Come le ali di una farfalla

By kimadder

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Emma Cooper Γ¨ un'adorabile sconclusionata di ventun anni. Affronta la vita vestita di colori pastello e armat... More

Emma e Ollie
Cara G.
1. Il permesso
2. L'incontro
3. Il pugno
4. L'ospedale
5. L'ultima sigaretta
6. La dichiarazione
7. I buoni propositi
8. La panchina
9. Il numero
10. Lo stratagemma
11. La festa
12. Il regalo
13. La rissa
14. Il campo da football
15 - Il sogno
17. La farfalla e il pipistrello
18. La fuga
19. L'ospite
20. La pulizia
21. La ricercata
22. La visita
23. L'approccio
24. La lista
25. La torta di mele
26. La scommessa
27. I pesci
28. I biglietti
29. La (non) sorpresa
30. La proposta
31. Lo scontro
32. La maglietta
33. Il concerto
34. La cena
35. Il film
36. L'onda perfetta
37. Il bacio
38. Il colibrì
39. La clinica
40. L'ostaggio
41. L'avvertimento
42. Il tatuaggio
43. Il regolamento di conti
44. Il consiglio
45. Frammenti di una sera
46. La prima volta
47. Il 𝐺𝑖𝑛 π‘Žπ‘›π‘‘ π»π‘œπ‘
48. La buonanotte
49. Il Principe delle Tenebre
50. Il materasso
51. Le tenebre
52. La gelosia
53. La dedica
54. π˜“'π˜ͺ𝘯π˜ͺ𝘻π˜ͺ𝘰
55. π˜₯𝘦𝘭𝘭𝘒 𝘧π˜ͺ𝘯𝘦
56. La rottura
57. Marzo
58. Aprile
59. π™ΌπšŠπšπšπš’πš˜
60. π™΅πšŠπšπšπš’
61. π™²πš˜πš›πšŠπšπšπš’πš˜
62. Giugno
63. Il matrimonio (1)
64. Il matrimonio (2)
65. La promessa
66. La festa
𝕀𝕝 π•π•šπ•–π•₯𝕠
π•—π•šπ•Ÿπ•–
Come vi ringrazioπŸ©·πŸ¦‹

16 - Gli occhiali

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By kimadder

Ollie

Non ero tornato a studio quel pomeriggio. Dopo l'incontro con Max, era andato a surfare.

Quando surfi da che ne hai memoria, capisci che la vita è scandita da attimi e che, per noi surfisti, può essere racchiusa precisamente nel brivido dell'attimo prima in cui sei in piedi sulla tavola e la consapevolezza dell'attimo dopo in cui sai per certo che stai per cadere in acqua.

Racchiusa in quel momento lasciato in sospeso tra l'aria e l'acqua, tra il tempo e lo spazio, in cui sei consapevole di cosa ti stia per accedere ma ignaro di come andrà a finire.

Imparai a vivere così, imprigionato nella pausa tra quei due attimi infinitesimali per cui valeva la pena continuare a cercare l'onda perfetta.

Iniziai a surfare dopo aver conosciuto Noah, da cui appresi sul surf - e non solo - tutto quello che suo padre gli aveva insegnato.

Non avevo neanche otto anni e Noah, poco più di grande me, era diventato una specie di fratello maggiore per cui avrei dato la mia vita.

Era lui che stavo raggiungendo dopo aver varcato la soglia del Dylan & Dog dove, quella sera, la band sfigata di turno stava suonando la cover di Sweet Morphine.

«Ollie». Mi salutò Noah alzando il boccale di birra.

Presi posto vicino a lui e non ci fu bisogno di dire niente.

«Tutto bene?». Mi domandò mentre l'acuto del cantante sul palco rischiò di mandare in frantumi qualche bicchiere abbandonato sui tavoli.

Mi strofinai il viso con le mani. «Max mi sta addosso. Si è fatto vedere qua?».

«Non penso sia così folle...».

Non solo era folle, era anche pericoloso.

«Ma guarda chi è appena entrata nel locale». Lo sguardo di Noah era rivolto all'entrata del locale. «Una farfalla che ti sbava dietro!».

Mi voltai anche io finché non la vidi entrare nel locale, da sola.

Forse, qualcuno avrebbe dovuto dirle che stonava come un nostro di raso rosa in una scatola di nastro isolante nero. Rosa come quella gonna che indossava e che svolazzava a ogni suo passo, da cui fuoriusciva una canottiera bianca di seta che la faceva sembrare terribilmente fuori posto.

«È una cazzo di piattola!». Mi lamentai voltandomi di nuovo verso Noah.

«Non fare lo stronzo». Mi rimproverò lui mentre si legava i capelli lunghi e neri. «E penso che stia cercando te!».

Sospirai prima di alzarmi diretto al bancone.

«Quella tipa ti sta addosso come una piattola!».

«Ho appena detto la stessa cosa a Noah». Risposi a Sutton che mi aveva raggiunto al bancone. Come sempre, era vestita in un modo che me lo faceva venire duro solo a guardarla.

«Ci vediamo dopo?». Mi domandò mentre si sistemò dietro l'orecchio una ciocca di capelli biondi e arruffati per via dell'umidità che caratterizzava quelle serate estive, rendendoli ancora più eccitanti del solito.

«Dipende». Le risposi dopo aver preso la birra che mi stava passando Finn.

Sutton si fece ancora più vicina, annullando la distanza tra di noi. «Da cosa?».

Mi sporsi verso di lei per parlarle all'orecchio. «Da cosa hai intenzione di fare». Le sussurrai facendola ricoprire di brividi.

Sutton sorrise maliziosa. «Ho in mente diverse cose». La sua mano mi palpeggiò il sedere mentre la sua bocca sfiorò la mia. «Sempre se non hai da fare con la tua farfallina».

Le afferrai la mano che si stava dirigendo verso il mio uccello, togliendola poco delicatamente. «Fottiti, Sutton!». Mi voltai per tornarmene al tavolo.

«A dopo, Ollie!». La sentii ridere mentre guadagnavo distanza tra di noi.

Al tavolo, quel traditore del mio amico era intento a parlare con Emma Cooper, che si era seduta al posto prima occupato da me.

Non appena i suoi occhi grigi si posarono sui miei, le si aprì sul viso un sorriso che brillava di luce propria.

«Ciao, Ollie». Mi salutò con il tono innocente di una bambinetta dell'asilo.

Ricambiai con un cenno del viso, sicuro che non sarei mai riuscito a comprendere l'entusiasmo con cui parlava, sorrideva e respirava.

«Ti ho riportato gli occhiali». Mi disse dopo aver frugato nella borsa da cui fuoriuscirono i miei rayban.

«Ti avevo detto che potevi tenerli».

«Sì, ma non mi sembrava giusto. Grazie ancora, veramente».

Me li passò ma io non li presi. Così, fu costretta ad adagiarli sul tavolo.

«Non bevi, ragazza farfalla?». Le chiese Noah.

«No. Sono astemia».

Dopo aver strabuzzato gli occhi sbigottito, Noah rischiò di strozzarsi con la birra che stava bevendo.

Emma increspò le labbra per evitare di ridere davanti ai suoi colpi di tosse. «Ci ho provato ma non mi piace proprio». Si giustificò alzando le spalle. «La birra sa di pipì. Non che abbia mai assaggiato la pipì ovviamente, ma, se mi chiedessero di immaginarmi il sapore della pipì, allora sarebbe proprio quella della birra. Per quanto riguarda i superalcolici, invece, solo l'odore mi dà fastidio. Sembra sempre che mi si brucino i peli del naso».

Lo sbigottimento di prima era niente in confronto a quello che manifestò Noah davanti al suo straparlare.

«Sei nel posto giusto, allora». Commentò sarcastico ma Emma non sembrò curarsi dei suoi sfottò. O forse non se ne era resa conto. Lei continuava a vivere beata nel suo mondo di ovatta rosa.

«Non ero mai entrata qui dentro». Ammise rivolgendo lo sguardo ovunque le fosse possibile. «Il Dylan & Dog... Ne avevo sentito parlare ma non ci avevo mai messo piede. È esattamente come me lo hanno sempre descritto».

La sua voce che vibrava di eccitazione la faceva sembrare la versione strafatta di Alice del Paese delle Meraviglie. Ma Noah non era lo Stregatto, proprio come io non potevo essere il Bianconiglio.

«Avremmo tutti continuato a fare a meno della tua presenza». Commentai acido e Noah mi diede un calcio sotto al tavolo.

Emma ignorò la mia provocazione e proseguì a bombardarci con il suo straparlare. «Voi lo sapete che c'è una sorta di faida tra la parte nord e la parte sud della città?».

Sì, lo sapevamo bene. Specialmente Noah. Per questo nessuno dei sue rispose ma lei non si perse d'animo.

«Vi ritrovate qua tutte le sere?»

«Sì, più o meno. O da Ollie. E tu cosa fai la sera di solito? Cavalchi unicorni dopo aver cenato con Pollyanna?».

«Mi stai prendendo in giro?». Domandò Emma dopo la breve pausa che si prese per riflettere sulla domanda di Noah.

«Vorrei, ragazza farfalla, ma sei troppo dolce. Non ci riesco. Allora? Come passi le tue serate?».

Emma strizzò gli occhi per riflettere. «Non faccio granché, a dirla tutta. Fino a poco tempo fa neanche potevo uscire di casa. Mia madre è un tipo abbastanza protettivo. E come darle torto visto che l'unica volta che sono andata a una festa ho preso un pugno in faccia e la mia pelle si è staccata dal viso neanche fosse una fetta di prosciutto su un'affettatrice. Invece, la seconda volta, ho fatto quasi a botte con una ragazza perché stavo toccando il pene del suo ragazzo!». Appena pronunciò quella parola, due rossi incendiarono le sue guance. Mi guardò di sottecchi mentre ridacchiava imbarazzata. «Non l'ho fatto apposta, comunque. Non ho mai toccato un pene in vita mia, figuratevi se inizio con quello di uno sconosciuto!».

Noah scoppiò a ridere mentre io pensai solo a quanto amasse mettersi in ridicolo quella ragazzina.

«Sei un tipo a posto, farfallina! Sto andando a prendere un'altra birra, vuoi qualcosa di analcolico?».

Davanti a quella proposta che avrebbe allungato i tempi di permanenza di Emma Cooper al nostro tavolo, guardai male Noah.

Non riuscivo a capire perché si stesse comportando in modo così gentile con la tipa che non smetteva di tormentarmi da quando aveva deciso di beccarsi un pugno al posto mio a quella maledetta festa.

Emma accettò la sua offerta ringraziando con un sorriso delle proporzioni della faglia di San Andreas e poi, quando Noah sparì, si sedette vicino a me, costringendomi a iniziare a respirare con la bocca per evitare di essere anestetizzato dal suo profumo, lo stesso che mi aveva costretto a lavare la maglietta.

«Tutto bene?»

Ignorai la sua domanda bevendo un altro sorso di birra.

La considerazione della quale non la stavo degnando non la fece arrendere.

«Sembri contrariato. Ti è successo qualcosa?»

Mi voltai per trafiggerla con i miei occhi che, quando volevo, sapevano essere più minacciosi del solito. «Sto solo cercando di capire per quale cazzo di motivo mi stai dando il tormento».

Emma sussultò e ogni traccia di sorriso sparì dal suo volto. «Io, ehm, scusa se ti ho dato questa impressione. Non voglio darti il tormento. Volevo solo restituirti gli occhiali. Inoltre, quella volta all'ospedale avevamo detto che ci saremmo rivisti».

«Io non ti ho detto proprio niente!». Le risposi sprezzante, ricacciando dentro il senso di colpa per stare a trattarla in quel modo.

Emma distolse lo sguardo dal mio e si sistemò la matassa di capelli che le ricadeva fino ai fianchi con un gesto che sembrava voler dissimulare il disagio in cui la stavo mettendo.

«Vuoi che me ne vada?».

Il tono innocente con cui me lo chiese avrebbe dovuto farmi dare una calmata. Ma il breve incontro avuto con Max aveva messo a dura prova la calma in cui mi ero rifugiato in quegli anni per evitare di andare alla deriva. Soprattutto perché averla vicino a me voleva dire metterla in pericolo.

«Sì». Pronunciai quella parola con tutta la convinzione di cui ero capace.

Emma ci rimase male ma cercò di non dare a vederlo. «Okay... Allora, bevo il drink che mi sta prendendo Noah e...».

La interruppi bruscamente. «Se non te ne vai tu, me ne vado io».

«No, Ollie».

La sua mano che si posò sfacciatamente sulla mia non venne ritratta neanche quando il mio sguardo si fece più minaccioso.

Guardai la sue dita posate delicatamente sul dorso della mia mano. La sua pelle era fredda tanto quanto rovinata, delicata quanto sfregiata.

Mi sporsi verso di lei per avvicinarmi e sprofondare il naso in quella matassa setosa dei suoi capelli.

Le mie labbra che sfiorarono le cartilagine del suo orecchio riuscirono dove il mio sguardo minaccioso fallì: Emma ritrasse la mano visibilmente turbata.

«Devi lasciarmi stare. Chiaro? Sei una cazzo di piattola e non ti scopo neanche a pagamento».

Cercai di non soffermarmi sul profumo dei suoi capelli, mentre le sussurravo quelle brutte parole. Odoravano di pulito, il genere di pulito di quando sei bambino e sei appena uscito dalla doccia pronto a essere avvolto nel pigiama che profuma di ammorbidente e di mamma. Il genere di pulito che solo i bambini possono permettersi.

Emma era pietrificata e io mi alzai bruscamente deciso ad allontanarmi da lei e dal suo maledetto profumo.

Fosse stata la volta buona che Emma Cooper avesse compreso che doveva starmi lontana, a qualsiasi costo?

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