La Nuova Generazione // I più...

By Philo_Sophia08

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Crossover Percy Jackson/ La Ragazza Drago/ Il Mondo Emerso ATTENZIONE: CI SARANNO SPOILER SU TUTTE E TRE LE S... More

La Nuova Generazione: Descrizione
Parte 1. Lo Scorso Portale
Strani Istinti Di Battaglia ~ Percy
Una Nuova Spada ~ Sofia
Se Scappare Non Serve ~ Asley
NON È UN CAPITOLO
Occhi Verdi, Capelli Rossi ~ Fabio
Fulmini A Ciel Sereno ~ Annabeth
Il Vecchio Del Monte ~ Gym
Chi Qui Si È Allenato ~ Percy
Parte 2. La Nuova Notte
Guidare ~ prof Schlafen
Tsunami ~ Piper
Tempo Di Luce ~ Nico
Lo Scambio Di Anime ~ Leo
L'Erede ~ Fabio
L'Erede, Parte 2 ~ Fabio
A Un Passo Dalla Fine ~ Frazel
La Figlia Di Atena ~ Karl
Corpo Di Bronzo, Mente Di Vetro ~ Percy

Marea Nera ~ Will

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By Philo_Sophia08

Io e la puntualità nelle pubblicazioni siamo due entità distinte e separate. Però dai, anche se ci ho messo solo tre mesi e quasi tutte le vacanze di Natale, qualcosa per intasarvi le notifiche sono riucita a buttarla giù.
Ora mi dispiace, ma ho una certa quarta puntata uscita ieri di una certa serie TV da vedere. Vi lascio alla lettura!

Non li avevo mai visti insieme. O almeno, non da soli.

Eppure eccoli lì. In piedi, vicini.

E non stavano cercando di uccidersi.

Nel buio della notte, priva di stelle, i miei occhi non percepivano altro che due figure d’ombra sullo sfondo di un mare d’ombra, entrambe girate di spalle. Paradossalmente, l’elemento più facilmente distinguibile era la spada nera che uno dei due portava appesa dietro la schiena. La parte della lama che usciva dal fodero riusciva ad essere perfino più scura della notte.

Sembrava volermi avvertire di stare lontano, perché nemmeno tutta la luce che avevo nell’anima sarebbe bastata ad illuminare quell’ombra senza fine.

E così io mi tenevo lontano. Nascosto all’ombra di un edificio, tentavo di ascoltare i loro respiri coperti dallo sciabordio dell’acqua nera che si infrangeva lungo la spiaggia. Era strano: di solito qualche rumore c’era sempre. Eravamo al Campo Mezzosangue, dopotutto. Che fosse un ritardatario, o qualcuno che decideva di farsi una passeggiatina notturna in barba alle regole, o uno spirito della natura affetto da sonnambulismo, o un’arpia delle pulizie, c’era sempre qualche altro suono a rompere il silenzio. Quella notte no; quella notte, c’era solo il mare ad impedirmi di percepire ogni respiro di quel ragazzo che osservavo, poco distante, mentre fissava l’orizzonte. C’era solo il mare, tra me e i suoi pensieri; e quel rumore di acqua che si afflosciava pigramente sulla riva stava diventando assordante, man mano che il tempo passava.

Non so dire se passarono secondi, minuti o ore, prima che il mormorio lento dell’acqua si condensasse in una voce, altrettanto lieve, come se avesse paura di farsi sentire. Era la voce della seconda figura, quella più alta, che si stagliava su quella landa d’acqua quasi ne fosse il padrone assoluto.

- Perché sei venuto qui, Nico? – potei sentire distintamente il battito del cuore dell’altro, mentre si preparava a rispondere. Due, tre, cinque battiti, come se lo stessi ascoltando con lo stetoscopio. Quando si decise a parlare, la voce di Nico parve scendere dal cielo, dalla notte stessa che incombeva su di loro, oscura e senza luna.

- Dovevo parlarti. –

Parole schiette, fredde. Eppure tremolanti, incerte, per chi avesse ascoltato davvero.
Passò un’altra manciata di secondi, senza che venisse proferita parola. Eppure, anche senza rumori, si cominciava a intuire la tensione elettrica che si stava generando tra i due.

Alla fine, intervenne di nuovo la figura alta. – Stai… cercando di comunicarmi tutto telepaticamente? Perché non funziona. –

Nico sbuffò, ma c’era una nota divertita in quel piccolo suono. Davvero bastava così poco per sdrammatizzare e farlo ridere?

- Piantala – intimò, come se lo sbuffare non fosse stato sufficiente. – Io… io dovevo solo… ecco… - ora il tremolio della voce si intuiva a chilometri di distanza. Il ragazzo fece un respiro profondo, e continuò d’un fiato: - … Dovevo solo chiederti scusa. –

Altri istanti di silenzio imbarazzato.

- Per… scusa per cosa, Di Angelo? – fece il ragazzo alto, un tantino incerto. Lo immaginai che inarcava un sopracciglio.

- Per tutto – se ne uscì l’altro. – Perché ti ho visto in difficoltà, quando eri all’altro Campo, e ti ho lasciato solo. Perché ti ho trattato male per tutti questi anni, con la scusa di una rabbia che non ti meritavi. Perché non sono riuscito ad aiutarti, in nessun modo, mentre cadevi nel… -
La voce gli si strozzò del tutto.

Questa volta, la figura alta non ebbe fretta di ribattere. Rimase per un po’ così, a fissare il buio davanti a sé. Potevo sentire Nico fremere, il cuore che gli correva all’impazzata nel petto. 

- D’accordo. – se ne uscì all’improvviso.

- Cosa?! – Nico quasi sobbalzò, sentendo quella voce limpida come il mare che tornava alla carica.

- D’accordo. – ribadì l’altro, annuendo. – Mi hai chiesto di scusarti, scusandoti con delle scuse, così ti se scusato, e io ti scuso. Considerati scusato. – In qualche modo, mi accorsi che stava sorridendo.

- Cos… - iniziò a replicare Nico. Poi capì, e decise di stare al gioco. – Scusami?! Era così semplice scusarmi? –

Ridacchiarono. Entrambi. Anche Nico.

- Certo che sei proprio un idiota. – scosse la testa in direzione del ragazzo più alto.

- E che, non lo sapevi? – replicò quello. Poi sospirò, forse per soffocare il fantasma della risata che ancora accompagnava la sua voce. – No, sul serio. Sono contento che tu abbia voluto scusarti. – cercò di soffocare un risolino che stava per intervenire sull’ultima parola. Proprio non ce la faceva, ad essere serio. – E comunque, non ce n’era davvero bisogno. Ti avevo già perdonato tutto. –

Immaginai Nico che aggrottava le sopracciglia, ma di poco, in modo quasi delicato, come faceva quando era confuso. Per la prima volta si girò, rispetto a me di profilo, e all’improvviso mi sembrò che ogni colore diventasse più vivido. Potei distinguere i suoi capelli nerissimi, ormai tanto lunghi da nascondere le orecchie, che incorniciavano il volto troppo spesso segnato da occhiaie. Vidi il giubbotto da aviatore, l’unico e solo; vidi la mano che stringeva l’orlo della giacca, e l’anello d’oro che brillava al dito.

L’altra figura parlò di nuovo, prima di girarsi. – È impossibile non perdonarti le cavolate che fai, Nico. Perché ne fai, sì, ne fai. –

Poi si voltò. Un occhio verde mare brillò vivissimo nel mio campo visivo, come se il volto del figlio del Mare preferisse non rispondere alle leggi della natura, ma emanare un bagliore proprio. Bagliore, non luce. La luce avrebbe fatto risplendere la figura di Nico; quel bagliore ne evidenziava ancora di più le ombre. 

- Ne fai. – replicò Percy. – Ma, per qualche strano motivo, non riesco mai a rimanere arrabbiato con te. –

Poi si chinò. Nico rimase immobile, tra l’estasi e la paura.

Il mare dietro di loro sembrò alzarsi, sempre di più, in un’onda devastante, fino a toccare il cielo notturno. E il cielo accolse il mare, come se non stesse aspettando altro da un’eternità.
Nico e Percy si baciarono.

Urlai.

L’onda crollò e devastò tutto, disintegrando il mio incubo come un masso scagliato su una lastra di vetro.

--

Quando mi svegliai, l’acqua non se n’era andata.

Sentivo il gelo che mi pungeva le ossa. Tutto intorno a me era nero pece, e la pressione mi faceva fischiare le orecchie.

Oh, altro dettaglio importante: non stavo respirando.

In automatico, aprii la bocca e inghiottii, ma tutto ciò che ne ricavai fu una bella boccata d’acqua salata nei polmoni. Mi contorsi, tossendo, e inghiottendo sempre più acqua contro la mia volontà; non avevo idea di dove dirigermi per uscire in superficie. Non distinguevo l’alto dal basso. Per quanto ne sapevo, poteva anche non esserci, una superficie: magari mi trovavo nel mio inferno personale, un mare gelido e infinito in cui Ade mi aveva rinchiuso per punirmi di colpe di cui non avevo più memoria…

No, no, mi dissi. Sei vivo! Sei ancora vivo, e lo sai! Puoi farcela!

Ma era difficile ascoltare quell’angolino della mente, che ragionava sempre in positivo, quando tutto il resto delle mie cellule non faceva che gridare: “Aria! Aria!”

Cominciai a muovermi scompostamente, spinto da panico e da quella disperata ricerca di qualcosa che fosse respirabile. L’agonia sembrò durare ore, anche se una piccola parte della coscienza mi sussurrava che non doveva trattarsi che di pochi istanti.

Poi, lentamente, smise di fare male. Le braccia e le gambe non più rispondevano ai miei comandi, e in parte neanche il cervello e i pensieri. Tutto cominciò a sfumare, passando dal nero ad un bagliore confuso, tiepido. Poi, davanti a me cominciarono a formarsi delle immagini vivide: c’era mio fratello, Michael, morto durante la battaglia di Manhattan, che mi tendeva la mano. C’era mia madre che mi salutava da lontano; c’era mio padre che, finalmente, dopo una vita, si degnava di regalarmi un sorriso.

E poi apparve lui. Nico. C’era chi diceva che fosse troppo magro, chi diceva che il suo aspetto facesse paura; in quel momento, mi chiesi cosa quelle persone avessero al posto degli occhi. I suoi capelli fluttuavano agili nell’acqua scura, contro ogni corrente; il suo volto sembrava fatto di marmo bianco, come quello di una statua greca. I suoi occhi profondi mi trapassavano come lame, mandandomi un brivido lungo la schiena, del quale però avevo imparato a non avere paura. Era la visione più bella in cui potessi sperare.

Fu Nico a tendermi una mano. Era un po’ lontano, ma io usai quell’ultimo barlume di coscienza che mi era rimasto, e allungai il braccio.

Le sue dita si chiusero lentamente attorno al mio polso, mentre io mi aggrappavo al suo.
E poi sentii uno strattone verso l’alto talmente forte che pensai mi si sarebbe staccata la mano, portandosi pure parte dell’avambraccio.

L’acqua mi strattonò i vestiti, ma la velocità con cui la attraversavo era maggiore di qualsiasi forza. In poco meno di un secondo, la pressione passò da cento a zero; mi si sturarono le orecchie, e l’aria gelida sembrò una benedizione accogliente.

Solo che ancora non riuscivo a respirare.

Ero a malapena cosciente, ma sentii una superficie dura dietro alla schiena e qualcosa che mi premeva il petto. L’acqua però non voleva saperne di uscire: sembrava essersi annodata in profondità nel mio corpo, con l’intenzione di restare lì in pianta stabile e magari mettere su famiglia.

Fu Nico a procedere allo sfratto. Senza preavviso, sentii sulla bocca una pressione calda, piena di vita, con un retrogusto che mi ricordava un po’ la salsa dei panini del McDonald. Qualcosa si sbloccò nel mio petto; quando le sue labbra si staccarono dalle mie, mi girai su un fianco e buttai fuori l’acqua salata. Il primo respiro fu una vera e propria rinascita.

Assaporai l’aria gelida un altro istante, prima di ricadere sulla schiena, ancora senza fiato. Con la testa pesante e lo sguardo appannato, fissai il cielo notturno, così diverso da quello del sogno di poco prima: un tappeto di stelle si spandeva sulla superficie nera, mentre la luna, quasi esattamente sopra la mia testa, brillava debole, rassicurante, come una sorella amorevole, ma eterea e irraggiungibile. O una zia, nel mio caso.

Mentre cercavo di regolarizzare il respiro, davanti a quello spettacolo celeste si parò un altro spettacolo, ma molto più terreno e decisamente più imbarazzato: Nico mi fissava, il respiro affannato, i capelli zuppi che mi gocciolavano sul viso e le guance totalmente rosse.
- Will… - la sua voce suonava rauca. – Mi… mi senti? –

In qualche modo, riuscii ad imbastire un sorriso. – Hai ascoltato le lezioni che ti ho…-

“Dato”. “Che ti ho dato”, avrei voluto dire, ricordando tutte le volte che gli avevo spiegato i vari modi per rianimare qualcuno che sta soffocando. Ma l’ultima parola fu portata via da un accesso di tosse.

Forse in automatico, Nico mi si avvicinò ancora e cercò di tenermi girato su un fianco, perché non soffocassi; quando smisi di tossire, mi accorsi di avere la testa posata sulle sue ginocchia.
D’accordo, la situazione stava diventando piuttosto imbarazzante. Ma in quel momento ero così spossato che non avevo la forza nemmeno di arrossire.

Pensai che Nico mi avrebbe mollato di colpo, e invece si limitò a grattarsi la nuca e accennare un sorriso. – Sì, le ho ascoltate. – dopo un attimo di esitazione, aggiunse: - Mi hai fatto prendere un colpo, Solace –

E a quel punto eravamo entrambi semafori. Nico era arrossito fino alla punta delle orecchie che spuntavano dai capelli umidi, e io probabilmente ero messo anche peggio.

Per fortuna, ci pensò il drago nero a toglierci d’impaccio.

L’essere atterrò a una ventina di metri da me e Nico, e una figura che non riuscivo ancora a distinguere scese dalla groppa con un unico salto. Non sembrava essere particolarmente in forma, però: cadde malamente in ginocchio, appoggiando le mani a terra per evitare di finire lunga distesa.

- Hazel! – gridò Nico. E mi mollò davvero di colpo, facendomi sbattere la testa contro quella che, mi accorsi solo ora, era sabbia.

Percorse quei venti metri nel tempo di un battito di ciglia, tanto che pensai avesse utilizzato un viaggio ombra. Si accovacciò affianco alla sorella, e la aiutò a distendersi sulla spiaggia.

Un’altra figura cominciò ad avvicinarsi ai due, ma con passo strascicato, stanco. Solo allora realizzai che quel quarto semidio era stato affianco a me e Nico per tutto quel tempo. E l’imbarazzo raggiunse un livello superiore a quello che credevo possibile.

Tuttavia, dubito che in quel momento a qualcuno potesse importare del mio imbarazzo. Così tentai di tirarmi in piedi, quantomeno per raggiungere i miei amici; dopo un paio di tentativi, il mondo smise di girare troppo in fretta, e io riuscii a fare quei benedetti venti metri senza cadere di faccia. O meglio, ci arrivai vicino, ma la figura traballante mi afferrò al volo.

- Grazie – mormorai. Nonostante sembrasse stremato, quel Frank Zhang non si risparmiava mai quando bisognava aiutare qualcuno; lo conoscevo poco, eppure sapevo che gli era capitato di combattere in condizioni anche peggiori.

Oh, lo sapevo, eccome se lo sapevo. Le condizioni in cui l’avevo trovato qualche giorno prima, dopo lo scontro all’accampamento dei Romani, avrebbero fatto sbiancare qualsiasi ferita di battaglia ricevuta negli ultimi tremila anni.

~~
Mi pentivo di non aver scelto la carriera da musicista. Davvero.

Sarebbe stato semplice. Impari quattro note, le suoni su uno strumento e fai colpo su tutti.

Ok, forse non così semplice. Ma in quel momento avrei preferito trovami davanti a una platea di migliaia di persone, con uno strumento in mano e incapace di imbastire un singolo accordo, piuttosto che con le mani inzuppate del sangue di un amico, con la pioggia che mi colava negli occhi e pezzetti di insalata ancora incastrati tra i denti.

Dopotutto, avevo sperato in un po’ di riposo, dopo quello che avevo passato negli ultimi giorni…

E la profezia. E la sparizione di Percy. E l’impresa. E Nico che si perdeva nel bosco e rischiava di sparire. Il giorno dopo, la stranissima chiamata di Annabeth, a cui non avevo nemmeno avuto il coraggio di ripensare. Per non parlare del fatto che avevo visto il Coach Hedge in mutande.

Ma nulla avrebbe potuto essere paragonabile all’infarto che mi era preso durante il pranzo, quando la sorella di Nico e un ragazzo mezzo morto si erano presentati al Campo a dorso di un enorme drago nero senza zampe… e con delle zanne che sembravano parecchio affilate.

E soprattutto, era stato strano sapere che tutto quel corteo era lì per me.

O meglio. Era lì perché quei due avevano bisogno di me. Non sapevo se sentirmi lusingato o terrorizzato.

Eppure, non è che avessi avuto molta scelta. Quando Hazel mi aveva mostrato in che condizioni era il suo ragazzo, Frank, avevo pensato che avrei fatto meglio a tenere per me i miei segreti.

Avevo raccontato a Nico di quella strana cosa che mi era successa mentre tentavo di tenere in vita più feriti possibile, subito dopo la guerra contro Gea. Non ricordavo se fosse successo con un paziente greco o romano, in quel momento non è che facesse molta differenza. Ricordavo bene come l’avevo curato, quel paziente, però: mentre gli cucivo una ferita, uno strano calore mi aveva invaso la schiena e il petto, come se qualcuno mi avesse messo addosso una coperta calda. La mia pelle aveva cominciato ad emanare luce, cosa normalissima, se fosse stata un po’ meno potente. Ma il bagliore ci aveva messo pochi secondi a diventare così intenso da accecare perfino me. Nonostante avessi chiuso gli occhi, la luce penetrò senza problemi attraverso le palpebre, mentre quello strano calore si diffondeva per tutto il mio corpo, mandandolo in fiamme. L’impressione era di aver inghiottito il Sole, ma il Sole della scienza, la palla di idrogeno e elio con un diametro novanta volte quello terrestre.

Alla fine, la luce si era spenta. Era stato un cambiamento così repentino che, aprendo gli occhi, ero rimasto per un attimo accecato dal “buio” della stanza. A giudicare dalla posizione scomoda in cui mi trovavo, però, dovevo essere crollato sul pavimento. E mi si era conficcato l’ago in una mano, ma in quel momento non è che mi importasse molto.

La vista mi si era schiarita a poco a poco, ma quello che vedevo era talmente assurdo che avevo pensato che tutto quel calore mi avesse dato alla testa.

Fino a pochi istanti prima, sul letto c’era un semidio in fin di vita. In quel momento, invece, c’era un ragazzo che si guardava attorno stralunato, e molto, molto più in salute di qualsiasi altra persona al Campo. Non aveva nemmeno una cicatrice, nemmeno una; la pelle aveva ripreso colorito e il respiro era regolare.

Nell’aria aleggiava un lieve profumo di noci.

Avevo fatto di tutto per non far diffondere la notizia. Non avevo la minima idea di come fosse successo, e avevo paura che i mezzosangue mi avrebbero assalito in massa se avessero pensato che potevo curare qualsiasi ferita, con il solo risultato di farmi andare nel panico. A dire la verità, avevo anche provato a rifarlo, e non una volta sola; più volte avevo ripensato a quell’episodio quando mi ero trovato davanti a un paziente in fin di vita, ma l’unica cosa che ero riuscito a fare era stato perdere secondi preziosi, che avrei potuto spendere a cercare di salvarlo. Come se il destino volesse riprendersi il dono che mi aveva fatto, e con gli interessi, nei giorni successivi avevo assistito a tre decessi, due romani e un greco. Nemmeno li conoscevo, ma con l’ultimo, un romano, avevo perso troppo tempo: era spirato mentre ancora cercavo di attivare quello stupido potere. "Dì a Lavinia che la amo…", aveva detto con il suo ultimo fiato. "Dille che la amo."

Era stato in quel momento che avevo deciso che il costo di quel miracolo era stato troppo alto. E avevo giurato a me stesso di non riprovarci, mai, mai più, mentre il cuore ardeva di senso di colpa.

Nico era l’unico che sapeva. Non pensavo l’avesse detto a sua sorella, ma a quanto pare così era stato, o lei non si sarebbe presentata al Campo con la pretesa che guarissi il suo ragazzo in fin di vita.

Così io, Nico, Chirone e alcuni altri ragazzi del Campo che erano arrivati lì per primi eravamo usciti fuori dalla barriera, sotto la pioggia di fine agosto, per soccorrere dei romani che probabilmente non potevano essere soccorsi.

Hazel, però, non era stata della stessa idea. Mi aveva preso in disparte, e si era messa a pregarmi. Non sto scherzando. Sembrava disperata, e capii che avrebbe fatto di tutto per salvare il fidanzato. E probabilmente mi avrebbe ucciso, se l’avessi lasciato morire.

Mi pregava, mi pregava di usare i miei poteri come avevo fatto per quel ragazzo qualche settimana prima. Solo che io non avevo la più pallida idea di come fare.

Alla fine, però, vedendo lo stato in cui versava quel Zhang, decisi che ci avrei provato. Quantomeno, non avrei potuto peggiorare la situazione.

Nico era stato addirittura più veloce di me. Il tempo di tornare da Frank, ora steso a terra nell’erba umida, e lui mi era già a fianco con gli strumenti base che potevano servirmi, probabilmente presi con un viaggio ombra. Certo, sarebbe stato meglio arrivare all’infermeria per avere tutto l’arsenale e un’equipe di medici a disposizione, ma avevo paura che quel corpo si sarebbe frantumato tra e nostre mani se avessimo provato a sollevarlo.

Quel tipo aveva più pezzi rotti che sani.

Almeno quattro ossa con fratture da impatto. La faccia mezza squarciata. Probabilmente un trauma cranico. Un braccio quasi staccato, con l’osso fratturato e metà dei tendini spezzati. Un brutto squarcio lungo tutta la schiena. Ustioni su tutto il lato destro del corpo. E una gamba che, per dirla in termini assolutamente medici, sembrava essere stata passata in un frullatore.
Non avevo la più pallida idea di dove mettere le mani.

Una cosa era certa, però: le medicazioni che gli avevano fatto all’accampamento romano non bastavano minimamente. Nonostante l’avessero fermato con delle cinghie sulla groppa del drago, il viaggio aveva provato quel corpo semidistrutto, e molte ferite avevano ripreso a perdere troppo sangue.

Decisi di non fare lo stesso errore delle altre volte, non avrei perso tempo a cercare di attivare quella stupida luce. Puntai invece a prendere tempo, bloccando il sangue, ricucendo quel corpo martoriato pezzo per pezzo. Tutto questo non era una novità: con il tipo di allenamenti che facevamo al Campo, e in particolare le diaboliche corse a tre gambe organizzate dal piccolo Halley, capitava spesso che qualcuno si presentasse in infermeria con un arto parzialmente staccato. I semidei si rigeneravano da soli, in parte, e per curarli c’erano tecniche che gli umani non usavano né conoscevano. Ma noi eravamo figli di Apollo, ci tramandavamo quelle tecniche da generazioni, e anche senza quella luce miracolosa, era raro che ci trovassimo davanti a casi per noi gravi (periodi di guerra a parte).

Ecco, quello era un caso grave.

Dopo forse cinque minuti, avevo le mani impregnate di sangue, sudavo e avevo usato metà delle scorte di filo per sutura e ambrosia disponibili al Campo. Eppure, a vederla così, la situazione non sembrava migliorata. E non avevo ancora avuto il coraggio di vedere cosa si poteva fare per il volto.

Qualcuno era andato a chiamare gli altri medici, che però ci stavano mettendo troppo, troppo tempo. Le cure dei romani non avevano più effetto, il respiro del ragazzo si faceva sempre più debole. E io, da solo, non ero in grado di salvare Frank.

Quando questa consapevolezza mi raggiunse, mi parve di soffocare. La vita di uno dei Sette, la vita del pretore della Legione romana, la vita di un amico di Nico era nelle mie mani, e io stavo fallendo.

Mi bloccai.

Sentivo su di me lo sguardo di Hazel, implorante e sempre più distrutto. Sentivo lo sguardo di tutti i presenti, Chirone compreso, e li sentivo giudicanti. Quello era il mio ennesimo fallimento. Non potevo farcela, non ce la facevo.

Nico mi sfiorò una mano. Il suo sguardo no, non lo sentivo pesare dietro la schiena. Eppure mi guardava fisso, con quegli occhi neri che penetravano la mia coscienza da parte a parte.
Le sue dita, bianche come il marmo, si strinsero attorno alle mie, rosse di sangue.
Non disse “puoi farcela”. Non disse “credo in te” o “sei in grado” o cose del genere. Si limitò a guardarmi negli occhi.

Le nostre mani cominciarono a scaldarsi. Mentre ancora fissavo Nico, cominciai a sentire nell’aria un profumo di noci.

E poi il mondo divenne luce.

--

Nico mi svegliò con una secchiata d’acqua gelida.

Rimasi ancora per qualche istante steso a terra, mentre il cervello cercava di chiamare a raccolta i pensieri semicongelati.

Il malvagio figlio di Ade sopra di me sorrise. – Vendetta – se ne uscì.

A quel punto riconnessi del tutto cervello e corpo, e mi tirai su sputacchiando. Forse, un po’ me lo meritavo, dopo il modo in cui l’avevo svegliato in infermeria il giorno prima.

Tanto, dopotutto, anche lui era zuppo: eravamo nello stesso punto in cui ero svenuto, e stava ancora piovendo. Unica differenza rispetto a prima, in giro sembrava non esserci nessuno. Era sparito anche il drago nero di Hazel.

Prima che potessi capacitarmi del tutto di quanto era successo, Nico mi tese una mano. – Andiamo, Lampadina, che qui attiriamo mostri. –

Sicuro che, se avessi accettato il suo aiuto, mi avrebbe fatto cadere, mi alzai da solo. Avevo un mal di testa martellante, ma riuscii comunque a rimanere in equilibrio. E meno male, perché altrimenti sarei caduto dritto con la testa nel secchio che Nico aveva poggiato a terra. Mi avrebbe preso in giro per settimane.

Eppure, guardandolo, mi resi conto che probabilmente mi avrebbe comunque preso in giro per settimane. Oppure era solo di gioia, quel sorriso? Quel ragazzo sorrideva talmente di rado che non avrei saputo distinguere le due cose.

Ebbi la mia risposta quando rientrai al Campo. Nonostante fossi zuppo dalla testa ai piedi e tremassi per il freddo, nessuno mi prendeva in giro. Tutti mi guardavano in modo strano, quasi con… ammirazione? Possibile?

E il sorriso di Nico, sembrava… anche se non pensavo che ne fosse capace, sembrava… orgoglioso.

Ma perché? Cosa avevo fatto?

Senza bisogno di dircelo, ci dirigemmo entrambi verso l’infermeria. Io, intanto, cominciai a ricollegare. Frank, il sangue, gli sguardi di tutti, la sensazione delle dita di Nico che si stringevano alle mie. La luce…

Non osai proferire parola, al contempo terrorizzato ed emozionato per ciò che non ricordavo di aver fatto. Possibile che avessi salvato quel ragazzo?

Bè, ebbi la mia risposta quando quel ragazzo mi corse incontro dalla porta dell’infermeria.

Frank Zhang era più alto di quanto pensassi. E decisamente più forte. Quando arrivò da me e mi abbracciò, finii per essere sollevato da terra di almeno qualche centimetro.

- Grazie… - sembrava commosso. Quando mi mise giù, era tutto zuppo d’acqua. Per forza, mi aveva strizzato come un panno per pavimenti.

Forse l’acqua mi era entrata nella testa e aveva rotto qualche circuito. Fatto sta che, senza un nesso logico, cominciai a ridere.

L’avevo salvato. Ce l’avevo fatta. L’avevo salvato davvero.

Mi piegai in due, ridendo dal sollievo e dallo sconcerto. Come avevo fatto a riattivare quel potere? Perché per Frank sì, e per quei tre semidei che mi erano morti davanti no?

Mentre ancora ridevo, ripensai a quel momento. A quel calore, partito dalla mano con cui stringevo quella di Nico. E ripensai a quel primo ragazzo che avevo salvato, cosa in effetti successa subito dopo che Nico mi aveva incoraggiato, fuori dall’infermeria.

E ricordai che anche in quel caso mi aveva dato una pacca sulla schiena, a mò di incoraggiamento. Con la mano destra. La mano dell’anello.

Mentre curavo Frank, aveva usato sempre la destra per stringermi la mano.
E proprio da quei punti era partito il calore.

Smisi di ridere, colpito da un strana idea, assurda e impossibile. E quindi, probabilmente, giusta.

Non ebbi però modo di esprimerla, perché avevo Frank, Hazel e Nico che mi fissavano. Sembravano preoccupati.

- Tranquilli, non sono ammattito – dissi, anche se non ne ero del tutto convinto. – Sono solo contento che abbia funzionato –

Hazel sorrise. – Will, io nemmeno ti conoscevo, e… ora non so davvero come sdebitarmi. Grazie. –

Disse quell’ultima parola con tale trasporto da commuovermi. – No, davvero, non è necessario… - risposi, imbarazzato. – Sono un medico, è il mio compito. – Voleva essere un vanto, ma lo dissi così piano che sembrò più una scusa.

- In realtà, c’è un favore che potreste farci – intervenne Nico. Lui era decisamente più diretto di me, Frank e Hazel messi insieme.

- Hazel, quanto hai detto che ci ha messo il vostro drago ad attraversare la metà degli USA? – chiese poi.

- Bè, non è proprio il nostro drago, ma mi ubbidisce – fece lei. – Comunque, meno di un’ora. L’ho fatto liberare perché sapevo che era la nostra unica possibilità per arrivare al Campo Mezzosangue in poco tempo, ma non mi aspettavo una cosa del genere. Quando gli ho detto dove dovevo arrivare, ha preso velocità e ha… ha come piegato lo spazio. In dieci minuti, eravamo a New York. Questa creatura ha dei poteri davvero strani. –

- Perfetto. Potete prestarcela? – Nico andò dritto al sodo.

Lì per lì mi chiesi che senso avesse quella richiesta. Cosa voleva fare, usarla come cavalcatura da battaglia? Avrebbe fatto il suo effetto, certo.

Poi mi ricordai di quel piccolo dettaglio: avevamo in programma di partire in segreto per l’Europa, per trovare una clessidra di cui non conoscevamo funzionamento e scopi, perché un vecchio oracolo gliel’aveva chiesto in sogno – insomma, la solita impresuccia per passare il tempo. Già, per quello ci sarebbe stato effettivamente molto utile, quel drago.

Ma ovviamente i due romani non lo sapevano, e rimasero a fissare Nico come se fosse impazzito.

Io allora mi arresi a dover fare il riassunto delle puntate precedenti. Visto che Nico non mi bloccava, andai sempre più spedito nel raccontare quel poco che sapevamo sugli strani avvenimenti di quei giorni.

Quando arrivai al nostro piccolo progetto, Hazel mi bloccò. – Aspetta, tu mi stai dicendo che voi vorreste viaggiare per tutto l’Atlantico. Pieno di mostri. Da soli. Con quella bestia che ha quasi fatto a pezzi Frank – rabbrividì, indicando il margine del bosco, dove il drago era stato legato. Fece un respiro profondo, poi ci guardò. - Ma vi siete impazziti?! –

- Lo so, è rischioso. – Nico alzò lo sguardo sulla sorella. – Ma io devo andare lì. È importante, lo so, lo sento. Ed è meglio così che con i viaggi ombra. –

I due si fissarono, per un bel po’. Sembrava stessero combattendo una dura battaglia mentale tra fratelli per spuntarla. Alla fine, Hazel dovette perdere, perché abbassò lo sguardo e sospirò.

– Va bene. Ma io vengo con voi. –

- Cosa?! – rispondemmo all’unisono io, Nico e anche Frank.

- Devo venire – continuò Hazel. – Sono l’unica in grado di farmi ascoltare da quella bestia. Se ci sono io, sarà un’alleata; se non ci sono, chi può dirlo. E poi, un’impresa si affronta in tre. E non ho intenzione di venire a cercarti un’altra volta in Europa, perché sei partito per un’impresa impossibile e sei stato rapito da qualche cattivo pazzoide – concluse, riferendosi a Nico.

Da una parte, trovai tenero che volesse proteggerlo, nonostante fosse lui il fratello maggiore.

Dall’altra, non sapevo se sentirmi offeso dal fatto che non avesse neanche considerato l’ipotesi che, bè, avrei potuto proteggerlo io.

Poi mi guardai i muscoli – inesistenti – delle braccia, il fianco sempre sprovvisto di armi che dimenticavo continuamente in giro, il fisico poco allenato. Guardai Hazel, tredici anni, dolce e gentile, spada al fianco e sguardo assassino. E mi dissi che forse non aveva tutti i torti.

- Hazel… - tentò Nico un’ultima volta. Ma rinunciò subito. Lo sguardo risoluto della figlia di Plutone parlava chiaro: o vengo con voi o non partite affatto.

Nico si guardò le scarpe. Intuivo che fosse a disagio, anche se non ne capivo il motivo. C’erano diverse persone che volevano seguirlo e decidevano di mettere a rischio la propria vita per lui… forse, semplicemente, non ci era abituato.

Zhang, decisamente, non aiutò su quel frangete, mormorando “Vengo anch’io” a testa bassa.
Ci girammo tutti verso di lui.

Ci volle qualche secondo e un respiro profondo prima che il ragazzone di decidesse ad alzare la testa, lo sguardo fisso sul volto della fidanzata. – Vengo anch’io. Non ho intenzione di lasciarti partire per l’Europa con due persone che conosci poco e un drago assassino –

Hazel sembrò spiazzata dalla risolutezza di quelle parole. – Ma… non è vero che li conosco a malapena! E poi, la Legione?! Reyna ha bisogno di te… -

- Anche di te – ribatté prontamente lui. – Ed è la prima volta che incontri Will. –

Non accennò a Nico, ma il messaggio che passò era che Frank non si fidasse molto del figlio di Ade. Dubitavo che volesse intendere quello, ma Nico strinse le labbra.

Frank dovette accorgersi che quei modi risoluti e fermi stavano solo facendo scaldare gli animi. Addolcì lo sguardo, lasciando scorrere negli occhi la preoccupazione, e strinse la mano di Hazel.

- Non voglio separarmi da te, Haz – mormorò, quasi non volesse farsi sentire da altri. Il comportamento duro che doveva essere stato costretto a tenere davanti alla Legione aveva lasciato delle brutte cicatrici. – Non ho intenzione di lasciarti. Se devi gettarti in una missione pericolosa e potenzialmente mortale, voglio starti affianco. –

Hazel non ribatté. Si limitò a stringere la mano di Frank. E sorrise.

Per qualche istante, rimanemmo a guardarci in faccia. Nessuno osava dire chiaro e tondo cosa stava per succedere.

Alla fine, fui io a farmi carico dell’onere.

-Ragazzi, è meglio se adiamo a prepararci. Questa sera si parte per l’Europa –
~~

E così, ora eravamo su una costa del Portogallo, tutti bagnati come pulcini, stremati e distrutti.

Avevamo già incontrato uno stormo di arpie affamate, eravamo stati costretti a combattere in volo, io ero stato ad un passo dall'annegamento, Frank era esausto per essersi trasformato in uno squalo e poi in un’aquila per tirarmi fuori dall’acqua, Hazel era ferita e Nico stava andando a fuoco per l’imbarazzo. Il tutto in meno di mezz’ora di viaggio, di cui venti minuti li avevamo passati in una strana piegatura dello spazio creata dalla nostra cavalcatura per farci attraversare l’Atlantico. Era stato addirittura peggio dei viaggi – ombra. 

Mentre mi trascinavo verso Nico e Hazel, ripensando a tutto quello che avevo passato quel giorno, mi vennero in mente tre geniali considerazioni:

Uno, quella bestia che ci aveva accompagnato era troppo veloce e strana per essere un semplice mostro.

Due, avevo la sensazione che i prossimi giorni sarebbero stati addirittura più duri della giornata appena trascorsa.

Tre, se volevo restare sano di mente, dovevo evitare di pensare ai punti uno e due.

Cercai di distrarmi mentre curavo Hazel. Aveva solo un brutto taglio ad una gamba, ma niente i così grave. Niente mi sarebbe sembrato più grave per un po', dopo quello che avevo passato quella mattina.

Mi ci vollero pochi minuti per fare il grosso. Al resto, avrebbero pensato l’ambrosia e un po’ di riposo.

Quando Frank si sedette di fianco ad Hazel, lei posò la testa sul suo petto e chiuse gli occhi, stanca ma più rilassata. Frank le cinse le spalle in un abbraccio, e rimase a fissare il mare, perso in chissà quali pensieri.

Avrei dovuto capirlo che quei due piccioncini non mi avrebbero evitato di passare del tempo da solo con Nico, e non sapevo se esserne contento o preoccupato.

Avevo una cotta per Nico. Non lo nego. Ero proprio cotto, ma tanto, e da parecchio tempo. Non lo avevo detto ancora a nessuno, in parte nemmeno a me stesso, perché sapevo che se l’avessi fatto avrei cominciato a comportarmi da scemo ogni volta che l’avessi visto. Ma finché questo non fosse avvenuto, avrei cercato in ogni modo la sua compagnia.

D’altra parte, non potevo fare a meno di ripensare al sogno. Di pensare a come il cielo aveva accolto il mare. Di ricordare come Nico guardava lui ogni volta che li avevo visti insieme, anche nella vita reale, oltre che nei pensieri più reconditi della mia mente. Non potevo fare a meno di rimuginare sul fatto che, probabilmente, Nico aveva tanto voluto partite per quell’impresa perché sperava di poter aiutare lui con qualunque cosa stesse succedendo.

E quei pensieri riportavano a galla ricordi, più antichi, più angoscianti. L’onda del sogno mi aveva ricordato in modo assurdo l’onda – reale- che aveva inghiottito Michael, il fratello a cui ero più legato, generata da Percy Jackson durante la battaglia di Manhattan. Ricordavo le immagini dell’esplosione del Monte Sant’Elena, a quanto sembrava provocata sempre da Percy, e che aveva risvegliato solo uno dei più grandi nemici degli Dei di tutti i tempi, Tifone. E ricordavo quando, anni prima, il piccolo Indeterminato famoso per aver ucciso il Minotauro a mani nude aveva disarmato Luke Castellan senza alcun tipo di allenamento.

Io non mi fidavo di quel tipo. Tutti dicevano che Nico era pericoloso, ma in realtà era solo una persona buona e gentile, distrutta dagli eventi; Percy Jackson era sempre stato ribelle e potenzialmente in grado di fare danno, tanto danno. E in effetti, faceva spesso danno. Non sapevo se lo facesse a posta o se fosse solo sfortuna, ma, hey, quanta cavolo di sfortuna doveva avere quel ragazzo? Ci credevo poco, che tutti i danni che aveva provocato nel corso degli anni fossero dovuti alla mala sorte.

-Sei geloso – sussurrò una voce. Mi accigliai. Perché mi era venuto un pensiero del genere? No, non poteva essere gelosia…  pensavo che Percy fosse potenzialmente pericoloso, punto. E allora perché il dubbio cominciava ad annodarmi lo stomaco?

- Se proprio geloso – ripeté la voce. D’accordo, questa volta non era stata la mia testa. E, mi resi conto, nemmeno quella precedente. Trasalii quando mi accorsi che Nico mi si era seduto affianco sulla sabbia di quella spiaggia deserta.

- Ge…  geloso di cosa? – balbettai, colto alla sprovvista. Possibile che avessi detto qualcosa di troppo ad alta voce?

- Di loro – indicò una figura a qualche metro di distanza, sulla riva, più o meno nel punto in cui il mio sguardo doveva essersi fissato. Non me n’ero nemmeno accorto, ma c’era un ombrellone piantato in terra, chiuso, con la poca stoffa libera che si dibatteva nella brezza, probabilmente lasciato lì da qualche turista che sarebbe tronato l'indomani. Si distingueva a malapena, blu nel blu del mare notturno.

- Sei geloso della gente normale – riprese Nico. – Della gente che può permettersi qualche giorno di vacanza, un ombrellone e una vita ordinaria, senza dover pensare a mostri sputafuoco e guerre contro esseri teoricamente mai esistiti. –

Lo guardai, un po’ confuso. – Sì, sì, certo, era proprio a questo che stavo pensando. Ma tu, esattamente, ehm… come l’hai capito? –

-Perché altro avresti dovuto metterti qui a fissare un ombrellone con quell’espressione arrabbiata e depressa? – ribatté lui in tono piatto.

D’accordo, dovevo stare più attento alle facce che facevo, quando mi perdevo nei miei pensieri.
Non seppi che rispondere, e così restammo in silenzio per un po'. Alla fine, strano ma vero, fu Nico a prendere di nuovo la parola.

-Grazie – mormorò, un po’ incerto. – Grazie per essere qui. –

Lo guardai, ma intuii di non dover ribattere. Quelle poche volte in cui decideva di aprirsi, sapevo che era meglio lasciar fare tutto a lui. E di fatti, continuò senza aspettare la mia risposta.

-Non sono abituato che qualcuno decida di aiutarmi quando prendo una decisione. Di solito mi muovo da solo… - si bloccò, sul volto un’espressione simile al rimorso. – Mi sento in colpa per aver trascinato delle persone che amo in questo casino – buttò fuori tutto d’un fiato.

Aveva già finito. Non mi sorprendeva. Nonostante tutto, Nico era abbastanza diretto anche in fatto di emozioni, quando voleva.

Inghiottendo il miscuglio di pensieri e insicurezze che mi affollavano la mente fino ad un attimo prima, riuscii ad imbastire un sorriso. – Se proprio vogliamo dirla tutta, siamo noi che ci siamo trascinati in questo casino di nostra sponte. Chi ti dice che l’ho fatto per te? Magari, volevo solo il brio dell’avventura e mi sono accodato al primo figlio di Ade abbastanza matto che ho incontrato –

Nico sorrise. Era un evento così raro che sentii il cuore scaldarsi.

Lo guardai, cercando di fargli capire che non c’era bisogno di altre parole. L’avevamo seguito perché volevamo farlo, perché ci tenevamo a lui. Solo in quel frangente mi resi conto che Nico, qualche attimo prima, mi aveva incluso nel “persone che amo”. E sorrisi, del sorriso più sincero che potesse stamparsi sul mio viso, mentre ancora lo guardavo.

E lui sorrise di rimando. Aveva capito quello che volevo dirgli. E chissà, forse anche un po' quello che non volevo dirgli. Quello che non avevo ancora mai detto a nessuno.

Non seppi mai quanto aveva capito. Perché quello stupido drago nero scelse proprio quel momento per sconvolgere la vita di Hazel.

Senza preavviso, la bestia ruggì verso il cielo. Fu un ruggito terrificante, da far tremare le viscere della Terra, fino agli abissi degli Inferi.

Hazel si svegliò, allarmata, ma Frank la stava già trascinando il più lontano possibile. Non sapevo quanto ce ne fosse bisogno, però.

Quando la bestia portò giù il muso, cominciò a rimpicciolirsi. Le squame sembrarono essere assorbite da una pelle dorata e lucida. Sulla testa si materializzarono lunghi capelli color caramello. Gli occhi rossi e terribili divennero occhi piccoli, un po' allungati, graziosi. Il corpo era coperto da una lunga veste bianca stile greco.

Alla fine, anche le ali scomparvero con un ultimo spostamento d’aria, sollevando la sabbia come oro scuro nella notte.

Davanti a noi c’era una ragazza sui sedici anni. La più bella sedicenne che avessi mai visto, da fare invidia perfino ad Afrodite.

Ma l’essere, qualunque strano mutaforma fosse, non aveva ancora finito. Chiuse gli occhi, e prese a cambiare di nuovo: divenne più alta di statura, i capelli si trasformarono in un caschetto biondo platino, e le vesti greche mutarono in una camicetta bianca accompagnata da una gonnellina di jeans. La ragazza che avevamo davanti ora appariva perfino più aggraziata della precedente, anche se non della stessa sovrumana bellezza.

Fece un sospiro, poi aprì gli occhi su noi quattro. – Sì, questa è decisamente la migliore delle forme umane – constatò con una voce d’angelo.

Nessuno fiatò. Non ci passò nemmeno per l’anticamera del cervello. Lo stupore era a livelli assurdi.

La ragazza ci guardò, con uno sguardo che voleva apparire comprensivo. Poi sorrise, un sorriso che mi ricordò un po' quello del drago che era stata fino a qualche attimo prima.
– Vogliate perdonarmi per la presentazione un po' fuori luogo – si girò verso uno stupefatto Frank. – Ma non riuscivo a ritrasformarmi, e quel ragazzo era tale e quale ad una viverna… pensavo fosse un nemico. – ancora un sospiro. – Sapete, non vado molto d’accordo con la mia razza d’appartenenza.

-Mi ci è voluto un po' per reimparare a controllare le trasformazioni, sono tornata da poco su questa terra, e in modi che nemmeno io comprendo appieno. Mi ci è voluta una giornata intera per capire come trasformarmi e cambiare aspetto a mio piacimento, come ho sempre fatto. Ma finalmente, con qualche momento di calma, sono riuscita a mettere da parte sia il mio aspetto da viverna, sia il corpo che ha ospitato la mia anima per questo strano ritorno. Ora posso presentarmi – fece un piccolo, grazioso inchino. – Mi chiamo Nidafjoll, ma potete chiamarmi Nida. –

Nessuno di noi fiatò. Di nuovo. Per quanto mi riguarda, avevo più domande di prima.

Alla fine, fu Hazel la prima a prendere la parola. – Tu… - sussurrò. – Tu sei… sei uguale a… -

La voce le si strozzò. Nida sorrise di nuovo, ma questa volta era un sorriso triste, quasi pentito.

-Sono proprio io, Hazel. Non sono come i normali umani, non subisco la morte per vecchiaia. Per questo ho dovuto allontanarmi dalla vita tua e di tua madre quando tu eri molto piccola, decine di anni fa: non potevo invecchiare il mio aspetto più di quanto non avessi già fatto. Temo... di avere molte cose da spiegarti. Ma prima, devo porti una semplice domanda. –
Fece un passo avanti. Il suo aspetto cambiò, anche se la fisionomia rimaneva più o meno uguale, forse leggermente più matura: pelle scura, capelli castani. E occhi d’oro.

Cavoli, pur senza cambiare fisionomia, si era trasformata nella versione maggiorenne di Hazel. Non mi ero accorto di quanto quelle due fossero simili.

-Forse non avrei dovuto innamorarmi di quell’uomo mortale – commentò tra sé. – Eppure, se è stato un errore, è stato l’errore più bello di tutta la mia vita. –

Quel giorno ne avevo viste di cotte e di crude. Avevo salvato una persona in punto di morte senza sapere come, ero quasi annegato, Nico mi aveva "baciato". Eppure, nulla avrebbe potuto scombussolarmi di più di ciò che Hazel quasi gridò alla donna che fino a cinque minuti prima era stata un drago.

-Nonna? -

Nida sorrise. – Sì. Ero presente al giorno della tua nascita, bambina mia. E non mi dispiacerebbe sapere perché, dopo ottantotto anni da quel giorno, tu ne hai ancora tredici. -

~Philo_Sophia08

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