OPERAZIONE Y

By DarkRafflesia

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Dave Morrison, Capitano del Navy SEAL, è un uomo determinato, autorevole, ma sconsiderato e fiscale. Noah Fin... More

⭐RICONOSCIMENTI
Presentazione
Cast
Dedica
Prologo
PARTE PRIMA
Capitolo 1: Bravo (Parte 1)
Capitolo 1: Bravo (Parte 2)
Capitolo 2: Coinquilini
Capitolo 3: Demoni del passato
Capitolo 4: Una semplice giornata di lavoro
Capitolo 5: Insieme
Capitolo 6: Prima Tappa
Capitolo 7: Presenza
Capitolo 8: Sconosciuto
Capitolo 9: Ricordi bruciati
Capitolo 10: Il prossimo
Capitolo 11: Vacanza (Parte 1)
Capitolo 11: Vacanza (Parte 2)
Capitolo 12: Dolore lontano
Capitolo 13: Turbolenze
Capitolo 14: Scontro
Capitolo 15: Notizia
Capitolo 16: Lettere reali
Capitolo 17: Firmato...
Capitolo 18: Sui tetti
Capitolo 19: In mezzo alla folla...
Capitolo 20: Rientro
PARTE SECONDA
Capitolo 21: Adunata
Capitolo 22: Sorpresa?
Capitolo 23: Toc-Toc
Capitolo 24: Legami scomodi
Capitolo 25: Nuovi ospiti
Capitolo 26: La spia
Capitolo 27: Tocca a me
Capitolo 28: Il mondo continua a girare
Capitolo 29: Prurito ed ematomi
Capitolo 30: Fede
Capitolo 31: Rimorsi
Capitolo 32: Torna a letto
Capitolo 33: Fiamme
Capitolo 34: Scuse e incertezze
Capitolo 35: Analista per caso
Capitolo 37: Bersagli
Capitolo 38: Ostacoli
Capitolo 39: Ho trovato Jake e...
Capitolo 40: La bomba
Capitolo 41: Shakalaka
PARTE TERZA
Capitolo 42: Scampagnata
Capitolo 43: Pausa?
Capitolo 44: Nuove conoscenze
Capitolo 45: Mercato finanziario
Capitolo 46: Linea
Capitolo 47: Safe International Hawk
Capitolo 48: Fregati
Capitolo 49: In trappola
Capitolo 50: Dimitri Malokov
Capitolo 51: Rancore
Capitolo 52: Portare via tutto
Capitolo 53: Insofferenza
Capitolo 54: Colpe
Capitolo 55: Operazione Y
Capitolo 56: Amicizia
Capitolo 57: Risposta inaspettata
Capitolo 58: Rivelazione
Capitolo 59: Con onore
Capitolo 60: Rottura
Capitolo 61: Solitudine
PARTE QUARTA
Dimitri Malokov & Iari Staniv
Capitolo 62: Egoismo
Capitolo 63: Apnea
Capitolo 64: Il prezzo da pagare
Capitolo 65: Anonimato
Capitolo 66: Saluto
Capitolo 67: Benvenuto nella squadra
Capitolo 68: Giuramento
Capitolo 69: Decisione
Capitolo 70: L'impegno che non serve
Capitolo 71: Lontanamente vicini
Capitolo 72: Vecchie amicizie
Capitolo 73: Vigilia
Capitolo 74: L'inizio
Capitolo 75: Le squadre
Capitolo 76: Patente?
Capitolo 77: La tana del lupo
Capitolo 78: Boom...
Capitolo 79: Maledetta emotività
Capitolo 80: Svantaggio?
Capitolo 81: Iari Staniv
Capitolo 82: Luccichio
Capitolo 83: La pace
Capitolo 84: Caduti
Capitolo 85: Respirare

Capitolo 36: Non puoi dimenticare

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By DarkRafflesia


Alle 23:00 di Washington D.C., a Los Angeles erano le 20:00.

«Sì. Sì. Mamma. A Susan farebbe molto piacere rivedermi, ne sono convinto anche io.» parlò un ragazzo sui trentatré anni al telefono, mentre camminava per la stazione dei treni con fare stanco, ma entusiasta. Trasportava un borsone sulla spalla, nulla di troppo invadente; dopotutto il viaggio organizzato su due piedi non sarebbe durato chissà quante settimane, solo cinque giorni. «Gli allenamenti sono andati bene. Al gruppo mancava la mia presenza e ci siamo passati un'estate a suon di surf. Non ti nego che è passato tanto tempo da quando ho cavalcato le onde: ci voleva.» proseguì, grattandosi la nuca ramata e scompigliata con disinvoltura. «Oh? Sì! Hai visto quella foto con Myers? Non me lo sarei mai aspettato, eppure ci siamo incontrati e mi ha offerto da bere. Simpatico.» sorrise al sol pensiero con malinconia.

Jake Grant stava passeggiando per i lunghi corridoi affollati della stazione di Los Angeles.
Avrebbe dovuto viaggiare per Oceanside, la sua città natia, dove la famiglia lo stava aspettando dopo aver passato l'estate con il gruppo di surfisti con cui era solito trascorrere la stagione calda per cavalcare appunto le onde, ma gli era giunta la notizia che la sorella minore, Susan, era già andata via a Dallas, dove era stata presa alla Southern Methodist University in Scienze Biologiche; purtroppo non aveva avuto il tempo di aspettare il suo rientro, che avevano anticipato l'assemblea di accoglienza e l'inizio delle lezioni. Dunque aveva deciso di farle una sorpresa; anziché aspettare il Natale per poter rivedere la sua sorellina appena ventenne, sarebbe andato lui direttamente da lei, senza dirle nulla. D'altronde...non aveva nulla da fare. Viveva da solo a Los Angeles e aveva trovato un lavoro come addetto al California Science Center; doveva solo guidare i turisti per il centro, spiegando loro come funzionassero tutti quegli strumenti e la storia che aveva portato alla loro invenzione. Avendo una laurea in Chimica, ne sapeva molto di tutte quelle cianfrusaglie, le quali non erano nient'altro che copie delle originali per evitare atti di vandalismo e rischi di reali esplosioni. Molte volte lo chiamavano per la manutenzione degli stessi, essendo l'unico ferrato in quei concetti che dei semplici addetti non potevano mai comprendere. Di sostanze chimiche ne sapeva eccome, soprattutto di come queste potevano essere miscelate per poter creare gli esplosivi più originali che il mondo avesse potuto sperimentare; ne poteva creare di molti tipi, dai più deleteri ai più contenuti, abbastanza per uccidere chi si trovava dentro una stanza senza correre il rischio di distruggere l'intero plesso dove questa sarebbe stata situata. Era avvezzo a situazioni come quelle. Fin troppo avvezzo.
Sospirò, mentre ascoltava tutte le rassicurazioni che la madre gli stava rivolgendo, ogni minimo dettaglio su dove si trovasse la sorella e tutto ciò che c'era da sapere per giungere da lei, come se non sapesse che dall'altro lato della linea vi era un uomo di trentatré anni che aveva in precedenza indossato delle piastrine e aveva passato mesi e mesi in luoghi ostili e sconosciuti. Purtroppo era stata una decisione presa all'ultimo minuto e non vi erano voli last minute che avrebbero potuto permettergli di arrivare spedito da Susan; aveva optato per un treno, il che non sarebbe stato male. Preferiva di gran lunga viaggiare in treno che in aereo, dopo tutti gli anni prestati in servizio al Navy SEAL. Ricordava di avere ventidue anni quando aveva indossato per la prima volta la divisa; ogni spedizione si poteva raggiungere solo in aereo.
Di conseguenza, ogni volo intrapreso, anche solo per puro svago, lo riportava a quei momenti, momenti di conversazione con i suoi compagni con una bella birra, inconsapevole della guerra che lo attendeva. Al contrario, in treno avrebbe potuto assaporarsi ogni sprazzo di terra degli Stati Uniti, un panorama a tutte le ore del giorno; da Los Angeles a Dallas ci sarebbero volute precisamente ventiquattro ore, ma non gli importava. Aveva prenotato un vagone con cuccetta, cosicché da poter leggere un libro e godersi il dolce rumore delle rotaie. Pur volendo, non era il solo. Dopo aver fatto il biglietto, uscì dalla stazione per recarsi in un bar ristorante e prendere qualcosa da mangiare e bere. Il suo treno sarebbe partito tra due ore, quindi c'era ancora tempo. Viaggi del genere erano organizzati di proposito la sera, cosicché la maggior parte del viaggio avanzasse mentre i passeggeri dormivano. Non vedeva l'ora di vedere la faccia impareggiabile di Susan di fronte a lui.

«Va bene mamma. Ti saluto adesso. Vorrei mangiare e non essere tartassato dalle tue continue rassicurazioni. Sto bene.» scherzò con un sorriso affettuoso, sedendosi in un tavolo all'angolo della sala per non dare nell'occhio.

Ma a chi sarebbe interessata la sua presenza? Jake chiuse la chiamata, quando sua madre si convinse a lasciarlo in pace, e adagiò la schiena in tensione sulla spalliera della sedia. Mio Dio, quanto parla. Farfugliò fra sé e sé, riprendendo fiato. Le apprensioni di una mamma non sarebbero mai cessate, non importava quanti anni avessi; sebbene sapesse cavarsela da solo, da quel giorno i suoi genitori gli erano stati più accanto rispetto a quanto non lo facessero già. Avevano accettato la sua decisione di proseguire la sua vita servendo gli Stati Uniti, nonostante la laurea, e non avevano mai smesso di credere in lui da quando si era trasferito a Washington D.C. per poter essere vicino alla base del Navy SEAL e alla sua squadra. Erano sempre in pensiero quando lui li avvisava di una nuova operazione – anche se con il passare del tempo aveva scelto di non parlargliene più, pur di evitare che l'ansia attanagliasse il loro cuore per tutti quei mesi in cui lui avrebbe rischiato la vita – e lo erano stati maggiormente quando aveva detto loro di abbandonare la sua squadra. Sapevano quanto lui ci tenesse, quanto si fosse allenato per superare le prove iniziali e farsi notare dai piani alti dell'esercito, perciò quella scelta li aveva lasciati di stucco. Ma cosa ci poteva fare? Un uomo cambiava idea dall'oggi al domani, e lui aveva capito che forse quella strada non faceva per lui: non era molto complicato realizzare quanto quei sogni era meglio che restassero tali. Aveva provato a studiare, capendo che proseguire con il dottorato non fosse la scelta migliore; aveva provato a combattere, capendo che non c'era portato; e adesso stava conducendo una vita noiosa. Come ogni singolo abitante del mondo, si svegliava, andava a lavorare, tornava a casa, usciva la sera, dormiva e ricominciava tutto daccapo. Dalle grandi aspettative che si era prefissato quando gli era stato consegnato il distintivo del Navy SEAL, era caduto nel baratro dell'ordinarietà.

Chiamò il cameriere e gli chiese una bistecca ai ferri e una tazza di caffè.
Quando questi andò via dopo aver appuntato tutto, vide che erano entrate tre nuove persone; una coppia di giovani sposi e un uomo sulla quarantina in completo; sembrava un lavoratore di fretta. La coppia si sedette dall'altro lato della sala, mentre il solitario si mise due tavoli più lontano da lui. Jake poggiò il gomito sulla superficie e si stropicciò gli occhi; non sapeva perché, ma da quando aveva abbandonato la vita militare non faceva altro che guardarsi con circospezione ovunque andasse, come se avesse sempre addosso la sensazione di essere seguito o spiato; tante erano state le operazioni sotto copertura cui aveva preso parte per la CIA, per conto del suo Capitano: Dave Morrison. E tanti erano stati gli addestramenti dove gli era stato insegnato come pedinare e contropedinare; non faceva altro che cambiare percorso ogni volta che usciva di casa per andare al museo e viceversa, cosicché nessuno avesse potuto tenerlo d'occhio. Eppure sapeva che nessuna di quelle persone lo conosceva, che conosceva il suo passato da soldato. Tuttavia la sua mente era rimasta ancora a quei giorni, nonostante fossero trascorsi tre anni. Era sempre un campanello che gli suonava in testa nei tempi morti della giornata, quando doveva stare seduto dietro il bancone delle brossure e delle guide turistiche in attesa che qualcuno lo chiamasse per ripetere le solite e identiche quattro fesserie a memoria; che fine avevano fatto i suoi compagni? Come se la stavano cavando Dave, Gregory, Sully e Kyle? Chi aveva preso il suo posto dopo che era andato via? Avevano trovato un altro artificiere o bastava la presenza di Kyle per colmare il suo buco? Anche quel vichingo se ne intendeva di esplosivi – non tanto quanto lui – eppure per il disinnesco avevano trovato un nuovo compagno? Forse chiamavano un artificiere degli altri team quando sapevano che in gioco vi erano degli esplosivi, in attesa di trovare un suo sostituto. O forse lo avevano già trovato.

Ecco, stava succedendo di nuovo. Sbatté la fronte contro il tavolo, volendosi sotterrare. Aveva troncato i rapporti con loro, eppure non uscivano dalla sua testa. Sollevò lo sguardo adocchiando le sue braccia toniche e possenti; non aveva mai smesso di allenarsi e di andare in palestra, nemmeno una volta, seppur non gli servisse più. Entrarono altre due persone, due giovani uomini vestiti in maniera sportiva; non parevano essere dei viaggiatori come lui. Passò mezz'ora e, quando arrivò la sua bistecca, il locale era già pieno di persone. Mentre mangiava, di volta in volta sollevava lo sguardo verso la televisione in fondo alla sala; il match di quella sera era scadente, non erano neanche squadre che lui seguiva, ma erano un ottimo passatempo; la bistecca era al sangue e succulenta. Quando finì, si pulì il labbro con il tovagliolo e sorseggiò la sua tazza calda per rilassarsi in attesa che arrivasse l'ora di tornare in stazione. Quella sera non faceva tanto freddo, così aveva indossato una monocromatica t-shirt bordeaux e un giubbotto estivo nero, un paio di jeans e delle scarpe da ginnastica. Gli piacevano i luoghi affollati; gli piaceva osservare la felicità delle persone. Quella coppietta era entusiasta, anche da lontano vedeva quanto il marito facesse sorridere la moglie con delle battute inaudibili da quella distanza, ma sicuramente di gusto. Sembravano in procinto di intraprendere una luna di miele, una sorta di viaggio in treno che li avrebbe portati dall'altro lato degli Stati Uniti per godersi i luoghi che non avevano mai visto. Poi vi erano singoli uomini e donne d'affari; molti non avevano fatto altro che parlare al telefono anche mentre mangiavano. Invece quei due ragazzi stavano fissando lo schermo della partita, tifando il loro team del cuore. In tutto, Jake poté contare una ventina di persone. Il locale era discretamente piccolo, adatto per la gente del posto o per chi doveva viaggiare; non era dotato di chissà quale grande lusso. Ma gli andava bene così; i soldi guadagnati nel Navy SEAL li aveva regalati a Susan e ai genitori, cosicché potessero permettersi la vita dei loro sogni. A lui bastava quel discreto appartamento a Los Angeles, e il lavoro era ben retribuito...tutto sommato.

Entrò un nuovo cliente, un giovane uomo sulla quarantina. Il cameriere gli disse che non vi erano tavoli liberi e che avrebbe dovuto aspettare una ventina di minuti, ma questi indicò una zona cieca del locale dicendo che lo stavano aspettando. Allora venne lasciato in pace e il nuovo cliente camminò lesto in direzione dove era seduto Grant. Con uno sguardo tinto dall'imbarazzo, si chinò per essere al suo stesso livello e poggiò la mano sulla sedia vuota.

«Ehm...Excuse me...» esordì, richiamando l'attenzione di Jake; era talmente sovrappensiero che non si era accorto del nuovo arrivato.

Analizzò quell'uomo; indossava giacca e cravatta, ma questa era legata alla rinfusa, caratterizzata da errori che ad una riunione non avrebbero minimamente tollerato. Aveva una carnagione abbronzata e un taglio corto, semi rasato, dalla quale poté intuire un capello corvino. Gli occhi erano azzurri, molto stanchi, contornati da occhiaie fin troppo evidenti. Da dove cavolo era sbucato fuori? Pareva un lavoratore che non aveva ripreso fiato nemmeno un secondo in quella giornata.

«Mi...dica?» Jake inclinò la testa, poco convinto.

«Mi hanno detto che il locale è pieno e che non ci sono posti a sedere, ma ho girato già quattro ristoranti e mi hanno dato lo stesso riscontro. Quindi...Le dispiace se mi fingo suo conoscente e mi siedo qua?» si grattò il retro del collo dalla vergogna, abbozzando un sorriso cordiale. «Se è un problema vado via, non si faccia problemi.»

«Affatto. Prego, si sieda.» Grant gli porse la mano per indicargli la sedia vuota. «Ho finito, credo che dopo il match andrò via.»

«Non si scomodi. Può rimanere tutto il tempo che vuole, il tavolo è suo.» l'uomo chinò il capo più volte in senso di ringraziamento e si sedette accanto a Jake. «Comunque molto piacere, mi chiamo William Kelly, per gli amici Billy.» tese la mano.

«Jake Grant.» ricambiò la stretta l'altro, ritornando poi al suo caffè.

«Mi presento in un aspetto, pessimo. Mi scuso subito. – parlò veloce William, aggiustandosi la cravatta. – Ma ho avuto una giornataccia e sono di fretta.»

«Lavoro?»

«A chi lo dice. Ho avuto un meeting e ho finito dieci minuti fa, fra un'ora ho il treno: devo tornare in fretta da mia moglie, altrimenti sono finito.»

Jake ridacchiò, prendendo un sorso dalla bevanda. «Da quanto tempo è sposato, se posso chiedere?»

William ordinò da mangiare, chiedendo lo stesso menù del suo interlocutore, sebbene non sapesse cosa avesse preso. «Dieci anni. Sono un esperto.» rise. «Lei è sposato?»

«Ti prego dammi del tu, non sono così vecchio. Ho solo trentatré anni. – disse Grant con imbarazzo. – Comunque no. Non ho ancora trovato la mia anima gemella. Forse è meglio così.»

«La cosa è reciproca. Anche tu aspetti il treno?» Jake annuì. «Dove vai?»

«Dallas. Vado a trovare mia sorella.»

«Un po' lungo come viaggio, come mai il treno?»

«Decisione dell'ultimo minuto.»

William intrecciò le mani sul tavolo, iniziando a rigirarsi i pollici. «Hai una faccia che non mi è nuova. Lavori per caso da qualche parte?»

Jake poggiò la guancia sul palmo della mano con fare annoiato, scoccando un'occhiata verso la vetrata che dava all'esterno. «Se sei andato al California Science Center, mi avrai sicuramente visto.»

«Oh! Sì! Ecco perché avevi un volto familiare. Ci sono andato per una riunione con un team di marketing. Robe noiose, insomma.» spiegò Kelly con un sorriso. «Se non erro, stavi guidando un gruppo di turisti orientali.»

«Uno dei tanti.» mormorò l'ex-soldato.

«Da quanto tempo fai questo lavoro? Scuse se ti osservo, ma hai un fisico simile a quello di un soldato.» e mentre lo disse, lo scannerizzò letteralmente con i suoi occhi.

«Lo ero.»

«Davvero?» adesso William era sinceramente colpito e meravigliato, come se avesse visto un'apparizione divina sbucargli proprio davanti. «Oddio, oddio. Scusa. Mi contengo. Ma cavolo. Non credevo di incontrare per puro caso un ex-soldato.»

Grant sollevò un sopracciglio, perplesso. «Perché dovrebbe essere così sconcertante? Non sono in servizio da tre anni, non ho più quel carisma luminoso e appariscente.» ironizzò, un po' a disagio da quell'euforia inaspettata.

«No. No. Certo. Ma perché hai deciso di ritirarti? Sei giovane.»

«Non è per tutti.» rispose semplicemente Jake, incrociando le braccia sul tavolo. «Sono stato nel Navy SEAL per quasi dieci anni. Mi basta. Meglio ritornare alla vita di tutti i giorni. Anche se certe scene... – pensò all'Iran, a quella donna, all'esplosione e alle urla che si susseguirono in mezzo a tutto quel sangue. Un flash gli abbagliò la vista, costretto a sbattere le palpebre per scostarle temporaneamente dal suo campo visivo. Serrò i pugni nascosti sotto le braccia per sopprimere quel tremolio inconsulto che si impossessò del suo corpo, mordendosi l'interno della guancia. – non vanno via.» si passò una mano sul viso, scostando qualche ciuffetto dalla fronte con disinvoltura.

William si schiarì la gola, come se profondamente colpito da quelle parole e mortificato per aver fatto una certa domanda indiscreta. «Mi dispiace.»

«No. Figurati. È acqua passata.»

«Lo penso sul serio.»

«Non importa.» Jake finì l'ultimo sorso di caffè, prendendo la tazza senza usufruire del manico.

William si allentò la cravatta, come se l'aria fosse diventata improvvisamente tesa e opprimente. Si guardò alle spalle, controllando le persone dietro di lui, dopodiché si umettò le labbra secche e si spostò leggermente con la sedia per avvicinarsi al più giovane. Si sgranchì il collo e ritornò con un contegno più cupo e serioso.

«Sai, mi sono sempre chiesto che vita possano condurre i soldati. Quanto peso portino sulle spalle.» iniziò, destando l'attenzione di Jake per essere guardato. Questi, avendo abbastato lo sguardo sulla tazza vuota, lo sollevò titubante, curvando la schiena per un po' di demoralizzazione che lo colpì improvvisamente a causa di quei discorsi, i quali lo avevano riportato nel passato che aveva cercato ostinatamente di dimenticare senza alcun risultato. Forse anche William se ne rese conto, perché gli occhi color nocciola di Jake assunsero un'inclinazione cadente negli angoli, proprio a sottolineare quanto quelle parole gli avessero smorzato quel poco di buon umore che era riuscito a racimolare nel corso della giornata. «Scommetto che tu hai perso tante persone a te care.»

«Perché vorresti saperlo?» domandò Jake, corrugando lievemente la fronte. Stava iniziando a non tollerare quelle domande. La curiosità si stava trasformando in invadenza e aveva già detto esageratamente troppo, pur avendo di fronte uno sconosciuto privo di esperienza e buon senso.

Vide William sostenere il suo sguardo senza distogliere gli occhi. Percepì una strana sensazione, tanto che raddrizzò la colonna vertebrale per distanziarsi ulteriormente da lui.

«Jake, non voglio essere insistente. Lungi da me essere un impiccione.» l'uomo cambiò tono, eliminando quelle note spensierate e stanche per cercare di fare un discorso maturo e severo. «Ma sai...Anche io ho perso persone care.»

Jake volle ribattere, chiedere se si riferisse a parenti o amici che avevano indossato una divisa, ma percepì qualcosa di freddo poggiarsi sul suo fianco, al di sotto del tavolo. Col fiato mozzo, chinò con una lentezza aberrante la testa per osservare ciò che gli fece mancare un battito.
La canna di una pistola era posizionata proprio sul suo giubbotto, senza sicura, nascosta agli occhi dei presenti. Se avesse fatto un passo falso, non importava quanta esperienza portasse sulle spalle, sarebbe morto. Con occhi spalancati, ritornò su William, il quale adesso aveva un sorriso a trentadue denti stampato sulla faccia. Sentì i peli delle braccia rizzarsi dal timore, tanto che sembrò paralizzarsi sul posto. Mai avrebbe immaginato che la conversazione avesse potuto prendere una piega così...raccapricciante. Chi avrebbe mai potuto dirgli che quell'uomo straccione e di fretta avesse potuto prenderlo di mira per qualcosa che lui non aveva capito? Lo aveva visto in disparte nel locale e voleva derubarlo, vedendo le altre persone troppo difficili da abbordare per compiere un delitto? Cosa voleva da lui? Deglutì, muovendo esageratamente il pomo d'Adamo, mentre una goccia di sudore gli rigò lo zigomo pietrificato dalla tensione. Senza muovere neanche un muscolo, aprì la bocca, non potendo trattenere un sospiro ansante.

«Cosa...stai facendo?» domandò, mantenendo comunque un tono autoritario e stabile.

William schioccò la lingua, scuotendo la testa.

«Sei un bravo ragazzo, Jake. Te lo leggo negli occhi. – ammise, spingendo la canna contro il fianco del giovane. Lo sentì irrigidirsi sotto quel tocco, e ciò lo eccitò. – Ti sei ritirato dalla vita militare, nonostante avessi potuto continuare con quello che stavi facendo, ma come hai detto tu...certe scene non vanno via.»

Jake inspirò profondamente, non essendo in grado di andare incontro al suo discorso. Era per caso una persona che aveva fatto incazzare quando era ancora un soldato? Un terrorista che aveva provocato con qualche esplosione? Tante erano state le persone con cui aveva avuto a che fare, ma nemmeno una poteva essere in circolazione e poteva anche solo sapere chi fosse, da dove venisse e che quel giorno sarebbe stato in quella dannata stazione.

«Hai tante domande, lo capisco. Ma fidati di me: non ti serviranno a niente.» lo anticipò William, sospirando compiaciuto. «Quel che è fatto è fatto. Non puoi tornare indietro.» sorrise, pressando il cane della pistola. «Forse avresti fatto meglio a rimanere nel Team Bravo, in questo modo sarebbe stato più difficile raggiungerti.»

Una scossa saltellò lungo la schiena di Jake.

«Come fai a...?»

«No. No. Non sei nella posizione di parlare, amico mio.» lo zittì, il dito a pochi centimetri dal grilletto. «Fa'. Silenzio.»

Proprio in quell'istante, arrivò il cameriere con la porzione di carne e la tazza di caffè che aveva ordinato. Fu in quel margine fugace di tempo che Jake Grant sentì il suo cuore esplodere dentro la gabbia toracica da non fargli sentire bene quello che stava accadendo attorno a lui. Un fischio prorompente invase i suoi timpani e gli impedì di ragionare con raziocinio e compostezza. Sapevano. Sapevano tutto di lui. Come poteva essere possibile una cosa del genere? Aveva mantenuto il segreto professionale con tutti, riuscendo a condurre una vita tranquilla per tre anni di fila. Cos'era andato storto? Non capiva. La gente poteva sapere che era stato un soldato, ma non avrebbe mai potuto venire a conoscenza del suo ruolo, delle sue operazioni e del team cui aveva fatto parte, eppure pareva che William lo conoscesse abbastanza bene. Tuttavia aveva cercato di sfuggire agli sguardi delle persone con mille percorsi diversi, con lavori comuni e poco sospetti. Come poteva aver dato nell'occhio se era stato attento in ogni sua azione? William lo stava ancora fissando, come a volersi assicurare che – in quel momento in cui il cameriere li aveva interrotti – non avesse tentato di sfuggire alla sua arma per atterrarlo e ricambiare il favore. Freddo e inquietantemente contento, aveva ringraziato il cameriere e proseguito come se davvero fossero dei conoscenti a cena insieme.

«Sei stato bravo, negli ultimi mesi ho faticato a seguirti. Sei molto abile nel contropedinamento. – disse, veramente stupito. – Non trovandoti, credevo che fossi ancora parte del Team Bravo, ma quella foto senza piastrine ti ha letteralmente fregato. Eppure devo ammettere che i tuoi amici sono delle persone in gamba. Lo sai, ieri hanno fatto fuori venti miei colleghi. Venti. Lo diresti mai?»

«Ti stanno cercando?» domandò Jake, mettendo da parte lo stupore nei confronti dei suoi vecchi compagni.

«Cercare me? – William sospirò una risata. – Non me. Ma chi sta più in alto di me. Una persona a cui non sfugge niente. Che tiene d'occhio l'intera America. Una persona di cui non mi fidavo, ma che mi ha fatto ricredere davvero di ciò cui è capace. Se io sono qui, è solo grazie al mio capo.» raccontò, prendendo un sorso di caffè con la mano libera. Appena posò la tazza, fece uno strano movimento con le dita. «Adesso, ti pregherei di seguire i miei ordini, per cortesia.»

Dopo quel gesto, le persone ai tavoli attorno a loro si voltarono verso Jake e lo fissarono. Sguardi torvi e minacciosi si posarono su di lui, facendolo rabbrividire. I due amici a guardare il match, gli uomini e le donne indaffarate al telefono, circa sei persone erano insieme a William e avevano preso parte del suo piano, come a non voler far avvicinare nessuno al suo tavolo, nessuno dei civili dall'altro lato della sala.

«Lascia la paga sul tavolo, alzati ed esci con me dal locale, lentamente.» gli ordinò, mentre il gruppo di amici li anticipò e gli altri quattro andarono via.

Jake non poté che obbedire. Aprì la tasca del giubbotto per prendere il portafoglio e lasciò una banconota da cinquanta dollari, dopodiché si alzò piano dal suo posto, William con lui, il quale afferrò il borsone per poter nascondere la pistola puntata sulla sua schiena. Uscirono entrambi dal bar ristorante. In fretta, venne circondato da quel gruppo di persone pericolose, cosicché nessuno lo vedesse e non vedessero l'arma.

«Dove mi stai portando?» chiese Jake, camminando.

«Devi prendere un treno, giusto? Andiamo a prendere il treno.» rispose semplicemente William, accanto a lui, e la pistola adesso di nuovo sul fianco, in coincidenza del fegato. «Solo che abbiamo riservato una cuccetta particolare per te, Jake Grant.» specificò con divertimento. «Giusto per farti assaggiare quello cui andrai incontro tra qualche ora, ti daremo un anticipo.»

Quando finì di parlare, Jake notò il ragazzo di fronte a lui, quello della comitiva, abbandonare la sua postazione per fare dietro front e tornare al bar ristorante.
Eppure l'ex-soldato fu in grado di scrutare una strana cintura alla vita del suddetto e una serie di fili colorati collegati a quello che, al di sotto della felpa, si rivelò essere un giubbotto esplosivo.
Quella singola vista lo mandò in tilt.
Si mosse per voltarsi e oltrepassare quel gruppo per fermare il ragazzo, fregandosene dell'arma puntata al fianco.

«No!» urlò in preda al panico, gli occhi spalancati dall'orrore. «Fermati! N-!»

Tuttavia le cinque persone lo immobilizzarono e gli tapparono la bocca per impedire al vicinato di sentirlo. Jake continuò a mugolare, sebbene le sue grida erano soffocate dal palmo di William, il quale si era messo di fronte a lui, ostruendogli la vista di quel suicida in procinto di rientrare nel bar. Provò a scalciare, a dimenarsi, ma tutte quella braccia e quelle mani non avrebbero mai e poi mai allentato la presa. Sentiva solo la sua voce offuscata, il suo cuore martellargli incessantemente; William era come se non esistesse, come se nella sua mente si impressero solo quelle persone, quella coppia, quegli amanti felici che avrebbero intrapreso un viaggio insieme. I camerieri giovani, la famiglia in affari, i cuochi, il barista. Tutti. Tutti civili innocenti. Non poteva farlo. Non poteva troncare la vita di quelle persone se era lui il suo bersaglio. No. No. Non lo accettava. Doveva fare qualcosa. Doveva liberarsi. Eppure non ci riusciva, non ne era in grado. Gli occhi si inumidirono, una lacrima osò varcare la palpebra e rigargli la guancia, mentre il panico prendeva totalmente il sopravvento. Aveva abbandonato la vita militare per impedire che succedesse di nuovo, che la sua inutilità e inettitudine nell'avere a che fare con le bombe combinasse quello che non smetteva di vagare nella sua testa. Ma era tornato. L'incubo era tornato, peggio di prima.
A fargli rivivere la realtà dei fatti.
I suoi errori.
E nonostante tutto, non era riuscito ad imparare. A cambiare.

«Non piangere, Jake. Presto tutto finirà.» lo consolò William, quando quella singola goccia gli inumidì la mano. Jake continuava ad urlare e lui proseguiva a pressare il palmo contro la sua bocca per dirgli implicitamente di fare silenzio. «Presto anche tu farai la loro stessa fine e potrai redimerti dai tuoi errori a da tutte le vite che hai troncato in questa maniera. Sedatelo.»

Jake provò a scrollare la testa, ma fu inevitabile.
Sentì un pizzico sul collo, istantaneo; una piccola siringa venne conficcata nella sua pelle. Sentì che a mano a mano le forze le abbandonavano, le palpebre più pesanti e la vista buia, offuscata da una nebbia surreale. William era davanti a lui e stava muovendo le labbra per dirgli qualcosa.

«Dopotutto – avvicinò il viso a quello intontito della sua preda. – sei sempre Charlie Tre, qua dentro.» indicò il suo cuore.

Jake sbiancò debolmente.
C-Cosa...?
Come poteva sapere che lui era stato Charlie Tre se...quel giorno...
Non finì i suoi pensieri.
La sua coscienza venne meno quando l'ultima immagine che registrò il suo cervello fu la scena del ragazzo che entrava nel locale.
Purtroppo non fu spettatore dell'esplosione che fece saltare in aria l'intero luogo, portando con sé le vite di tredici civili e animando l'intero vicinato, il quale non si curò del suo corpo trascinato via. 

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Angolo autrice:
Oggi facciamo la conoscenza di un nuovo personaggio! Che ve ne pare? Vi è piaciuto Jake?
Diciamo che non è stata la presentazione più serena del mondo, ma il suo ruolo giocherà una chiave fondamentale per la storia. Sopravvivrà? O farà la stessa fine dei gemelli Spencer e di Kevin? 

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