata di ventun anni. Affronta la vita vestita di colori pastello e armat... More

Emma e Ollie
Cara G.
1. Il permesso
2. L'incontro
3. Il pugno
4. L'ospedale
5. L'ultima sigaretta
6. La dichiarazione
7. I buoni propositi
8. La panchina
9. Il numero
10. Lo stratagemma
11. La festa
12. Il regalo
13. La rissa
14. Il campo da football
15 - Il sogno
16 - Gli occhiali
17. La farfalla e il pipistrello
18. La fuga
19. L'ospite
20. La pulizia
21. La ricercata
22. La visita
23. L'approccio
24. La lista
25. La torta di mele
26. La scommessa
27. I pesci
28. I biglietti
29. La (non) sorpresa
30. La proposta
31. Lo scontro
32. La maglietta
33. Il concerto
34. La cena
35. Il film
36. L'onda perfetta
38. Il colibrì
39. La clinica
40. L'ostaggio
41. L'avvertimento
42. Il tatuaggio
43. Il regolamento di conti
44. Il consiglio
45. Frammenti di una sera
46. La prima volta
47. Il 𝐺𝑖𝑛 𝑎𝑛𝑑 𝐻𝑜𝑝
48. La buonanotte
49. Il Principe delle Tenebre
50. Il materasso
51. Le tenebre
52. La gelosia
53. La dedica
54. 𝘓'𝘪𝘯𝘪𝘻𝘪𝘰
55. 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘧𝘪𝘯𝘦
56. La rottura
57. Marzo
58. Aprile
59. 𝙼𝚊𝚐𝚐𝚒𝚘
60. 𝙵𝚊𝚝𝚝𝚒
61. 𝙲𝚘𝚛𝚊𝚐𝚐𝚒𝚘
62. Giugno
63. Il matrimonio (1)
64. Il matrimonio (2)
65. La promessa
66. La festa
𝕀𝕝 𝕝𝕚𝕖𝕥𝕠
𝕗𝕚𝕟𝕖
Come vi ringrazio🩷🦋

37. Il bacio

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By kimadder

Ollie

I bassi di Bad guy scandivano lo scorrere del tempo a ritmo incalzante mentre me ne stavo poggiato con il gomito sul bancone e un Old Fashioned quasi finito davanti.

James McGuire, il proprietario del locale, guardava da dietro il bancone Emma e i suoi amici musicisti con espressione davvero poco convinta.

Il locale era abbastanza affollato e lui abbastanza preoccupato.

«Sono decenti?». Mi domandò con la fronte aggrottata.

«Sono più che decenti, fidati». Avrei dovuto dire spero al posto di fidati, ma ormai eravamo tutti là.

Se non fossero stati decenti, avrei perso un cliente fisso. Bevvi un altro sorso.

Emma e i suoi amici musicisti davano l'impressione di essere esattamente come apparivano: quattro sfigati.

James continuò a guardarli mentre parlottavano tra di loro in cerchio, intenti ad analizzare nel dettaglio le corde del violoncello. Poi si voltò verso di me.

«E quale sarebbe la tua ragazza?».

«Nessuna delle tre».

«Nate mi ha detto il contrario. Allora, qual è quella che vive a casa tua?».

Come se Emma avesse sentito la domanda, si voltò per intercettare il mio sguardo e si incamminò verso di noi. Quando ci raggiunse, venni investito dal suo profumo.

«Sono agitatissima».

«Vuoi bere qualcosa?». Le chiese James.

«È astemia». Lo avvertii e tanto bastò a far aggrottare ancora di più la fronte di James che si allontanò lasciandoci da soli.

Dopo un respiro estremamente rumoroso, Emma allargò di poco le braccia. «Come sto? Braccia escoriate a parte?».

Indossava un vestito da sera lungo, scuro e accollato che ricadeva delicatamente lungo il corpo esile. I capelli, spropositatamente lunghi, ricreavano il movimento delle onde del mare e una mezza coda metteva in risalto i lineamenti rotondi del suo viso.

Non le risposi perché, se lo avessi fatto, avrei dovuto ammettere che fosse davvero bella.

«Suoni da quando hai iniziato a straparlare e non lo hai mai fatto davanti a un pubblico?».

Emma si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «In realtà, ho iniziato intorno ai nove anni. Comunque, non riesco molto bene a gestire l'ansia da prestazione e da palcoscenico. A tredici anni, ero entrata nel coro della chiesa, costretta da mia nonna che aveva ancora speranza che io diventassi fan di Gesù. Ma, alla prima messa, ho vomitato sulla testa di Amanda Fields, la nipote del parroco, che era proprio nella fila davanti la mia». Ridacchiò al ricordo. «Non amo particolarmente avere le luci puntate addosso a mettere ancora  più in risalto queste». Abbassò lo sguardo sulle sue braccia rovinate e per un attimo il suo sorriso sembrò perdersi d'animo, ma durò finché i suoi occhi tornarono nei miei.

«E allora perché lo hai messo nella lista?».

Emma scrollò le spalle. «Non lasciare mai che la paura di perdere ti impedisca di partecipare, A Cinderella Story. Adoro gli aforismi».

«Non me ne meraviglio». Bevvi l'ultimo sorso del drink.

«Ma ho un piano: me li immaginerò tutti nudi».

Il bourbon mi andò di traverso e rischiai di strozzarmi.

«Quando sei agitato e ti immagini la gente nuda, passa il nervosismo. Te lo posso garantire. Sai quanti medici e infermieri mi sono immaginata nudi? Ovviamente, non devierò mai e poi mai lo sguardo nella tua direzione, perché se ti immaginassi nudo correrei il rischio di avere un infarto. Quindi, se non ti guardo, sai il motivo».

«I tuoi amici ti stanno aspettando». Le indicai con un cenno del viso il punto dietro le sue spalle dove gli altri membri dei Nerd4Quartet erano ancora in cerchio a lanciare occhiate disperate nella nostra direzione.

Emma si voltò un attimo per poi tornare a parlarmi guardandomi dritta negli occhi.

«Sì, siamo in piena emergenza. Rachel ha dimenticato a casa la sua pece. Le ho prestato la mia ma pensa che i crini del suo archetto ne possano risentire. Okay, allora io vado. Sei pronto ad ascoltare le cover della colonna sonora della prima e seconda stagione di Bridgerton?». Me lo domandò con voce trepidante e ricolma di entusiasmo per poi passare alla domanda successiva senza aspettare una mia risposta. «Prometti che resterai fino alla fine?».

«Dove dovrei andare?».

Emma si strinse nelle spalle. «Ovunque, tranne che qui ad ascoltare la musica strumentale fatta da me e dai miei amici musicisti sfigati».

Mi bloccai dal dirle che non avrei voluto essere da nessun'altra parte e che, anche se della musica strumentale non me ne fregava niente, non sarei mai riuscito ad andare via senza di lei.

«Ci vediamo dopo». Mi limitai a risponderle e quelle tre parole furono sufficienti a far risplendere il grigio dei suoi occhi più del dovuto.

Emma mantenne la parola. Non mi sguardò neppure per sbaglio mentre suonava il violino e ciò mi aveva permesso di non scollare neanche per un secondo i miei occhi da lei per tutta l'ora e mezza in cui mi torturò dolcemente con la sua musica strumentale.

Riusciva a sorridere anche mentre suonava. Un sorriso diverso, più concentrato e serio. Un sorriso a cui tutti potevano aver accesso, a cui tutti stavano avendo accesso visto che gli occhi di tutti i clienti del locale erano ammaliati da quello che stava accadendo sul palco, e a me stava dando fastidio.

Mi vergognai di quello e di tutti gli altri pensieri sbagliati che abbagliarono la mia mente per un brevissimo lasso temporale, molto più breve di quello che serve alla luce di un lampo a illuminare le scariche elettriche di un fulmine.

Stavo diventando geloso del suo sorriso di cui volevo essere l'unico destinatario.

Il problema era che Emma sarebbe stata disposta a concedermi l'esclusiva senza pensarci due volte.

Emma

«Allora? Come sono andata?». Chiesi a Ollie mentre camminavano l'uno fianco all'altra sul lungomare.

Avevo ancora l'adrenalina che mi scorreva nelle vene e la sua vicinanza non faceva altro che aggravare la situazione. Per questo, la presa della mia mano intorno alla maniglia della custodia del mio fidato violino rischiava di bloccare la circolazione sanguigna del resto del braccio.

«Sei stata brava».

«Veramente?». Chiesi sinceramente sorpresa, ma non aspettai una risposta che tanto non sarebbe arrivata. «Grazie! Sapevo che il rewatch di Bridgerton fatto in questo mese sarebbe servito».

Ollie sbuffò una risatina continuando a camminare guardando dritto davanti a sé.

«Inoltre, hai visto? Anche il resto della popolazione guarda quella serie e tu non puoi farci assolutamente niente. È stato un successo. Hai sentito l'applauso che ci hanno fatto alla fine? E poi, quando ci hanno chiesto un'ultima canzone, è stata un'emozione unica. Così, ho proposto agli altri di fare Yellow, che però non era in scaletta. Per fortuna che Rachel non è andata nel panico».

«Perché hai proposto quella?».

«È la mia canzone preferita. Mio padre me la cantava sempre per addormentarmi. È così che mi sono convinta che la mia pelle possa trasformarsi veramente in qualcosa di bello, perfino brillare come le stelle».

Istintivamente, alzai lo sguardo verso il cielo e mi venne naturale canticchiare quella strofa proprio come feci il giorno del concerto.

«Your skin, oh yeah your skin and bones turn into to something beautiful. You know, you know I love you so». Terminai la frase scoccando un'occhiata nervosa di sottecchi a Ollie. «Comunque sia, è stato un successone e ora possiamo cancellare anche questo dalla lista». Dichiarai trionfante.

Anche se quello non era un traguardo vittorioso perché, di fatto, mancava solo un desiderio a separarmi dall'inizio delle lezioni di lunedì, ma ero abbastanza tranquilla al riguardo.

Quando Ollie si fermò all'improvviso, io finii a urtare contro la sua spalla.

Non riuscii a capire cosa stesse accadendo neanche quando lui si voltò verso di me in modo da stare l'uno di fronte l'altra e parlarmi dall'alto del suo metro e ottantacinque.

«Non penso di riuscire a portarti a Tijuana nelle prossime ventiquattro ore».

Scrollai le spalle per niente dispiaciuta. «Allora, vorrà dire niente università». Affermai e l'inflessione della mia voce tradì il sollievo per quella notizia. «Sai, alla fine devi essere comunque fiero di te. Ci hai provato e questo ti fa onore. Ma il percorso universitario non può combaciare con quello della mia vita e va bene così, ognuno ha il suo. E poi...»

Le parole morirono in bocca poco prima di abbandonarla, perché Ollie alzò il braccio posizionando la sua mano sulla mia guancia.

Oh, cavolo!

Ollie mi stava toccando. Per davvero.

Non era un sogno.

Non era un'esercitazione.

Stava toccando la pelle del mio viso con la sua mano, cosa che succedeva solo nei miei sogni con cui mi torturava quasi ogni notte.

«Possiamo cancellare un altro desiderio lo stesso». Disse serio.

Una serietà che si rifletteva nello scuro delle sue iridi e che non andava per niente d'accordo con il calore del suo tocco.

Sentivo ardere la pelle della mia guancia a contatto con quella del palmo della sua mano, e il senso di bruciore si irradiò con facilità disarmante anche tra i miei capelli dove erano intrecciate le sue dita.

Il mio respiro non tardò a diventare irregolare, come il battito del mio cuore.

«Non dirmi che stai per baciarmi». Sibilai sotto shock fissando i suoi occhi con un'intensità tale da far sparire il mondo intorno a noi.

«Potrei».

Feci un respiro profondo e per un attimo chiusi gli occhi. «Okay... Ti ricordi cosa ti ho detto riguardo a quel primo bacio catastrofico che diedi...».

«Emma, silenziati». Mi interruppe con la voce che sembrava ridotta a un sussurro proprio come la mia.

Forse stavo diventando sorda.

«Sì, scusa ma...».

«Stai andando a fuoco».

«Sì, lo so. Lo sai che con te...».

Anche questa volta non mi fece finire la frase, solo che scelse un altro modo per interrompermi.

Un modo che preferivo anche di più degli accordi tremendamente eccitanti della sua voce.

Decise di farlo posando le sue labbra sulle mie.

Un tocco leggero ma estremamente potente visto che fece risvegliare le mie ovaie a suon di scariche elettrice neanche fossero state attaccate da un defibrillatore impazzito.

Soprattutto quello policistico che infatti, quando Ollie staccò le sue labbra dalle mie, si lamentò più deluso che mai conferendomi il coraggio necessario a dire che quello stavo per dire.

«Sono più che sicura che, quando ho scritto "baciare Ollie", non intendessi un bacio a stampo. E chi più di me potrebbe esserlo?». Sussurrai a pochi millimetri dal suo viso.

Per la prima volta da quando lo conobbi, Ollie non cercò di fermare gli angoli della bocca che si stavano alzando per mimare le curve di un sorriso mozzafiato.

Sorrise, veramente e sinceramente, prima di poggiare nuovamente le sue labbra sulle mie.

Ma questa volta non si limitò a un casto bacio. Mi fece la grazia di accontentarmi e, quando sentii la sua lingua premere contro le mie labbra, non ci pensai due volte a lasciarla entrare.

Non opposi alcun tipo di resistenza e gli permisi di invadermi, desiderando finire sua prigioniera e essere torturata con la sua lingua come meglio avesse ritenuto.

Mentre Ollie continuava a fare le sue magie nella mia bocca, l'altra sua mano liberò la mia dalla custodia del violino che stavo stritolando per poi raggiungere la mia guancia.

Stavo baciando Ollie e lui stava baciando me.

Avrei voluto mettere i manifesti.

La sua lingua danzava dentro la mia bocca a ritmo della migliore melodia mai suonata nella mia vita, rendendo difficile stare al passo con i suoi movimenti navigati e continuare a respirare senza boccheggiare.

Riuscii comunque a contagiare le mie mani di quell'audacia che ormai mi caratterizzava.

Quando le posizionai sui suoi fianchi, le mie dita strinsero la stoffa della sua maglietta come a voler contenere l'eccitazione che stavo sentendo.

Erano quasi ventidue anni che la covavo e da circa tre anni lui era il mio sogno proibito, l'oggetto primario della mia eccitazione.

Mentre impacciatamente continuavo a rispondere al bacio, mi alzai in punta di piedi e, totalmente fuori controllo, cercai di stringermi ancora di più a lui.

Volevo sentire il suo corpo aderire al mio e, per un attimo, riuscii in quell'impresa titanica visto che le mie mani si intrecciarono all'altezza del suo perfetto sedere e lo spinsero verso di me.

Ma quel giorno la vita mi aveva concesso anche troppo e Ollie interruppe l'idillio.

Sentii che si lasciò sfuggire un gemito sommesso prima di interrompere il bacio.

Ancora a pochi millimetri dalla sua bocca, mi passai la lingua sulle labbra. Avevano un sapore diverso. Forse sapevano di Ollie e quello era diventato il mio gusto preferito.

«Vacci piano, farfalla». Sussurrò con voce bassa e rauca prima di allontanarsi da me, liberando le mie guance dalla sua presa di cui avrei percepito gli effetti fin quando la prossima glaciazione sarebbe riuscita a spegnere il fuoco che avevo in viso e in mezzo alle gambe.

Poi, afferrò la custodia del violino e iniziò a incamminarsi nuovamente.

Io rimasi ferma impalata, sotto shock.

«Vieni o no?». Mi domandò voltandosi.

Okay, forse non ero sotto shock. Più che scioccata ero terribilmente eccitata. Perché sì, anche quando non hai mai fatto sesso capisci di esserlo.

Lo raggiunsi alla svelta e riprendemmo a camminare l'uno di fianco all'altro.

Più passi facevamo e più riuscivo a calmarmi, permettendo al cuore di rallentare la sua frenetica cavalcata.

«Non parli più?». Mi domandò Ollie con tono vagamente divertito.

«Riflettevo...».

«Ovviamente».

«Se mi hai aiutato a realizzare questo desiderio, magari mi aiuterai anche con...».

«Non farò sesso con te». Si sbrigò a mettere in chiaro.

Sospirai deviando lo sguardo dai miei piedi all'oceano alla nostra destra. «Non farai sesso con me perché non ti piaccio, perché sono vergine o perché sono malata?».

«Nessuna delle tre».

Tornai a guardarlo. «Ma un motivo deve esserci e questi tre escludono ogni altro tipo di motivazione. Forse, perché sei innamorato di Sutton?».

«Non sono innamorato di nessuno».

Annuii cercando di tenere il suo passo sostenuto. «E lo sei mai stato?».

«No».

«Hai mai avuto una ragazza?».

«No».

«L'ingiustizia della vita: chi ha il pane non ha i denti. Come dice sempre mia nonna».

Ollie si fermò un'altra volta, ma questa volta dalla sua espressione capii che non mi avrebbe baciato ancora.

«Non so quale idea tu abbia di me, ma è sbagliata».

«Perché?».

«Perché non sono il ragazzo ideale di nessuno, men che meno il tuo».

«Perché dici così?».

«Emma, basta».

«È che ogni volta che pronunci il mio nome il mio cuore va in cortocircuito. Non posso farci niente se mi piaci e, a saperlo prima che mi avresti baciata, mi sarei preparata. Almeno per una volta avrei intrecciato le dita nei tuoi capelli».

Il suo sguardò non finì a indurirsi come il suo solito, e la sua espressione non si fece particolarmente severa come a intendere che dovessi smetterla. Anzi, serrò le labbra per evitare di sorridere.

«La prossima volta ti avviso». Affermò criptico prima di riprendere a camminare.

Io, invece, neanche tentai di reprimere il sorriso che sentivo inarcarsi trionfante sul volto. Stavo sorridendo sia fuori che dentro, perché quella era la prima piccola vittoria che troneggiò tra tante altre sconfitte.

Forse, non avrei mai vinto la partita e il mio nome non sarebbe mai stato nella classifica dei vincitori, ma mi sarei accontentata anche del premio di consolazione per averne preso parte.

Affrettai il passo per riuscire a stare accanto a Ollie che continuava a camminare silenzioso, con una mano in tasca e l'altra a tenere la mia custodia.

«Quindi, lunedì...». Azzardai facendo cadere il discorso in sospeso.

«Torni all'università». Concluse.

Sospirai rassegnata ma ancora abbastanza eccitata ed estremamente felice.

«Sai come potrebbe finire al meglio questa serata? La ciliegina sulla torta di una serata più o meno perfetta? Tranquillo, non ti chiederò ancora di sverginarmi. Vorrei solo...».

La mia mano aveva conservato un po' di quel coraggio audace che usò per intrufolarsi sotto il suo braccio.

Aspettai qualche secondo che mi dicesse qualcosa o che ritraesse il braccio per liberarlo, ma Ollie disattese le mie previsioni e io finii a rilassarmi così da godere a pieno di quel momento.

Impostai anche io il silenzioso e continuammo a camminare così, sottobraccio, in silenzio e vicini.

Quella sì che era stata una serata perfetta, anche più dell'onda che mi camminava accanto.

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