OPERAZIONE Y

By DarkRafflesia

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Dave Morrison, Capitano del Navy SEAL, è un uomo determinato, autorevole, ma sconsiderato e fiscale. Noah Fin... More

⭐RICONOSCIMENTI
Presentazione
Cast
Dedica
Prologo
PARTE PRIMA
Capitolo 1: Bravo (Parte 1)
Capitolo 1: Bravo (Parte 2)
Capitolo 2: Coinquilini
Capitolo 3: Demoni del passato
Capitolo 4: Una semplice giornata di lavoro
Capitolo 5: Insieme
Capitolo 6: Prima Tappa
Capitolo 7: Presenza
Capitolo 8: Sconosciuto
Capitolo 9: Ricordi bruciati
Capitolo 10: Il prossimo
Capitolo 11: Vacanza (Parte 1)
Capitolo 11: Vacanza (Parte 2)
Capitolo 12: Dolore lontano
Capitolo 13: Turbolenze
Capitolo 14: Scontro
Capitolo 15: Notizia
Capitolo 16: Lettere reali
Capitolo 17: Firmato...
Capitolo 18: Sui tetti
Capitolo 19: In mezzo alla folla...
Capitolo 20: Rientro
PARTE SECONDA
Capitolo 21: Adunata
Capitolo 22: Sorpresa?
Capitolo 23: Toc-Toc
Capitolo 24: Legami scomodi
Capitolo 25: Nuovi ospiti
Capitolo 26: La spia
Capitolo 27: Tocca a me
Capitolo 28: Il mondo continua a girare
Capitolo 29: Prurito ed ematomi
Capitolo 30: Fede
Capitolo 31: Rimorsi
Capitolo 32: Torna a letto
Capitolo 33: Fiamme
Capitolo 34: Scuse e incertezze
Capitolo 35: Analista per caso
Capitolo 36: Non puoi dimenticare
Capitolo 37: Bersagli
Capitolo 39: Ho trovato Jake e...
Capitolo 40: La bomba
Capitolo 41: Shakalaka
PARTE TERZA
Capitolo 42: Scampagnata
Capitolo 43: Pausa?
Capitolo 44: Nuove conoscenze
Capitolo 45: Mercato finanziario
Capitolo 46: Linea
Capitolo 47: Safe International Hawk
Capitolo 48: Fregati
Capitolo 49: In trappola
Capitolo 50: Dimitri Malokov
Capitolo 51: Rancore
Capitolo 52: Portare via tutto
Capitolo 53: Insofferenza
Capitolo 54: Colpe
Capitolo 55: Operazione Y
Capitolo 56: Amicizia
Capitolo 57: Risposta inaspettata
Capitolo 58: Rivelazione
Capitolo 59: Con onore
Capitolo 60: Rottura
Capitolo 61: Solitudine
PARTE QUARTA
Dimitri Malokov & Iari Staniv
Capitolo 62: Egoismo
Capitolo 63: Apnea
Capitolo 64: Il prezzo da pagare
Capitolo 65: Anonimato
Capitolo 66: Saluto
Capitolo 67: Benvenuto nella squadra
Capitolo 68: Giuramento
Capitolo 69: Decisione
Capitolo 70: L'impegno che non serve
Capitolo 71: Lontanamente vicini
Capitolo 72: Vecchie amicizie
Capitolo 73: Vigilia
Capitolo 74: L'inizio
Capitolo 75: Le squadre
Capitolo 76: Patente?
Capitolo 77: La tana del lupo
Capitolo 78: Boom...
Capitolo 79: Maledetta emotività
Capitolo 80: Svantaggio?
Capitolo 81: Iari Staniv
Capitolo 82: Luccichio
Capitolo 83: La pace
Capitolo 84: Caduti
Capitolo 85: Respirare

Capitolo 38: Ostacoli

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By DarkRafflesia


L'addestramento di un SEAL era uno dei più duri al mondo, al pari di quello per gli operatori delle Forze Speciali italiane. La preselezione avveniva in un periodo di 8 settimane presso il Naval Special Warfare Preparatory School di Great Lakes, nell'Illinois. Se l'aspirante SEAL superava la prima scrematura si passava al Basic Underwater Demolitivo/Seal, un corso della durata di 24 settimane che si svolgeva a Coronado. Il corso era articolato in 3 settimane di indottrinamento, 7 settimane di condizionamento fisico, 7 settimane di combat diving, basate sul miglioramento delle capacità acquatiche, e infine 7 settimane di land warfare, caratterizzate sul combattimento terrestre, utilizzo armi e dispositivi esplosivi. Se l'allievo superava questa fase, veniva trasferito a San Diego per frequentare un corso di 3 settimane di paracadutismo; finito questo, si passava ad un periodo di 26 settimane chiamato Seal Qualification Training. Durante questa fase venivano affinate le competenze dell'operatore di Forze Speciali; addestramento in diversi ambienti, da quello artico a quello desertico e della giungla. Al termine di questa fase, vi era il diploma della recluta e il suo immediato distaccamento in una delle basi del SEAL; così si dava inizio all'addestramento più specialistico della durata di 12/18 mesi suddiviso in tre fasi: corsi di tiratore scelto, di scalata, Advanced Close Quarter Combat/Breacher, pronto soccorso, tecniche di demolizione avanzate, e quant'altro; una fase addestrativa basata sullo studio di tattiche per piccole unità, land warfare, combattimento ravvicinato, combattimento urbano, interdizione marittima e a lungo raggio, ricognizione speciale e operazioni da velivoli ad ala fissa e rotante. E infine l'addestramento a livello Task Group per imparare tattiche e capacità a livello di team.
Conclusasi questo periodo forsennato di tempra fisica e mentale, la recluta veniva smistata nei vari team di reclutamento. Tra questi vi era il Green Team, una squadra che continuava ad allenare il proprio corpo con programmi più estenuanti; il loro obiettivo era cercare di spiccare tra le prime righe di coloro che avrebbero avuto l'opportunità di farsi notare dai team più temuti e più esperti di tutto il reggimento. Il cinquanta percento dei canditati non era solito completare il percorso, tuttavia non venivano rispediti a casa, ma mandati in altre squadre – non meno importanti, senza dubbio – ma incaricate a mansioni meno pericolose rispetto a chi si occupava di antiterrorismo o operazioni ad altissimo rischio.
Molti giovani avevano l'audacia di provare un corso di quel calibro, dopo aver passato le ventiquattro settimane di addestramento e le ventisei di preparazione al lavoro sul campo.
Giovani che avevano la volontà di provare fino in fondo ad andare oltre.
Tra questi, vi era proprio il ventiduenne Jake Grant.

In divisa e dal taglio corto militare, era in fila insieme ai compagni che avevano provato a compiere quella pazzia insieme a lui; molti erano più grandi di lui, mentre altri avevano suppergiù la sua stessa età e volevano tentare la sorte e scalare i ranghi. Dopo un addestramento spossante come quello, mancava appunto l'ultima prova: il percorso ad ostacoli. L'intero campo era cosparso di prove fisiche che aveva avuto modo di affrontare singolarmente, invece adesso avrebbe dovuto superarle senza momenti di ripresa, nel tempo prestabilito. Dentro la sua testa non stava facendo altro che ripetersi per quale motivo aveva deciso di provare l'impossibile in quell'impresa persa in partenza. Si era appena reclutato, maledizione, e aveva deciso di passare all'addestramento del Green Team, di una durata di sei distruggenti mesi, come se tutto quello che aveva passato in quell'anno e mezzo non fosse stato abbastanza. Gli avevano offerto un posto nel Team Echo, o nell'armeria come chimico e costruttore di esplosivi, ma lui aveva deciso di puntare più in alto, saltando le tappe per poter arrivare al Team Alpha, o addirittura al Team Bravo.
Sogni.

Il Team Bravo necessitava di un titolo superiore o pari al Soldato Scelto e lui, a stento, era solo un povero novellino. Ma valeva la pena tentare, se già si era fatto conoscere e il suo nome aveva comunque attirato l'attenzione dell'istruttore da accettare la sua bravata di tentare il Green Team a neanche un anno dal suo esordio. Si misero tutti alla linea di partenza, nervosi quanto determinati nel superare quella prova. Il successo non sarebbe stato Team Alpha, Team Bravo o DEVGRU immediato, ma vi erano più possibilità di non rimanere in panchina o a compiere operazioni di meno importanza come semplice rifornimento.
Doveva crederci.
L'istruttore alzò il braccio, Jake si mise in posizione, fissando il suo primo ostacolo: un tronco semplicemente inclinato verso l'alto e successivamente verso il basso da camminarci in equilibrio.
Cosa aveva promesso a suo padre? Che la scelta di non proseguire gli studi avrebbe dato i suoi frutti e lo avrebbe reso orgoglioso. Non avrebbe rimpianto quella scelta. Non l'avrebbe mai fatto. Si era allenato duramente per arrivare più preparato che mai a quel giorno. Quella vita, quello stare con la testa piegata su cumuli e cumuli di libri di chimica, non faceva per lui; non perché non gli interessasse, ma perché aveva bisogno di mettere in pratica quello che aveva studiato in qualcosa di concreto che non riguardasse solamente il lavorare in una dannata clinica o in un'industria nucleare. Avrebbe potuto puntare semplicemente alla SWAT, ma il rischio di esplosioni e di creazione di nuovi ordigni per poter essere messi sul nuovo mercato col fine di colpire gli Stati Uniti avrebbe avuto vita nel Medio Oriente, dove lui avrebbe potuto troncare la cosa ancor prima che nascesse. Una motivazione che al padre non era bastata, tuttavia questi gli aveva rivelato:
Fai ciò che ti rende felice. Per quanto io possa essere o non essere d'accordo, io voglio solo che mio figlio sia soddisfatto della sua vita. La mia è solo paura.

E non aveva tutti i torti.
Per anni aveva vissuto con un figlio a cui non era passata minimamente in testa l'idea di diventare un soldato e, a distanza di anni, in cui l'età per arruolarsi era stata superata da un pezzo, aveva travolto completamente la sua tranquillità, artigliata dalla paura di poter perdere un figlio da un momento all'altro a causa della guerra. Era stata una scelta improvvisa, Jake doveva concederglielo. Ma cosa poteva farci? La mente umana era un bordello di pensieri, decisioni, convinzioni, idee, ripensamenti, un frullato di cazzate che si ammassavano di volta in volta negli anni fino a far compiere azioni che oscillavano tra giusto e sbagliato; se quel percorso fosse stato errato, Jake lo avrebbe scoperto solamente vivendo. Per il momento doveva pensare al presente e ai passi straordinari che aveva compiuto per arrivare fin lì.

Socchiuse gli occhi risoluto, evitando di farsi prendere dall'ansia allo stomaco. Avrebbe affrontato missioni più pericolose: la sua mente si sarebbe dovuta spegnersi totalmente.
La pistola era puntata in alto. L'istruttore premette il grilletto, dichiarando ufficialmente il via del percorso.
Completarlo entro dodici minuti era il margine di tempo che lo avrebbe portato al successo. Doveva farcela.
Jake partì in una corsa veloce, superando tutti gli altri commilitoni per raggiungere il tronco e oltrepassarlo senza fatica. L'equilibrio non gli mancava di certo. Il prossimo ostacolo era il filo spinato; si gettò a terra, scivolando subito al di sotto di quella rete appuntita per mezzo del terreno bagnato. Il suo corpo si infradiciò istantaneo, sporco di fango, incluso il viso. Serrò la bocca e gli occhi per un breve attimo, proseguendo a muovere le braccia, issandosi sui gomiti per spingere il suo corpo. Altri soldati lo seguirono, riuscendo a riprendere le distanze. Sentiva le urla degli istruttori invogliarli a fare di più, a muovere il culo, a fare finta di essere sul campo di battaglia. Volevano che non esitassero, che superassero qualunque ostacolo avessero incontrato nel loro cammino, altrimenti ciò avrebbe comportato morte certa. Percepiva la divisa, la parte della schiena, impigliarsi contro il filo spinato e strapparsi; forse si era graffiato, ma non demorse. Venne superato da tre uomini, due sui trent'anni e uno sui venticinque. Aumentò la velocità, finendo di strisciare per rimettersi in piedi. Mentre correva verso il prossimo ostacolo mosse le braccia per eliminare i residui di fango in eccesso, i quali avrebbero solamente rallentato la sua corsa e appesantito il suo corpo inutilmente. Si passò il retro della mano sulla fronte per portarsi indietro i ciuffetti più pazzerelli della sua acconciatura e saltò per appendersi sul lungo filo; incrociò le caviglie al di sopra di esso e usò le braccia per proseguire avanti, resistendo al movimento molleggiante che gli altri suoi compagni causavano quando cercavano di appendersi su esso per raggiungerlo. Non aveva tempo per vedere chi fosse davanti a lui; quella non era una gara, né una competizione con il prossimo. Doveva competere contro sé stesso e i suoi limiti, doveva obbligare il suo corpo a raggiungere il traguardo nel tempo prestabilito. Nessuno gli avrebbe garantito che chi fosse davanti a lui, avrebbe completato il percorso in un tempo inferiore o pari a dodici minuti, perciò i paragoni erano inutili.

Con un sobbalzo, i piedi persero la presa sulla corda e scivolò appeso, arrestandosi dall'avanzare fino alla piattaforma in legno. Serrò i denti, obbligando le mani a rimanere ancorate al filo; il fango le rendeva più scivolose, maledizione. Se avesse mollato la presa avrebbe dovuto fare dietro front e ripartire dall'inizio di quell'ostacolo. Andò indietro con il corpo per oscillare in avanti. Ci riprovò fino a quando non acquistò abbastanza energia per slanciarsi in alto e artigliare nuovamente la corda con le gambe. Buttò fuori un sospiro ansante, continuando fino alla piattaforma. Due soldati erano caduti, e stavano tornando indietro. Atterrò sulla base e riprese a correre verso l'altro ostacolo: uno pneumatico da spingere fino alla linea della prova successiva. Non si era accorto che davanti a lui vi erano sei persone. Era stato sorpassato ancora. No! Portò le mani sotto la gomma dalla forma di ciambella e la fece capovolgere di volta in volta; stava sudando come un pazzo, il cuore che batteva dentro la sua gabbia toracica ad un ritmo scalpitante da rimbombargli nella gabbia toracica, sovrastando di gran lunga le urla dei suoi commilitoni e degli istruttori. Aveva recuperato di due posizioni, il che significava che aveva ripreso i minuti persi quando era stato appeso. Finito di spingere lo pneumatico, prese il sacco e lo posò sulle sue spalle, correndo verso quella che sarebbe stata l'ultima prova: la scalata. Un muro di appigli, seguito da una corda fino a raggiungere il bordo e scivolare lungo il traguardo. Doveva sbrigarsi. Si aiutò con le narici a respirare per non stancarsi maggiormente, tentando di mantenere il sangue freddo. Gettò via il sacco e si apprestò a scalare quel muro, superando i cinque metri. C'era quasi. Rischiò di cadere, perdendo la presa con una mano e il piede; notò il vuoto sotto di lui e deglutì. Riprese il controllo della situazione e saltò fino alla corda. Quattro degli altri avevano già finito di scavalcare il muro. Si arrampicò, tendendo una mano verso il bordo.
Tuttavia qualcuno gli afferrò la caviglia e lo tirò giù.


Non ebbe neanche il tempo di aprire bocca che perse la presa sulla corda a causa di un soldato alle sue spalle che lo aveva utilizzato come rampa per scattare verso l'alto. Jake si aggrappò ad una pietra in rilievo nel muretto per evitare di cadere; provò a sollevare lo sguardo, ma sentì lo scarpone di un altro ragazzo puntellarsi sulla sua spalla per usarlo come appoggio sicuro per salire. Lui volle spostarlo, tentando di recuperare il divario, ma scivolò a causa del fango che gli altri avevano lasciato sui punti di arrampicata. Cercò disperato di raggiungere un'altra corda, ma era troppo lontana e sentiva che il suo piede, la punta sulla pietra, stava per cedere. Le dita rovinate sfiorarono la corda, ma il suo piede scivolò e cadde.

Eppure rimase nella stessa posizione.
Jake riaprì gli occhi, non rendendosi conto di averli chiusi per prepararsi allo schianto sul materasso, e guardò verso il basso; c'erano altri soldati intenti a scalare. Come aveva fatto a... Sollevò lo sguardo; il soldato venticinquenne che lo aveva superato all'inizio del percorso gli aveva ghermito il polso per impedirgli di cadere.

«Come on! Come on! Aggrappati alla corda, veloce! Non mollare proprio adesso.» gli ordinò con un accento americano levigato e marcato, molto rude e rozzo, i denti stretti per lo sforzo, ma le labbra incurvate in un ghigno scanzonato da fargli spalancare gli occhi dalla meraviglia.

Aveva uno sguardo magnetico, causato dal modo con la quale le sue iridi azzurre brillassero al sole, trasparenti quasi come il cielo. Il taglio era relativamente corto, ma sbarazzino; non aveva nulla a che vedere con la nuca rasata o il suo stile militare. Sembrava fosse lì da più anni.
Chi diavolo era? Non credeva di averlo visto in giro per la base. Annichilito, Jake non ebbe la volontà di parlare, eppure lo assecondò, usando la mano libera per afferrare la corda e tirarsi su, cosicché anche l'altro potesse ritornare sui suoi passi e raggiungere la vetta. La cosa che lo sconvolse maggiormente fu il suo continuo stargli accanto, impedendo agli altri partecipanti di usarlo come oggetto per acquisire velocità. Era il più giovane di quegli allievi, Jake, perciò il fatto che avessero potuto prenderlo di mira per spiccare al posto suo non era un fattore da sottovalutare. Giunto alla vetta, Jake si sistemò meglio per scendere.

«Ci sei?» il più grande gli diede una pacca sulla schiena, senza smettere di sorridere.

Jake si strinse nelle spalle, imbarazzato. Annuì in silenzio, dandosi la spinta con le mani per scendere. Insieme corsero fino al traguardo, arrivando tra gli ultimi cinque; appoggiarono le mani sulle ginocchia per riprendere fiato, mentre gli altri cercarono di concludere gli ultimi centimetri che li separava con la linea finale. Gli istruttori che li stavano seguendo staccarono il timer, annunciando il tempo da loro impiegato. Entrambi, giustamente, avevano compiuto il percorso in tredici minuti e ventisei secondi. Nessuno aveva completato la prova in meno di dodici minuti; il più vicino era stato tredici minuti e due secondi. Considerando le penalità che sarebbero state calcolate in seguito, si poteva già intuire che nessuno aveva superato l'ultima prova nel tempo prestabilito. Che fiasco.
Jake si sedette sulla panchina all'ombra; prese il suo asciugamano per eliminare i residui di fango sulla faccia e sulle mani e riprese fiato, abbassando le spalle. Che figura di merda. Non era questo quello che si era imposto; durante gli allenamenti non aveva superato il tempo prestabilito nemmeno una volta, e adesso – nella prova più importante – aveva fallito. Che bell'inizio.

«Ehi, cos'è quel muso lungo?»

Una voce familiare lo fece rinsavire; tolse fulmineo l'asciugamano dalla faccia e sussultò. Era il soldato che lo aveva aiutato. Teneva in mano due bottigliette d'acqua e gliene stava porgendo una, sedendosi accanto a lui senza neanche chiedere. Jake l'accettò, senza prenderne un sorso, ma ponendola in mezzo alle gambe aperte, e l'osservò; aveva innalzato il mento per bere, i capelli sudati appiccicati in fronte e il profilo delineato da delle forme adulte e precise. Non aveva la solita mascella squadrata all'americana, bensì un naso alla francese e delle labbra sottili. Poté intravedere, ora che la sporcizia era stata in parte levata, una lieve barbetta decorargli le guance. Sembrava fosse più alto di lui di qualche centimetro, non troppo.

«Si nota così tanto...? – abbozzò un sorriso amareggiato per poi rabbuiarsi di nuovo. – Non era questo il risultato che speravo di ottenere.» ammise, abbassando il capo sul terreno.

«Se per questo neanche io. – rispose schietto l'altro, dopo aver preso un lungo sorso per dissetarsi. – Quel percorso nessuno è mai riuscito a superarlo entro il tempo prestabilito, e sai perché?» Jake inclinò il capo e scosse la testa. «Perché quando gareggi contro gli altri, c'è sempre qualcuno che non accetta la sconfitta, sebbene nel SEAL non ci siano favoritismi.»

«Stai parlando di quei coglioni che mi hanno tirato giù per superarmi?»

«Precisamente.» sospirò una risata. «Ammettiamolo, sei il più giovane del Green Team; si sono sentiti umiliati. La pagheranno cara per quello che hanno fatto; gli istruttori non sono scemi, hanno già segnato la loro condotta sul campo, e di certo un soldato non si lascia indietro per salvare la propria pellaccia da un nemico letale e spaventoso come il "tempo".» fece le voce grossa.

Jake non poté fare a meno di ridere, mostrando per la prima volta un sorriso che sembrò appagare l'animo dell'altro soldato. «In effetti...Arriveranno comunque dietro di me, in classifica.»

«E tu potrai goderti la gloria.»

«Non sono il tipo.» ondeggiò la mano con un po' di imbarazzo.

«Io lo farei. Mi crogiolerei nei miei ammirevoli punteggi.» il più grande appoggiò le mani sulla panchina e accavallò le gambe con finta saccenteria e altezzosità.

Jake socchiuse gli occhi con interesse. «Di quale squadra fai parte?»

«Tiratori scelti. Ho partecipato a qualche missione con il Team Tre in Medio Oriente. L'istruttore Mitchell mi ha detto di puntare in alto e...ci ho provato.»

«Ti prenderanno di sicuro.»

«Anche a te. Se non è Team Alpha, sarà sicuro Team Charlie: spodesterai uno di quei gradassi.»

Jake non poteva negare di sperarci un poco, alla fine non c'era malignità in quelle parole, solo un minimo di meritocrazia. «A proposito. – tese la mano verso il più grande. – Io sono Jake. Jake Grant. Grazie per avermi aiutato e mi dispiace di averti fatto perdere secondi preziosi.»

L'altro fece una smorfia divertita, soffiando in su per scostare un ciuffo da davanti al viso. «Ehi, l'ho fatto perché meriti tanto, Jake. Che si fottano i punti, mi va bene dove sono adesso. – ricambiò la presa, stringendo la mano con enfasi. – Io sono Sully.»

Breve pausa. Un battito cardiaco sfuggito dal suo ritmo tranquillo.

«Sully?» ripeté confuso Jake.

Sully ghignò, gli occhi furbi. «Sì. Per gli amici sono Sully. Sully e basta.»

**

«Quando una persona si mostra in una maniera totalmente opposta da come solitamente appare, attira molto l'attenzione.»

Quella voce ridestò Sully dalla stasi cui era andato in quei minuti di preparazione.
Sbatté le palpebre un paio di volte, accorgendosi solo adesso di essere rimasto a fronteggiare il pavimento senza muovere un muscolo da quando era uscito dalla sala riunioni e si era seduto nella sua piccola cella agli spogliatoi, il luogo in cui ognuno di loro teneva la divisa, gli strumenti tattici e anche una bandiera americana, specialmente sul loro Stato di provenienza. Lui aveva qualcosa tra le mani, ed era stato a causa di quel piccolo quadrato dieci per dieci che la sua mente era andata lontano dal presente e dalla base. Gli occhi si posarono proprio su ciò che era agganciato alle sue dita per capire il motivo per il quale si fosse dissociato dall'ambiente circostante. Stava tenendo una foto, una piccola foto scattata da una polaroid di vecchio modello; risaliva proprio a dieci anni fa. La nascose veloce sul palmo della mano destra, poggiandola contro i jeans; rimase curvo con la schiena, scoccando un'occhiata alle sue spalle, dove vi era la porta d'ingresso. Sollevò le sopracciglia con sorpresa nel momento in cui davanti a lui si palesò la figura più improbabile che avesse potuto incontrare quel giorno; più che altro avrebbe immaginato che Dave, Gregory e Kyle fossero andati da lui a fargli il solito discorsetto di incoraggiamento sul non buttarsi giù e nel coltivare la determinazione necessaria per non fallire l'operazione. Inaspettatamente, davanti a lui vi era il ragazzino scorbutico della CIA, colui che gli aveva già fatto capire quanto non avesse voluto avere a che fare con loro e con tutto ciò che li riguardasse. Tuttavia, in una situazione aspra e delicata come quella, se lui e Dave non avessero avuto supporto, difficilmente avrebbero potuto proseguire con le indagini; vi era il rischio di un secondo attentato in quel treno, poiché se Y avesse voluto fare fuori il suo obiettivo, lo avrebbe già fatto.
E questo, secondo Sully, Noah Finley lo sapeva fin troppo bene.

«Tu ne sai qualcosa?» domandò con un ghigno, sebbene non fosse per niente dell'umore adatto per scherzare.

Noah chiuse la porta ed avanzò per appostarsi sul tavolo centrale alla stanza, dove vari borsoni erano collocati, ed incrociò le braccia davanti al petto. «Non mi vedrai mai con un atteggiamento diverso da questo.» disse, schioccando la lingua con dissenso.

«È strano vederti qui, avevo intuito che fossi un tipo di poche parole.»

«Infatti non sprecherò fiato, mi bastano poche informazioni. La parte tattica la lascio a quell'idiota del tuo Capitano; io procedo per la mia strada.»

Sully rimase a dargli le spalle e sospirò. «Sei analitico, si vede. Se Dave ragiona per via diretta, tu cerchi di analizzare il problema dalla radice. Però non vi rendete conto di convergere sullo stesso punto.»

«Y sta provocando Dave: una conclusione che nemmeno io avrei creduto di raggiungere. Dalle sue parole, ho realizzato che la risposta era proprio davanti ai nostri occhi – assottigliò lo sguardo, torvo. – e Jake Grant ne è la prova più inconfutabile.»

Vide il cecchino irrigidirsi.
Bloccata, la mano che stava massaggiando il retro del collo si era come pietrificata.
Noah ebbe un'ulteriore conferma.

«Amici, giusto? Inseparabili. Uniti. – iniziò, richiamando ulteriormente l'attenzione dell'altro. – Eppure qualcosa si è rotto tre anni fa.»

«Ragazzino-» Sully si voltò per fronteggiarlo, alzando il tono di voce.

«Qualcosa ti turba?» domandò con falso stupore.

«Non hai il diritto di parlare in questo modo.» mormorò il cecchino. «Non sai nulla.»

«Davvero?» lo vide stringere le labbra in una linea sottile. «Se ti importa così tanto di lui, perché non lo hai mai chiamato?»

Nessuna risposta. Un silenzio che valeva più di mille parole per Noah, il quale arricciò il naso, soddisfatto.

«Non ho più nulla da dire. Abbiamo finito.» concluse, staccandosi dal tavolo per andare via.

«Il fatto è che lui...» Sully si mise in piedi. Noah lo guardò con la coda dell'occhio. «Lui...Lascia stare.»

«È il tuo migliore amico?»

«Lo...era.»

Lesse solo confusione nei tratti trascurati e spossati del ragazzo.

«È...complicato.» ammise, abbassando lo sguardo per osservare la foto.

In quel piccolo quadrato vi erano raffigurati lui e Jake. Aveva ancora i capelli corti, ma aveva già preso la decisione di farli crescere per raccoglierli nella crocchia che lo definiva nel presente; ricordava quel giorno, quel momento in cui Jake era stato per scelto per partecipare con loro in missione. Sully provava un magone di entusiasmo e adrenalina al sol pensiero, rammentando ogni singola virgola di quell'evento come se fosse ancora lì, a sentire le risate del giovane artificiere. Si stavano preparando e stavano scegliendo le armi per partire; la foto raffigurava proprio loro due, di profilo, mentre si scambiavano opinioni; Jake aveva le braccia allargate, come a voler enfatizzare il tipo di esplosione che avrebbe potuto causare un tipo di esplosivo che gli aveva spiegato e che ancora ricordava alla perfezione. Dopo quel percorso, al Green Team, era come se fossero diventati inseparabili; Sully aveva capito che poteva fidarsi ciecamente di una persona buona e genuina come Jake. Quando era uscita la lista delle squadre, si era congratulato personalmente con lui per il suo trasferimento al Team Charlie; aveva davvero spodestato l'idiota che lo aveva tirato giù per passare avanti, mentre a lui era stato proposto al Team Alpha, già comandato da Dave Morrison. Quello stesso giorno lui e Jake erano usciti ed erano andati insieme a festeggiare in un pub; avevano chiacchierato tanto – se fosse stata colpa del troppo alcol, non ne aveva idea – ed erano diventati due combina guai con un'intesa invidiabile. Giorno dopo giorno si incontravano alla base, si allenavano insieme e la sera, al bar, discutevano di tutte le missioni cui erano andati incontro. Il loro rapporto era qualcosa di meraviglioso, tanto che Dave, una volta divenuto Capitano, aveva avuto la malsana idea di far entrare Jake direttamente nel Team Bravo senza fargli riprovare il Green Team; sapeva di per certo quanto valesse, non aveva bisogno di un'ulteriore conforma. Da lì, la loro coordinazione era affiorata come un fuoco d'artificio il giorno di Capodanno; non avevano smesso di combinare guai e di essere efficienti. Fino a quando...

«Cos'era complicato, parlare? – si irritò Noah, il tono roco. – Tsk. Siete degli ammassi di muscoli che non sono in grado di affrontare i cazzo di problemi. Se non avessi fatto il codardo, forse non saremmo qui ad impedire a Y di far fuori quel tuo amichetto. Invece ci stiamo facendo il culo per un problema che tu hai lasciato in sospeso per tre fottuti anni.»

Concluse quelle parole, uscì dalla stanza più irato che mai, non rendendosi conto di quanto la faccia di Sully fosse contorta dallo sconcerto. Quel ragazzo aveva capito tutto di quello che era successo fra lui e Jake, ma come aveva fatto a scoprirlo? Come c'era arrivato? Dubitò che Dave avesse potuto raccontargli qualcosa, eppure ne sembrava abbastanza conscio. Un momento; aveva davanti un cazzo di hacker. Quel bastardo aveva fatto due più due subito dopo aver letto il profilo di Jake e del suo ritiro, per questo era venuto da lui per parlargli; non voleva dargli alcun conforto, nessuna consolazione.
Aveva solo riconfermato le sue certezze per dirgli personalmente che quella situazione si era andata a creare per colpa sua.

**

Noah proseguì per i corridoi fino a raggiungere l'anticamera ed impacchettare tutta la sua roba. Dave aveva già comprato i biglietti per far salire tutti loro su quel maledettissimo treno, affinché non perdessero tempo una volta arrivati lì. Avrebbe dovuto portare il suo computer portatile? Solo per precauzione, anche se il rischio che venisse nuovamente distrutto fosse dietro l'angolo. Come se il problema maggiore fosse il suo pc, comunque. Chiuse la zip dello zaino e sbuffò rumorosamente, nervoso. Non poteva credere che quell'operazione fosse il frutto di un motivo tanto stupido che si era impicciato nella sua vita dopo tre anni. Se Jake non avesse mai abbandonato il Team Bravo, avrebbero potuto essere ad un fottuto passo da Y; non vi sarebbero stati altri uomini vicino a Dave da eliminare, se non i suoi stessi compagni di squadra, e avrebbero avuto meno salti mortali da compiere per trovare quel maledetto assassino. E lui cosa stava facendo? Stava prendendo parte per la seconda volta ad un'operazione con dei soldati. Un fottuto rischio di attentato. Pensò, abbassando il cappuccio per aggiustarsi i capelli scompigliati e ribelli quanto il suo carattere; chiuse la felpa, iniziando a sentire un po' di freddo. Più voleva sbarazzarsi di quel caso all'istante, più il destino gli mandava altri ostacoli da superare, come se avesse voluto metterlo alla prova per andare avanti in quella merdosa e monotona esperienza che chiamava vita.
Udì la porta alla sua destra aprirsi; capì benissimo chi fosse solo dal movimento all'estremità del suo campo visivo.

«Dovresti rimanere qua.» disse quella voce, alta quanta quella di un tenore.

Un sospiro scappò dalle sue narici. «Dov'è finita la frase: Il caso è di entrambi?» lo provocò Noah, atono.

Dave avanzò, severo quanto intransigente. Aveva finito di parlare con Gregory e Gavin, i quali erano ritornati a casa per continuare a riposare, seppur le loro menti fossero soggiogate dalla paura, e aveva finito di preparare la pistola per partire. L'aereo era già in fase di rifornimento, pronto a spedirli a Tucson per poi proseguire in auto a Benson. Tuttavia ci aveva rimuginato su per tutto il tempo, riuscendo ad essere multitasking nel trattare con i suoi uomini e pensare simultaneamente a ciò che fosse giusto e sbagliato in quell'operazione; Dave non era un tipo che lasciava tutto al caso; sin dagli albori di una missione non partiva senza la consapevolezza di avere tutto sotto controllo. C'era un elemento che avrebbe potuto impedire al piano di compiersi.

«Sono serio, Noah. Non riesci neanche a reggerti in piedi. Quello che è successo in sala riunioni non puoi negarlo.» precisò il soldato, gli occhi ancorati alle occhiaie così nere del ragazzo da far venire i brividi.

Corrugò la fronte, più che preoccupato; aveva ancora vivido nella testa il modo in cui la nuca di Noah era andata in avanti in modo brusco da fargli percepire per un brevissimo attimo il timore che stesse collassando davanti a tutti. Se gli altri se ne fossero accorti tanto quanto lui, gli avrebbero detto la stessa cosa. Ma pareva che al ragazzo non interessasse la sua opinione.

«Fatti i cazzi tuoi.» replicò con stizza, dandogli le spalle.

«Questo mi riguarda, e parecchio. – Dave avanzò di qualche passo per essere ascoltato. – Stiamo andando incontro ad una missione pericolosa.»

Noah si girò, la perspicacia evidente. «Sai perché non me ne frega un cazzo? Perché la tua non è pura disponibilità; non vuoi farmi il favore di rimanere a casa per una buona volta, consapevole del mio punto di vista. Lo fai perché pensi che io possa rovinare la tua missione.»

«E anche se fosse? Abbiamo un minimo di possibilità di salvare Jake e non posso tollerare che Y la faccia franca ancora una volta.»

Dave non registrò quell'impercettibile movimento delle dita né l'inspirazione netta che bloccò il petto. E d'altronde Noah non lo diede neanche a vedere, vista l'espressione spazientita e lo spasmo che fece vibrare la palpebra destra.

«Certo! Il paladino della giustizia pensa alla fottuta missione e non vuole che nessuno lo intralci e rischi di mandargliela a puttane!» avanzò di conseguenza, affinché si trovassero faccia a faccia, la voce alta e spazientita.

Morrison socchiuse gli occhi per niente intimorito.

«Metti in considerazione la probabilità che tu possa collassare su quel treno. – indicò un angolo vuoto per rendere l'idea con rabbia. – Cosa dovremmo fare io e gli altri?!»

«Niente. Perché non succederà. Non mi conosci, non puoi sapere quante notti insonni io riesca a sopportare!»

«Ma nei giorni non hai fatto altro che stare seduto su una cazzo di sedia, mentre adesso dovrai fare i conti con una vita a cui non sei abituato. Le risposte del nostro corpo cambiano a seconda dell'ambiente in cui si trova!»

«Non venire a farmi da professore. Conosco bene i miei limiti e cosa posso e non posso fare!» ringhiò Noah.

Dave strinse i pugni ed intirizzì la mascella. Avrebbe voluto prenderlo per le orecchie e aspirargli via quella dannata testardaggine che aveva il suo cervello; quel ragazzo avrebbe fatto di testa sua per qualunque cosa lo riguardasse. Ma sul campo operativo si dovevano seguire le sue regole; poteva anche non dormire per settimane, ma se fosse stato poco responsivo durante l'operazione, Jake ci avrebbe rimesso la vita. E lui non avrebbe tollerato che un altro dei suoi uomini morisse, se questa volta avrebbe potuto fare la differenza. Anche lui era stanco, la ferita alla spalla non era del tutto guarita, ma aveva chiuso occhio abbastanza da permettere ai suoi muscoli e alla sua volontà di non tradirlo proprio adesso.

«Evidentemente non li conosci abbastanza; guardati allo specchio, così vedresti con i tuoi occhi di cosa parlo.» lo avvertì, rigido. «Cerca di fare la persona matura e rifletti!»

«Persona matura? Riflettere?!» ripeté Noah, inorridito.

«Esattamente. Ti comporti come un ragazzino indisciplinato!»

«È così che la metti?»

Noah lo sorpassò, fermandosi accanto a lui, spalla contro spalla. L'aria era tesa, immobile, la base improvvisamente silenziosa per dare spazio a quell'incontro e alla battaglia di sguardi che si era andata a creare tra i due. Con la coda dell'occhio si stavano esaminando, giudicando, insultando, con le espressioni più cupe e minacciose che avessero mai sviluppato l'uno nei confronti dell'altro. Più passava il tempo, più quell'incarico li metteva alla prova, sottolineando quanto in realtà non si sopportassero e non potessero fare a meno di scontrarsi per i punti di vista differenti con cui osservavano il mondo.
Forse Sully aveva ragione; due metodi differenti che convergevano in uno stesso punto. Tuttavia, in quel preciso luogo in cui si incontravano, non potevano fare a meno di essere contrastanti e poco inclini alla collaborazione; se avessero voluto succedere nelle indagini, avrebbero dovuto evitare simili attriti. Simmons li aveva scelti, aveva trovato in loro qualcosa che nessuno aveva visto; forse aveva voluto organizzare di proposito una tale scelta per fare in modo che si ritrovassero e andassero d'accordo, ma si sbagliava.
Dave e Noah non sarebbero mai e poi mai andati d'accordo.
Due personalità diverse e contrapposte come le loro non si sarebbero attratte come il tipico detto di chi aveva la sfrontatezza di assottigliare la pressione che aleggiava nell'aria; gli opposti potevano attrarsi nella scienza, ma non nella realtà con corpi fatti di carne e ossa.
Dave aveva sbagliato a pensare che forse quel caso li avesse avvicinati e avesse diminuito le incomprensioni che avevano vissuto nel primo anno di convivenza; in questo modo aveva visto più da vicino quanto quel ragazzo fosse circondato da una barriera più invalicabile di quel che si era aspettato. Non erano le sue occhiatacce, né l'introversione, a renderlo schivo e distante; era il suo carattere. C'era qualcosa in quel carattere che non era in grado di tradurre. Quella testardaggine lo rendeva irragionevole, ma al tempo stesso stranamente ponderato. Seguiva solo le sue scelte, le sue idee, non fidandosi di nessuno, nemmeno della sua ombra.
Noah, d'altro canto, non aveva mai avuto un pensiero positivo su Dave, nemmeno uno. Per lui era e sarebbe rimasto un patriottico soldato da quattro soldi che pensava solo alle sue idee e al lavoro; non aveva mai avuto un pensiero diverso da quando lo aveva conosciuto, neppure quando aveva preso la decisione di raccontargli del suo divorzio. Momenti effimeri. Attimi di debolezza e di vulnerabilità che rappresentavano qualunque essere umano. Ma non lui. Lui non si faceva abbindolare da simili sciocchezze. Dave poteva avere un carattere buono, poteva essere la persona di cui tutti potevano fidarsi, ma a lui queste cose non importavano. Non ne aveva bisogno.

«Vuoi che io sia un ostacolo?» sibilò Noah. «Fine. Sarò il tuo peggiore incubo.» urtò la spalla contro quella di Dave prima di uscire dalla stanza.

L'uomo rimase immobile, senza sbilanciarsi di un millimetro a quelle parole e a quella spallata.
Dallo sguardo torvo e impassibile si poteva leggere una sola intenzione:
Tra di loro era ormai guerra. 

________________________________________________________________________________

Angolo autrice:


Scusate il ritardo! Ma oggi è stata una giornata molto ricca di impegni e sono riuscita a trovare un buco per pubblicare! 
Che ve ne pare di questo nuovo capitolo? 
Abbiamo molte più informazioni su Jake, un nuovo lato di Sully e poi una curiosità molto invadente di Noah, è parte del suo sangue informatico, purtroppo.
In più notiamo l'astio che Dave e Noah hanno nei confronti dell'altro, pareri sempre più forti e contrastanti. Riusciranno ad andare d'accordo?
Nel prossimo capitolo entreremo nel vivo dell'azione. Siete pronti?

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