Come le ali di una farfalla

By kimadder

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Emma Cooper è un'adorabile sconclusionata di ventun anni. Affronta la vita vestita di colori pastello e armat... More

Emma e Ollie
Cara G.
1. Il permesso
2. L'incontro
3. Il pugno
4. L'ospedale
5. L'ultima sigaretta
6. La dichiarazione
7. I buoni propositi
8. La panchina
9. Il numero
10. Lo stratagemma
11. La festa
12. Il regalo
13. La rissa
14. Il campo da football
15 - Il sogno
16 - Gli occhiali
17. La farfalla e il pipistrello
18. La fuga
19. L'ospite
20. La pulizia
22. La visita
23. L'approccio
24. La lista
25. La torta di mele
26. La scommessa
27. I pesci
28. I biglietti
29. La (non) sorpresa
30. La proposta
31. Lo scontro
32. La maglietta
33. Il concerto
34. La cena
35. Il film
36. L'onda perfetta
37. Il bacio
38. Il colibrì
39. La clinica
40. L'ostaggio
41. L'avvertimento
42. Il tatuaggio
43. Il regolamento di conti
44. Il consiglio
45. Frammenti di una sera
46. La prima volta
47. Il 𝐺𝑖𝑛 𝑎𝑛𝑑 𝐻𝑜𝑝
48. La buonanotte
49. Il Principe delle Tenebre
50. Il materasso
51. Le tenebre
52. La gelosia
53. La dedica
54. 𝘓'𝘪𝘯𝘪𝘻𝘪𝘰
55. 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘧𝘪𝘯𝘦
56. La rottura
57. Marzo
58. Aprile
59. 𝙼𝚊𝚐𝚐𝚒𝚘
60. 𝙵𝚊𝚝𝚝𝚒
61. 𝙲𝚘𝚛𝚊𝚐𝚐𝚒𝚘
62. Giugno
63. Il matrimonio (1)
64. Il matrimonio (2)
65. La promessa
66. La festa
𝕀𝕝 𝕝𝕚𝕖𝕥𝕠
𝕗𝕚𝕟𝕖
Come vi ringrazio🩷🦋

21. La ricercata

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By kimadder

Emma

La seconda notte andò meglio.

Mi addormentai sempre con la tachicardia che mi veniva al pensiero di Ollie nella stanza accanto ma ero fiduciosa. Sarei migliorata... prima o poi.

Nutrivo meno speranze, invece, per la situazione critica delle mia guance che andavano a fuoco ogni volta che Ollie mi guardava. Soprattutto perché quella condizione di surriscaldamento aggravato la percepivo anche in mezzo alla gambe.

Quella mattina, come sempre, aspettai che non ci fosse più nessuno in casa per uscire dalla stanza.

Ollie era uscito verso le nove e Penelope era rientrata a casa verso le otto per uscire nuovamente dopo neanche mezz'ora.

Capii così che in quella casa vigeva l'anarchia più assoluta. Ognuno faceva quello che voleva: usciva o rientrava a orari improbabili e soprattutto senza avvisare. Avrei potuto farlo anche io, sarei potuta uscire per andare dove volessi e senza avvisare nessuno, ma poi mi chiesi dove sarei potuta andare e non trovai alcuna risposta.

La casa era silenziosa, proprio come il giorno prima, ma anche estremamente pulita e ordinata. Feci colazione in completa solitudine, ascoltando i rumori dell'esterno.

Qualcuno litigò, prendendosi a parolacce. Volarono anche diverse minacce che vennero spazzate via dagli accordi di chitarra che iniziarono a diffondersi per tutto il quartiere. Qualcuno stava ascoltando la musica ad altissimo volume, costringendo anche tutto il vicinato a farlo.

Penelope mi aveva detto di farmi gli affari miei, qualsiasi cosa fosse accaduta all'esterno. Così, sistemai i piatti della colazione a ritmo delle note di quella canzone che conoscevo grazie a Shinhai.

Sembrava che i Metallica stessero suonando Nothing Else Matters usando il tavolo della cucina come palcoscenico.

Dopo fu il turno dei Nirvana, AC/DC, Motörhead (grazie, Shazam), Lim Bizkit, Iron Maiden, Led Zepplin.

Quando la musica si interruppe, avevo la sensazione di essere stata a un concerto Rock - mi venne addirittura voglia di farmi qualche piercing - ed ero lavata e vestita, pronta a... fare cosa?

Non ne avevo la minima idea.

Seduta sul divano, presi il telefono. Come da trentasei ore a questa parte, lo schermo esplodeva di notifiche. Anche ieri sera avevo avvisato i miei, rassicurandoli che stessi bene e ignorando tutte le chiamate e i messaggi ricevuti.

Scorsi veloce la cascata di notifiche per cercare segni di vita da parte di Shinhai, ma niente. Oltre a un risicato messaggio con su scritto "Emergenza. Appena posso ti chiamo", era sparita.

Cercai il nome del mio amico tra i contatti e dovetti aspettare almeno sei squilli prima di una risposta.

«Emma! Ma veramente sei andata via di casa?».

Sorrisi, anche se non poteva vedermi. «Ciao, Davis! Sì, sono andata via». Confermai con voce trionfante.

«Oh, cavolo! Tua madre ha chiamato mia madre ieri mattina per sapere se stessi da noi. Stavano per andare alla polizia!». La voce di Davis era divertita ed esaltata allo stesso tempo. Effettivamente, la mia fuga era l'evento perfetto per creare scalpore tra i soci del Country Club.

«Non possono andare alla polizia. Ho quasi ventidue anni e non sono costretta a vivere con loro».

«Ma dove sei?».

«Ecco...».

«Dimmi che stai scherzando, Emma! Sei a casa della persona a cui sto pensando?».

Strizzai gli occhi intenta a riflettere con lo sguardo fisso sul mobile della tv. «Come faccio a sapere se stiamo pensando alla stessa persona?».

«Cavolo, Emma, questa volta l'hai fatta grossa!». Ridacchiò attraverso il microfono del telefono.

Avrei voluto che anche i miei accettassero la mia fuga con lo stesso spirito divertito di Davis. «È stata Penelope a dirmi che potevo stare da loro».

«Tu sei pazza!». Non era il primo a dirmelo.

«Se me lo dici in questo modo, ci credo veramente!».

«Intendevo positivamente pazza. Ti ammiro».

Conoscevo il mio amico così bene che sapevo perfettamente il motivo per cui mi ammirava. Anche lui avrebbe voluto scappare il più lontano possibile dalla sua casa e dalla sua famiglia, che aveva sempre descritto come enormi gusci vuoti che neanche tutti i beni materiali di cui disponevano sarebbero mai riusciti a riempire.

«Grazie. Sai dove abita?».

«No, perché?». L'inflessione di Davis di fece particolarmente guardinga.

«Perché devi portarmi alcune cose».

«Tipo?».

«Tipo vestiti, creme e... altre cose! Ora ti scrivo un messaggio».

«No, Emma. Mi dispiace ma io non vado a casa tua rischiando di incontrare tua madre...».

«È al lavoro». Lo rassicurai cercando di essere il più convincente possibile. «Oggi aveva un sopralluogo fuori città e so per certo che si è presentata grazie alla sua pagina Instagram. Troverai mio padre e sai che lui ti lascerà fare».

Lo sentii sospirare rassegnato. «Mi devi un favore! Ma quindi hai deciso di rimanere ancora per molto a fare la sfollata in quella casa?».

«Resterò finché mia madre non capirà che faccio sul serio. E ora sbrigati!».

Chiusi la telefonata salutandolo sorridente e attesi paziente il suo arrivo.

Impiegai il tempo a gironzolare per la casa, immaginandomi Ollie di diverse età vivere là dentro. Non c'era neanche una foto in giro, così provai a raffigurarmelo più piccolo gattonare sul pavimento o poco più grande giocare sul tappeto in soggiorno.

Effettivamente, ci sarebbe stato davvero bene un tappeto a sbucare da quel divano a cui serviva assolutamente una sistemata. La pelle logora era quasi del tutto consumata. E servivano anche delle tende e dei cuscini con delle fantasie che donassero un po' di vitalità. E piante... tante piante!

Scacciai dalla mente tutte quelle idee che stavano prendendo forma nella mia mente, perché avevo già fatto troppi danni e l'apice era stato raggiunto quando avevo chiesto a Ollie se potessi restaurare qualche mobile.

Quando bussarono alla porta, entrai nel panico. Probabilmente era Davis, ma se fosse stato qualche amico di Ollie o di Penelope? Con il cuore in gola, mi avvicinai alla porta e, quando l'aprii, ripresi a respirare.

«A cosa ti serve questo scatolone? In quattro l'abbiamo dovuto caricare». Si lamentò Davis dopo essere entrato e averlo buttato sul pavimento dell'ingresso. «E in macchina c'è l'altra roba che mi hai chiesto».

«Chi ti ha aiutato?». Gli domandai mentre l'aprivo.

«Tuo padre e i tuoi fratelli». Mi rispose distratto mentre si guardava incuriosito intorno.

«Cosa ti hanno detto?».

«Niente».

«Hai mantenuto il segreto sulla mia posizione?».

Davis sospirò. «Sì, anche perché non me l'hai mandata finché non mi sono scattato una foto con lo scatolone e la valigia vicino il bivio dell'interstatale».

«Bene». Ammisi soddisfatta.

Davis andò a prendere dalla sua macchina il resto della mia roba e, quando tornò dentro, indicò con un cenno del viso il contenuto dello scatolone che avevo iniziato a svuotare. «Che devi farci?».

«Devo restaurare alcuni mobili». Davanti la sua fronte aggrottata proseguii. «Ollie mi ha dato il permesso di farlo. Insomma, hai visto?». Allargai la braccia per indicare lo spazio intorno a noi. «Sono circondata da opportunità. E questa?». Chiesi riferendomi alla piantina che presi in mano.

«Pianta di basilico. Nel caso ti venisse in mente di fare il pesto. Tua nonna ti ha rifornito anche di un quantitativo spropositato di taralli pugliesi e sughi italiani».

Mia nonna riceveva a cadenza mensile e con una puntualità impressionante neanche si trattasse di traffico di sostanze illegali il tipico "pacco da giù".

Portai la pianta in cucina, la posai sul top vicino al lavandino e poi mi voltai verso Davis che mi aveva seguito.

«Cosa ti hanno detto, veramente?». Gli domandai interrompendo la sua analisi visiva. Come me, anche lui non era abituato a quello stato di degrado.

«Tu nonna continuava a preoccuparsi, specialmente per la tua alimentazione. Tuo padre l'ha presa zen come al suo solito. Nathan era arrabbiato».

«Arrabbiato?». Ripetei sorpresa.

«Sì. Dice che non rispondi ai suoi messaggi».

Mi sentii ingiustamente accusata. «Gli ho scritto che stavo bene ed è vero».

Gli occhi di Davis si posarono sulle bende che fasciavano ancora le mie braccia. «E quelle?».

«Me le sono fatte scendendo dalla rampicante della mia camera».

Davis strabuzzò gli occhi, come se non potesse credere al fatto che ci fossi riuscita per davvero. «Tamara ti ha fatto vedere troppi film anni novanta. Emma, la tua vita non è la trama di un film».

«Lo so». Ammisi delusa.

Davis si posizionò al mio fianco, poggiandosi anche lui con la schiena al top della cucina. Ci ritrovammo così a fissare entrambi il vuoto davanti a noi.

«Quanto resterai?».

Scrollai le spalle. Non ci avevo davvero riflettuto. «Fin quando mia madre non capirà che non può controllarmi e che, se io decido di fare una cosa, la faccio e basta. Non può scegliere sempre lei per me».

«Sceglie per il tuo bene».

«E quando viene il mio turno?».

Davis sospirò. «Se ti serve qualcosa, devi chiamarmi e io mi precipito da te. Con Shinhai sarà più difficile, ma ci proverò comunque».

«Cosa è successo?».

«A quanto pare è in partenza per il Giappone?».

Fui presa dal panico. «Cosa?». Sibilai scioccata.

«Me lo stava dicendo mia madre, ma non so di più. Anche lei si è data alla macchia, anche più di te. Ci contatterà quando potrà, tranquilla».

Annuii poco convinta. «Non devi dire a nessuno dove mi trovo. Non condividere l'indirizzo con i miei familiari e neanche con gli estranei».

Davis tornò a guardarmi divertito. «Non sei una ricercata».

«Ma mia madre mi dà la caccia come se lo fossi!».

Davis rise e poi, dopo avermi dato un abbraccio, mi salutò lasciandomi nuovamente sola in quella casa con lo scatolone e la valigia a invadere il piccolo ingresso.

Non riuscii a reprimere un sorriso al pensiero che avrei potuto dedicarmi a ciò che amavo senza nessuno che mi controllasse o mi dicesse cosa non fare. Per questo, presi dalla valigia i vestiti da lavoro e mi precipitai nella mia nuova stanza per cambiarmi.

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