OPERAZIONE Y

Per DarkRafflesia

6.9K 943 2.7K

Dave Morrison, Capitano del Navy SEAL, è un uomo determinato, autorevole, ma sconsiderato e fiscale. Noah Fin... Més

⭐RICONOSCIMENTI
Presentazione
Cast
Dedica
Prologo
PARTE PRIMA
Capitolo 1: Bravo (Parte 1)
Capitolo 1: Bravo (Parte 2)
Capitolo 2: Coinquilini
Capitolo 3: Demoni del passato
Capitolo 4: Una semplice giornata di lavoro
Capitolo 5: Insieme
Capitolo 6: Prima Tappa
Capitolo 7: Presenza
Capitolo 8: Sconosciuto
Capitolo 9: Ricordi bruciati
Capitolo 10: Il prossimo
Capitolo 11: Vacanza (Parte 1)
Capitolo 11: Vacanza (Parte 2)
Capitolo 12: Dolore lontano
Capitolo 13: Turbolenze
Capitolo 14: Scontro
Capitolo 15: Notizia
Capitolo 16: Lettere reali
Capitolo 17: Firmato...
Capitolo 18: Sui tetti
Capitolo 19: In mezzo alla folla...
Capitolo 20: Rientro
PARTE SECONDA
Capitolo 21: Adunata
Capitolo 22: Sorpresa?
Capitolo 23: Toc-Toc
Capitolo 24: Legami scomodi
Capitolo 25: Nuovi ospiti
Capitolo 26: La spia
Capitolo 27: Tocca a me
Capitolo 28: Il mondo continua a girare
Capitolo 29: Prurito ed ematomi
Capitolo 30: Fede
Capitolo 31: Rimorsi
Capitolo 32: Torna a letto
Capitolo 33: Fiamme
Capitolo 34: Scuse e incertezze
Capitolo 35: Analista per caso
Capitolo 36: Non puoi dimenticare
Capitolo 37: Bersagli
Capitolo 38: Ostacoli
Capitolo 39: Ho trovato Jake e...
Capitolo 40: La bomba
Capitolo 41: Shakalaka
PARTE TERZA
Capitolo 42: Scampagnata
Capitolo 43: Pausa?
Capitolo 44: Nuove conoscenze
Capitolo 45: Mercato finanziario
Capitolo 46: Linea
Capitolo 47: Safe International Hawk
Capitolo 48: Fregati
Capitolo 49: In trappola
Capitolo 50: Dimitri Malokov
Capitolo 51: Rancore
Capitolo 52: Portare via tutto
Capitolo 53: Insofferenza
Capitolo 54: Colpe
Capitolo 55: Operazione Y
Capitolo 56: Amicizia
Capitolo 57: Risposta inaspettata
Capitolo 58: Rivelazione
Capitolo 59: Con onore
Capitolo 61: Solitudine
PARTE QUARTA
Dimitri Malokov & Iari Staniv
Capitolo 62: Egoismo
Capitolo 63: Apnea
Capitolo 64: Il prezzo da pagare
Capitolo 65: Anonimato
Capitolo 66: Saluto
Capitolo 67: Benvenuto nella squadra
Capitolo 68: Giuramento
Capitolo 69: Decisione
Capitolo 70: L'impegno che non serve
Capitolo 71: Lontanamente vicini
Capitolo 72: Vecchie amicizie
Capitolo 73: Vigilia
Capitolo 74: L'inizio
Capitolo 75: Le squadre
Capitolo 76: Patente?
Capitolo 77: La tana del lupo
Capitolo 78: Boom...
Capitolo 79: Maledetta emotività
Capitolo 80: Svantaggio?
Capitolo 81: Iari Staniv
Capitolo 82: Luccichio
Capitolo 83: La pace
Capitolo 84: Caduti
Capitolo 85: Respirare

Capitolo 60: Rottura

55 7 14
Per DarkRafflesia




Erano passate due ore.
Due eterne ore in cui erano rimasti intrappolati in quell'edificio.
Senza dire neanche una parola, Dave aveva mandato un segnale tramite cellulare al 9-1-1 per richiedere delle pattuglie in quella zona. Prima era arrivata la polizia. Dopo mezz'ora era arrivata l'FBI. Avevano notato che i due agenti della CIA erano rimasti bloccati all'interno della stanza, perciò erano stati costretti a sfondare la porta con una piccola carica da irruzione per fare in modo che uscissero da lì. Quello che non furono in grado di immaginare fu il vetro colmo di sangue e quello che trovarono una volta varcata la porta blindata, sbloccatesi con l'assenza di battito di quello che rimaneva di Jude Collins. Davanti a quel lago di sangue era stata chiamata l'ambulanza per portare via i corpi. La polizia aveva perlustrato la zona e aveva trovato le tre pattuglie della polizia con la quale avevano perso il segnale e si erano dati alla ricerca nel corso della giornata. Quando l'FBI aveva iniziato ad indagare su quello che era successo nell'edificio, avevano racimolato le videocamere per avere una prova di tutto quello che si erano persi, visto che i due diretti interessati non avevano avuto intenzione di aprire bocca per raccontare gli eventi. Ciò cui si erano imbattuti una volta fatta irruzione nell'anticamera, era la figura possente di Dave, ancora intento a fissare il rosso del vetro, e il corpo seduto a terra contro il muro, le ginocchia alzate, larghe e la testa china, di Noah; non si erano degnati neanche di uno sguardo da quando le bombe erano esplose.

Per un attimo, gli agenti dell'FBI avevano pensato che fossero morti.

Avevano provato a scortarli fuori, ma i due non avevano voluto essere toccati. La prima cosa che il ragazzo aveva fatto, all'udire la porta aprirsi e gli agenti puntargli le armi addosso, convinti di avere il nemico davanti agli occhi, fu alzarsi da solo ed uscire dalla stanza senza pronunciare neanche una parola. Nonostante avessero provato a fermarlo e a porgergli delle domande, non aveva manifestato nemmeno una reazione; così avevano deciso di lasciarlo in pace e di dargli i suoi spazi – così avevano detto i paramedici quando avevano visto gli agenti dell'FBI essere un tantino troppo invadenti e irrispettosi con lui.
Dave, al contrario, aveva reagito solamente al loro arrivo; aveva indicato l'interno della stanza oltre il vetro, spiegando della bomba esplosa. Ciò che lo aveva lasciato tramortito per un attimo, era stato il modo con la quale il capo delle indagini sapeva di Malokov e di Staniv, come se qualcuno lo avesse reso al corrente di tutto quello cui erano andati incontro nel giro di quelle ore in cui erano rimasti isolati dal resto del mondo. Allora aveva osservato i paramedici e gli investigatori fare il loro lavoro, seppur lo avessero invitato ad uscire dall'edificio per impedire che le prove venissero rovinate.

Adesso era seduto verso l'esterno sul sedile del conducente della sua macchina, osservando il cielo, le mani giunte, serrate per nascondere le nocche rovinate. Le giornate si erano accorciate; sebbene fossero le cinque del pomeriggio, sembrava già notte. Anche i nuvoloni neri erano aumentati a dismisura, tuoni in lontananza stavano facendo la loro comparsa. La sua espressione turbata non era cambiata di una virgola; la sua mente era imprigionata nelle parole di Jude.
Rumore di barelle catturarono il suo udito; inclinò il capo con un'occhiata di sbieco e notò i paramedici uscire dall'edificio con tre barelle e alcuni sacchi. La presa sulle mani si fece più veemente, seppur il volto rimase impassibile; erano riusciti a ricostruire solamente tre corpi, inclusi quello di Jude, mentre gli altri – a detta di quello che si stavano scambiando con amarezza e orrore – erano irrecuperabili. Strinse le labbra in una linea sottile, ignorando quella voce dentro la testa che stava continuando a ripetere una frase che non voleva andare via del suo cervello.

Proprio al di là delle vetture, dall'altro lato della piazza, Noah si era seduto su un blocco di roccia scalfita. Stava dando le spalle a tutto quel movimento, cappuccio alzato per nascondere totalmente il volto ancora pallido. Stava ascoltando nitidamente ogni parola pronunciata dai paramedici e dagli agenti: alcuni erano in lacrime per aver perso dei colleghi ingiustamente. Con la testa rivolta verso il terreno, si stava massaggiando con un movimento meccanico il braccio sinistro, sulla spalla; con tutte quelle botte che aveva preso, stava iniziando a fargli male. Ne avevano vista di gente morire in quei mesi; era stato un continuo crescendo che non avevano evitato. Dimitri aveva alzato la posta in gioco, l'aveva detto.
Sentì il cellulare dentro la tasca vibrargli.
Infilò la mano per prenderlo, inconsapevole che Dave aveva fatto lo stesso.

Questo perché ad entrambi era arrivato lo stesso messaggio, da parte della CIA.
Vi voglio nel mio ufficio. Ora. Diceva.
Era proprio il Direttore Gerald Simmons ad aver richiesto urgentemente la loro presenza.

**

«Siete sollevati dal caso.»

Fu la prima frase che sbocciò dalle labbra del Direttore della CIA non appena Dave e Noah avevano messo piede nel suo ufficio.
E quelle parole non furono che una secchiata di acqua ghiacciata nel volto di Dave che, finalmente, parve mostrare una reazione di ripresa. Sbatté le palpebre, come ad uscire dalla stasi cui era andato, e fece un passo in avanti, esterrefatto.

«Come? Non può dirlo sul serio.» parlò velocemente e con una frenesia che non tenne a bada.

Tuttavia Gerald non lo guardò nemmeno negli occhi, chiusi per evidenziare la mascella contratta dalla difficoltà con la quale aveva dovuto prendere quella decisione. Non aveva aspettato neanche che si sedessero né aveva pronunciato parole di cortesia e di rammarico riguardo le vicende nell'edificio abbandonato. Turbato e mesto, aveva i gomiti appoggiati sulla scrivania, il suo decoro nell'essere vestito in maniera impeccabile a qualunque riunione, rimpiazzato da una capigliatura scompigliata, una barbetta incolta e dei capi d'abbigliamento disordinati che fino a quella stessa mattina, in riunione, erano immacolati; non stava indossando la giacca, nemmeno il cardigan al di sopra della camicia azzurrina. Sembrava aver sudato parecchio dall'agitazione e dal nervosismo, tanto che fu un miracolo che non avesse arrotolato le maniche dell'indumento per mandare la compostezza a quel paese. Anche lui in quelle due ore, dove i suoi agenti incaricati al caso erano rimasti intrappolati, non aveva passato chissà quale bella vacanza. Gli erano giunte così tante di quelle chiamata da parte dell'FBI, su quelle maledette pattuglie scomparse e sulla presenza di due disertori russi in territorio americano, che aveva dovuto congedare Virginia, la sua segretaria, per occuparsene personalmente. Non si era mosso da quella scrivania nemmeno per andare al bagno; non aveva bevuto caffè e non aveva fatto neanche una pausa per riprendere fiato, poiché minuto dopo minuto gli erano arrivate le informazioni di quello che si era perso.

Sei uomini della polizia fatti a pezzi, un Generale suicida che, attraverso i filmati delle videocamere, si era rivelato essere una spia nordcoreana.
E due agenti della CIA che erano rimasti a guardare senza trovare un modo per salvare quelle persone.

Nonostante avesse provato a difendere i suoi diritti, era stato addirittura messo a contatto con il Presidente degli Stati Uniti, interessato a sapere come un caso di omicidio conteso tra CIA e FBI potesse essere diventato un problema terroristico di grado elevato. Per quanto amareggiato avesse potuto essere, per quanti pugni avesse sbattuto contro la scrivania dalla rabbia quando le chiamate si erano concluse, non avrebbe potuto fare altro, se non arrendersi agli ordini che gli erano stati dati. Si allentò la cravatta decorata dall'aquila d'oro, simbolo della Central Intelligence Agency, e si schiarì la gola; ragionandoci dopo aver avuto il tempo di organizzare quell'incontro, quella di adesso era la scelta più giusta da fare, seppur il tono di Dave fosse bastato a fargli venire un nodo alla gola di umiliazione.

«In quanto Direttore la decisione spetta a me, agente Morrison. – specificò, sollevando lo sguardo per incrociarsi con gli occhi scuri del suo interlocutore; leggeva una fiamma che ancora non si era estinta, la fiamma dell'ostinazione. – Sono stato aggiornato sui fatti, sulla morte del Generale Jude Collins e di quei sei poveri innocenti.»

Dave sbuffò dal nervosismo, scrollando la testa. «E quindi? Malokov e Staniv hanno organizzato tutto per impedirci di fare qualcosa. Se non avessimo seguito le loro direttive, avrebbero ucciso-!»

«E cosa è cambiato?» gli parlò di sopra il Direttore, il tono combattuto quanto severo. Vide Dave zittirsi, rimanere ancora con le labbra schiuse. Continuò. «Sono morti comunque. Dimitri Malokov e Iari Staniv sono tornati a causa del fallimento dell'Operazione Y e del tradimento del Generale Collins. Il loro obbiettivo sei tu, persino l'FBI l'ha capito dopo aver collegato tutte le prove.»

«Proprio perché sono io, non può sollevarmi dall'incarico.» si indicò, abbassando il tono di voce con aria torva.

«Posso invece. Perché ti conoscono. Conoscono i tuoi punti deboli, le persone che ti stanno accanto, ogni tua singola mossa. L'abbiamo visto.» osservò Gerald.

Dave ringhiò, passandosi una mano sul viso per evitare di dare di matto e smuovendosi sul posto. Non poteva esonerarlo. Era inaccettabile una simile scelta. Non si poteva competere con Malokov e Staniv; erano ex-soldati alla pari del Team Alpha, il che significava che adesso potevano essere dei buoni partiti per il Team Bravo se non avessero intrapreso la via della criminalità. Non poteva essere scaricato in quel modo. Gli stava forse dicendo di essersi pentito di aver scelto lui e Noah come membri del caso dopo i passi da gigante che avevano fatto? Quanto si era sporcato le mani? Quanti nemici aveva ucciso? L'FBI non aveva neanche un briciolo delle loro competenze. Voleva questo? Non poteva rimanere a casa o andare ordinariamente a lavoro a Langley senza essere tormentato in testa dal pensiero che qualcun altro sarebbe potuto morire. Chi avrebbe preso il loro...?

«Non mi dica che ha passato il testimone all'FBI...» commentò indignato.

Simmons prese un respiro profondo a pieni polmoni, abbassando le braccia. «L'ho fatto.»

«Come ha potuto? – Dave trasalì. – Siamo così vicini dal fermare Dimitri e Iari! Abbiamo i file della SIH, possiamo decifrare le loro vere intenzioni!»

«E fare in modo con una scena del genere ricapiti?» il Direttore mantenne la calma, nonostante quelle urla. «Listen. Ho dato questo caso a te e al ragazzo perché eravamo convinti che il problema fosse l'omicidio di due tuoi commilitoni. Adesso la posta in gioco è più alta e non posso farvi andare avanti.»

«Siamo della CIA, porca puttana! – il soldato era sconcertato. – Le indagini sono parte dell'FBI! La situazione è degenerata in terrorismo!»

«Ed è per questo che l'FBI dispone della SWAT: sono preparati quanto noi.»

«Sa benissimo che è una cazzata bella e buona! Come può aver mandato all'aria tutto il nostro lavoro?»

«Non lo sto facendo. Anzi, gradirei che passaste i file della SIH all'FBI e vi facciate da parte.» insistette Simmons.

Dave sospirò dalle narici, deluso. «Perché lo sta facendo? Come può essersi arreso così?» 

«Perché da quando ho dato l'incarico a voi ci sono state solo vittime! – alzò il tono di voce, mettendosi in piedi per fronteggiare il soldato senza esitazione. Il suo timbro venne recepito dagli agenti fuori dall'ufficio, i quali si allontanarono timorosi; erano già al corrente di tutto. – Ho chiuso un occhio con i due civili in aereo, con Kevin Carter, con le tredici vittime a Los Angeles. Ma con sei poliziotti ed un Generale, per quanto traditore potesse essere, non posso fare nulla!» piantò le mani sulla scrivania come appoggio per il dolore interiore che stava patendo. «L'FBI ha preso il comando, ho dato il caso al Direttore Williams. Malokov e Staniv hanno bisogno di avversari che non conoscono, di uomini che non sanno come raggirare. Con te continueranno a morire delle persone!»

Dave sbatté entrambi i pugni sulla scrivania.
Un rombo intenso si propagò per la stanza, superando di gran lunga i tuoni all'esterno. Gli oggetti sulla scrivania parvero sollevarsi di poco; fu un bene che non vi fossero bicchieri perché come il porta penne si era rovesciato, anche qualunque liquido avrebbe fatto una brutta fine.

«Con me nessuno morirà! – urlò, graffiando la voce in note che non avevano nulla a che vedere con il vero e proprio nervosismo di chi aveva perso le staffe. Gerald si impietrì, realizzando solo adesso la frase che era uscita dalle sue labbra. Dave digrignò i denti, corrugando la fronte. – Non può capire quello che è successo là dentro! Nessuno può capirlo! La vostra è solo una gara a non perdere la dignità, ad avere più successi sulle spalle!» serrò i pugni, infuriato. «Le basti solo guardare quei cazzo di filmati per vedere i nostri sforzi. Nessuno avrebbe potuto fare qualcosa!» curvò la schiena, essendo molto più alto del Direttore Simmons, per diminuire le distanze.

Ma quest'ultimo non si fece intimidire da quella stazza e da quell'autorità minacciosa.

«Fuori dal mio ufficio. Adesso.» ordinò a pochi centimetri dal volto del soldato.

Dave inspirò celere, socchiudendo gli occhi. «Sta commettendo un grave errore.» disse a voce bassa, roca.

Successivamente si diede la spinta con i pugni per sollevarsi dalla scrivania e uscire a passo veloce e pesante dall'ufficio, lasciando persino la porta aperta.
Gerald lo seguì con lo sguardo, abbassando le spalle per la tensione accumulata quando lo vide allontanarsi del tutto. Si gettò a peso morto sulla sedia, massaggiandosi le tempie per lo stress accumulato nel giro di quelle ore. Non avrebbe mai immaginato che la situazione fosse potuta degenerare in quel modo; era sicuro che Dave e Noah avessero potuto risolvere il problema dei due russi con determinazione, vista anche la risolutezza con la quale il soldato gli aveva parlato quella stessa mattina. Di conseguenza dover gettare la spugna era stato un duro colpo, ma doveva essere fatto, anche perché...
Riaprì gli occhi ed innalzò lo sguardo.
Non si era accorto che Noah non aveva mosso un muscolo ed era rimasto nella stanza, senza neanche intervenire in quella discussione. Il suo sguardo era rivolto verso la finestra alla sua sinistra, perso.

«Agente Finley?» uscì a bassa voce.

Noah si ridestò, guardandolo.

«Devi dirmi qualcosa?» lo spronò, preparandosi alle parole dell'agente più scontroso e scorbutico della CIA.

Eppure il ragazzo lo stupì. Zitto, scosse la testa e andò via, indossando nuovamente il cappuccio prima di chiudere la porta dell'ufficio e lasciarlo da solo.
Gerald avrebbe dovuto tirare un sospiro di sollievo, ma non fu così.
Gli sguardi che avevano tinti sul volto quei due erano delle armi offensive che avrebbero causato danni deleteri.

**

In sintesi, la missione era fallita.
Simmons ci aveva girato intorno, ma fondamentalmente i fatti erano tali.
Adesso stavano ritornando a casa in auto; Dave era alla guida, maniche arrotolate, sudato e con il gomito sinistro appoggiato al finestrino. Fuori aveva iniziato a piovere, perciò ci misero un po' prima di ritornare a casa a causa del traffico scaturitosi dalla pioggia intensa. I lampioni illuminavano le strade buie, il sole nascosto dalle nuvole era totalmente tramontato, arrendendosi all'oscurità della notte.

Il decreto finale emesso dal Generale Collins – non avrebbe dovuto nemmeno più chiamarlo in questo modo – non usciva dalla sua testa, continuava a ronzargli come una mosca fastidiosa che non voleva uscire dalle numerose finestre aperte, tanto che si dimenticava alle volte che il semaforo diventava verde e non doveva più sostare in attesa.

Scoccò una lieve occhiata alla sua destra; con la coda dell'occhio, osservò Noah. Il ragazzo era seduto accanto a lui, sul sedile del passeggero, e non aveva spiccicato una parola da quando erano usciti dalla fabbrica; era pallido e non lo stava degnando di uno sguardo. Se ne stava con la testa rivolta verso il finestrino, a guardare intensamente la strada con il mento appoggiato sul palmo della mano, il cappuccio alzato per impedire che qualcuno lo guardasse in faccia.
Ciò che Dave poté scorgere con quella celere occhiata, tuttavia, fu un tremolio costante nella mano sinistra, quella libera, posta sopra la gamba e chiusa in un pugno.
Buttò fuori dalle labbra schiuse un sospiro pesante e continuò a guidare.
Avrebbe dovuto far rimanere Noah in macchina, seguirlo da lontano con qualche collegamento via radio. Col senno di poi, se fosse stato presente o meno, avrebbe inficiato davvero sulla sopravvivenza di Jude? Ne dubitò, parecchio. Ritrovarsi in quella situazione lo aveva spiazzato quanto demoralizzato.
Strinse lo sterzo e guardò dritto la strada, massaggiandosi la tempia con la mano libera.

Cosa avrebbero dovuto fare adesso?

Arrivarono a casa.
Dave parcheggiò dentro il garage, mentre il motorino di Noah se ne stava fuori nel vialetto come un pezzo di antiquariato. Entrarono a casa per mezzo della porta all'interno del garage; il primo fu Noah, il quale si diresse in cucina per prendersi un bicchiere d'acqua. Aprì lo sportello, prese un bicchiere e lo riempì, bevendo il liquido tutto ad un fiato; stava giungendo l'ora di cena, ma dopo quello che aveva rigurgitato, il suo stomaco era troppo scombussolato per ingerire altro cibo. Sbatté il bicchiere sul bancone e rimase in quella stessa posizione, immobile e con gli occhi grigi fissi sulla sua mano tremante. Il soldato, al contrario, appoggiò le natiche sul bordo del tavolo ed incrociò le braccia davanti al petto, pensieroso. Aleggiava un'aria talmente tesa e pesante, che sembrava essere arrivato il caldo all'improvviso. Silenzio e solo silenzio poteva udirsi in quella casa a due piani, come se i colleghi non fossero rientrati e l'appartamento fosse rimasto abbandonato; se non fosse stato per le luci accese e il respiro dell'uomo più grande, nessuno si sarebbe accorto della loro presenza.
Perso dalla pazienza, però, Noah si voltò e fece per camminare velocemente verso le scale; l'unico suo punto di riferimento era la sua stanza.

«Domattina dovremmo dirigerci di nuovo alla fabbrica per indagare. Sono sicuro che Malokov ha lasciato una pista.»

Non aveva neanche sorpassato Dave, che si fermò in mezzo all'openspace, tra il salotto e la cucina, dandogli le spalle non appena udì quelle parole.
Fu lì che l'ultimo briciolo di lucidità di Noah andò a puttane.
Strinse le labbra in una linea sottile, mordendosi il labbro inferiore, ed inclinò la testa per girarsi verso il diretto interessato, inspirando dalle narici rumorosamente. Dire che il suo volto era nero pece, sebbene fosse pallido, era il minimo.

«Non riesco a crederci. – incominciò, gli occhi infuocati dalla rabbia e la postura rigida per la stizza. Sollevò le braccia per poi sbatterle energicamente sui fianchi. – Dopo tutto quello che è successo, vorresti ancora andare dietro a quel pazzo?!»

Dave aveva la testa china. Dal basso, sollevò gli occhi marroni per scrutare il più giovane con uno sguardo impassibile e ligio al dovere.

«Ha in mente qualcosa di grosso. Non possiamo lasciarlo andare via.»

«Non possiamo?» scandì quelle parole, Noah, con ribrezzo. «Non c'è mai stato un noi. Mai da quando sono stato costretto a seguirti ovunque in questo cazzo di caso. Hai seguito sempre la tua strada, le tue regole. E guarda cosa è successo!» urlò con il suo tono acuto e stridulo.

Il soldato ringhiò infastidito.

«Allora che dovremmo fare, Noah?! – si staccò dal tavolo con così tanta energia da spingerlo all'indietro. Il rumore assordante dei piedi del mobile, striscianti contro il pavimento, portò Noah a fare un passo indietro. – Lasciare che ottenga ciò che vuole e combini qualcosa di peggiore?! Lasciare che muoiano altre persone che non sanno un cazzo di chi hanno davanti?!»

«Hai sentito Simmons? Non è roba nostra, e mai lo è stata! Se vuoi continuare tu, fallo pure. Io mi rifiuto!»

«Ti rifiuti?» una risata nervosa, che non aveva nulla di divertente nelle note, scappò dalle labbra di Dave. «Certo. Hai finalmente la possibilità di poter stare chiuso in quella cazzo di camera e oziare! Scommetto che tu sei entusiasta di essere libero da queste responsabilità!»

La bocca del giovane si aprì dall'incredulità. «Hai la minima idea di quanto io mi sia fatto il culo per permetterti di salvare Jake e di ottenere le informazioni della SIH?!» fece qualche passo in avanti per accorciare le distanze, guardandolo di traverso.

«Allora perché dovresti chiamarti fuori, se a detta tua ti sei fatto il culo?!»

«Perché è finita! Fattene una ragione!» sottolineò Noah. «Qualunque cosa cerchiamo di fare, Malokov e Staniv ci anticipano. Ci conoscono, ormai!»

Dave fece un passo per accorciare le distanze, facendo rimbombare la suola degli anfibi per il pavimento lucido. Si fermò a pochi centimetri da lui, osservandolo dall'alto verso il basso con una superiorità alla quale Noah non batté ciglio, di quanto ne fosse menefreghista.

«Non sai niente di come funziona la vita da soldato. – sibilò con una voca roca e colma di asprezza. Dopodiché puntellò il dito sul petto di Noah, in coincidenza della felpa un po' sudata. – Non potrai mai e poi mai» e quando scandì quelle parole, il dito colpì l'addome del ragazzo due volte, fino a farlo indietreggiare. «capire cosa si prova nell'avere un peso sulle spalle da trasportare per il bene comune.»

Noah sgranò le iridi grigie esterrefatto.

«Per il bene comune?!» ripeté.

«Non hai mai preso seriamente le mie parole da quando abbiamo iniziato questo fottuto caso insieme. Non ho mai voluto che imbracciassi un'arma e venissi a combattere insieme a me. Non ho mai voluto renderti un bersaglio di Dimitri. – disse con il cuore in mano, digrignando i denti. – Volevo solo che capissi il tuo cazzo di ruolo, ma mi hai costretto tutte le volte ad arrangiarmi alle tue esigenze! E guarda dove siamo finiti!»

Noah scostò con malagrazia il dito dal suo petto, furioso. «Stai forse insinuando che ogni volta è sempre stata colpa mia!?» urlò, indietreggiando per smuoversi sul posto. «Non posso crederci...Avrei dovuto rifiutare questo cazzo di caso quando ne avevo occasione.»

«Ed io avrei dovuto lasciarti in quel monolocale di merda. Non hai fatto altro che rendere la mia vita un inferno da quando ti ho permesso di vivere qui.» sputò Dave.

Il suo cuore sobbalzò senza il suo consenso.

«Non osare. – lo avvertì, puntandogli il dito contro. – Non osare ripensare a quello che hai fatto. Se io sono qui è perché lo hai voluto tu, contro la mia volontà. Non puoi scaricarmi quando ti conviene.»

Dave scosse la testa con amarezza; nella sua testa martellava un peso, uno soltanto.
Nessuno doveva prendere il suo posto, nessuno doveva farlo.
Come faceva Noah a non comprendere la gravità dei fatti? Come poteva sminuire così la pericolosità dei due russi se aveva appena confermato della loro pazzia? Voleva lasciare che qualcun altro se ne occupasse e morisse perché lui poteva stare finalmente a casa, lontano dall'azione? Gli andava bene per davvero?

«Io ho creduto. – ammise con sincerità. – Io ho creduto che fossi una persona diversa, che conoscendoti meglio non avrei rimpianto la scelta di far vivere un perfetto sconosciuto sotto il mio tetto. Ci ho creduto per un anno intero, cazzo. Questo caso mi ha solo fatto notare che in realtà è stato un errore.»

Noah abbassò le spalle con aria costernata.
Si stava mettendo contro la persona sbagliata, forse la più sbagliata di tutte. Lui era un cazzo di tecnico della rete, e lo sarebbe stato anche se ormai era un agente della CIA; il suo compito era violare, stare seduto davanti ad una misera scrivania e farsi i cazzi suoi. Più di questo non avrebbe fatto. Era già andato oltre l'immaginabile, vedendo quelle povere e innocenti persone morire davanti ai suo occhi, mentre lui dietro a un vetro antiproiettile se ne stava incolume e spettatore di quel massacro. Inoltre, nonostante Dave lo avesse visto vomitare in un angolo, la prima cosa che aveva fatto era stata chiamare i rinforzi per aprire le porte e prelevare i cadaveri. Né una parola di conforto, sebbene lui non ne aveva mai ricevute e non ne aveva di certo bisogno, né una domanda di cortesia. Niente. Niente di niente.
Avrebbe continuato ad esistere solo al momento del bisogno.
E fu per colpa di quei pensieri che Noah, dal viso chino e dalle mani serrate in dei pugni, caricò le parole che, in cuor suo, sapeva il male che avrebbero causato.

«Un errore. Un errore, certo. Non avere un altro fottuto soldatino che obbedisce ai tuoi ordini ti ha solo messo in difficoltà, ha messo in crisi le tue manie di controllo, la tua esagerata puntigliosità nel volere che tutto sia perfetto. Proprio come il tuo matrimonio fallito.»

A quelle parole, Dave smise di respirare.

«Noah-» provò, mutando tono, espressione, ogni cosa.

«Perché è questo quello che hai creduto di fare con la tua ex-moglie. Ognuno ha il suo ruolo, ognuno è al suo posto, e quando qualcosa va storto, semplicemente non lo accetti.» lo troncò Noah, proseguendo cinico, senza controllo della sua lingua.

«Tu... non sai come sono andate realmente le cose. Non puoi parlare come se sapessi tutto.»

«Non lo so? Perché ad Appleton il tuo autocommiserati mi è sembrato abbastanza evidente.»

Dave fece qualche passo indietro, il respiro repentino e ansante. No. No. Doveva darsi una calmata. Noah non sapeva nulla, non potevano le sue parole riuscire a toccare così intensamente le ferite ancora aperte del suo cuore. Si stavano rimarginando, stava riuscendo ad andare avanti – seppur fossero passati sei lunghi anni – senza pensarci, senza soffrire il vuoto della perdita. Perché invece quelle parole stavano aumentando quell'escrescenza che aveva in petto? Non era andata via. Era ancora lì; piccola, insignificante, ma sempre in cerca di cibo per divorarlo dall'interno.

«Smettila.» quasi lo pregò, il tono vulnerabile e la mano sulla tempia per combattere quella nebbia fitta che si stava disperdendo nella sua mente.

«Rimpiangi che la tua ex-moglie ti abbia lasciato. Ti sei mai chiesto il perché?» proseguì Noah, freddo e cinico.

So benissimo il perché. Pensò Dave, oppresso da scene che stavano aumentando la frequenza del suo battito cardiaco, quelle ferite mentali che l'adrenalina e gli antidolorifici non potevano placare.

«Volevi il matrimonio perfetto.»

No.
Non l'aveva mai voluto.

«Hai sognato in grande, illudendoti, giusto?»

Mi sono perso, ma ho ritrovato la mia strada.
L'aveva capito solo troppo tardi.

«E hai rovinato tutto.»

So bene di averlo fatto!
I suoi pugni iniziarono a tremare.
Le scene erano troppo forti, tangibili.

«Adesso che ho affrontato la tua vita con i miei occhi posso comprendere bene perché sei divorziato. – bisbigliò Noah, la voce colma di ribrezzo e disgusto. Innalzò la testa per incrociare lo sguardo con Dave, ignorando quanto fosse offuscato. – La tua ex-moglie ha fatto bene a lasciarti, perché non pensi a nient'altro che non sia il tuo cazzo di lavoro! – questa volta gridò. – Pensi solo a te stesso, fottendotene delle persone che ti stan-!»

«Chiudi quella cazzo di bocca!»

Accadde tutto troppo in fretta.
Le nocche della mano destra di Dave collisero con il volto di Noah.
Quest'ultimo andò all'indietro a causa dell'impatto e sbatté la schiena contro il mobile, facendo cadere il vaso posto su di esso; si ruppe in mille pezzi, decorando il pavimento con un mosaico di frammenti.
Il suo rimbombo echeggiò nella stanza, rendendo l'aria immobile.
Noah appoggiò il braccio destro sulla superficie ormai libera del cassettone in legno e si piegò in avanti dal dolore; portò la mano sul viso e gemette, stringendo gli occhi. Sentiva la parte sinistra pulsare e dolergli così tanto che poté percepire un'insolita sensazione percuotergli il corpo. Quel brivido nella schiena si fece più intenso, più affilato; una scarica formicolante che credeva di aver sopito per anni e che adesso era di nuovo presente, tangibile, a paralizzargli il corpo in una presa di titanio che non aveva aspettato altro per manifestarsi.
Quella scena.
Quell'evento.
Il suo cuore ebbe un dejà vu dolorosamente straziante. Sobbalzò quasi ad uscirgli dal petto per catapultarlo in un'altra realtà. Per un attimo smise di essere in quella casa, e la sua mente navigò indietro nel tempo, talmente immersa nel passato che gli parve di essere là, in quell'abitazione cupa e spenta, e di non avere ventisei anni.

Stai zitto! Smettila di parlare e di rivelare i miei affari!
M-Ma...quello che hai fatto non è g-gius-!
Un pugno, forte sulla guancia.
Zitto! O sarò costretto a dartene altri!

L'ultima cosa che udì, prima di essere sostituita da un fischio prorompente, fu lo stridio delle sue urla e il bruciore agli occhi per via delle lacrime che vennero dopo.
E che proseguirono per tutta la notte di quella giornata uggiosa.
Un fantasma di una casa che vagava senza meta; un'anima che non sapeva ancora di essere perduta.
Noah ritornò nel presente e spalancò gli occhi.
Allontanò lentamente la mano dal viso dolorante e la fissò, sconvolto; si incontrò con polpastrelli tremanti, sporchi di un rosso cupo e vivido allo stesso tempo, caldo e denso. Stava perdendo sangue dal naso e dal labbro inferiore, visto il sapore ferroso – fin troppo riconoscibile per tutte le volte che aveva subito un simile trattamento – dentro la sua bocca.
Inclinò lievemente il capo per guardare verso il colpevole con un'occhiata di sbieco.

Dave aveva ancora il fiatone per aver urlato e il pugno chiuso: le nocche erano rosse.
Alla vista di quei lineamenti sofferenti e inorriditi, questi sbiancò e si pietrificò, coprendosi frettolosamente la mano rosea con quella incolume.
Cosa...
Cosa aveva combinato?
Come aveva potuto dare un pugno a Noah?
Che cazzo gli era saltato in mente? Era forse uscito di senno?
Si era lasciato travolgere dalla rabbia e adesso...
Il modo con la quale il ragazzo lo stava guardando gli stava trafiggendo il cuore; in quel momento non sembrava il Noah arrogante e prepotente che aveva conosciuto. No. La scontrosità sembrava essersene andata in vacanza. Davanti a lui c'era un Noah del tutto diverso.
Subito i tratti del suo viso si raddolcirono, e la rabbia sembrò sopirsi per qualche secondo, utile a fargli comprendere il danno che aveva causato quando la sua testa era troppo annebbiata per ragionare.
Tremendamente in colpa, fece qualche passo in avanti, con cautela e timore, tendendo la mano con la quale aveva colpito il giovane per poterlo toccare.

«Noah...Ascolta...Io non...»

«Non ti avvicinare!» Noah volle indietreggiare ancora, ma il mobile gli impedì di farlo, perciò ci si accasciò esausto, nascondendo il volto per mezzo del cappuccio.

Dave si pietrificò, impreparato.
Noah si sollevò e si pulì il rivolo di sangue che gli colava dal naso con il retro della mano. Gli occhi erano ridotti a due fessure imperscrutabili. Fu una fortuna che il pugno non gli spaccò gli occhiali: erano perfettamente integri. Tuttavia quegli occhi freddi come il ghiaccio fecero impallidire il soldato, arrestando qualsiasi tentativo di riconciliazione.

«Come tutti gli altri.» iniziò Noah.

C'era così tanta delusione in quel tono di voce che Dave sentì qualcosa spezzarsi dentro lui, una lama che gli pugnalò il cuore e gli fece fare la stessa fine di quei poliziotti.
Al suo silenzio, il ragazzo si toccò il labbro spaccato con il pollice e si schiarì la gola; le sue palpebre ebbero un lieve spasmo per il dolore, ma si trattenne, mantenendo l'astio e l'odio che stava provando in quell'esattissimo momento.

«Sei come tutti gli altri.» ripeté nauseato.

Dave spalancò gli occhi e rimase immobile.
Dopo quelle parole, Noah corse verso l'entrata di casa, prese le chiavi del suo motorino e uscì, sbattendo la porta energicamente.
L'uomo non provò nemmeno a fermarlo.
Udì il rumore del motore del bolide a due ruote fino a quando non si fece sempre più lontano e inudibile.
Dopodiché digrignò i denti dalla rabbia e scattò.

«Porca puttana!» urlò, dando un calcio al mobile su cui precedentemente si era accasciato il ragazzo.

Questo si spaccò. Il tonfo fu talmente violento che i quadri appesi e il lampadario si mossero a causa della scossa. Dave sbatté i pugni sulla superficie e scivolò lentamente a terra, stringendo gli occhi.

Se c'era una cosa che si era ripromesso di evitare da quando Noah aveva iniziato a vivere con lui, era questa sua arma. Un'arma con la quale era in grado di eliminare e provocare i suoi nemici.
Avrebbe dovuto scoraggiarsi davanti ad un ragazzo privo di muscoli e di forza, ma nel corso del caso il suo vederlo ammaccato da pugni in faccia non era nient'altro che il risultato dell'unica cosa di cui era a conoscenza, l'unico elemento che Noah mostrava, poiché parte delle barriere che lo avevano reso inscalfibile a qualunque aggressione e violenza, verbale o meno; non scappava da nessuno, seppur conscio che le sue parole avrebbero messo in pericolo il suo corpo.

Era stata la prima risposta che gli aveva dato quando gli aveva posto una sola domanda il giorno in cui si erano conosciuti, quando tramite le videocamere della città aveva voluto farsi un'idea di quel bizzarro ragazzo senza emozioni che era piombato nella sua vita senza preavviso.
Era normale porsi mille interrogativi quando davanti ad un soldato si palesava la figura di un giovane che, in ogni fottuto vicolo di Washington, in giornate e periodi diversi, era sempre vittima di...
In ogni filmato vieni picchiato da qualcuno, anche da sconosciuti. Perché?
Noah lo aveva guardato senza battere ciglio, con una nonchalance da mettere i brividi.
Perché nessuno accetta la verità.
Era questa la dote per cui veniva picchiato ogni volta.
Finalmente aveva avuto l'onore di vederla con i propri occhi e di testarla sulla propria pelle, capendo il motivo per il quale il giovane ricevesse sempre pugni o insulti come risposta.

La verità.

La verità faceva sempre così male che lui, come tutti gli altri, aveva risposto con la violenza per prendersela con qualcuno più debole fisicamente, ma con tutte le carte in tavola per colpire i suoi avversari con il solo uso della parola. Aveva capito tutto della vita, Noah; diceva quello che pensava senza mezze misure, non aveva peli sulla lingua. Quello che lui affermava, seppur pronunciato con il tono e con le parole sbagliate, era la verità che avrebbe portato chiunque a capire di essere nel torto e di avere lati caratteriali errati. Ma nessuno in questo mondo avrebbe ammesso la verità, principalmente davanti ad un ragazzo come lui; tuttavia era troppo sveglio e accorto, uno spettatore neutrale che non si schierava con nessuno, se non con sé stesso.
Era una sorta di dote, quella di Noah.
Quando otteneva i dati precisi su quella determinata persona, non poteva fare a meno di disintegrarla con le parole quando questa provava a sfidarlo direttamente o faceva tendere l'ultimo frammento di pazienza che lo teneva apatico. Da dove questa dote fosse nata, Dave non lo sapeva; Noah non glielo aveva spiegato esplicitamente, ma la sua tendenza ad avere sempre l'ultima parola e a non trattenersi davanti a nessuno gli aveva fatto comprendere questa sua natura: studiava bene chi lo circondava e appena aveva l'occasione, attaccava.

E con lui aveva funzionato, beccandosi lo stesso trattamento di chi lo aveva incrociato prima del suo arrivo alla CIA.

Aveva ragione Noah: aveva pensato solo a sé stesso.
Non aveva considerato come si fosse sentito dopo che aveva vomitato. Non gli aveva chiesto come stava, non gli aveva chiesto se avesse voluto continuare con lui, nonostante Simmons li avesse esonerati.
Lo aveva ignorato e aveva proseguito per la sua strada.
Era stato egoista.
Uno stupido e completo egoista che non sapeva come comportarsi all'infuori del lavoro, con una moglie o con degli amici. Sebbene Noah fosse suo collega, e tra loro non vi era mai stato un rapporto confidenziale, non lo aveva mai trattato come un ragazzo di ventisei anni.
Aveva sbagliato tutto.
E non ammettendolo, gli aveva fatto del male.

________________________________________________________________________________

Angolo autrice:

Perdonate l'attesa! Devo dire che questo capitolo mi ha fatto sudare parecchio. Diciamo che la Terza Parte, in generale, è stata un parto per me: informazioni delicate, rivelazioni, verità, introspettive dei personaggi e litigi che mostrano caratteri da parte di entrambi!

Questa parte è sempre soggetta a revisioni e sono sicura che in futuro cambierà ancora.

Ma veniamo al dunque!
Questo litigio nasconde molto da parte di Dave e Noah.
Lancia briciole su ciò che sono e ciò che nascondono, ma ancora tutto rimane vago, soprattutto frainteso.

Cosa succederà adesso che i nostri due protagonisti sono divisi?
Ci vediamo martedì per l'ultimo capitolo della Terza Parte!
Capitolo 61: Solitudine

Buon weekend!

Continua llegint

You'll Also Like

644K 12.7K 25
Zayn ha messo 'mi piace' alla tua foto. Fakeliampayne: Chi sei?
117K 11.4K 190
Ma siamo veramente sicuri che il dizionario treccani ci dica il vero significato delle parole? Forse per gli adulti si ma non per noi adolescenti. Sc...
202K 15.4K 92
Tutto partì da quello stupido messaggio. Ma nessuno dei due pensava, che, tra sette miliardi di persone, proprio loro si sarebbero innamorati.
2.5K 373 65
Verdiana ha un dono: riesce a prevedere il futuro. Non di tutti, però. Soltanto delle persone che, entro un anno dalla sua visione, sono destinate a...