Come le ali di una farfalla

By kimadder

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Emma Cooper è un'adorabile sconclusionata di ventun anni. Affronta la vita vestita di colori pastello e armat... More

Emma e Ollie
Cara G.
1. Il permesso
2. L'incontro
3. Il pugno
4. L'ospedale
5. L'ultima sigaretta
6. La dichiarazione
7. I buoni propositi
8. La panchina
9. Il numero
10. Lo stratagemma
11. La festa
12. Il regalo
13. La rissa
14. Il campo da football
15 - Il sogno
16 - Gli occhiali
17. La farfalla e il pipistrello
18. La fuga
19. L'ospite
20. La pulizia
21. La ricercata
22. La visita
23. L'approccio
24. La lista
25. La torta di mele
26. La scommessa
27. I pesci
28. I biglietti
29. La (non) sorpresa
30. La proposta
31. Lo scontro
32. La maglietta
33. Il concerto
35. Il film
36. L'onda perfetta
37. Il bacio
38. Il colibrì
39. La clinica
40. L'ostaggio
41. L'avvertimento
42. Il tatuaggio
43. Il regolamento di conti
44. Il consiglio
45. Frammenti di una sera
46. La prima volta
47. Il 𝐺𝑖𝑛 𝑎𝑛𝑑 𝐻𝑜𝑝
48. La buonanotte
49. Il Principe delle Tenebre
50. Il materasso
51. Le tenebre
52. La gelosia
53. La dedica
54. 𝘓'𝘪𝘯𝘪𝘻𝘪𝘰
55. 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘧𝘪𝘯𝘦
56. La rottura
57. Marzo
58. Aprile
59. 𝙼𝚊𝚐𝚐𝚒𝚘
60. 𝙵𝚊𝚝𝚝𝚒
61. 𝙲𝚘𝚛𝚊𝚐𝚐𝚒𝚘
62. Giugno
63. Il matrimonio (1)
64. Il matrimonio (2)
65. La promessa
66. La festa
𝕀𝕝 𝕝𝕚𝕖𝕥𝕠
𝕗𝕚𝕟𝕖
Come vi ringrazio🩷🦋

34. La cena

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By kimadder

Emma

«Ha visualizzato tutte le mie storie! Tutte: quelle del concerto e anche quelle del giorno dopo». Ripetei per la terza a volta a Shinhai.

«Ancora con questa storia?». Trillò la mia amica che si trovava ancora dall'altra parte dell'Oceano Pacifico.

Ero parcheggiata da dieci minuti davanti casa di Ollie e ormai da dieci minuti ero un bagno di sudore.

Ero stata costretta a tirare su i finestrini perché la voce di Shinhai amplificata dal vivavoce della macchina disturbava la figlia della vicina che stava facendo i suoi giretti serali con la mia ex bicicletta di barbie.

Così, continuavo a torturarmi con quella sauna naturale perché non volevo attaccare. Shinhai mi mancava terribilmente e volevo tardare il momento in cui ci saremmo salutate. Anche perché era la sola a tenermi compagnia in quel quartiere dove era finita ad abitare quasi un mese prima.

«Non le ha mai guardate da quando vivo a casa sua e poi, improvvisamente, da quella sera il suo nome è magicamente comparso nelle visualizzazioni. Per la sorpresa, ho rischiato di strozzarmi con lo zucchero a velo della ciambella che stavo mangiando! Ho pensato che si fosse sbagliato, che avesse lasciato Instagram aperto e, invece, il giorno dopo... eccolo di nuovo là».

«Ti stai riferendo alle storie in cui orgogliosamente dimostravi che Romeo è un pesce da riporto?».

«Sì. E anche a quella che ho fatto la sera al Gin and Hop».

Mi ero sentita estremamente orgogliosa di me stessa per quella storia, perché io e Penelope eravamo riuscite ad aggiudicarci il tavolo più instagrammabile del locale: un tavolo per due appartato nell'angolo più romantico sopra cui, scritta con luci al neon viola, regnava la frase "Qui ti chiederò di bere con me e di baciarmi".

Solo che a me nessuno chiese di bere, tantomeno di baciarlo. Così, cedetti il mio posto a Chase.

Shinhai sospirò e io mi immaginai l'espressione rassegnata che stava facendo. «Emma, ti ricordi di quando credevi che Vince Stone fosse segretamente innamorato di te solo perché gli partì per sbaglio un like sotto a quel tuo post sulla prevenzione della policistosi ovarica?».

Sì, ricordavo. Il giorno dopo, lo invitai al ballo di fine anno e lui scoppiò a ridermi in faccia.

«È diverso... Ollie non è Vince Stone».

«No, infatti. Lui non scoppierebbe mai a riderti in faccia perché non ride proprio».

Finii a fissare intensamente il logo della Toyota impresso al centro del volante. «Quindi...».

«Quindi no, Emma, non guarda le tue storie perché ha capito di essere innamorato di te».

Sbuffai amareggiata. «Continuerai a dirmi la verità nuda e cruda per sempre?».

«Sempre e per sempre, amica mia. E tu continuerai a sbavare dietro a Ollie con la consapevolezza che lui non ricambierà mai?».

«Sai che non posso. La speranza è l'ultima a morire! E poi... mai dire mai».

«Ora diremo anche che l'ottimismo è il profumo della vita?».

«Sai che amo i modi di dire, e anche essere scontata».

«Sì, e ti riesce benissimo».

«Non vedo l'ora di riabbracciarti!».

«Non farò in tempo a scendere dall'aereo che starò già con il culo sulle sedie dell'università e forse tu starai vicino a me».

Al solo pensiero, mi venne la nausea. «Mancano ancora due desideri e il tempo sta finendo. Non ce la farà mai». Cercai di convincermene.

«Lo hai appena detto tu: mai dire mai».

Chi di modo di dire ferisce di modo di dire perisce.

«Vado. Sto morendo di caldo e ho paura della figlia della vicina».

«Ti guarda ancora male?».

«È ferma davanti la mia macchina e la sua espressione è anche più minacciosa di quella a cui ha destinato barbie. Potrebbero spuntarle le corna da un momento all'altro».

«Allora corri al riparo e, mi raccomando, se ti chiede di seguirla tu scappa».

Risi e attaccai. Poi, scesi dalla macchina alla svelta cercando di non guardarla neanche per sbaglio.

Pescai le chiavi dalla borsa e, quando aprii la porta, mi sentii subito al sicuro. La richiusi alla svelta e mi avvicinai alla finestra con l'intento di sbirciare se la pargola indemoniata fosse ancora ferma di fronte alla mia macchina ma un profumo di buono si insinuò su per il mio naso bloccando la mano ancor prima che potesse scostare le tende.

C'era qualcuno in casa e i rumori che provenivano dalla cucina me lo confermarono.

Più confusa che mai mi diressi in cucina e la scena che mi si presentò davanti fu uno shock, uno di quelli in grado di traumatizzarti e bloccarti la crescita: Ollie era in piedi davanti ai fornelli a trafficare con quelle che avevano tutto l'aspetto di essere delle padelle.

Le braccia si fecero pesanti e ricaddero allibite lungo i fianchi.

«Cosa stai facendo?».

«La cena». Rispose Ollie, continuando a darmi le spalle.

«Ah». Fu tutto quello che riuscii a dire.

«Hai già mangiato?».

«No». Mi affrettai a rispondere e poi mi avvicinai.

La versione di Ollie intenta a cucinare ai fornelli era anche più sexy di quella intenta a fare qualsiasi altra attività...

Mi imbambolai a fissare i toast che abbrustolivano nella padella e lui lo notò, ovviamente.

«Ti piacciono?».

Sentii i miei occhi strabuzzare. «Hai preparato la cena anche per me?». Domandai scioccata.

«Io devo mangiare, tu devi mangiare. Nel frigo c'è anche quell'erba fresca che ti piace tanto».

Non riuscii a reprimere un sorriso perché solo ieri avevo finito l'ultima busta di insalata ed ero strasicura di non averla ricomprata.

Ollie si fermò con la spatola da cucina a mezz'aria per intercettare il mio sguardo ancora visibilmente confuso ma estremamente sorridente.

«Cosa c'è adesso?».

«Niente! Vado a lavarmi le mani e arrivo».

Corsi su per le scale certa che, tornata al piano di sotto, avrei dovuto fare i conti con l'amara consapevolezza che l'esperienza mistica di cui ero appena stata protagonista fosse solo frutto della mia immaginazione contorta.

Ne ero più che certa.

Così, dopo aver lavato le mani alla velocità della luce, decisi di scendere le scale lentamente per immergermi nel modo meno traumatico possibile nel lago di delusione che mi avrebbe inghiottito.

Forse, la figlia della vicina mi aveva rapito, drogato e quindi stavo immaginando tutto legata alle sbarre di un letto nel seminterrato di casa sua.

Ma dovetti affrontare la realtà dei fatti, una realtà che mi stava piacendo molto più della focaccia pugliese che mi preparava nonna da portare come merenda a scuola: Ollie era per davvero in cucina e per davvero aveva preparato la cena anche per me.

«Penelope?». Gli domandai mentre prendevo posto sullo sgabello dove di solito mangiavo in compagnia della mia migliore amica: la solitudine.

Ollie sistemò i toast nei piatti e poi prese posto nello sgabello di fronte al mio. «È uscita con il tuo amichetto».

«Il mio amichetto?».

«Chase».

«Perché dovrebbe essere il mio amichetto?». Chiesi prima di addentare il toast.

Possedevo poche qualità nella vita, ne ero ben consapevole: non ero mai andata bene a scuola e con l'università mi aveva detto anche peggio, non ero particolarmente intelligente e non ero assolutamente bella, non avevo alcun talento particolare se no quello di scartavetrare mobili. Ma se c'era una cosa per cui mi distinguevo era il mangiare. Ero una buona forchetta e il cibo era sempre stato la seconda buona ragione per cui continuare a sorridere.

«È ottimo, Ollie. Non sapevo sapessi cucinare».

Anche Ollie addentò il toast e mi rispose solo dopo aver mandato giù il boccone. «È solo un toast».

«Non è un toast, è il toast». Specificai assaporando quello che era uno dei toast più buoni mai mangiati in vita mia. «Cosa ci hai messo?».

«Formaggio, pesto e pomodorini».

«Pesto?». Diedi un altro morso godendo a pieno di quel tripudio di sapori.

«L'ho preparato personalmente».

Mi bloccai all'istante, con gli occhi strabuzzati e la bocca semiaperta a mettere in bella mostra il cibo masticato.

Mi ero persa la scena di Ollie che pestava le foglie di basilico!

Avrebbe potuto essere uno di quei video che girano si TikTok, in cui manzi strafichi svestiti di striminziti grembiuli cucinano seminudi, e che tu guardi e riguardi maniacalmente desiderando di essere montata proprio come la crema al mascarpone.

Ecco! La mia mente aveva appena iniziato a immaginarsi Ollie seminudo che pesta foglie di basilico... mannaggia a me!

Mandai giù a fatica e forse Ollie percepì i pensieri pochi pudici che stavano prendendo forma nella mente, visto che decise di interrompere spietatamente il porno che stavo ricreando nella mia mente.

«Non l'ho preparato io, Emma. È uno dei tanti sughi che invadano la dispensa». Specificò davanti la mia espressione costernata.

Risi nervosamente. «Comunque, non ci vuole molto a fare il pesto. Almeno così dice mia nonna. Sono disponibile, se mai vorrai provarci. Hai per caso uno di quei cosi con cui pestare le foglie?».

«Si chiama mortaio».

«Hai un mortaio?».

«Non ne ho idea».

«E questa crosticina?». Gi domandai indicando con il mignolo lo strato abbrustolito e succulento della fetta di pane che tenevo tra le mani.

«Burro fuso».

Diedi un altro morso, pronta a continuare a parlare di mortai, pesto e burro fuso ma Ollie mi precedette.

«I Chaselope, veramente?».

Annuii soddisfatta. «L'alternativa era Penelopase. Quale ti piace di più?».

«Sono raccapriccianti entrambe le versioni».

«Chase è simpatico, dolce e... beh, non puoi dire che non sia un gran figo! Per caso, in questa parte della città si firma qualche contratto di nascita per cui si può venire al mondo solo se si è dei manzi colossali?».

Ollie mi scoccò un'occhiataccia che ignorai.

«Comunque, meglio del cugino malvagio di Schumacher. Ho inventato dei nomi per tutte le ship di questa casa. Vuoi sentirli?

Ollie sospirò. «Non bastava Ben...».

Presi quel sospiro per un lasciapassare e mi lanciai all'esposizione di tutti i soprannomi inventati.

«Allora, David e Beatrice sono i Davitrice».

«Lei odia la pronuncia all'americana».

«Lo so. E infatti ho inventato l'alternativa: i Beatid».

«Poi?».

«Poi abbiamo Ben e Hanna: i Benhanna». Risi perché mi faceva troppo ridere.

Quando ridevo di gusto, di solito un grugnito poco elegante si levava dal fondo della mia gola.

Successe anche quella sera. Mentre ridevo con Ollie di fronte a me che mi fissava, grugnii come un maialino.

Mi tappai la bocca all'istante visibilmente imbarazzata e Ollie increspò le labbra per evitare di sorridere.

«E noi due?».

Rimasi scioccata, un'altra volta!

La parola noi riferita a me e lui fece un certo effetto. Tipo l'effetto di un macigno buttato in una pozzanghera con cascate di acqua che zampillano ovunque, come quella nelle mie mutande in quel momento.

«Non fare quella faccia. Non vuol dire che siamo una ship ma, se ho capito qualcosa, sicuramente sarà stato più forte di te inventarne uno».

«Ti sbagli. Non ne ho uno».

Ollie inarcò le sopracciglia. Non ci credeva e faceva bene.

«I nostri nomi sono troppo corti. Purtroppo non viene bene niente». Ammisi sconfitta. «Emmollie? Ollemma? Sono orrendi!».

«Vedi che ci avevi provato».

Posai il toast quasi finito nel piatto. «Mi considererai anche se non abbiamo un nome shippabile?».

Ormai neanche mi vergognavo più di quegli azzardi in cui mi buttavo a capofitto. Ero diventata audace: mi ero evoluta in una nuova versione di me stessa, più imbarazzante ma tremendamente audace.

«Quando torna la tua amica?». Mi chiese distogliendo lo sguardo dal mio.

Sorrisi al pensiero di Shinhai. «A breve. E spero che non torni con un marito giapponese. Per il marito ovviamente, non per lei. La sua famiglia è molto conservatrice. I suoi nonni sono ricchissimi. Pensa che hanno un'azienda di macchine del gas e sono una delle famiglie più ricche del Giappone. Si sono messi in testa che Shinhai è troppo americana quindi stanno cercando di aggiustare il tiro volendo farle sfornare dei purosangue giapponesi. Ma lei non vuole stare con nessuno».

«Perché?».

«Perché vi considera esseri con capacità mentali sottosviluppate rispetto alle nostre. Lo dice lei». Mi affrettai a specificare.

«Invece tu lo vuoi un ragazzo». Osservò Ollie prima di portare alla bocca l'ultimo pezzo di toast rimasto.

Avrei pagato per esserci io al posto del pane e stare nella sua bocca, senza magari finire triturata.

«Non mi dispiacerebbe. Certo, l'obiettivo primario è fare sesso. Se poi vinco anche un fidanzato, tanto di guadagnato per me e per mia nonna». Anche io mandai giù l'ultimo boccone.

«Tua nonna?».

«Sì, ogni volta che sente le prozie pugliesi deve spiegare che la sua unica nipote femmina è ancora vergine. Povera nonna, ha già pronto il corredo nuziale fatto a mano dalla sua di nonna... Ma non poteva sapere che sarei venuta su zitella oltre che malata».

«Hai ventun anni, Emma. È ancora presto per definirti zitella».

«Le mie due prozie pugliesi sono zitelle, e anche la cugina di mia madre. Vivono insieme e correggono il caffè con la sambuca. Io sono astemia. Capisci che non posso finire come loro?  Ma ce l'ho nel DNA, e non ho una sorella! Con chi condividerò una vita di solitudine?».

«Hai detto che la tua amica non vuole un ragazzo, puoi condividerla con lei».

«Vorrei ma Shinhai, finita l'università, vuole partire per un viaggio spirituale e studiare la vita dei monaci buddisti. Dopo essere stata rinchiusa in casa per vent'anni, non ho voglia di finire in un monastero tibetano a meditare su una vita da vergine».

«Voi due non state bene».

«Per questo siamo amiche». Convenni estremamente soddisfatta di quella verità universale e indiscussa.

Ollie si alzò, prendendo sia il suo piatto che il mio e, dopo averli poggiati nel lavabo, si voltò nuovamente verso di me.

«A proposito di amici, devi chiamare i tuoi amici musicisti».

Mi bloccai con il bicchiere in prossimità della bocca. «Perché?».

«Un mio cliente ha un locale sulla spiaggia, a Fallen Beach. Il gruppo che doveva suonare ha dato buca lasciandolo nella merda. Gli serve qualcuno che faccia musica decente. Voi siete decenti, vero?».

«Mi stai dicendo che suoneremo in un locale?». Sibilai a corto di fiato, poggiando di nuovo il bicchiere sul tavolo.

«Solo se siete decenti». Disse prima di rimettersi seduto.

«Siamo più che decenti». Trillai su di giri. «Oh, santa paletta!». Mi portai le mani alla bocca. Non potevo crederci.

«Raduna i tuoi amici sfigati: avete da fare dopodomani».

«Sabato sera?».

Ollie annuì alla mia domanda e io alzai gli occhi al cielo per riflettere meglio.

«Lunedì iniziano le lezioni. Se sabato siamo impegnati a suonare. quando pensi di portarmi a sballare a Tijuana?».

«Tu intanto pensa strimpellare la viola o quello che suoni».

«Il violino, ma anche con viola e violoncello me la cavo. Che genere di serata è?».

«Una serata tranquilla». Fece spallucce. «Non finirà il mondo se smetti di sorridere per più di cinque secondi». Aggiunse, poi.

«Lo so, ma non riesco a smettere. Sono troppo emozionata: suonerò davanti a un pubblico».

«Non esagerare. Saranno i clienti del locale che butteranno un occhio ai quattro sfigati che si troveranno sul palco a suonare. Non sarà di certo la filarmonica di New York».

«Non importa. Mi va bene lo stesso. Tu anche ci sarai?».

«Vuoi andare da sola?».

«No». Mi affrettai a rispondere. «Devi esserci! Così ti ricrederai e forse mi chiederai di vedere Bridgerton insieme. Comunque, dovresti provare sai».

«A fare cosa?». Mi chiese Ollie sinceramente incuriosito.

Poggiai i gomiti sul tavolo sporgendomi verso di lui. «A sorridere. Sei anche più bello di quando ti impegni a mantenere il broncio».

Ollie parve colpito dalle mie parole. Effettivamente, lo ero anche io!

Forse il responsabile di quella mia evoluzione era proprio l'ovaio policistico che, da quando aveva conosciuto Ollie anche se non di persona, mi infondeva coraggio e audacia a profusione.

Il suo telefono buttato sul tavolo che si illuminò ci salvò da quel momento imbarazzante che avevo creato.

«Se devi andare, tranquillo, penso io a tutto». Gli proposi mentre lo osservavo scrivere.

«Non devo andare da nessuna parte».

«Non esci stasera?».

«Se vuoi che mi tolga dalle scatole, basta dirlo».

«No». Squittii. «È casa tua, puoi fare quello che ti pare. Anche se...».

«Anche se?».

«Avrei in mente una cosa. Tranquillo, non ti chiederò di baciarmi così da risparmiarti un viaggio a Tijuana. Mi stavo chiedendo se ti andasse di vedere un film insieme».

Ollie non rispose, continuò a fissarmi poco convinto.

«Sai, oggi ero al negozio di Divine e, mentre lei litigava con un cliente che voleva riprendersi un puttino a cui aveva disegnato le mutande con il bianchetto per coprire le parti basse, stavo pensando che Romeo e Giulietta dovrebbero sapere perché si chiamano così».

Ollie era sempre più confuso. «Stai parlando dei pesci?».

Annuii e proseguii sempre più convinta. Grazie, ovaio policistico!

«Non vedo quel film da troppo tempo ed è uno dei miei preferiti: William Shakespeare's Romeo + Juliet».

«Dobbiamo far vedere ai pesci un film?».

«Tu lo hai mai visto?».

«No».

«Allora ti va di vederlo? Insieme?».

Sarei dovuta uscire di casa e andare a comprare un gratta e vinci, oppure giocare sei numeri alla lotteria perché quella, amici miei, era la mia serata fortunata.

Non solo Ollie mi aveva preparato la cena - che non aveva avvelenato -, aveva mangiato con me parlandomi e non guardandomi male come faceva per la maggior del tempo, ma aveva anche acconsentito alla richiesta di vedere un film insieme a me.

Forse, ero per davvero drogata e legata alle sbarre del letto della vicina ma non mi importava niente.

Nessuno avrebbe dovuto azzardarsi a venire a salvarmi proprio sul più bello!

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