Come le ali di una farfalla

By kimadder

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Emma Cooper Γ¨ un'adorabile sconclusionata di ventun anni. Affronta la vita vestita di colori pastello e armat... More

Emma e Ollie
Cara G.
1. Il permesso
2. L'incontro
3. Il pugno
5. L'ultima sigaretta
6. La dichiarazione
7. I buoni propositi
8. La panchina
9. Il numero
10. Lo stratagemma
11. La festa
12. Il regalo
13. La rissa
14. Il campo da football
15 - Il sogno
16 - Gli occhiali
17. La farfalla e il pipistrello
18. La fuga
19. L'ospite
20. La pulizia
21. La ricercata
22. La visita
23. L'approccio
24. La lista
25. La torta di mele
26. La scommessa
27. I pesci
28. I biglietti
29. La (non) sorpresa
30. La proposta
31. Lo scontro
32. La maglietta
33. Il concerto
34. La cena
35. Il film
36. L'onda perfetta
37. Il bacio
38. Il colibrì
39. La clinica
40. L'ostaggio
41. L'avvertimento
42. Il tatuaggio
43. Il regolamento di conti
44. Il consiglio
45. Frammenti di una sera
46. La prima volta
47. Il 𝐺𝑖𝑛 π‘Žπ‘›π‘‘ π»π‘œπ‘
48. La buonanotte
49. Il Principe delle Tenebre
50. Il materasso
51. Le tenebre
52. La gelosia
53. La dedica
54. π˜“'π˜ͺ𝘯π˜ͺ𝘻π˜ͺ𝘰
55. π˜₯𝘦𝘭𝘭𝘒 𝘧π˜ͺ𝘯𝘦
56. La rottura
57. Marzo
58. Aprile
59. π™ΌπšŠπšπšπš’πš˜
60. π™΅πšŠπšπšπš’
61. π™²πš˜πš›πšŠπšπšπš’πš˜
62. Giugno
63. Il matrimonio (1)
64. Il matrimonio (2)
65. La promessa
66. La festa
𝕀𝕝 π•π•šπ•–π•₯𝕠
π•—π•šπ•Ÿπ•–
Come vi ringrazioπŸ©·πŸ¦‹

4. L'ospedale

943 60 18
By kimadder

Emma

Mia madre era Sara Conti Cooper. Mio personale carceriere e celerino da quando avevo esalato il mio primo respiro.

Successe un giorno qualunque di gennaio in cui l'umidità avrebbe messo a dura prova anche il capello più liscio in circolazione. Nacqui in una delle migliori cliniche private di Los Angeles, ma non feci in tempo a godere dei privilegi riservati a una neonata benestante che fui subito trasferita nel reparto di dermatologia, dietro la porta delle malattie genetiche rare.

Il quindici gennaio fu il giorno in cui la mia vita iniziò e quella di mia madre cessò.

Fu lei la prima a raggiungermi, quella sera.

Non ricordavo come ero finita nel retro dell'ambulanza che aveva chiamato Shinhai, come mi avrebbero poi raccontato. Non ricordavo nulla del tragitto. Amnesia da evento traumatico, mi spiegò la Dottoressa Simons durante la mia convalescenza.

Forse, custodivo un vago ricordo del paramedico che mi diceva che dovevo stare calma. Ma era un viso sfocato. Non riuscivo a vedere niente: a sinistra sprofondavo nel buio, a destra sprofondavo sott'acqua.

A mia madre diedero il permesso di fare irruzione nella mia stanza solo dopo avermi visitato, medicato, e quando la situazione era migliorata. Migliorata nel senso che a sinistra c'erano ancora il buio e un terribile drenaggio che aspirava il sangue dal mio occhio, e a destra potevo godere nuovamente di quel bianco magico.

Era finita all'ospedale, ancora.

Quando arrivarono anche mio padre e Tamara, ebbi la conferma di essere finita in un mare di guai. Mio padre dovette portare fuori dalla stanza mia madre perché non riusciva a smettere di urlare come una pazza, tanto da riuscire ad attirare la curiosità degli infermieri dei reparti adiacenti.

Non fecero ritorno per un bel po' di tempo e per un istante mi chiesi se non l'avrei ritrovata legata a un letto, stesa, tramortita da una generosa dose di calmanti e psicofarmaci.

«Oh, porca puttana!». Esordì Shinhai appena entrò nella mia stanza.

Davis, dietro di lei, era più bianco di un lenzuolo lavato con sapone di Marsiglia e candeggina da mia nonna.

Si erano ormai fatte le due di notte e la morfina stava facendo effetto.

«Non è grave come sembra!». Cercai di tranquillizzarli con un sorriso rassicurante ma avevo la parte sinistra del viso anestetizzata. Ed era la verità, poteva andare molto peggio. Almeno ero viva.

«Ah, no? Hai un'occhio iniettato di sangue. Sembra l'occhio demoniaco dei conigli bianchi. Uno di quelli che un mago psicopatico tira fuori dal cilindro degli orrori!».

Shinhai si piazzò alla mia sinistra. Glielo leggevo in faccia che si sentiva in colpa. Davis, accanto a lei, sembrava non avere il coraggio di proferire parola.

«Che aspetto ho?». Chiesi, anche se temevo la risposta.

Doc Simons mi aveva suggerito non guardarmi allo specchio almeno per un po' di giorni.

«Vuoi la verità?».

Annuii. «La verità nuda e cruda!».

Shinnai e Davis si scambiarono uno sguardo tutt'altro che rassicurante. Poi, fu Shinhai a sputarmi addosso la verità nuda e cruda.

«È come se Vecna e Voldemort avessero dato alla luce un bambino e si fossero impegnati a far convergere nel suo DNA tutti i tratti più orripilanti di ognuno di loro».

Sgranai l'unico occhio che potevo usare e mi portai una mano alla bocca inorridita. «Sono un mostro, quindi?».

«No». Sbottò Shihnai posando una mano sopra la mia. «Non lo dire ad alta voce. Il mostro di Frankenstein potrebbe offendersi».

«Descrivetemi!». Ordinai loro.

Dopo essersi grattata la testa, Shinhai fece un bel respiro. «Il tuo occhio sinistro sembra imploso. La tua iride grigia naviga in un mare di rosso. Sembra un girone infernale dantesco. Hai una specie di maschera, che in confronto quella di Ferro sembra l'accessorio ideale per andare a fare una passeggiata per i giardini regali di Versailles. Un tubo che drena il sangue ti esce dall'angolo...». Si interruppe non più convinta di quel racconto dell'orrore.

«Continua». Sussurrai sotto shock.

«Abbiamo sentito che ti si è staccata la pelle intorno all'occhio. Quindi sotto questa...». Mi indicò non sapendo come chiamare l'oscenità che avevo in volto. «Hai la medicazione per risanare tutti gli strati di pelle che hai perso».

«M-ma hai detto che non è grave come sembra. Giusto?». Balbettò Davis nel disperato tentativo di mettere una toppa sopra il buco dell'Ozono.

«Al momento non vedo da quest'occhio». Mi indicai l'occhio sinistro con l'indice tremante. «E dall'altro vedo sfocato, a tratti. Ma Doc dice che dovrei tornare a vedere...».

«Dovresti?». Shinhai mi interruppe e sollevò il sopracciglio destro così tanto da formare un angolo di quarantacinque gradi.

«Cavolo, Emma». Sospirò Davis. «Ecco quello che succede quando cerchi di parlare con il ragazzo che ti piace».

Con la poca forza che mi era rimasta, diedi un colpetto al braccio di Davis. «Shhh! Sei pazzo? I miei sono qua fuori».

Shinhai iniziò a scuotere la testa. «Sapevo che dovevo dare retta al delfino gravido e incazzato e non farti andare a quella maledetta festa. La prossima volta ti incateno con le manette, porca put...».

L'imprecazione della mia amica fu interrotta dall'entrata dei miei. Avevano una faccia appesa, degna di quella che tutti noi faremo al funerale di Johnny Deep.

Per quanto la situazione era grave, Shinhai non sorrise come una quattordicenne in piena tempesta ormonale quando vide mio padre.

«Come stai, ranocchia?». Mi domandò mio padre dopo essersi piazzato accanto a me, mentre mia madre continuava a sclerare circondata da Doc Simons e altri medici.

Li sentivo parlare di nervo ottico, bendaggi e tante altre parole che non avevo voglia di sentire.

«Bene». Mentii. Mio padre aveva l'aria stanca e io non me la sentivo di aggravare la situazione dicendo la verità. «Dovete dare un tranquillamente a mamma».

«Anche due». Convenne lui mentre mi stringeva la mano tra le sue.

Cercai di sorridere come meglio potevo, ma ogni tentativo morì sulle labbra non appena vidi il suo viso.

«Oh, mio dio». Fu tutto quello che riuscii a sibilare.

Al sussurro delle mie parole, tutti si voltarono verso Ollie che era appena entrato nella stanza con Penelope accanto.

Entrambi, sotto gli sguardi inquisitori e confusi di tutti, si piazzarono ai piedi del mio letto.

Ollie si passò una mano tra i capelli mentre mi osservava con sguardo vacuo.

Era finita nel mio peggior incubo: la seconda volta che gli occhi di Ollie si posavano su di me, io ero stesa su un letto di ospedale con l'occhio esploso e le sembianze di un sottoprodotto demoniaco.

Penelope indicò la mia faccia tumefatta. Sembrava essere sotto shock più di me. «Quello è colpa di mio fratello?». Domandò con voce tremante.

L'incubo si era appena aggravato.

Sentii il ringhio di mia madre levarsi e tramortire tutti i presenti nella stanza. «Questo è il ragazzo che ti ha dato un pugno?». Urlò e non mi diede possibilità di rispondere perché si voltò minacciosa verso Ollie. «Hai due secondi per sparire dalla mia vista prima che te lo dia io un pugno».

Mio padre le bloccò il braccio. «Sara, calmati, per favore».

Avrei voluto spiegarle che no, non era stato lui ma anche io ero sotto shock nel vederlo lì, di fronte a me, bello come non mai.

Ollie non fece niente per discolparsi e Penelope sembrava aver rimosso ogni filtro bocca-cervello. «Ollie, cavolo, non ti sei regolato questa volta».

Lei stava dando di matto, mentre lui rimaneva apparentemente calmo, in piedi, con gli occhi fissi su di me.

Lo shock lasciò presto il posto alla vergogna. Avrei voluto sprofondare nel materasso perché io ero l'incrocio tra Vecna e Voldemort e lui mi stava fissando come se fossi un alieno orrendo uscito dal peggior film spazzatura fantascientifico.

«Secondo me, se mettiamo un po' di fondotinta coprente, potrai andrai in giro presto». Cercò di rassicurarmi Shinhai mostrandomi la pagina internet di un fondotinta ultracoprente che riusciva a coprire anche i tatuaggi più estremi.

Mia madre, invece, continuava a dare di matto con accanto mio padre che cercava di calmarla. Stava insultando Ollie, pesantemente, dando sfoggio dei peggiori insulti che le venivano in mente.

«Calmarmi? Io lo ammazzo e non mi frega neanche delle conseguenze».

Avrei voluto piangere e, sebbene non avessi mai pianto in vita mia, quella sera sentii di poterci riuscire.

E così fu, ma non ne fui certa finché la mano di Penelope si sollevò per indicarmi.

«Stai piangendo sangue». Sussurrò terrorizzata.

Subito mi toccai il volto.

Oh. Santa. Polenta!

Era sangue veramente.

Mi voltai verso la mia unica salvezza, che stava osservando la scena dietro le spalle dei miei amici, scioccati anche loro per via del sangue che sgorgava dal mio occhio.

«Doc, la prego». La supplicai con un filo di voce facendo appello al potere che solo lei deteneva di porre fine a quel supplizio.

Nel frattempo, mia madre continuava a urlare come un cane rabbioso. «Sei ancora qua? Io, fossi in te, mi cercherei un buon avvocato».

Doc si schiarì la gola e provò a calmare gli animi. «Okay...».

Ma niente, mia madre era inarrestabile.

«Sara, ti prego, non qua!». La voce supplicante di mio padre non riusciva a sovrastare le urla di mia madre.

«Okay». Ripetè Doc con tono più autorevole ma il suo tentativo fece la stessa fine di quello di mio padre.

Anche Shinhai tenne a farmi sapere che stavo sgorgando sangue neanche fossi la tredicesima piaga d'Egitto.

«Emma, stai veramente piangendo sangue». Mi passò un fazzoletto, ma non sarebbe bastato neanche il velo da sposa della Principessa Sissi per asciugare le lacrime.

Nel breve istante in cui il coraggio tornò a farmi visita, deviai l'occhio buono in direzione di Ollie.

Mi stava ancora guardando.

La vergogna mi stava togliendo il respiro.

«Okay, basta! TUTTI. QUANTI. STATE. ZITTI!». All'urlo autoritario della dottoressa, tutti sprofondarono in un silenzio tombale.

Mi asciugai la lacrima macchiando il fazzoletto di rosso.

Doc si schiarì la gola, questa volta in modo più minaccioso per evitare che qualcuno si azzardasse a proferire parola. «Okay, macho.». Si voltò verso Ollie. «Togliti dalla faccia quell'espressione perché non sei così forte da ridurla così con un pugno. Voglio direi: sei stato tu a ridurla così ma non perché sei Iron Man. Emma soffre di una malattia molto rara, che intacca il normale funzionamento dei tessuti epiteliali. Questo vuol dire che anche un pizzicotto le lascerebbe il segno. Il tuo pugno le ha fatto scoppiare i capillari per questo sgorga sangue neanche la The Palm di Dubai. Momentaneamente, è danneggiato anche il nervo ottico».

«Motivo per cui la prima cosa che faremo domani mattina è denunciarti». Sottolineò violentemente mia madre.

«Mamma, no!». La supplicai ma non mi degnò di considerazione.

«Sara, smettila!». Questa volta anche il tono di mio padre fu più autoritario.

Mia madre strabuzzò gli occhi fuori di sé. «Smetterla? Questo avanzo di galera ha quasi ucciso nostra figlia».

«Non è stato lui!». Urlai con la poca forza fisica e mentale che mi era rimasta. Poi, guardai di sottecchi Ollie. Non si era mosso di una virgola.

«Io mi sono messa in mezzo!» Confessai sommessamente.

Mia madre passò dalla sorpresa alla rabbia in due secondi. «Ti sei messa in mezzo?». Il suo rantolo era anche più spaventoso di tutti gli insulti di cui era stata capace quella sera.

Penelope si ridestò dal trauma e cercò di spiegare. «Uno stronzo stava per assestare un pugno a mio fratello mentre lui era girato...».

Mia madre la interruppe, rivolgendosi a me. «E tu hai pensato bene di metterti in mezzo?».

Mi sistemai nervosamente nel letto. Mi faceva male ogni singolo muscolo del corpo. «Mamma, ti prego...».

«Emma, ma ti rendi conto? Perché ti sei messa in mezzo?».

Non provai neanche a spiegarlo, non avrebbe mai capito.

Doc riprese la parola, anche lei si era fatta severa in volto. «Emma, hai rischiato grosso. Lo sai benissimo che non puoi fare tutto quello che ti passa per la testa. Devi stare attenta».

«Ma ormai sono quasi normale...».

«Sì, ma sei comunque più fragile delle altre persone. Per dirla come piace alla tua amica: non ti sbucci più come una cipolla ma devi fare molta attenzione».

Sospirai e provai ad accennare un sorriso. «Lo so, avete ragione. Scusate».

Mia madre si strofinò il viso con le mani ed ebbe la compiacenza di non aggiungere altro, mentre mio padre stava guardando Ollie. Io, invece, non avevo il coraggio di farlo, così abbassai gli occhi e iniziai a studiare la pelle delle mie mani.

Ormai ero così abituata da non farci più caso, al contrario del resto del mondo. Era depigmentata come quella delle braccia e portava le cicatrici mancate di tutte le volte che mi ero sbucciata proprio come una cipolla.

Mi vergognai al pensiero che anche Ollie l'avesse vista.

«Okay. Ora tutti fuori. Ha bisogno di riposarsi! Forza, via...». Sentenziò Doc cacciando tutti dalla stanza.

Quando tutti furono usciti, mi lasciai andare a un sospiro rassegnato.

«È quello il ragazzo che ti piace?». Mi chiese Doc dopo aver richiuso la porta alle sue spalle.

«Sì».

La Dottoressa Simons seguiva il mio caso da quando ne avevo memoria. Più che una dottoressa, la consideravo una sorta di Fata Madrina che si aggirava per i corridoi del reparto di dermatologia a fare le sue magie.

La migliore che le riuscì fu la terapia genica a cui mi sottoposi pochi anni prima e che mi permise di iniziare a vivere una vita relativamente normale.

Doc inarcò le sopracciglia. «Hai dei gusti molto particolari, sai. Siete diversi come il latte e il caffè».

«Lo dice perché io sono bianca come il latte, dato che non posso prendere il sole, mentre lui è il tipico surfista mozzafiato californiano abbronzato?».

Doc si fermò a riflettere con la lingua che faceva capolino dalle labbra scure. «Non intendevo quello, ma vista così ha molto più senso!».

Feci spallucce sconfitta. «Tanto non ho nessuna speranza. Oggi ho provato a parlargli e mi sono beccata un pugno in faccia». Alzai lo sguardo, pronta a beccarmi un'occhiataccia ma Doc mi stava guardando divertita.

«Quanto è stata catastrofico da uno a dieci?». Le chiesi. Lei aveva l'occhio clinico e io ne avrei approfittato per sapere la profondità della buca che avrei dovuto scavare.

«Vuoi veramente che te lo dica?».

«Sì, Doc! La prego».

Doc si strinse nella spalle. «Tanto. Si atteggia a duro e non lo darà mai a vedere ma era terrorizzato».

Doc mi aveva appena dato la conferma che, se prima non avevo speranze, ora ne avevo anche meno di zero!

Il problema del funzionamento zoppicante e malsano del mio corpo era che, anche dopo questa figuraccia di proporzioni colossali, io non mi sarei comunque arresa.

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