OPERAZIONE Y

By DarkRafflesia

6.9K 943 2.7K

Dave Morrison, Capitano del Navy SEAL, è un uomo determinato, autorevole, ma sconsiderato e fiscale. Noah Fin... More

⭐RICONOSCIMENTI
Presentazione
Cast
Dedica
Prologo
PARTE PRIMA
Capitolo 1: Bravo (Parte 1)
Capitolo 1: Bravo (Parte 2)
Capitolo 2: Coinquilini
Capitolo 3: Demoni del passato
Capitolo 4: Una semplice giornata di lavoro
Capitolo 5: Insieme
Capitolo 6: Prima Tappa
Capitolo 7: Presenza
Capitolo 8: Sconosciuto
Capitolo 9: Ricordi bruciati
Capitolo 10: Il prossimo
Capitolo 11: Vacanza (Parte 1)
Capitolo 11: Vacanza (Parte 2)
Capitolo 12: Dolore lontano
Capitolo 13: Turbolenze
Capitolo 14: Scontro
Capitolo 15: Notizia
Capitolo 16: Lettere reali
Capitolo 17: Firmato...
Capitolo 18: Sui tetti
Capitolo 19: In mezzo alla folla...
Capitolo 20: Rientro
PARTE SECONDA
Capitolo 21: Adunata
Capitolo 22: Sorpresa?
Capitolo 24: Legami scomodi
Capitolo 25: Nuovi ospiti
Capitolo 26: La spia
Capitolo 27: Tocca a me
Capitolo 28: Il mondo continua a girare
Capitolo 29: Prurito ed ematomi
Capitolo 30: Fede
Capitolo 31: Rimorsi
Capitolo 32: Torna a letto
Capitolo 33: Fiamme
Capitolo 34: Scuse e incertezze
Capitolo 35: Analista per caso
Capitolo 36: Non puoi dimenticare
Capitolo 37: Bersagli
Capitolo 38: Ostacoli
Capitolo 39: Ho trovato Jake e...
Capitolo 40: La bomba
Capitolo 41: Shakalaka
PARTE TERZA
Capitolo 42: Scampagnata
Capitolo 43: Pausa?
Capitolo 44: Nuove conoscenze
Capitolo 45: Mercato finanziario
Capitolo 46: Linea
Capitolo 47: Safe International Hawk
Capitolo 48: Fregati
Capitolo 49: In trappola
Capitolo 50: Dimitri Malokov
Capitolo 51: Rancore
Capitolo 52: Portare via tutto
Capitolo 53: Insofferenza
Capitolo 54: Colpe
Capitolo 55: Operazione Y
Capitolo 56: Amicizia
Capitolo 57: Risposta inaspettata
Capitolo 58: Rivelazione
Capitolo 59: Con onore
Capitolo 60: Rottura
Capitolo 61: Solitudine
PARTE QUARTA
Dimitri Malokov & Iari Staniv
Capitolo 62: Egoismo
Capitolo 63: Apnea
Capitolo 64: Il prezzo da pagare
Capitolo 65: Anonimato
Capitolo 66: Saluto
Capitolo 67: Benvenuto nella squadra
Capitolo 68: Giuramento
Capitolo 69: Decisione
Capitolo 70: L'impegno che non serve
Capitolo 71: Lontanamente vicini
Capitolo 72: Vecchie amicizie
Capitolo 73: Vigilia
Capitolo 74: L'inizio
Capitolo 75: Le squadre
Capitolo 76: Patente?
Capitolo 77: La tana del lupo
Capitolo 78: Boom...
Capitolo 79: Maledetta emotività
Capitolo 80: Svantaggio?
Capitolo 81: Iari Staniv
Capitolo 82: Luccichio
Capitolo 83: La pace
Capitolo 84: Caduti
Capitolo 85: Respirare

Capitolo 23: Toc-Toc

82 10 29
By DarkRafflesia


Kenneth Jung amava rientrare a casa da lavoro per rivedere la sua famiglia. La mattina andava via presto, di corsa per occuparsi dei suoi affari e della sua azienda, e non aveva mai il tempo di salutare i suoi figli, il piccolo Anthony e il grande Charles, o di poter baciare sua moglie Cloe con una passione più amorevole rispetto al piccolo bacino lesto dopo il caffè sulla soglia della porta di casa. Aspettava le sei del pomeriggio come se fossero una benedizione dal cielo; salutava i suoi dipendenti, saliva nella sua poco discreta Maserati grigia metallizzata e di corsa alla sua piccola villa per cenare con la famiglia, giocherellare con suo figlio e coccolare la sua dolce metà. Dopodiché il tutto si ripeteva e non subiva alcun tipo di variazione, eppure non poté che ritenersi più che soddisfatto per come si erano evolute le cose; il giorno prima era stato uno studente di Economia, quello dopo aveva studiato per ottenere una licenza da armaiolo e poi aveva reso orgoglioso suo padre, diventando uno degli imprenditori di armi più noto dello Stato, fino ad aprire una fabbrica che non lo aveva mai portato in bancarotta negli ultimi venticinque anni; avere un nonno nordcoreano aveva i suoi svantaggi, soprattutto quando ogni volta, ad un colloquio, il dover spiegare che i suoi nonni erano migrati in America durante La Guerra di Corea negli anni Cinquanta, insieme ad un grande gruppo di coreani, serviva a colmare quelle domande indiscrete e fuori luogo. La guerra, tuttavia, era tutt'altro che conclusa. Corea del Nord e Corea del Sud non facevano altro che provocarsi in continuazione con manacce velate e attacchi occulti, dalla quale non si poteva risalire al vero colpevole di quella presa di potere che purtroppo era palese che non decretasse la fine dello scontro dell'Estremo Oriente. A differenza di tutti i nordcoreani, lui era diverso; da piccolo aveva studiato bene l'ideologia e la politica che regnava nello Stato dove sarebbe dovuto nascere se i suoi nonni avessero deciso di rimanere nella loro terra natia, tuttavia non aveva appreso nulla di eclatante che avesse potuto fargli cambiare idea sul crescere dove in teoria avrebbe dovuto. Era stato un miracolo che le autorità islamiche non avessero rintracciato i suoi avi per ucciderli. Altrimenti lui non sarebbe mai nato e non sarebbe mai diventato un riccone fabbricante di armi famoso. Negli Stati Uniti il porto d'armi era un diritto costituzionale: chiunque poteva e doveva tenere un'arma, che fosse a casa o in giro per le strade. E dove dovevano recarsi per comprare un'ottima arma che non li avrebbe mai delusi? Nella sua catena personale di negozi, naturalmente. Il materiale con cui esse erano costruite non potevano essere equiparate alla feccia turca o alla apparente perfezione russa; l'America era rimasta stupefatta dal suo operato da integrarlo nella top 3 delle aziende di armi più famose del continente. Meglio di così non poteva andargli. L'acciaio inossidabile utilizzato nelle sue armi proveniva dall'India; sebbene anche negli Stati Uniti vi fossero fabbriche che producessero un'ingente quantità di acciaio, in India il materiale si presentava più forte, più resistente al surriscaldamento delle armi. E poi c'era anche da dire che risultava essere più economico da esportare e importare.
Questo perché c'erano degli affari, sotto sotto, che Jung aveva stipulato con il popolo che lo arricchiva in materiale.
A casa, tuttavia, staccava la spina e si dedicava a del sano riposo; prima di andare a letto avrebbe pensato meglio alle scartoffie da compilare e ai negozi da rifornire con una nuova catena di armi, ma per il momento voleva solo rimanere seduto sul divano, con Cloe tra le sue braccia, a guardarsi un po' di televisione.

«Anthony e Charles?» chiese, mentre accarezzava con il dorso della mano la guancia della donna dai lunghi capelli castani.

Questa si accoccolò sul suo petto, chiudendo gli occhi; sebbene avesse cinquantasette anni, Kenneth li portava davvero bene in un fisico non troppo robusto, ma dalla pancia leggermente gonfia per la continua assunzione di alcol. «Al piano di sopra; Anthony gioca con le costruzioni, mentre Charles sta studiando. Gli esami sono tra due settimane.»

«Sta andando bene in Economia, non lo avrei mai detto.» ammise, cercando lo sguardo della moglie. «Non avrei mai pensato che avesse potuto seguire le mie orme: ha un carattere molto ribelle, eppure il primo anno lo ha superato egregiamente, e con voti veramente alti.»

«Tra tre giorni ritornerà a Chicago, dopodiché lo rivedremo solo a Natale. Il sol pensiero mi induce già a sentire la sua mancanza. Sta crescendo così in fretta.»

Jung cambiò canale, sospirando una risata. «Sembrava ieri quando ha iniziato il liceo, invece adesso è maggiorenne e diplomato.»

«Gli stiamo dando la vita che ha sempre sognato. Tutto questo grazie a te.» Cloe gli diede un bacio.

«E a te, amore mio. – Kenneth ricambiò, stringendola forte a sé. – Il tuo contributo all'azienda non ha portato altro che prosperità.»

«Ma che dici? L'azienda è tua.»

«Ma sei stata tu a costruirla, realizzando il nostro sogno. E sono sicuro che Anthony prenderà le tue veci e diventerà un architetto coi-»

Suonarono al campanello.
Sia Kenneth che Cloe raddrizzarono la schiena dal divano per volgere gli sguardi simultaneamente alla porta.

«Aspettavi qualcuno tesoro?» domandò esitante la donna, stringendo la vestaglia che indossava a casa al di sopra del pigiama lungo.

Jung abbassò il volume della televisione e si mise in piedi. «No...Non aspettavo nessuno. E poi perché non hanno suonato al citofono davanti al cancello?»

Cloe realizzò a quelle parole e si strinse nelle spalle, rannicchiandosi con un leggero timore, specialmente quando notò che il marito aprì il cassetto del mobile del soggiorno per prendere una pistola; ladri? Aggressori? Chi poteva suonare al campanello come se nulla fosse nel tardo pomeriggio? Si incrociò con gli occhi di Charles; gli disse in silenzio di andare in cucina, avendo ormai sceso tutta la rampa di scale incuriosito, e di non uscire per nessuna ragione. Il ragazzo dagli occhi lievemente a mandorla annuì, e camminò nell'altra stanza, senza smettere di osservare il padre, il quale tolse la sicura dall'arma e si appostò davanti alla porta d'ingresso. Cloe indietreggiò verso le scale che l'avrebbero condotta dal piccolo Anthony.
Kenneth si sporse per controllare dallo spioncino, rimanendo a dedita distanza per non far intendere a chi lo stava aspettando di essere proprio lì accanto a lui, separato solamente dalla porta.
Tuttavia i suoi occhi scuri non videro nulla, se non l'entrata che dava al giardino e al sentiero per il cancello. Anche da lontano non intravide nulla di sospetto. Ma qualcosa puzzava e non gli dava pace. Col fiato alla gola, tese la mano sulla maniglia e aprì leggermente la porta. Si sporse, in cerca di qualche spiritoso in attesa delle sue escandescenze per averlo disturbato.
Se non fosse che registrò degli strani movimenti provenienti ai lati, lungo le mura accanto alla porta, zone che non potevano essere intraviste dallo spioncino.
Fucili si protesero lungo l'entrata e Kenneth capì di essere stato incastrato.
Fulmineo si voltò alla sua destra, mirando a quello che si rivelò essere un soldato molto alto e dai riflessi pronti, molto più di quel che si aspettava. Il suo polso venne ghermito all'istante, cosicché la pistola puntasse verso l'alto e il proiettile sparato si conficcasse sul tettuccio dell'ingresso. Un segnale che rimbombò per l'intero perimetro della villa e che mise in allarme Cloe e Charles. La prima urlò e corse subito per le scale, affinché raggiungesse il piccolo Anthony per metterlo al sicuro, il secondo si rifugiò in cucina, guardandosi intorno in preda all'agitazione.
Kenneth rimase pietrificato sul posto, a fissare gli occhi color nocciola del soldato del Navy SEAL che aveva smorzato il suo tentativo con una freddezza e semplicità tale da puntargli con una sola mano, quella libera, la canna del fucile sul fianco.
Una cosa era certa: non avrebbe dimenticato il volto di Dave Morrison tanto facilmente.

**

Dave assottigliò gli occhi dalla stizza al vedere Kenneth Jung, il famoso e rinomato Kenneth Jung, tremare come una foglia al di sotto della sua presa. Eppure, sebbene il linguaggio corporeo traducesse la sua paura, il viso era rimasto nervoso, a testa alta per sfidarlo; nulla che gli avrebbe impedito di proseguire con il compito. Con uno strattone netto, la presa sulla pistola cedette e gli girò il braccio per bloccarglielo dietro la schiena.

«Cammina.» gli ordinò, spingendolo all'interno, seguito dai suoi uomini, dalle torce accese e le armi davanti al viso per controllare minuziosamente ogni angolo dalla dimora, dopodiché lo costrinse a terra, a pancia in giù, per immobilizzarlo e lasciarlo nelle mani di Gregory, subito ad intervenire per lasciare libero spazio al suo Capitano.

«Lasciatemi! Lasciatemi andare! – provò a dimenarsi, Kenneth, scalciando inutilmente. – Chi siete?! Cosa volete da me!?» anche l'altro suo braccio venne portato dietro la schiena, affinché i polsi gli venissero immobilizzati con delle fasce da elettricista da parte del secondo in comando, impassibile.

Liam prese la pistola abbandonata sulla soglia della porta e la svuotò dal proiettile in canna, tirando il carrello, e dal caricatore; in un attimo di distrazione qualcuno poteva prenderla e provare a difendersi, e ciò non doveva assolutamente accadere. Si appostò all'entrata, preceduto da Sully e Gavin, i quali entrarono subito dopo il loro superiore per incominciare a perlustrare la casa.
Tuttavia, proprio mentre il cecchino stava per imboccare la scale, percepì un movimento poco felino, accompagnato da un urlo, provenire alle sua destra. Accorto nell'avere quasi occhi anche dietro la schiena, si girò in tempo per bloccare il braccio di Charles. Nessuno sforzo esuberante da parte di Sully; il ragazzino, il quale non poteva avere più di vent'anni, si muoveva freneticamente per prendere il controllo del coltello da cucina, fermo a pochi centimetri dai suoi occhi azzurri seriosi. Lo spinse all'indietro, per rientrare all'intero della cucina e gli fece sbattere la schiena contro il muro; abbandonò l'arma sul tattico, attaccata per mezzo delle cinghie, e gli tolse forzatamente l'arma bianca dalla mano.

«Questa la prendo io, potrebbe servirmi. Grazie per il pensiero.» accennò un impercettibile sorriso, posando la lama nel taschino. Charles ringhiò, pronunciando parole in quello che sembrò essere coreano, tanto che Sully aggrottò le sopracciglia, schivando con un'inclinazione del fianco un calcio. «Ehi. Non è carino da parte tua, io non voglio farti del male. Quindi smettila, per cortesia.»

Ma Charles non ne volle sapere, continuò ad urlare, smuovendosi più che poteva. Il cecchino sospirò e smise di andarci così tanto leggero. Lo afferrò e lo girò per fargli fronteggiare il muro, successivamente gli diede un colpo sulla gamba; il ragazzo gemette dal dolore, stringendo gli occhi, e scivolò a terra. In questo modo, Sully ebbe ampio spazio per legargli i polsi dietro la schiena e poter ritornare sul suo fucile d'assalto.

«Adesso non muoverti, non sei tu il nostro obiettivo.» gli puntò l'arma, rimanendo su un ginocchio. «Il figlio più grande è qui in cucina!» avvisò ad alta voce. «Damn, mi mancava così tanto fare l'assaltatore a cazzo duro e non dover freddare dalla distanza. A differenza del fucile di precisione, questo sembra un giocattolo.»

A quel commento fuori luogo, persino Charles lo guardò, sbigottito da quella ironia che non gli conferiva per niente l'aria di essere un soldato. Perché dei soldati avevano appena fatto irruzione in casa sua? Cosa volevano da suo padre? Gli occhi si posarono proprio sulla figura a terra di Kenneth; stava continuando a chiedere spiegazioni, mentre il soldato dagli occhi verdi lo teneva puntellato sul pavimento per non farlo muovere; il primo invece, dalle sopracciglia bionde, se ne stava in piedi a controllare che l'altro soldato, il più basso e il più giovane, salisse le scale, seguito da un altro, molto calmo e con una leggera barbetta incolta. Erano Navy SEAL, realizzò. Suo padre aveva per caso fatto affari con qualcuno di losco per meritarsi un'irruzione da parte dei soldati? O forse non accettavano che la sua azienda avesse soppiantato quella militare o del Governo?
Provò nuovamente a dimenarsi, beccandosi un'occhiataccia da parte di Sully.

«Forza, muoviamoci!» disse Gavin a Liam, mentre saliva le scale buie per dirigersi al piano di sopra.

Furono costretti entrambi ad abbassare i visori notturni per avere una visione migliore del corridoio. Avevano portato tutto l'occorrente per un'incursione notturna, se il sole fosse tramontato durante l'operazione. Sentirono dei rumori offuscati provenire dalla stanza in fondo, sulla sinistra, dove un lieve fascio di luce, sicuramente non solo proveniente dall'esterno, ma originatosi da una lampadina soffusa, attraversava l'uscio per dipingere con una linea chiara le pareti dipinte in grigio scuro. Senza trattenersi, Bravo Cinque diede un calcio contro la porta per spalancarla. Subito si incontrò con la moglie di Kenneth Jung, Cloe Evans, la quale teneva tra le braccia il figlio più piccolo, Anthony; aprì la bocca per gridare, allontanandosi quando lui si avanzò ulteriormente, puntando l'arma verso di loro. Continuò ad urlare, in preda al panico e stringendo forte il bambino, il quale si era avvinghiato a lei per avere conforto, ma Gavin, anche se avesse voluto andarci leggero, non esitò. Non stavano avendo a che fare con jihadisti, talebani, sciiti o sunniti, ma dai precedenti la prudenza non era mai abbastanza a volte. Dunque afferrò il braccio del piccoletto e lo tirò con forza per separarlo dalla madre.

«No! No! Non toccarlo!» strepitò Cloe con disperazione, le lacrime agli occhi.

«Indietro! Stia indietro!» l'avvertì Bravo Cinque.

Liam intervenne prendendo la donna da dietro, una volta staccatesi dal muro, per condurla forzatamente sul letto, dove la fece distendere a pancia in giù per legarle i polsi dietro la schiena. Gavin fece allontanare il bambino contro il muro, il quale alzò le mani accanto alla nuca e vi si appoggiò senza proferire verbo o versare una lacrima; sudava incessantemente, il fiatone ansante e il volto contorto dalla paura nel vedere e udire l'angoscia della madre trattenuta ancora da Bravo Sei. Si sollevò e diede una pacca sulla spalla di quest'ultimo.

«Sto uscendo.» lo informò. Successivamente controllò la stanza del figlio più grande, poi quella dei due coniugi e infine il bagno. «Libero!» urlò, col fine di farlo sentire al medico nella stanza del bambino.

Liam prese la donna per il braccio e la invitò gentilmente a mettersi in piedi.

«Andiamo. Cammina.» disse, riferendosi al piccolo. Ma questi rimase immobile, in un angolo con le mani ancora alzate. «Scendi.»

Niente. Non si muoveva da lì. Liam si morse l'interno della guancia.

«Ci penso io. – lo supportò Bravo Cinque. – Vai.»

Si diedero il cambio e Liam uscì dalla stanza, portandosi via la Cloe. Le fece scendere le scale, scortandola in cucina dove se ne stava Charles, sorvegliato da Bravo Tre. I due soldati invitarono madre e figlio sulle sedie dalla cucina, facendoli sedere contro voglia e avvertendoli di non muoversi da lì. Sully andò da Dave, il quale stava continuando ad ascoltare le continue lamentele di Kenneth senza dargli una spiegazione.

«L'intera casa è pulita, Capitano.»

Bravo Uno annuì in silenzio, voltandosi verso la porta di casa ancora aperta. Nessuna parola ebbe il bisogno di essere pronunciata. Allungò il braccio e mosse le dita dall'esterno verso sé stesso.
Kenneth Jung tradusse bene quel gesto, tanto che distese la testa in direzione della porta col fiato mozzo.
Qualcun altro entrò in casa sua.
Spalancò gli occhi, travolto dall'incredulità.
Un...ragazzo?
Credeva che fosse entrato un altro soldato, un loro asso nella manica, essendoselo tenuti all'ultimo dopo aver completato l'assalto, invece era proprio un ragazzo alla quale non avrebbe dato più di venticinque anni; varcò la porta con lo sguardo più minaccioso che Jung avesse mai visto in vita sua, nero pece, e con uno stoicismo che lo metteva alla pari degli uomini in divisa. Cosa avrebbero voluto fargli?
Appena Noah si mise accanto a lui e scrutò l'imprenditore d'armi con testa inclinata, Dave si diresse alla porta di ingresso.

«Infiltrazione completata.» pronunciò alla radio.

Dopodiché afferrò la maniglia e chiuse la porta a chiave.

«Chiudete le finestre. Abbasse le veneziane.» ordinò a Sully e Liam, i quali obbedirono.

Nel frattempo, Gregory gli fece cenno di avvicinarsi per parlare vicino a lui e a Noah. «Cerchiamo di fare in fretta; ci sono una donna e un bambino. Facciamolo parlare e filiamo via.»

I due annuirono, perfettamente d'accordo. Gli affari di Kenneth Jung rimanevano in azienda, nel suo computer o dentro la sua coscienza, quindi la famiglia non aveva nulla a che vedere con i casini cui si era andato a impelagare l'asio-americano; una volta che Cloe avrebbe scoperto che il marito aveva stipulato un contratto con un uomo – o una donna – pericoloso, ci avrebbe pensato due volte ad urlare o a dare di matto. Il figlio più grande, era troppo fuori di sé, Noah lo aveva notato, tanto che Sully, dopo aver chiuso le finestre e fatto letteralmente calare la notte in cucina, accendendo la luce, gli aveva ordinato una seconda volta di stare zitto e di smetterla. Liam, dopo essersi occupato delle finestre del soggiorno, si diresse dalla donna, scossa dai singhiozzi e con l'intenzione di continuare a piangere; si smuoveva e tremava, colta dal turbamento e dall'ansia di essersi messa contro lo Stato senza volerlo. Quando Kenneth lo vide sedersi di fronte alla donna e tendere la mano verso di lei, uscì fuori di sé.

«Statele lontano! Non toccatela!» tentò di mettersi in piedi, opponendosi al peso di Gregory.

«Silenzio! Fermo!» lo minacciò questi, strattonandolo per impedirgli di muoversi.

«Tesoro! Tesoro!» la chiamò disperato, inducendo così Cloe a urlare maggiormente dalla disperazione.

Si stava creando un frastuono fastidioso per le orecchie di Dave, tra le lamentele dell'uomo, la paura della donna e la rabbia del figlio. Così avrebbero rischiato di traumatizzare il più piccolo al piano di sopra, mettendogli false pulci nella testa su torture o violenze inferte alla sua famiglia. Avanzò adirato, prendendo Jung per il colletto, affinché fosse in ginocchio.

«Smettila di causare panico inutile e di invogliare tuo figlio a ribellarsi.» lo avvertì a voce bassa e roca, gli zigomi intirizziti.

«Allora lasciateli stare! Dì ai tuoi uomini di non avvicinarsi!»

Dave strinse le labbra in una linea sottile. «Come sta la donna, Bravo Sei?» chiese, ignorandolo.

Liam l'aveva solo accarezzata cautamente, bisbigliandole parole di conforto per tentare di rassicurarla e di non volerle fare del male; dopotutto era un medico e il suo obiettivo principale era l'incolumità dei civili e la loro stabilità emotiva.

«È sotto shock.» rispose al vedere Cloe allontanarsi dalla sua mano e tremare incessantemente.

«Hai sentito? Vuoi continuare ad inveire per incrementare lo shock di tua moglie, o vuoi cercare di collaborare per evitare casini?» Kenneth deglutì, stringendosi nelle spalle. Un'affermazione che a Bravo Uno bastava. «Portalo in soggiorno e chiudilo lì.»

Bravo Due sollevò malamente Kenneth e lo spinse verso la stanza.

«Perché fate questo?! Perché?! Non ho fatto niente!» si rivolse al Capitano, seguendolo con gli occhi fino a quando non venne portato nella stanza. «Cloe! Charles! Vi prego!»

Le sue parole vennero offuscate nel momento in cui Gregory entrò con lui e chiuse la porta.
Dave sospirò e scoccò un'occhiata alla cucina; notò che la moglie di Jung si era calmata e che il figlio si era focalizzato su di lei, confortandola in coreano. Perché parlava solo in coreano? Si incrociò con Sully; questi gli mosse la mano per comunicare che non vi erano problemi. Perfetto. Il controllo è ancora nostro. Pensò, aggiustandosi il microfono delle cuffie incorporate al casco della divisa. Poi ritornò su Noah; aveva gli occhi fissi sulla porta che dava al soggiorno. Non aveva smesso nemmeno una volta, da quando era entrato, di fissare Kenneth Jung.

«Ehi.» Dave gli batté le mani davanti agli occhi per riportarlo sulla Terra. «Ci sei?»

Noah scosse la testa per il gesto irruento. «Non provarci mai più, pezzo di merda.»

«A cosa stavi pensando?»

«Saranno cazzi miei.» rispose schietto il giovane.

Dave arricciò il naso. Se fosse ancora arrabbiato per gli avvenimenti in Spagna, non lo avrebbe mai saputo e non voleva minimamente chiederglielo. Tuttavia non potevano proseguire in quel modo, ad insultarsi e non parlare anche nel bel mezzo di una missione. Dave era un uomo che non teneva il broncio come un bambino. Solo perché avevano avuto una diatriba, non significava che non gli avrebbe rivolto più la parola. C'era una missione in mezzo e non avrebbe lasciato che ciò ne ostacolasse l'andamento. Lavoro e vita privata erano due cose diverse.

«Se è parte del lavoro, sono anche cazzi miei.» lo riprese con leggerezza Bravo Uno.

Il ragazzo abbassò le spalle, buttando fuori un sospiro. «Credi che con quell'aria spaventata stia fingendo?»

Dave si aggiustò le maniche corte della divisa, l'unico della squadra ad avere le braccia scoperte. Una domanda normale, per chi aveva assistito ad un'incursione per la prima volta, infatti non si stupì più di tanto se persino un carattere come quello di Noah gliela aveva posta. «L'essere umano ha delle fasi psicologiche che innesca davanti all'ansia e al pericolo. – camminò davanti alla porta, appoggiando la mano guantata sulla superficie. – La prima è l'annichilimento; quando accade qualcosa, rimani fermo, di stucco, a realizzare lentamente quello che è appena accaduto. Oppure scatti, dominato dalla sopravvivenza, in un'autodifesa volta solamente a preservare la tua incolumità. Se io ti accusassi di aver commesso un reato, anche se dentro di te sai di essere colpevole, cosa fai?» domandò retoricamente, sorridendo appena. Noah non proferì verbo. «Neghi. Non accetti che qualcuno possa dubitare di te, sebbene in cuor tuo sai di essere stato smascherato.»

Noah strinse le labbra in una linea sottile, non avendo nulla da rettificare. Di come gli aveva spiegato i fatti, pareva che fosse avvezzo a quegli atteggiamenti da non esserne influenzato; chissà quante irruzioni aveva fatto in vita sua e aveva dovuto tenere a bada tanta di quella agitazione da rimanere con i nervi saldi, altrimenti avrebbe mandato tutto all'aria. Davanti alla resistenza e le domande Jung era rimasto impassibile; non gli aveva dato udienza, parlando solo riguardo la missione e tutto ciò che la riguardasse: niente rassicurazioni, niente diplomazia. Aveva appena assistito ad un'irruzione vera e propria in una casa da parte del migliore team che l'America aveva da offrire. Era molto, ma molto meglio di quel che aveva dato per scontato.

«Vediamo fino a quando riuscirà a resistere.» fu l'unica cosa che disse. Non avrebbe detto la sua in quel frangente; era già tanto l'essere lì con quel gruppetto di fanatici dediti agli Stati Uniti. Meglio finirla una volta per tutte.

Dave sembrò essere d'accordo. «Sei pronto?»

Mise le mani nelle tasche della felpa.

«Andiamo.»

Bravo Uno aprì completamente la porta e permise a lui e a Noah di entrare all'interno del soggiorno, dove Kenneth Jung era stato fatto sedere sul divano; Gregory stava continuando a puntare la canna contro di lui, ma non appena il suo superiore si fece avanti, riposò la postura e abbassò l'arma.

«Dov'è mio figlio Anthony?» domandò Kenneth, il tono agitato e nervoso.

«Sta bene. È al piano di sopra con uno dei miei uomini.» rispose Dave, mentre sbarazzava il tavolino di fronte al divano per sedervisi ed essere di fronte a lui.

Noah prese il telecomando e spense la televisione per evitare che quel brusio di sottofondo intralciasse il loro lavoro, successivamente si sedette sulla poltroncina accanto, incrociando le gambe sulla vera pelle con la quale era rivestito il mobile, scaturendo un grugnito infastidito da parte dell'asio-americano nel vedere le suole sporche delle scarpe sopra quel tessuto pregiato.

«Non ti credo. Voglio vederlo.» Kenneth fece per alzarsi, ma Gregory lo prese per la spalla e lo puntellò sul divano.

«Al momento non è possibile.» lo rimproverò con freddezza.

«Mi dite che cazzo volete da me? Non ho fatto niente!» si indispettì.

«Niente? Vendere delle armi a dei criminali non mi sembra una cosa da niente.» lo corresse Bravo Due.

«Armi a dei criminali? State scherzando, spero. – li scrutò sconvolto, muovendo la testa a destra e manca per incrociarsi con i presenti – Io faccio affari solo con aziende riconosciute dallo Stato e che si occupino della difesa militare. Non sono autorizzato a vendere armi al primo che passa.»

«Allora perché tra le nostre mani ci è capitata questa?» Dave tirò fuori la Type-54, vuota, e gli mostrò l'interno dello spazio del caricatore. «Questo è il tuo marchio, giusto?»

Jung trasalì, spalancando gli occhi. «Lo...è...» ammise con fiato corto e gola improvvisamente secca.

«Bene. Allora potresti spiegarci gentilmente per quale cazzo di motivo hai venduto armi a degli uomini che hanno ucciso tre dei nostri soldati?» domandò diretto Bravo Uno con stizza.

«C-Cosa?! Io non ho fatto niente del genere! Vendere armi per dei criminali? Ma per chi mi ha preso, per un terrorista? Per una spia coreana solo perché mio nonno è migrato qui? Devo fare anche a lei lo stesso discorso che ho dovuto preimpostare ad ogni fottuto diffidente?» espose con tono pungente.

«A meno che non ci sia stato un furto nella tua azienda, cosa che avremmo dovuto sapere dai nostri server, un gruppo di uomini sta utilizzando le tue armi. Hai capito? Tue. Armi difficilmente reperibili negli Stati Uniti, ma che solo tu vendi. E i carichi grossi li gestisci tu, perché di certo un uomo non può entrare in un tuo negozio e chiedere più di una cinquantina di armi. Fai affari con qualche terrorista? O sotto sotto sei un comunista che vuole contribuire a dare l'indipedenza alla Cina, favorendo la Corea del Nord?»

Dave stava seriamente iniziando a perdere la pazienza, lo si notava dal modo con la quale la sua schiena si era curvata in avanti per accorciare le distanze con Jung. Era la prima volta che Noah lo sentiva parlare di questioni politiche tra Stati, e di certo Corea del Nord e Cina erano un argomento ben trattato alla CIA, il quale faceva il viaggio dei piani alti e bassi con una dedizione pari alla stessa importanza che si attribuiva alla Russia; erano dinamite delicata, zone che venivano tenute sott'occhio da migliaia di agenti sotto copertura per evitare che le rivalità si scaldassero un po' troppo e si potesse sfociare ad una Seconda Guerra Fredda o ad una Terza Guerra Mondiale. Per quanto un imprenditore di armi nordcoreano potesse far storcere il naso a chiunque, la situazione in cui si era impelagato non lo avrebbe lasciato in pace fino a quando non avrebbero ottenuto delle risposte definite. Lui e Dave si erano stancati di navigare nel fottuto vuoto e trovare delle briciole che non li avrebbero fatti avanzare con il caso. Avevano scoperto Y. Ma chi era? Avevano scoperto dell'arma. Ma chi l'aveva comprata? Fino a quando queste domande non avrebbero ricevuto una risposta, tutto ciò che ruotava attorno ad esse era inutile.

«Ma cosa sta dicendo?! Le ho già detto che io non-!»

«Stai zitto. Zitto.» Bravo Uno sollevò la mano per chiuderla in un pugno con l'intento di autocontrollarsi. «Incomincia a discolparti di nuovo con la migrazione di tuo nonno e giuro che...Già sappiamo tutto della tua famiglia, da chi discendi e chi fosse tuo nonno. Quindi non è con questa storiella che potrai sbarazzarti di noi.»

«Come fate a sapere...?» le sue parole scemarono nel momento in cui i suoi occhi si incrociarono con quelli grigi del ragazzo, torvi e intimidatori. Era stato...lui? «State violando le mie informazioni personali? Come vi siete permessi di tenermi sotto controllo?! Nella ma azienda non ci sono stati furti, né affari loschi con terroristi o chissà quale altra cazzata avete trovato. Qualcuno sta cercando di incastrarmi!»

«Knock this shit off.» dissero Dave e Noah all'unisono, richiamando l'attenzione di Gregory.

Del resto ne avevano davvero abbastanza. Chi aveva incastrato chi, non gliene fregava un'accidenti. Anche lo sconosciuto spagnolo si era discolpato con il rapimento del figlio, tuttavia con Kenneth Jung non c'erano scusanti che tenevano alto il suo sipario da innocente.

«Uscite da casa mia! Non avete il diritto di stare qui!»

«Sì, che lo abbiamo! – alzò il tono di voce Dave, rimanendo comunque nei limiti dell'austerità – Questa dannata pistola era nelle mani di un uomo che ha ucciso un soldato, e di tutti coloro che hanno tentato di uccidere me e il ragazzo – con gli occhi indicò Noah – Ne avevano una! Smettila con questa pagliacciata. Il logo che c'è qua dentro è il tuo, autentico. E chi gestisce le entrate e le uscite della tua azienda non sei altro che tu.»

«Cerca di comprendere la gravità della situazione. – intervenne Gregory, facendo un passo avanti. – Sono morte delle persone, il che è una questione delicata al punto da non ammettere scenate e drammi da soap opera. La tua famiglia non verrà toccata neanche con un fiore. Li abbiamo legati solo per evitare che davvero, insieme a te, possa celarsi qualcuno che ha fatto la spia.» spiegò con tono pacato, ma veloce e irritato. «Se tu ammetti di non saperne nulla, potrebbero essere tuo figlio o tua moglie, le spie che hanno fatto affari con il nemico usufruendo della tua azienda.»

«Impossibile. Non lo farebbero mai.» ribatté sicuro l'asio-americano.

«Allora sei tu il colpevole. Stai nascondendo qualcosa.» contestò il Capitano, faccia a faccia con Jung.

Questi, dalla fronte imperlata dal sudore, scosse la testa. «Voi non avete una famiglia? Non fareste di tutto per proteggerli? Solo perché voglio difenderli, non significa che questo fa di me un criminale!»

«Sto cominciando ad annoiarmi.»

I tre uomini si voltarono verso la fonte sonora, note appunto annoiate e acute. Dave ghignò, mentre Gregory abbassò l'arma con curiosità.
Ecco che Noah era partito all'azione.
Kenneth si morse l'interno della guancia, serrando i denti dal timore. Non c'era esitazione negli sguardi di quel ragazzo, né le sue parole uscivano vibrate e dettate da un copione che gli avevano dato i soldati da imparare a memoria per mantenere alta la facciata da hacker impassibile. Gli informatici erano pericolosi; non si facevano scrupoli a rovinare la vita di ogni essere umano rubandogli il conto in banca, prendendo la sua identità e compiendo transazioni sotto suo nome per metterlo alle strette.
E Dave, nel frattempo, pensò che il suo intervento fosse coinciso al momento giusto. Gli era bastata una frase, e Jung si era zittito come se lo avessero imbavagliato o gli fosse arrivato un ordine da rispettare. Se un uomo con la coscienza pulita aveva incominciato a sudare freddo, voleva dire che qualcosa puzzava davvero.
Noah appoggiò il gomito sul bracciolo della poltrona, usando la mano come sostegno della testa.

«Possiamo mettere sottosopra l'intera abitazione in cerca di documenti nascosti in qualche scomparto sotto il pavimento, o dietro un muro. Oppure possiamo prendere il tuo computer, perché tutti hanno un computer per lavorare da remoto, per entrare forzatamente nei server della tua azienda e scoprire se effettivamente ci sono state transazioni illegali o contratti fuori dalla lista ufficiale. Scegli tu l'approccio.» gli propose con una cordialità che era tutto, fuorché affettuosa.

Kenneth deglutì, unendo le gambe. «Qualsiasi cosa voi stiate cercando, io non ne so nulla. Non ho venduto armi ad altre persone che non facciano parte dell'esercito o di un negozio ufficialmente riconosciuto dallo Stato e aperto legalmente in tutta America.»

Noah aggrottò le sopracciglia, mordicchiandosi il labbro inferiore. «Perlustra da cima a fondo la casa, se non dovessi trovare nulla, portami il suo computer.» disse, riferendosi a Dave, il quale si alzò ed uscì dalla stanza, sbattendo volutamente la porta.

Credeva che con quel faccino paffuto e le suppliche di chi era stato coinvolto in qualcosa che non gli apparteneva fossero sufficienti per annullare l'operazione e farli tornare a casa con un paio di mosche? Non avevano sbagliato casa e non avevano sbagliato imprenditore di armi. Anche Noah aveva fatto bene le sue ricerche e, nonostante non avesse avuto l'arma a portata di mano da notarne il logo della Jung Army Company, aveva intrapreso la stessa pista di Dave fino a trovarlo. Se non ci fosse stato quel logo, i sospetti sarebbero stati altri, ma con quella firma c'era poco da fare, a meno che i loro nemici non si fossero spacciati per una qualche azienda sotto falso nome per avere legalmente le sue armi, sviando qualunque sospetto anche da parte dello stesso nordcoreano. Sostenne lo sguardo di questi con indifferenza; Kenneth non fu in grado di vincere, ed abbassò la testa come un cane bastonato, imprecando sottovoce.
Era stufo di giocare a nascondino. Tutto lo sforzo dell'irruzione non doveva essere vano, perché per quanto non sopportasse Dave e i suoi uomini, non avrebbe tollerato che tutta questa fatica fosse sprecata.

**

«Bravo Uno a Comando.» disse il Capitano, attivando la radio. «Sembra che il signor Jung non voglia collaborare, perciò gli stiamo mettendo sottosopra l'intera abitazione.»

«Qui Comando. Sei sicuro che possa essere la scelta migliore?» domandò Stella, la radio vicino alle labbra, mentre continuava a guardare dall'alto la zona per mezzo del drone.

«La presenza di jalapeño sembra averlo messo alle strette. L'abbiamo visto esitare, siamo a cavallo.»

«Quindi sta negando l'evidente... – mugugnò la Sottotenente – L'importante è non perdere tempo. L'intervallo concesso per l'infiltrazione è di quarantacinque minuti. Se entro questo arco di tempo non riuscite a trovare nulla, significa che Jung è innocente.»

Dave piegò la testa con dissenso. Guardò l'orologio tattico al polso, il quale segnava venticinque minuti al termine dell'operazione. «Ne dubito. In questa casa si nasconde la chiave per trovare Y ed io non me la lascerò sfuggire tanto facilmente. Chiudo.»

Si diresse in cucina. Noah era convinto quanto lui che in quella casa avrebbero trovato quello che stavano assiduamente cercando, perciò non avrebbe permesso al tempo di scadere prima che avessero trovato qualcosa di rilevante. Lo aveva visto determinato quanto lui, e se anche il giovane lo era, significava che il percorso intrapreso era quello giusto. Non avevano fatto altro che litigare e insultarsi, avendo avuto punti di vista differenti, ma questa volta sarebbe stato diverso.
Vide Sully seduto sulla sedia a cavalcioni, seccato dalle continue urla di Charles; gli aveva puntato pigramente il fucile, ma questi non ne voleva sapere di smetterla di pronunciare parole in coreano. Liam, al contrario, era stato in grado di far placare la donna, spiegandole in sintesi la situazione.

«Bravo Cinque e Tre, perlustrate la casa.» ordinò Dave.

«Ricevuto.» dissero i due.

Sully abbandonò la cucina per salire al piano di sopra e aggregarsi a Gavin nella ricerca, mentre il medico si spostò per far sedere il suo Capitano davanti a Cloe.

«Vedo che ti sei calmata. Il mio collega qui presente è stato abbastanza esaustivo?»

Cloe corrugò la fronte, disgustata. «Ha lasciato il mio piccolo Anthony da solo, in balia dei suoi rozzi uomini.»

«Questo sì che è stato offensivo.» commentò Dave, imperturbabile. «I miei uomini non vi faranno del male se ci venite incontro. Non stiamo chiedendo l'impossibile. Ma tuo marito ha fatto affari con uomini pericolosi, terroristi. Non riesci proprio a capirlo?»

«Non c'è niente da capire! Siete piombati in casa nostra, legandoci e strattonandoci senza un minimo di umanità!»

«Siamo già stati abbastanza delicati e ciò ha portato solo morte. Se tuo marito è colpevole, potrebbe chiamare i rinforzi e far assalire questo posto. Come potremmo poi proteggere te e i tuoi figli?» ribatté adirato, sbattendo la mano sulla coscia.

Charles ringhiò maggiormente, dicendo qualcosa.

«Perché tuo figlio parla in coreano?» domandò in seguito.

Cloe strinse le labbra in una linea sottile. «Perché abbiamo insegnato due lingue ai nostri figli: coreano e inglese.»

«Così può insultarci senza che noi lo sappiamo? O ammette di essere anch'egli coinvolto con i traffici del padre?»

«Non lo farebbe mai!» si stupì la donna con rabbia. «Con quale freddezza può insinuare una cosa del genere?!»

«Siamo soldati, abbiamo a che fare con terroristi ogni giorno. Ognuno di voi, qua dentro, è un potenziale nemico. Quindi questa conversazione può definirsi conclusa.» si alzò dalla sedia e si fermò accanto a Liam. «Controlla se hanno dei cellulari nelle tasche. Prendili e consegnameli.» bisbigliò senza farsi sentire.

Bravo Sei annuì ed incominciò a perquisirli.

«Cosa stai facendo?! Toglimi le mani di dosso!» urlò disperata Cloe. Poi si rivolse a Dave. «Li faccia smettere! Smettetela!»

Ma Dave la ignorò e uscì dalla cucina.

**

Noah tossicchiò. Controllò l'orologio al polso e vide che mancavano venti minuti al termine dell'operazione. Se stiamo fermi così, non risolveremo niente. Pensò, spegnendo lo schermo digitale del dispositivo. Kenneth e sua moglie non facevano altro che rispondere con le tipiche frasi fatte di chi si era sentito mancato di rispetto e violato della privacy e del proprio quieto vivere; erano solo stupidaggini. Avrebbero dovuto essere quanto più accondiscendenti possibile e avrebbero evitato che l'intera squadra li trattasse come se fossero dei veri terroristi. Se si sentiva di essere dalla parte della ragione, perché Jung non gli dava una lecita spiegazione che gli facesse rivalutare le sue idee? Così facendo, non stava nient'altro che ammettendo implicitamente di nascondere qualcosa. Che fossero robe politiche ed economiche, non gli importava; nel momento in cui avrebbe letto una Y o un qualche nome non identificato nella sua lista, lo avrebbero sbattuto in cella. Tamburellò con le dita sul braccio della poltrona, scaturendo un sussulto da parte del diretto interessato; non aveva alzato la testa da quando lo aveva sfidato, vincendo a mani basse. Gli sembrava sospettosamente arreso. Mentre Gregory stava perlustrando l'intero soggiorno, colmando il silenzio che si era andato a creare con un fruscio di tende, crepitio di libri e scossoni da parte dei cassetti interamente svuotati, lui e Kenneth erano rimasti fermi a lasciare che il tempo trascorresse senza un margine di proseguimento. E lui se ne sarebbe stato immobile, aspettando a braccia aperte il rientro per proseguire in quel vicolo cieco? Assolutamente no.
Tolse le gambe dal cuscino della poltrona e si mise in piedi.
Jung sollevò di scatto la testa e impallidì non appena lo vide sedersi sul tavolino, dove aveva precedentemente sostato Dave, per essergli di fronte.

«Faccio così paura?» domandò ironicamente Noah, piegando la gamba per poggiare la caviglia sull'altro ginocchio, con nonchalance. «Non tremi davanti agli uomini in divisa, perché lo fai con me? C'è qualcosa che gli altri non possono fare, a differenza mia?»

Kenneth digrignò i denti. «Ti senti sicuro di te, perché credi di avermi incastrato. Ma quando ti renderai conto di aver fatto male i calcoli, sarò io a ridere.»

«Ti sembra che io stia ridendo? Non mi conosci abbastanza per prendermi per un imbecille alla pari con la tua scarsa intelligenza.»

«Che cosa hai detto?!» si innervosì l'imprenditore.

Gregory smise di perlustrare il soggiorno per ascoltare esterrefatto quella conversazione. Quelle parole provenivano davvero da Noah? Dallo stesso Noah che Dave gli aveva descritto come capriccioso, viziato e poco disciplinato? Quei vocaboli gli parsero fin troppo maturi e ponderati per appartenere ad un ragazzino in preda ad una crisi adolescenziale. Ed era quello che anche Dave pensò non appena aprì appena la porta per entrare, fermandosi proprio quando era stato Noah a parlare. Rimase ancora dietro la suddetta, affinché non percepissero la sua presenza per continuare ad ascoltare cosa il giovane aveva da dire. Non era lo stesso Noah che ribatteva con scontrosità alle sue lamentele; non era lo stesso Noah che si opponeva ai suoi insegnamenti e consigli con nervosismo e prepotenza. Quella era fredda sfacciataggine, un'altra parte che non aveva nulla a che vedere con l'atteggiamento del coinquilino poco collaborativo.
La mano rimase sulla maniglia e la strinse con foga, lo sguardo perso nel pavimento per focalizzare l'udito sul soggiorno.

«Non mi correggerò per fare finta di non averti insultato. – Noah si aggiustò gli occhiali sul naso con fare calmo. – Il tuo atteggiamento è incoerente. A seconda delle nostre domande, rispondi mostrando due nature diverse: se da un lato vuoi farci credere che sei innocente, dall'altro sembra che tu sia realmente colpevole, ma lo dissimuli con la prima facciata, entrando in contrasto.»

«C-Cosa?» Jung era sconvolto.

«Adesso ti chiederò solo una cosa, semplicemente per assicurarmi quale delle due personalità sia quella vera.»

Kenneth si strinse nelle spalle, appoggiando la schiena sul divano. Il ragazzo socchiuse gli occhi, mettendo le mani dentro le tasche della felpa.

«Chi è Y?»

«Chi?»

«Y.»

«È uno scherzo? Io non conosco nessun Y. E perché mai dovrebbe chiamarsi con una lettera dell'alfabeto?» domandò Kenneth con impazienza.

Noah si sporse in avanti con il busto. «Ti pare che io abbia voglia di scherzare? Se avessimo un nome completo non sarei qui a chiedertelo. Ma questo Y ha usato le tue armi per farci fuori. E sono certo che tu ne sai qualcosa. Un nome. Un cognome.»

«Anche se lo avessi, non meriteresti la mia collaborazione. – ringhiò nauseato Jung, staccandosi dallo schienale per essergli più vicino e di fronte. – Sei solo un ragazzino che si crede di essere in vantaggio solo perché ho i polsi legati dietro le schiena. Sei solo un marmocchio prepotente.»

«Ha parlato colui che se l'è fatta sotto quando mi ha visto. Per due volte.» ribatté di rimando Noah, per niente colpito da quegli insulti. «Insultami quanto vuoi; le tue parole sono solo aria. Hai avuto paura di me sin dall'inizio, perché tutto ciò che i tuoi sistemi racchiudono può essere scovato solamente da me. I file parleranno e diranno se effettivamente il tuo ego ha ragione di essere gonfiato quanto la tua pancia da alcolizzato.»

Uno sputo arrivò sugli occhiali di Noah.
Dave vide la scena nel momento stesso in cui aprì la porta per bloccare quella conversazione e confermare che l'abitazione era stata perlustrata fino all'ultimo e che i cellulari dovevano essere violati insieme al computer; incrementò la presa sulla maniglia per sbarrare la porta dall'ira, caricando all'interno con un'irruenza tale da far rombare le suole degli anfibi sul pavimento in legno. Come aveva osato sputargli in faccia, quell'animale? Solo perché non aveva una divisa, non doveva essere oggetto di scherno e violenza.
Tuttavia Noah alzò la mano per dirgli di restare lì dov'era.
Dave si fermò, incredulo. Perché...?
Con lentezza, Noah tese la mano verso Kenneth; questi strinse gli occhi, mostrando la codardia che tanto aveva negato, sebbene l'obiettivo del giovane non fosse fargli del male. La sua cravatta, slacciata e posta semplicemente sulle spalle, venne tirata di netto. Noah si tolse gli occhiali e usufruì del tessuto per pulirli. Poi proseguì con la faccia, specialmente la guancia lentigginosa bagnata. Una volta finito, gli lanciò la cravatta, senza mutare il viso che aveva fatto impallidire Gregory e Dave: vuoto, glaciale.
Jung gemette dal disgusto, scrollando la testa per levarsi il tessuto di dosso, avendo colpito la sua guancia.

«Sei soddisfatto adesso? – chiese il ragazzo. – O volevi una reazione di rigetto da parte mia?»

Con un nodo alla gola, Kenneth non fu in grado di rispondere. Noah abbassò la testa per donargli un'occhiataccia affatto leggera.

«Sei colpevole, te lo leggo negli occhi, ma andresti contro il tuo orgoglio da riccone se lo ammettessi.» pacato, continuò, come se quello sputo non fosse mai arrivato. «Nessuna password potrà salvarti.»

L'imprenditore gonfiò il petto, teso e irrequieto.
Non avrebbe permesso ad un ragazzino di farla franca su di lui.

«Fai pure. Io sono convinto di quello che ho fatto.»

________________________________________________________________________________

Angolo autrice:
Ragazzuoli e ragazzuole, siamo entrati nel vivo della seconda parte. Questo Kenneth Jung farà sudare i nostri poveri idioti, e non poco. Riusciranno Noah e Dave a mantenere la calma? Troveranno le prove che stanno cercando? La moglie e il figlio, possono essere in qualche modo coinvolti? 
Al prossimo sabato! Questo giugno sarà intensissimo di trip mentali! (e di esami per me *sigh*)

Continue Reading

You'll Also Like

124K 5.6K 36
Non servono molte spiegazioni su questa storia, il titolo parla già da sé: racconta la storia di Magnus e Alec, o almeno, come la vedo io... La fanfi...
24.9K 1.1K 6
dove Harry si trasforma in un gattino ogni notte. RIPETO: QUESTA STORIA NON E' MIA, E' SOLO UNA TRADUZIONE. LA RAGAZZA CHE SCRIVE QUESTA FF E' @Hunte...
450K 21.5K 43
Teen drama. "Trovai il coraggio di alzare gli occhi nei suoi. Erano neri come la pece e profondi come un pozzo senza fine. Incutevano quasi timore. ...
8K 227 6
Libro a scopo puramente informativo. Lascerò spiegazioni su cosa sono queste religioni e questi culti; seguiremo un percorso insieme che ci porterà a...